In occasione dell’uscita di Perdersi, le traduttrici Manuela Francescon e Sabina Terziani raccontano il romanzo di Elizabeth Jane Howard.
In tutti i romanzi di E. J., cominciando da The beautiful visit (1950) e The long View (Il lungo sguardo, 1956) e passando per i cinque volumi dei Cazalet, Howard racconta attraverso personaggi e vicende diversi una storia che un po’ è sempre la stessa: quella di una donna che esce ignara e impreparata dal nido familiare (un nido che spesso nasconde serpenti), non riesce a costruirsi un’adeguata corazza esistenziale e in questa condizione di nudità emotiva veleggia sicura verso le fauci di svariati mostri di sesso maschile. La bellezza costituisce il più delle volte un’arma che la ragazza in questione stringe dalla parte della lama.
Da un romanzo all’altro l’orco ha assunto diverse sembianze: il primo che abbiamo incontrato è il Mr Fleming de Il lungo sguardo, un freddo incantatore di serpenti, un pigmalione sadico che considera la moglie come materia grezza nelle sue mani, materia che invecchia e va sostituita con altra più giovane; poi c’è stato Edward Cazalet, l’orco che non ti aspetti, simpatico, affascinante, un padre amorevole che un bel giorno allunga le mani sulla figlia; in Le mezze verità (1969) l’orco assume una forma grottesca: è il classico bore, un militare in pensione pomposo e ipocrita che alla fine si rivela un incallito Barbablù.
In Perdersi, che è uscito nel 1999, Howard racconta, con ben poca fiction e massiccio ricorso all’esperienza personale, il suo incontro con un orco di professione, uno stalker molto bravo nell’individuare le sue vittime. Malcolm Shane, un nome probabilmente falso, si mise in contatto con la famosa scrittrice, appena reduce dal successo dei Cazalet ma anche da diversi problemi di salute, e riuscì a insinuarsi nella sua vita fino a trasferirsi a casa sua. Furono la figlia e gli amici ad aprirle gli occhi rivelando un passato di violenze domestiche, imbrogli, ostinato parassitismo e forse un tentato omicidio.
Con l’Henry di Perdersi Howard decide di entrare nella testa dell’orco, di dargli una voce costruendone un attento profilo psicologico e raccontando la storia anche dal suo punto di vista. Perdersi è un romanzo a due voci, in cui si alternano i punti di vista della vittima e del carnefice e in cui si descrive la dinamica, a lei tristemente nota, con cui i due si attirano inesorabilmente: Henry è bravissimo a individuare le falle nella fragile corazza di Daisy, una corazza di cui lei del resto non vede l’ora di sbarazzarsi, è un bugiardo patologico, è incapace di empatia, gode del potere di manipolare l’altro.
Un romanzo bello e fortunato di qualche anno fa, Una vita come tante, della scrittrice americana di origine hawaiana Hanya Yanagihara, descrive benissimo questa dinamica, mostrando come chi è stato vittima nell’infanzia è destinato a portare uno stigma che solo i molti carnefici sparsi nel mondo possono riconoscere, e a riprodurre così sempre lo stesso copione di segreta violenza. Questa violenza segreta, e la coazione che la perpetua, sono forse il nucleo di tutta la sua narrativa ma emergono con speciale chiarezza in Perdersi, dove Howard interroga ed esplora con eccezionale lucidità la propria fragilità emotiva.
Manuela Francescon
Fragilità che è anche una forza, quella di chi “si lascia cadere” e disobbedisce al divieto di lasciarsi andare.
Cadere (questo è il titolo originale del romanzo, Falling) è il gesto cruciale della protagonista e nasce da due necessità: la prima linguistica perché in inglese l’innamoramento è sempre un falling in love, la seconda narrativa perché Daisy cade fisicamente due volte. Potremmo dire che la seconda caduta in giardino sia la conseguenza dell’indebolimento causato dalla prima, in vacanza in Messico, e che abbia conseguenze rovinose da un punto di vista morale, laddove la prima caduta era stata un’esperienza di fragilità soprattutto fisica.
«E noi che la felicità la pensiamo
In ascesa sentiremmo la commozione,
che quasi ci atterra sgomenti,
Per una cosa felice che cade.»
Così scriveva Rilke nella Decima Elegia pensando agli amenti dei noccioli che si staccano dai rami e si abbandonano «con consapevolezza e gravità al movimento naturale che porta alla terra», come dice Silvia Vizzardelli nel suo bel saggio Io mi lascio cadere, [Quodlibet, Macerata, 2014] che tanto mi ha ispirato nella stesura di questa breve nota di lettura/traduzione.
Mentre cade, Daisy si rende conto che proprio il tentativo di aggrapparsi per fermare la caduta la rende ancora più rovinosa. Dunque in quel momento di consapevolezza c’è un passaggio dalla semplice azione al gesto: «io mi lascio cadere e nello stesso tempo mi abbandono alla fatalità del mio esser così e non altrimenti, “io sono questa”, succeda quel che succeda, eccomi qua consegnata all’occhio del mondo […]». Quando «decide di non decidere più», Daisy passa dall’azione al gesto, ovvero a un atto che si innesta nella continuità del mondo fisico in cui si svolge l’azione e presenta un senso, mostra un desiderio.
Così la caduta è occasione per Daisy di fare i conti con lo svelamento del suo corpo e del suo desiderio, sia sessuale sia di amore incondizionato. Henry conquista la fiducia di Daisy e ne frantuma la corazza di pudore offrendole un rassicurante amore incondizionato al quale lui per primo crede con sincerità proprio perché identifica la preda con ciò che lei possiede: una bella casa, denaro e fama. Non m’importa se il tuo corpo cede/cade, io ti desidero oltre tutto ciò, ti voglio per quello che sei: ricca e famosa, e tanto più accogliente è la tua casa, pingue il tuo conto in banca e illustre il tuo intelletto, quanto più le mie erezioni rimangono salde.
Quante volte sia caduto anche Henry lo scopriamo dalle sue confessioni menzognere, ma a differenza di Daisy magnificamente fragile e fecondamente malata, lui, in quanto psicotico da manuale, cade e si rialza come un burattino a molla condannato a ripetere meccanicamente un copione. Il cuore di Daisy si spezza ogni volta in modo diverso; il fallimento di Henry è sempre lo stesso. Alcune ripetizioni sono più uguali di altre.
Sabina Terziani