Wystan Hugh Auden
Gli irati flutti e l’iconografia romantica del mare
A cura di Gilberto Sacerdoti
In questo stupendo saggio W.H. Auden si confronta con le mitologie romantiche del mare e del naufragio. Come per Eliot e Pound, la riflessione critica è un gesto di vitale importanza, che appare sottoposto alle medesime regole che governano l’ispirazione poetica. The Enchafed Flood, pubblicato nel 1950, è un libro ricchissimo di sapienza e gusto. “Il mare è la situazione reale e il viaggio è la vera condizione dell’uomo. Il mare è il luogo in cui avvengono gli eventi decisivi, i momenti di eterna scelta, la tentazione, la caduta e la redenzione”.
«Un capolavoro della saggistica moderna».
Valerio Magrelli, «Il Messaggero»
«Una mirabolante analisi-rassegna del posto e del significato del mare nella letteratura romantica».
Masolino d’Amico, «La Stampa»
– 10/01/1996
Il viaggio è la vera condizione umana
Wystan Augh Auden, Gli irati flutti, Fazi, 1995, pagg. 172, lire 20.000
Tra le prime proposte dell’editrice romana Fazi c’è un vero gioiello di scrittura saggistica che s’impone anche come un eccezionale racconto critico sul tema del mare e del naufragio in letteratura. È firmato da Wystan Augh Auden, uno dei grandi poeti del Novecento che scrisse ‘Gli irati flutti’ nel 1949. titolo deriva da una citazione dalla tempesta dell”Otello’ shakespiriano e, secondo Gilberto Sacerdoti, che è il curatore di questa nuova edizione italiana, “è una citazione non certo solamente decorativa perché le tempeste shakespiriane come ricorda Auden stesso, sono le prime ad annunciare quel nuovo atteggiamento romantico nei confronti del mare che viene anatomizzato nel corso del libro, proprio come Amleto è il primo degli eroi – artisti per cui vendetta, vocazione e ‘questi’ si fondono”. Del resto la scelta di intraprendere questo studio critico la sua ragione metaforica può essere ritrovata in questo passo: “Il mare è la situazione reale e il viaggio la vera condizione dell’uomo. Il mare è il luogo in cui avvengono gli eventi decisivi i momenti di eterna scelta la tentazione, la caduta e la redenzione”. Il saggio, nella sua natura di racconto critico, vissuto da Auden in un’ottica che si avvicina all’attraversamento, è costruito in tre capitoli che possono rappresentare tre quadri concomitanti. Il primo, “Il mare e il deserto” s’accentra sull’idea di luogo quello in cui si muove l’eroe romantico e definisce alcune note distintive sull’atteggiamento romantico verso il mare. Il deserto si associa al mare in quanto figurazione della “distesa desolata”, del luogo “senza comunità” e, per l’uomo ciò comporta una idea di liberta “sia dai mali che dalla responsabilità della vita in comunità”. Nel secondo quadro “La pietra e la conchiglia”, vengono evidenziati gli strumenti che l’eroe romantico possiede per edificare la Città Vera, la “pietra” come ragione astratta e la “conchiglia” come immaginazione entrambe forme di quelle verità che gli uomini ricercano per diventare fratelli. L’ultimo quadro “Ismaele – Don Chisciotte”, inscena l’eroe stesso attraverso le due figure che risultano essere “i due estremi tra cui si muove la nuova figura dell’eroe romantico”.
Auden tra gli irati flutti
Forse solo la rivoluzione culturale dell’umanesimo può essere assimilata, quanto a forza propulsiva e innovativa, a quella più recente che va sotto la generica etichetta di “Romanticismo” e impropriamente identificata con un secolo solo. Quanto dobbiamo ancora al Romanticismo? Quanto al nostro culto dell'”io” e della libertà individuale proviene da là? Quanto perdura di una “concupiscence d’ésprit / che considera la propria libertà / non come un dono della vita mediante il quale / servire illuminare ed arricchire, / ma come il diritto di condurre solitaria / una vita attiva per conto proprio”? Questi versi sono di Wystan Bugh Auden (1907/1973), massimo poeta inglese dell'”altra” vita. Altra rispetto a quella modernista degli Eliot e Pounds (e Yeats). A differenza di quelli, Auden non oltrepassò il romanticismo con la certezza di lasciarselo domato e davvero superato alle spalle. Poeta e scrittore legato alla diversa aria del secondo conflitto mondiale, tra evento del nazifascismo e distruzione d’Europa, fece i conti sempre e fino in fondo con il personaggio dell’eroe romantico, eroe “estetico” per eccellenza, e il suo nucleo duro e affascinante. E lo fece in prosa, scavando un solco nella letteratura ottocentesca, da “Preludio” di Wordsworth (là dove l’amico mentre legge il “Don Chisciotte” in riva al mare si addormenta e sogna) fino a “Moby Dick” passando per Mallarmé, Rimbaud, San Giovanni della Croce, il Verne di “Capitan Nemo” le vignette del “New Yorker”, e, a fianco, sempre pronta la calda – tagliente parola di Soren Kierkegaard. L’opera che racchiude una tale inchiesta è un libricino dove pura lettura, critica, racconto e saggio si compongono nello specchio del mare: “Gli irati flutti” (a cura di Gilberto Sacerdoti, Fazi editore), traduzione italiana di un lavoro scritto nel ’49, apparso in volume a New York (Random House) nel 1950: “The Enchaféd Flood”, or “The romantic Iconography of the Sea”. Citazione shakespeariana il titolo, e Shakespeare, primo dei romantici a scoprire il mare e la tempesta con le loro simbologie, come dimostrò Wilson Knight, è il porto da cui salpa, in una prosa limpida e fluente, persino didascalica nei primi strati e poi via sempre più intensa nelle profondità, l’imbarcazione di Auden, in uno dei più splendidi itinerari marini della letteratura del nostro secolo.
Sogni di libertà sull’onda del mare
I poeti romanni amavano paragonare la creazione letteraria a un viaggio per mare. Per molti di loro (Orazio, virgilio, Plinio), accingersi a comporre significava spiegare le vele, per ammirarle alla fine del tragitto. Mentre il poema epico prende il largo a bordo di una grande imbarcazione, il lirico avanza su di un piccolo scafo. Insomma, il poeta viene assimilato al navigatore, così come il battello rappresenta il suo intelletto o la sua opera. Non solo. Se in origine tali metafore appartengono alla produzione in versi, con il tempo esse si trasferiscono alla prosa, come dimostreranno Cicerone, Quintiliano, e più tardi Girolamo. Lo sviluppo di questa metafora é stato magistralmente seguito da Ernst Robert Curtius nel suo studio del 1948 “Letteratura europea a Medio evo latino” ( curato quattro anni fa da Roberto Antinelli per la Nuova Italia e ora ristampato in edizione economica). Ma cosa c’entra, questo capolavoro della critica con Hugo Pratt? C’entra, perché conferma l’irresistibile fascino che il viaggio per mare ha da sempre esercitato sulla letteratura. E che Corto Maltese sia un eroe letterario, é un fatto indiscutibile. Chi, se non lui, il protagonista della “Ballata dela mare salato” é l’erede più accreditato del Marlow di Conrad, o di tanti personaggi di Stevenson?A ben vedere, più che con il mondo classico, Pratt ha infatti a che fare con quello romantico, così come é descritto in uno splendido saggio di W.H. Auden redatto nel 1949 e tradotto da Gilberto Sacerdoti per Fazi Editore: “Gli irati flutti”. Il suo sottotitolo, “Iconografia romantica del mare” spiega che la natura del romanticismo é qui indagata attraverso l’analisi di un’unica immagine, ma spaziando da Poe a Mallarmé, da Lewis Carrol a Melville.La tesi di Auden é presto detta. In epoca classica e medievale, il mare costituisce l’emblema del caos, e dunque il nemico per eccellenza della città intesa come spazio civile e armonico. Basti pensare che, nell’Apocalisse, la prima caratteristica del nuovo mondo felice viene indicata proprio nell’assenza del mare. Dalla sua minacciosa potenza non ci si può difendere che ricorrendo alle mura della tradizione, del mito e del culto. Ma con il rinascimento e il crollo di quelle mura, é come se la città si trasformasse in un deserto anonimo e meccanizzato. A questo punto, é il mare a diventare l’unico luogo in cui pochi individui indomiti possono sperimentare l’acqua di vita di cui la città é ormai prova. E appunto da questa famiglia che nasce Corto Maltese. Nei vasti spazi marini disegnati da Pratt, l’individuo romantico torna a sognare il sogno della sua libertà.
– 11/10/1995
Postromanticismo
Niente più Mari del Sud per gli antieroi del nostro tempo
Aforismi in versi e lucidi cataloghi della spenta verità poetica. Torna d’attualità il prolifico Auden
L’anno scorso. “L’età dell’ansia” (1948), uno dei suoi lavori più importanti, e “La verità, vi prego, sull’amore”, una cosa breve; ora, sempre senza bare o culle celebrative (Hugh Wystan Auden è nato nel 1907, morto nel ‘73), Shorts e “Gli irati flutti”: cosa ci riporta, precisamente, alla lettura di uno dei più prolifici scrittori inglesi del ‘900? una sua attualità? Una sua rinnovata presenza in mezzo a noi, lui poeta tra i primi a sentirsi nato definitivamente “dopo” la lunga, lunghissima stagione romantica? No. Auden, nella sua febbrile, incessante scrittura, ha troppa ironia, troppo buon senso, troppo analitico disilluso tepore per accenderci di domande, per sconvolgerci di risposte.A inizio anni ‘70, scrivendo alcuni dei suoi “shorts”, aforismi in versi che furono una costante presenza di alcune raccolte poetiche e che ora Gilberto Forti ha raccolto e tradotto (Adelphi, pp. 110), Auden, in modo diverso ma in fondo parallelo a Pasolini, se la prendeva con i ragazzi della Rivoluzione:”Sì, una società che pensa solo a un frenetico consumo / puzza, sono d’accordo; ma perché, / studenti radicali, perché mai / protestare col suo stesso linguaggio / disumanato, da réclame tivù / Volete incivilire il Paese? incominciate / dalla vostra lingua”; lucido amante del mondo americano (“Gli americani – come le omelettes: / non c’è di meglio / quando sono buoni”) l’inglese che trovava volgari i politici e meschini gli uomini non sopportava che il Nuovo facesse rime pubblicitarie nei suoi slogan; e dalla poesia del ‘900 non sopportava che – perso il fuoco erotico del romanticismo di ogni tempo – si perdesse un ancoraggio minimo a un dire pacato, come temeva dal surrealismo: “No, Surrealisti, no!: la più sfrenata delle poesie deve anch’essa, / come la prosa, avere un punto fermo nel solido buon senso”.Quest’uomo, così libero nella sua vita, nel suo scrivere frenava invece in gabbie ironiche il possibile, e da saggista postromantico catalogava i flutti del mare romantico e gli eroi estetici di Melville e Rimbaud come conchiglie di una collezione di fossili morti ormai da ogni palpitante rivisitazione: “Il mare è in effetti quel barbarico stato di indistinzione e disordine da cui è emersa la civiltà e nel quale è sempre possibile che essa ricada, ove non venga salvata dagli sforzi degli dei e degli uomini”; spento il fuoco di “verità poetica” per cui bruciavano i sogni di Wordsworth, pensa la possibilità di mettere il gioco la propria vita per un ideale estremo (Don Chisciotte, Achab), Auden e noi non abbiamo più Mari del Sud dove spiegare le vele di una follia nn estetica del reale: il poeta, censendo gli “irati flutti” su cui rischiavano la pelle i grandi lottatori del perduto Romanticismo, sapeva già dal 1950 quali prove avrebbero dovuto affrontare gli antieroi del suo tempo: “ Viviamo in un’epoca nuova in cui l’artista non può avere una tale importanza, essere l’unico, l’eroe, né egli crede a sufficienza del Dio-Arte per desiderarlo…Non dalla pazzia dobbiamo fuggire ma dalla prostituzione. Leggendo il giornale di bordo dei loro fatali ma eroici viaggi, ricordiamoci del loro coraggio.
– 09/01/1995
Wystan Hugh Auden, Gli irati flutti
Il rilancio editoriale di Auden continua con la pubblicazione di “Gli irati flutti”, già pubblicato nel non lontano 1987.“Gli irati flutti”, uscito nel lontano 1950 e, quindi, tinto di avvilimento per la storia recente, è uno studio della mentalità romantica, condotto su una disanima critica di rappresentative immagini marine. Il mare, tema molto ricorrente nella scrittura ottocentesca, significa il viaggio, quindi la ricerca da sé e dell’altro da sé, il ritorno a casa. Il mare è attraversamento di un male necessario, oltre cui l’“io” si ritrova ricomposto e compiuto. Il discorso di Auden, corredato da numerosi esempi e da utili citazioni, non ha niente di accademico. La lettura del passato offre al poeta, attentissimo ai momenti di passaggio e alla posizione dell’uomo nel suo tempo, un termine antitetico al presente, epoca decaduta e violata. L’eroe romantico, prometeico nella sua folle solitudine, è stato sostituito da un individuo debole, facile preda dei tiranni. Il massimo dell’ardimento per un tale uomo può essere solo la ricostruzione delle rovine, la riedificazione delle mura attorno alla sua città (tema che Auden stesso esploderà poeticamente nella raccolta “City without walls”, “Città senza mura”). Auden conclude, con la sagacia che gli è propria, che “non dalla pazzia dobbiamo fuggire ma dalla prostituzione” (p. 165) – un avvertimento che continua a suonare attualissimo. Buone sono l’introduzione di Gilberto Sacerdoti (già traduttore del fortunato “La libertà, vi prego, sull’amore”), include una serie di brevi componimenti, collocati originariamente in libri diversi, dove costituivano sezioni a sé stanti. In esse la “verve” grammatica del poeta, tipica pure di suoi componimenti più estesi, è illustrata in maniera emblematica. I temi variano riflessioni autobiografiche e letterarie sentenze di gusto latino sul mondo presente; ricordi isolati: frammenti di ragionamento, in tutte emerge una vena di divertito scherno, a cui l’immancabile buon senso di Auden si unisce con effetti di giocosità adolescenziale e di allusivi “nonsense”. La cifra è quella della poesia alta, anche nell’infimo.
Ritorni/Il poeta rilanciato in un film di successo. E ora si ristampa un suo saggio
Auden, l’io romantico e il diluvio del nazismo
E’ bastato un film “Quattro matrimoni e un funerale” anzi, appena una sequenza, e il nome di Wistan Hugh Auden ha cominciato a circolare tra il gran pubblico. Prima in Inghilterra (dove una sua raccolta di versi ha toccato le centinaia di migliaia di copie), poi in Italia, grazie alla tempestiva traduzione approntata da Adelphi con il volume La verità vi prego, sull’amore (a cura di Gilberto Forti, 68 pagine). Responsabile di tanto improvviso successo, la poesia Blues in memoria che già dalla prima strofa mostra tutta la quieta, assorta forza del suo dettato:” Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono, / fate tacere il cane con un osso succulento, / chiudete i pianoforti, e tra un rullio smorzato / portate fuori il feretro, si accostino i dolenti”.Poche battute, e siamo nel vivo di questo inconfondibile stile. Testimoniando dell’insanabile lacerazione tra la dimensione del mito e la miseria dell’alienazione contemporanea. Auden si colloca nel vivo del laboratorio moderno, elaborando un’arte del contrasto sapiente fino al virtuosismo. Coerentemente con tale atteggiamento, la giustapposizione di generi, metri e registri esprime una poetica posta agli antipodi della poesia pura, e a volte a designare il Sacro tramite il suo contrario. Così, per dire tutta la desolazione della morte di un amico Blues in memoria non esita per esempio ad evocare immagini prosastiche e consuete come quelle di un aeroplano o di un vigile urbano.Auden, però, non fu soltanto un grande poeta. Alla sua attività lirica si accostò infatti una produzione saggistica di strepitosa dottrina e vivacità. Purtroppo, questo tesoro di intelligenza è finora rimasto poco apprezzato nel nostro paese. Prova ne sia che l’apparizione del saggio Gli irati flutti presso Arsenale passò praticamente inosservato. Adesso, a otto anni di distanza da quella sua prima edizione italiana, la stessa opera viene riproposta dal nuovo editore romano, Elido Fazi, che la presenta nella bella cura di Gilberto Sacerdoti (196 pagine).L’uscita del libro si accompagna a quella i altri due, ovvero La caduta di Iperione di John Keats (introduzione di Franco Buffoni, 84 pagine), e L’arte poetica di Orazio (a cura di Claudio Damiani, traduzione di Giacomo Rech, 240 pagine).Le proposte di Fazi prevedono circa venticinque titoli all’anno divisi in tre collane, e mentre i primi volumi già raccolgono notevole attenzione, si annunciano nei prossimi mesi Bruges la morta di Georges Rodenbach (introduzione di Marco Lodoli, a cura di Emanuele Trevi), Daniele Ortis di Antonio Fogazzaro (con una prefazione di Enzo Siciliano), I boscaioli di Thomas Hardy (introdotto da Antonella Anedda), Il libro di Monelle di Marcel Schwob (a cura di Arnaldo Colantoni), L’anima e la forma di Stefan George e Ludwig Klages (affidato a Giampiero Moretti e Pietro Tripodo), Per i sentieri dove cresce l’erba di Knut Hamsun (curato da Filippo La Porta).perché scegliere dunque proprio questi possenti, Irati flutti, come testo di esordio editoriale? Intanto, certo, per il loro autore. “La più grande mente del ventesimo secolo”, lo definì non per nulla il poeta russo, premio Nobel, Jasif Brodskij. Il che, bisogna ammettere, non è poco. Ma poi, soprattutto, per la particolarissima, irresistibile miscela di erudizione e humour che ne alimenta le pagine.Come recita il sottotitolo dello studio, Iconografia, romantica del mare, lo scopo dell’autore consiste nel comprendere la natura del romanticismo attraverso l’analisi del suo modo di affrontare un tema del genere. Auden spazia così da Poe Baudleaire, da Lewis Carrot a Melville, ma esaminando magari, con la stessa perizia, una vignetta del “New Yorker”. Non si creda però che questo viaggio sia solo letterario. Al contrario, sullo sfondo resta sempre presente l’orrore del nazismo inteso come ultima degenerazione del sogno romantico.Composto sul finire della seconda guerra mondiale, questo capolavoro della saggistica moderna può allora esser visto anche come un tentativo di risalire alle cause di quel “diluvio della tirannia e della forza” che aveva sommerso l’Europa. Individuandone la nube originaria nella perversa “atmosfera dell’io” tipica dell’individualismo romantico, Auden ci ricorda che la libertà non deve mai essere un patrimonio soggettivo, bensì un’energia eminentemente collettiva, “un dono della vita mediante il quale / servire, illuminare ed arricchire”.