Rohinton Mistry
Un lungo viaggio
Traduzione di Chiara Vatteroni
Bombay, 1971: l’India è in guerra con il Pakistan. Gustad Noble, è la sola voce ragionevole nella comunità in cui vive: la sua dignità e il suo forte senso morale spiccano tra i mille drammi di cui sono protagonisti i suoi litigiosi vicini. Pian piano, però, vede la sua modesta vita sgretolarsi. La figlia più piccola si ammala e non guarisce, a dispetto delle cure; un figlio amoreggia con la figlia di un vicino con cui il protagonista si scontra per banali questioni condominiali; il maggiore, brillante studente, si ribella alle ambizioni del padre e se ne va di casa. Un giorno Gustad riceve una lettera da un vecchio amico, che ora lavora per un settore della CIA operante presso il governo di Indira Gandhi. Questi gli chiede di aiutarlo in quella che all’inizio sembra una missione eroica. Ingenuamente, Gustad, sebbene in preda a mille dubbi, accetta, ma ben presto si trova coinvolto in un’impresa poco chiara che lo sprofonda in una pericolosa rete di sotterfugi e dalla quale riesce a venir fuori solo grazie al generoso aiuto di Dinshawji, un collega e amico della banca.
«Si prova, leggendo, quel particolare piacere dato da una narrazione che impegna e coinvolge sia per ciò che racconta sia per ciò che evoca, i suoni le immagini gli odori».
«Alias – il manifesto»
– 01/05/2008
Gli impegnati
– 05/11/2000
L’India tra spiritualità, amore e cucina
L’India intesa come Oriente, icona privilegiata dell’ “Altro” nell’inconscio collettivo in Occidente, sta vivendo un periodo di particolare fortuna. I motivi non potrebbero essere più disparati. I festeggiamenti per il cinquantenario dell’indipendenza (1997), l’apprensione per una delicata situazione di politica estera e l’importanza di un mercato tutto nuovo nel quale investire risorse, oltre all’affascinante tradizione della medicina “alternativa”, all’irresistibile richiamo di un misticismo sui generis e di una letteratura imperante sulla scena contemporanea, aprono nuovi canali d’interesse che si aggiungano a quelli consueti e ne fanno una moda. Vediamo quindi le proposte editoriali sull’argomento in occasione della Fiera del Libro.Nel settore narrativa, Salman Rushdie (Mondadori) e il suo delicato caso personale (la condanna a morte inflittagli dall’integralismo islamico, non la recente love story con la modella indiana), sono un punto di riferimento imprescindibile. chi non si fosse ancora cimentato con “I figli della mezzanotte”, potrebbe essere interessato a scoprire un narratore eccezionale che fonde grottesco e storia, Est e Ovest, cronaca e fantasia in un assordante sovrapporsi di voci che costituiscono l’identità indiana contemporanea. Simile è “I versi satanici”, romanzo che mette a fuoco la questione religiosa: ritenuta sacrilega da una certa fazione islamica, è questa l’opera che gli è valsa la condanna a morte.Affianco a Rushdie vale la pena ricordare altri nomi ormai notissimi. Amitav Ghosh è indubbiamente uno tra gli scrittori più importanti. Il suo stile dinamico, armonioso e toccante al tempo stesso, lo rende autore unico. “Le linee d’ombra” (Einaudi), il suo capolavoro, è un’opera che fonde tecnica e fascino ineguagliabili. “Il ragazzo giusto“ (Longanesi) di Vikram Seth con le sue 1500 pagine non è certo un romanzo da comodino. E’ tuttavia leggibilissimo e brioso: la trama ricostruisce le vicende di una ragazza alle prese con la scelta del marito tra tre diversi contendenti. “Un lungo viaggio” (Fazi) di Rohinton Mistry narra invece le vicissitudini di una famiglia di Bombay a cavallo degli Anni 60-80: gusto, tatto e una notevole capacità di ricreare situazioni, emozioni e colori da parte dell’autore hanno giustamente reso famoso questo romanzo. “Il dio delle piccole cose” (Guanda) di Arundhati Roy ha avuto un enorme successo in Italia ed era diventato anche un libro da supermarket. Tecnica, favola e una storia d’amore travolgente, in grado di sciogliere in lacrime il più cinico dei lettori, hanno decretato un successo di cassetta pari a quello riconosciutogli dalla critica. Più addentro alla questione femminile, segnaliamo invece Anita Desai. “Chiara luce del giorno” (Einaudi) è la vibrante e intima vicenda di una donna indiana: sullo sfondo gli eventi che sancirono la Partizione. Shashi Deshpande, “Questione di tempo”, (Theoria) è altra scrittrice di spicco; a lei auguriamo miglior fortuna editoriale in Italia. totalmente – o quasi – ignorato invece, consigliamo agli editori Arun Joshi, autore il cui stile ripropone un raffinato connubio di esistenzialismo e misticismo “made in India”;se questi sono gli autori del presente, R.K. Narayan (Giunti) invece rappresenta la narrazione più tradizionale e nota al grande pubblico italiano. arguto e leggibilissimo, il vecchio maestro è presente con diverse opere: non fatevi scappare “Raju delle ferrovie”, sottile ironia di un benevolo impostore che, suo malgrado, è costretto ad incarnare il ruolo di un santone.Passando dai maestri spirituali fasulli a quelli autentici, l’India non è ovviamente seconda a nessuno. La spinta a cercare la Verità all’interno dell’Io, attraverso un percorso intimo che mette in relazione stati di coscienza, blocchi comportamentali e problemi di salute, ha da sempre affascinato e disintossicato la mente impensierita e stressata degli occidentali, in particolare a partire dai Beatles. Per districarsi nella marea delle varie proposte, si potrebbe partire dal libro di Osho “La via del cuore” (Mondadori), oppure da quello di R. Ganapati, “sai Baba, Fiamma d’amore” (Ed Mediterranee). chi volesse intraprendere un cammino spirituale, senza però rinunciare agli allegri piaceri del sesso (anzi…), potrebbe trovare qualche utile suggerimento in “Tantra” (Mursia) di Van Lysabeth. Lasciamo al visitatore della Fiera la scelta di un orientamento nella selva di proposte tra i manuali di palmologia, ayurveda, cristalloterapia, pranoterapia, e varie tecniche di meditazione.Tra gli aspetti più in voga della cultura indiana nel nostro Paese bisogna ricordare il recente successo della cucina. Gli italiani eterni pastasciuttari sono stati sostituiti da una generazione più disposta ad aprirsi verso la globalizzazione e, nel caso dei cibi indiani, anche ad arrostirsi lingua e palato con spezie varie; a chi volesse industriarsi tra i fornelli con forti sapori e aromi consigliamo “india in cucina” (Mondadori) di A. Avallone.Infine, non dimentichiamo il personaggio che in modo più emblematico ha rappresentato l’India in quest’ultimo secolo: il Mahatma Gandhi; Il suo pensiero spazia in ambito sociale, religioso e politico senza distinzioni di sorta; al neofita, interessato ad un approccio semplice ma completo, consigliamo “antiche come le montagne” (Oscar Mondadori); Il riformatore e padre fondatore dell’India moderna infatti asseriva di non aver insegnato nulla di particolare all’umanità “poiché la verità e la non violenza sono antiche come le montagne”.
Fiabe da mille e una notte. Appassionanti saghe familiari. E sullo sfondo, profumi e colori intensi. Mai come in questo momento tanti scrittori ci fanno conoscere un Paese magico.
Un lungo viaggio
Un Paese in bilico tra passato e futuro, tra modernità e superstizioni antichissime. E’ questa l’India di “Un lungo viaggio” (Fazi editore) che racconta la storia di Gustad Noble, modesto impiegato di banca di Bombay coinvolto in un misterioso giro di spie. A complicare ancora di più la vita, c’è il foglio, brillante studente di ingegneria, che scappa di casa. Mentre la figlia si ammala di un male misterioso. Per curarla Gustad, che crede fermamente nel progresso, dovrà ricorrere agli incantesimi primitivi degli stregoni. Nella vicenda narrata da Rohinton Mistry mille realtà e personaggi si sovrappongono in un affresco dai colori sgargianti.
Canadesi d’India
Gli Stati Uniti amavano presentarsi come “melting pot”. Il Canada preferisce invece pensarsi come “mosaico”, un insieme di comunità diverse di cui vengono rispettate le caratteristiche originarie, ma all’interno di una cornice unificante: italiani, slavi caraibici, indiani. Ma tutti “canadesi”. Per cui lo scrittore Rohinton Mistry, nato a Bombay nel 1952 e trasferitosi in Canada nel 1975, un autore quindi della diaspora indiana, è al tempo stesso uno scrittore canadese. Resta il fatto che lamateria su cui esercita la sua invenzione letteraria è inequivocabilmente indiana, sia nella bella raccolta di racconti con cui esordì nel 1985, “Tales from Firozsha baag”, sia nel suo primo romanzo, “Un lungo viaggio”. Il protagonista del libro, l’’impiegato di Bombay Gustad noble, è un parsi: appartiene cioé, come l’autore, alla piccola minoranza religiosa che intorno al IX secolo si spostò dalla Persia verso Oriente, insediandosi in parte nell’attuale Pakistan, ma soprattutto a bombay. Gustad è un uomo tranquillo, ragionevole, onesto, ma messo a dura prova dalle avversità familiari, che si intrecciano con il clima teso e confuso dei primissimi anni Settanta. Le vicende quotidiane, le delusioni, le preoccupazioni di Gustad sono infatti come schiacciate dalle vicende della guerra tra India e Pakistan e della nascita del Bangladesh. Ma la Storia cede poi il posto alle storie, in un romanzo di taglio realistico, percorso da una vena di affetto (temperato da un sottile umorismo che evita le cadute nostalgiche) per il mondo a misura d’uomo della natia Bombay. C’è un filone giallo (dove è e cosa fa davvero un vecchio amico che si dichiara agente segreto?) che si fonde delicatamente con un ritratto d’ambiente di grande interesse antropologico e di grande vivezza narrativa: è una specie di picaresco stanziale, se è lecito l’ossimoro.Lo scontro tra l’India e Pakistan, che tuttora minaccia sinistramente il destino del subcontinente indiano, ha le sue radici nella nascita stessa dei due Paesi, in quella “Partition”, cioè la divisione tra India e Pakistan che coincise con l’indipendenza, nel 1947, dell’ex colonia dell’impero britannico. Questo evento epocale ha rappresentato uno dei temi più frequentati dagli scrittori indiani..;
Rohinton Mistry, Un lungo viaggio
La fortuna, e dunque la vita, è “lo sputo degli dei”, esclama verso la fine del romanzo di Mistry il protagonista, Gustad Noble, impiegato do banca di Bombay, segnato da tutta una serie di fallimenti: il figlio che tradisce lesperanze paterne, la figlia divorata da una lunga malattia, il migliore amico che, morendo, gli lascia un’insidiosa, preoccupante eredità. Come Mistry, nato nel ‘52 appunto a Bombay e da molti anni emigrato in Canada, Noble è un parsi; appartiene cioè al la piccola ma significativa comunità di eredi di Zoroastro distribuiti in un intero quartiere nella città che, cambiato nome, si chiama oggi Mumbai. Così, questa sorta di moderno Giobbe, o, se si vuole, replica dello scespiriano Gloucester di “Re Lear”, già per nascita si presenta quale personaggio sconfitto. Le sue vicissitudini ne ribadiscono l’alterità: e qui Mistry esprime una scansione esistenziale che si è portato dietro dalla patria. ecco allora che l’apparente, schietto realismo si trasforma in magica allegoria della commedia umana, anche in virtù della rara qualità evocativa del linguaggio. Alla fine, grazie all’incontro con un anonimo artista di marciapiede, Noble impara a non arrendersi alla negatività. tale il sigillo pensoso del romanzo di uno degli scrittori di lingua inglese più affermati e ricco di meritati riconoscimenti.
– 01/03/2000
Umori e catastrofi indiani
Bombay è una della città più affollate al mondo. La gente si “scontra” nelle vie, si abbraccia nelle piazze, prega chinata vicino ai templi pieni d’incenso. la letteratura indiana è in un momento di grande splendore, i suoi scrittori macchiano la realtà e raccontano agli occidentali gli umori e le ipocrisie di un paese così diverso dal resto del mondo. Vikram Chandra, Naipaul, e ora Rohinton Mistry, scrittori che parlano dell’India vivendone fuori, ma forse proprio attraverso questo distacco dal quotidiano riescono a cogliere gli aspetti più nascosti. Una delle grandezze de “Un lungo viaggio” è la capacità di raccontare la storia di un grande paese attraverso le vicende di un piccolo individuo. Mistry, nel descrivere la vita di una famiglia all’inizio degli anni Settanta a Bombay, riesce a descrivere atmosfere, sensazioni e sapori del suo paese. L’altra forza del romanzo è l’umanità che ha il protagonista. Dalle prime pagine emerge la figura di Gustad Noble, generoso seguace di Zoroastro, coinvolto nelle scaramucce familiari e nei complotti dei condomini circostanti. Mistry traccia il profilo delle persone che ruotano intorno a Noble, li segue nel loro continuo agitarsi. Prima fra tutte la famiglia: la figlia che si ammala e rimane inerte anche quando Gustad le canta ”The Donkey Serenade”, l’amore che sboccia tra uno dei suoi figli e la figlia di un vicino.“Un lungo viaggio” è iscritto con molti linguaggi, anche se ha come base l’inglese: in una città come Bombay, in treno o nel bazar, si parla hindi, inglese, gujarani, marathi e urdu. Un melange di suoni che lo scrittore ha cercato di trasmettere e colorire. Per alcuni versi Rohinton Mistry racconta la grande Comédie Humaine di Balzac, anche se i toni e i sottotoni compongono un’altra musica; L’inizio del romanzo è un incipit di suoni: “La prima luce del mattino illuminava a malapena il cielo quando Gustad Noble si girò verso est per offrire le sue orazioni ad Ahura Madza. erano quasi le sei e in alto sull’albero solitario del terreno recintato i passeri cominciarono ad emettere i loro richiami”. Oltre questa prima frase si dipana “Un lungo viaggio”, costruito sugli odori dell’India e i sapori di tutto quello che gli gira intorno: umori e catastrofi.
Sogni infranti di un bancario
E’ il 1971, e l’India è vicina alla guerra con il Pakistan. Gustad Noble, parsi, impiegato in banca, padre di famiglia, vive con anima e rassegnazione le piccole miserie della vita quotidiana in un quartiere povero do Bombay: l’acqua da filtrare, i cani che fanno pipì sulle sue amate piante, la cena da mettere insieme per un amico, gli intrugli magici di una vicina, la dissenteria della bambina. Quel che lo fa soffrire più intensamente è il figlio Sohrab che si ribella ai desideri di studio e riscatto sociale che il padre ha in serbo per lui fino ad andarsene di casa.Tutto volge al peggio però quando un vecchio amico scomparso lo recluta con una serie di missive misteriose in una missione dei servizi segreti di Indira Gandhi, una vicenda sporca, fatta di imbrogli, ricatti e soldi, tanti, un intero pacco di banconote che in demente del quartiere gli vede in casa guardando dalla finestra. Una storia in cui non mancano risentimenti per la Gandhi e per Nehru, infelicità, dei e morti.Mistry, che scrive col passo sicuro della tradizione anglosassone (lui è nato nel ‘52 a Bombay, ma vive in Canada dal 1975) lontano dai voli del realismo magico in cui tanti scrittori indiani si avventurano, ci fa entrare negli uffici, i mercati, gli ambulatori di una Bombay dolente, brulicante e immensa, e ce la fa possedere, attraverso i vari riti parsi, i pensieri e i percorsi di ogni giorno, ancora di più.
La millenaria saggezza indiana tende la mano ai miti dell’Occidente attraverso i riomanzi di Vikram Seth e Rohinto Mistry
Seth e Mistry, le due vie indiane alla consolazione
In “Un lungo viaggio”, ambientato a Bombay, un impiegato di banca dopo una serie di sconfitte familiari, rimane coinvolto in una storia di spionaggio e di corruzione… La vita è un viaggio, la felicità un’utopia, ma il dolore può essere accettato
Vikram Seth e Rohinton Mistry: due scrittori indiani esattamente coetanei (sono nati entrambi nel ‘52), diversi per temperamento e per tipo di scrittura, ma per certi versi complementari. Seth, bengalese, grande viaggiatore, è tra l’altro l’autore di un poderoso romanzo, Il ragazzo giusto, che, pubblicato da Longanesi, ha venduto più di tremila copie. La stesso Longanesi presenta ora Una musica costante, il suo ultimo libro Mistry, emigrato a Toronto nel ‘75, nato a Bombay, appartiene alla piccola ma significativa minoranza dei Parsi, i discendenti di Zoroastro, e si affaccia adesso in Italia, meritoriamente promosso da Fazi, con Un lungo viaggio, corposo romanzo di quattrocento pagine.Il protagonista narratore di Seth è, in realtà, un inglese e parlandone con l’autore gli ho fatto notare scherzosamente che si tratta di un autentico caso di Reincarnazione. Michael Holme, violinista, fa parte di un quartetto d’archi, vive a Londra, e la musica rappresenta per lui, assai più che una professione, una conturbante condizione esistenziale. Proprio la musica ha propiziato, a Vienna dove studiava, una storia d’amore coinvolgente e turbinosa con Julia, pianista per metà austriaca e per metà scozzese. Il rapporto si è rotto per colpa di Michael, lasciando in lui una ferita aperta, un rimpianto tormentoso. Non ha saputo più nulla di lei, ma vorrebbe ritrovarla, farsi perdonare, ricominciare daccapo. Invano. Julia é in Inghilterra, e Michael non riesce a trovarla.Qui il romanzo, con grande sottigliezza affidata a un linguaggio finemente arabescato, unisce, è il caso di dirlo, i due motivi. Teso alla ricerca della donna, il violinista contemporaneamente so sforza do rintracciare una composizione di Beethoven di cui nessuno sembra sapere, finché, per pura combinazione, la trova in un vecchio disco, una rarità, inciso a Praga. Mentre ritorna a casa in autobus, gli pare, su un altro autobus che incrocia, di scorgere Julia. Balza su un taxi, raggiunge l’autobus di Julia, vi irrompe , ma la donna è scomparsa. Nel frattempo, ha dimenticato il disco, e quasi miracolosamente l’autista glielo lascia in portineria. Si ha qui un primo episodio epifanico, a mio avviso caratteristicamente indiano; un secondo si verificherà quando una vecchia signora, che gli aveva prestato un prezioso violino, morendo glielo lascerà in eredità. Seth, a cui ho fatto notare i due momenti cruciali, mi ha risposto sorridendo che non ci aveva mai pensato, ma che era d’accordo.Michael ritroverà Julia, sposata e madre, affetta da una forma di sordità. Comprenderà che questa volta il distacco è definitivo. I giorni di amore a Venezia appartengono al passato: rimane la musica, “un dono sufficiente” pur nella sofferenza; musica che Seth ripossiede ammirevolmente, e con sbalorditiva competenza, grazie alla parola trasferita sulla pagina.Un lungo viaggio , il cui titolo deriva dal titolo di una poesia di T. S. Eliot, “Il viaggio dei magi”, è un romanzo di ampio respiro e di impianto sostanzialmente realistico, ambientato a Bombay e raccontato in terza persona. Il protagonista, come sempre in Mistry, è un Parsi, l’impiegato di banca Gustad Noble, il quale vive in un caseggiato che, pur nel suo realismo, si presenta come un microcosmo dell’India e forse del mondo in generale. Onesto, razionale magari all’eccesso, Noble si trova alle prese con un crescendo di sconfitte e di fallimenti. Il figlio, su cui tanto contava quale brillante studente in una facoltà tecnologica, rifiuta e abbandona la famiglia. La figlia si ammala di una dissenteria dalla quale sembra di non riuscire a risollevarsi. l’amico e il confidente più stretto coinvolge Noble in una cupa vicenda di spionaggio e di corruzione, mentre sullo sfondo si agitano i fantasmi della guerra con il Pakistan.Il romanzo diventa gradualmente la rappresentazione di una lancinante solitudine, mai di una resa, e basta pensare che Mistry non esita a chiamare polemicamente in causa, oltre a Indira Gandhi, addirittura il padre della patria, Nehru. La tragedia di Noble acquista allora un significato simbolico, e difatti più di un critico ha visto in lui l’incarnazione sia di un moderno Giobbe, sia di un moderno Edipo, senza contare l’incidenza speso funesta del caso.Dio sembra non ascoltare le preghiere proprio degli afflitti, quasi dostoevskianamente indifferente o giocatore. Il reticolo complesso della trama principale e delle trame secondarie segue però una linea di sviluppo compatta e coerente, fino a culminare nella epigrammatica esclamazione del finale: “La fortuna é lo sputo degli dèi e delle idee”. l’apparente negatività viene trascesa quando Noble incontra un modesto artista di marciapiede, che nei suoi dipinti sui muri, descrive l’unità universale delle religioni, il valore magari nascosto della fede. Se la vita trascorre e si spegne come una danza (la musica di Seth), diretta da un misterioso burattinaio, come insegna a Noble la morte del vicino di casa Tehmul, candido e desiro idiota, bisogna accetterla nel bene e nel male. Così termina il lungo viaggio. La sensibilità indiana di Seth e di Mistry, per strade diverse, giunge alle stesse conclusioni e si articola in un discorso originale, che i due traduttori, Massimo Birattari e Chiara Vettaroni, rendono con molta efficacia. se la felicità va giudicata un’utopia, persino la sofferenza può diventare consolante o per lo meno accettabile. La millenaria saggezza indiana tende la mano ai miti dell’Occidente.
Rohinton Mistry
Viaggio di uno scrittore politico nell’India della corruzione
Rohinson Mistry è forse l’ultimo degli scrittori indiani di qualità, della generazione dei trenta-cinquantenni, a essere scoperto in Italia. Finalista al Booker Prize nel 1991 con Il lungo viaggio, Mistry (nato a Bombay quarantasette anni fa, ma residente da lungo tempo in Canada) è uno scrittore politico – alla maniera di Nadine Gordimer – che si esprime attraverso la presa diretta sulla vita quotidiana dei suoi personaggi: a prima vista uomini e donne comuni prigionieri di vite banali, nelle quali s’infiltrano a poco a poco le tensioni del subcontinente che la spartizione del 1947 ha lasciato eternamente inquieto.Questo è lo sfondo su cui si muove Gustav Noble, l’impiegato di banca di Bombay e onesto padre di famiglia, generoso con gli amici e bonario seguace di Zoroastro, che Un lungo viaggio (traduzione di Chiara Vatteroni) ci presenta nei primi anni Sessanta. Gustav non è particolarmente intelligente ma ha la dignità dei giusti, e un senso morale che sembra mancare ai più che lo circondano. Malgrado la sua istintiva tranquillità, a casa non riesce a sottrarsi alle velenose contese dei vicini e deve assistere ai complotti dei condomini circostanti, mentre al lavoro trova calore nel cameratismo dei colleghi zoroastriani. La moglie lo tratta con affetto, i figli sono bravi ragazzi. C’è un solo neo nella sua esistenza: la ferita lasciata dalla partenza furtiva di un vicino che alcuni anni prima era diventato il migliore amico della famiglia. Niente lettera di commiato, niente saluti. Niente.A poco a poco, però, la vita di Gustav comincia a cambiare, e non per il meglio. Il figlio maggiore getta alle ortiche la preziosa lettera di ammissione a una delle migliori scuole del Paese, e se ne va di casa dopo una furiosa lite col padre. Il secondo s’invaghisce della figlia di un vicino che Gustav non può vedere. E Roshan, la piccolina di papà, si ammala e non riesce più a guarire. In mezzo a tutto questo, Gustav riceve una lettera dal suo grande amico scomparso, che adesso lavora per la Cia presso il governo di Indira Gandhi. Ha un grande favore da chiedergli. E sebbene Gustav all’inizio sia sospettoso, alla fine accetta, illudendosi che si tratti di una missione eroica. Ma da quel momento l’inganno si diffonderà nel suo piccolo mondo come un’infezione. Solo un amico e collega di banca riuscirà a tirarlo fuori dai guai.L’India di questo romanzo è l’India di ideali frustrati, corruzione e sotterfugi politici che la voce pacata di Mistry avvolge di calore e amarezza. Non è, per noi occidentali, un’India Fascinosa. Ma forse proprio per questo sembra più triste, e più vera.
Il mosaico Bombay ricostruito a Toronto
Il caseggiato delle Indie
Bombay ‘71-‘72 (guerra col Pakistan): in un inglese miscidato con le sonorità hindi, l’indiano-canadese Rohinton Mistry racconta un termitaio condominiale: sub-continente in cui si specchia l’aspirazione cosmopolita di una strana modernità
“Un freddo arrivo fu il nostro, proprio il periodo peggiore dell’anno per un viaggio così lungo…”: così T. S. Eliot, ma Tagore replica: ”E quando sulla lingua muoiono le vecchie parole, nuove melodie prorompono dal cuore; e dove si perdono i vecchi sentieri, si rivela un nuovo paese con le sue meraviglie”.Su queste programmatiche citazioni in epigrafe si apre “Un lungo viaggio” (Fazi, pp 420), primo romanzo di Rohinson Mistry – nato a Bombay nel 1952 ma trasferitosi a Toronto nel 1975. L’autore riprende qui con più ampio respiro l’idea guida dei racconti “Swimming Lessons and Other Tales from Firozsha Baag” (Penguin) che in Canada gli valsero importanti riconoscimenti letterari: racchiudere in un unico luogo un microcosmo simbolico, molteplici storie di vita, tutte in qualche modo emblematiche. Siamo dunque a Bombay, nel 1971-1972, durante il breve e violento conflitto indo-pakistano che portò all’indipendenza del Pakistan orientale, da allora Bangladesh. Luogo centrale dell’azione, che si svolge nell’arco di poche settimane, è il Khodadad Building, un enorme caseggiato di appartamenti abitati da modeste famiglie dei ceti impiegatizi più bassi. Protagonista di una famiglia Nobles: padre, madre, due figli adolescenti e una figlia bambina. Credo non sia casuale, da parte di un autore attentissimo al linguaggio, la scelta di un cognome così simbolico. C’è infatti una silenziosa nobiltà, una reiterata, tollerantissima saggezza nel loro agire, pur nelle contraddizioni politiche, religiose e generazionali in cui li vediamo muoversi. L’impressione è quella di trovarsi di fronte a individui di un’umanità profonda e semplice, continuamente coinvolti in fatti più grandi di loro, di cui intuiscono, più che comprendere, la portata, ma rispetto ai quali si pongono con una sofferta, dolorante generosità, che sembra essere anche consapevolezza del vivere. Intorno a loro si muovono molti personaggi: un misterioso ufficiale dei servizi segreti amico del capofamiglia Gustav Nobles; il collega di lavoro di Gustav, impiegato nella stessa banca, che dietro all’invadente buon umore nasconde sentimenti di amicizia e dedizione assoluta; il medico del quartiere, costretto a mediare tra le sue aspirazioni al rigore di terapie moderne e le condizioni imposte da credenze radicate e diffusissime; gli fa da contrappunto l’anziana donna che custodisce i segreti dei magici rituali di salvaguardia dei beni più preziosi, salute, amore e fortuna; e infine Tehmul, lo “scemo” del Khodadad Building, un personaggio straordinario, ascrivibile a quella tradizione che nell’assegnare ai “poveri di spirito” un destino di sacrificio, ne fa in qualche misura strumenti di redenzione collettiva. C’è tutta l’India nel Khodadad Building, palcoscenico pullulante ove si mescolano passato e presente, modernità e tradizioni, superstizione e religiosità, confusione urbana, povertà e aspirazioni a un futuro più glorioso – non esente da tentazioni militariste e orgoglio nazionalista con i loro retroscena di corruzione e congiure. Colpisce non solo nei contenuti, ma nella specificità e letteraria linguistica, l’attaccamento alla realtà indiana in tutti i suoi aspetti, gradevoli e non, che accomuna Mistry ai grandi narratori di origine indiana contemporanei, da Rushdie a Desai a Ghosh a Chandra – scrittori che, pur vivendo in occidente tutta o parte della propria vita, continuano a raccontare con straordinaria conoscenza e talento immaginativo il loro paese d’origine. Che anzi sembra essere il filtro, o forse uno specchio necessario, attraverso cui guardano e scrivono, con più acume e perspicacia di molti scrittori occidentali, l’insieme di fatti e sentimenti che la realtà, un’identica realtà a differenti latitudini e longitudini, mette loro di fronte.Sembra che l’autore voglia dirci: c’è tutto il mondo, un universo intero nel Khodadad Building, un edificio di molti piani, con un piccolo cortile e una striscia di verde che lo separa dal marciapiede, sulla cui superficie un pittore di immagini sacre (l’equivalente dei nostri madonnèri) disegna e riempie di colore effigi tanto diverse quanto diverse sono le appartenenze religiose dei suoi committenti. E il marciapiede, simbolo di un sincretismo possibile, e perciò stesso di pace, è destinato a sparire sotto i colpi dei martelli pneumatici che, per allargare la strada, lo cancelleranno insieme alle immagini che lo ricoprono. Mentre l’artista, abbandonati a terra i colori a olio e i pennelli ormai inutilizzabili, riprende la sua strada munito soltanto di una scatola di matite. Alter ego triste ma determinato dell’autore, che, molto lontano da lì, a Toronto, scrive raccontandoci quello stesso luogo.Un’ultima considerazione sulla lingua e sul tempo della narrazione. Una lingua ricchissima, iperfigurativa, dove l’inglese si piega – viene abilmente piegato – alle sonorità dell’hindi (e la traduzione italiana di Chiara Vatteroni riesce a restituircela mantenendo gli elementi di contaminazione, che vengono spiegati nelle note e nel glossario). Quanto al tempo, leggendo questo romanzo vengono in mente le parole di Rushdie, nei Figli della mezzanotte : “Ci sono così tante storie da raccontare, troppe. C’è un tale eccesso di vite, eventi, miracoli, luoghi e chiacchiere che si intrecciano, un così stretto mescolarsi di inverosimile e di reale!”. Si prova, leggendo, quel particolare piacere dato da una narrazione che impegna e coinvolge sia per ciò che racconta sia per ciò che evoca, i suoni le immagini gli odori.
– 30/11/2002
Un lungo viaggio
Questo è un romanzo assieme storico e d’avventura, che crea atmosfere incredibili e mozzafiato. 1971, durante la guerra tra Pakistan e India Gustad Noble, impiegato in una banca di Bombay, vede sgretolarsi le sicurezze su cui affondava le proprie aspettative. In un mondo inquieto di cui sembra impossibile decifrare i mutamenti la sua voce è severa e di una dignità morale esemplare. Un vecchio amico che lavora per il governo di Indira Gandhi farà della sua vita una eroica epopea. Il libro è stato finalista al Booker Prize, Mistry viene considerato uno dei più esperti scrittori indiani del momento. Una validissima alternativa ai noti Rushdie o Kureishi.