Gianni Vattimo
Ecce comu
Come si ridiventa ciò che si era
Si può diventare comunisti dopo il 1989? Esserlo già stati è un altro conto: ma diventarlo (o ri-diventarlo)? Per Vattimo è possibile e doveroso visto che nessuna terza o quarta via, accettando di fatto il sempre più rigido elitarismo del capitale, è in grado di invertire l’odierna deriva d’ineguaglianza, in Italia e nel mondo. Se infatti il suo itinerario intellettuale – che l’autore descrive come una “lunga marcia attraverso le opposizioni” – si è sempre svolto in prossimità delle sinistre, è però solo con la fuoriuscita dai Democratici di Sinistra nel 2004 che Vattimo ha finito pienamente per ritrovare le ragioni della critica marxista alla democrazia borghese, schierandosi contro la dirigenza dalemiana e contro ogni sbiadimento riformista. Una versione certo personale dell’ideale comunista, ma al contempo ancorata alla sua tradizione storica e alla sua fondamentale esigenza di equità. Un comunismo anarchico, libertario e antitotalitario, debole ma non “debolista”, che si serva degli strumenti del “sovversivismo democratico”, che sia in grado di rinunciare a un “economicismo” ormai moralmente ed ecologicamente insostenibile; un comunismo che valga non solo come ideale regolativo, ma anche come efficace linea-guida nella realizzazione storica di una società giusta e realmente democratica: è questa la scommessa che Vattimo affida a questo manifesto lucido e sfrontato, persino brutale nella sua franchezza.
– 06/10/2008
Il punteruolo
– 29/11/2007
Ecce Comu, di Gianni Vattimo
Se un nuovo piccolo fratello di Gesù […] si stabilisce in una favela di Rio i poveri del luogo saranno solo uno di più; se invece il mio amico senator-ingegner-capitalista-liberal apre una piccola azienda nella medesima favela e dà un lavoro a qualche decina di disperati, loro forse sono più contenti.
Ecco uno dei dubbi che agitano il professor Gianni Vattimo nel suo “Ecce Comu – Come si ri-diventa ciò che si era” (Fazi Editore, 136 pagg.) Un altro, forse più pressante, è ‘come trovare una nuova via al comunismo che tenga conto dei problemi attuali’.
Scopo del libro è infatti quello di invocare, più che teorizzare, l’avvento di un marxismo moderno, una versione 2.0 che faccia i conti con la complessità e con la morte delle ideologie. Insomma una non-dottrina, un pensiero debole che però possa (e voglia fortissimamente) dirsi marxista. Perché? La risposta probabilmente sta tutta nella biografia dell’autore
“Ecce Comu” racconta l’esperienza politica personale e particolare di Gianni Vattimo, la sua “lunga marcia attraverso le opposizioni” ai governi Berlusconi. Una marcia difficilissima, fatta di contrasti con gli apparati di partito, di contraddizioni insopportabili, di opposizioni alle opposizioni e di inevitabili, ripetute fuoriuscite..
Ora sembra, molto francamente, che Vattimo cerchi disperato una collocazione politica rassicurante, una fede complementare al suo personale cattolicesimo che gli permetta ancora una volta di dirsi, come sempre, “catto-comunista”. Per questo lancia un grido angosciato: ‘ma perché non possiamo dirci comunisti?’
Solo perché sono crollati sia l’URSS che l’Eurocomunismo, il socialismo cinese è diventato una dittatura nazionalista, il PCI si è disintegrato e la sua parte maggiore è confluita in un partito democristiano?
Nulla di tutto ciò può essere d’ostacolo a quella che appare più un’operazione nostalgia che un progetto politico. Il pensiero debole, qualche esempio sudamericano, molta critica all’esistente, Marx. Questi gli ingredienti dell’interessante saggio, che – sollevando dubbi e domande – merita comunque una lettura.
– 18/10/2007
Vattimo Gianni – Ecce comu. Come si ri-diventa ciò che si era
Qui culpae ignoscit uni, suadet pluribus.
Il filosofo Vattimo è cambiato. Già eurodeputato DS (1999), già cattocomunista, già europeista, già credente ne “L’Unità” (!), è oggi iscritto al PdCI (…) e saluta la morte del comunismo reale pronosticando la nascita del comunismo ideale (p. 36). Deplorevole castrista (dichiara “ammirazione” nei confronti del sanguinario dittatore comunista: p. 66), stabilisce impossibile analogia tra l’occupazione militare (e l’influenza politica) americana del nostro territorio e la condizione di resistenza del regime comunista cubano (come a dire: noi vassalli, voi eroi della strenua difesa dell’indipendenza: tutti e due costretti a rapportarci con lo stesso nemico), abbandona il pensiero debole e s’accosta all’ideologia omicida per antonomasia, accostandola – che errore disastroso – al cristianesimo.
Il lettore si prepari: “Ecce Comu” è Vattimo che sogna d’abbinare la sua umanità e il suo cristianesimo allo spirito del popolo d’un altro libro sacro: quello di Marx.
Cristiano comunista (non più “cattocomunista”, per naturale distanza dal conservatorismo cattolico vaticano; presa di distanza notevole, e necessaria), l’autore giudica necessario ri-diventare comunisti, aderendo egualmente al messaggio evangelico. Vattimo stabilisce una equivalenza impossibile e giudica le prime comunità cristiane “comuniste” (!); riconosce che l’unica alternativa possibile al dominio capitalista è questa suprema convergenza tra guerrieri della fede, “purificati da ogni integralismo” con l’assunzione (per via orale?) dei valori della democrazia liberale (sic: p. 10). Il suo socialismo è cristianità (p. 9); uguaglianza (ancora?) e solidarietà (magari…). E purtroppo precipita nella misura in cui: “Il soviet, però, è sovrano, rispetta la ‘natura’ solo nella misura in cui gli serve per costruire una società libera dal dominio” (p. 120).
Il soviet, Filosofo Vattimo, la storia e l’umanità intende seppellirlo, maledicendolo assieme alla striscia di sangue che ha macchiato un secolo intero. Inaccettabile.
Dall’Ecce Homo di Nietzsche all’Ecce Comu di Vattimo c’è uno strapiombo: proviamo a non pensarci, e concentriamoci sul “Comu”.
L’opera è strutturata in due parti. Nella prima, “Una lunga marcia attraverso le opposizioni”, Vattimo antologizza articoli e interventi datati 2002-2004 stabilendoli come necessario viatico a questa sua posizione nuova; nella seconda, quella eponima, via libera col nuovo vangelo ibrido.
Nei lavori preliminari, sognando un continente socialista, si vaneggia d’un presente impossibile: “Liberaldemocrazia, cristianesimo politicamente impegnato, movimento socialista affrancato dal peso della tradizione sovietica sono oggi più vicini che mai, e lo si vede bene soprattutto nelle istituzioni europee, nelle quali sono meno sensibili le remore create dalle eredità clientelari dei vari partiti nazionali” (p. 10); non scherziamo, e nemmeno serve glossare. Nell’articolo “Europa terza via?” l’errore è quel polemico punto interrogativo, a ben guardare: e in ogni caso, se riconosciamo un nemico nel neoimperialismo yankee, non possiamo nemmeno allinearci a quello stravagante macrogruppo che Vattimo chiama il “sottoproletariato mondiale” (ma stiamo scherzando? A chi stiamo parlando, e di chi stiamo parlando?) ristretto in “riserve sociali, geografiche, sanitarie”; ecco motivata la ragione dell’opposizione ai caotici e troppo colorati pacifismi; il lessico marxista. Che rischia, normalizzando e semplificando realtà estremamente eterogenee, di insabbiare nuovamente i termini di una questione decisamente complessa, precipitandoci nell’orrore mai abbastanza esecrato del socialismo.
Non basta essere poveri per essere fratelli, né la povertà implica uguaglianza, o la comunanza d’un nemico pretende alleanza tra popoli diversi. Non dimentichiamo che, per affossare l’Italia libera e sbagliata, imperialista e aggressiva, s’allearono capitalisti e comunisti. E non per ideale.
È necessaria, ribadiamolo a gran voce, alfabetizzazione postmarxista. Non ci illude l’eteronimo “moltitudini” coniato da Negri e Hardt (p. 23): chi parla di “masse” è chi mira a comandarle; chi confonde le individualità nella palude informe del “popolo” è un propagandista, o un padrone. L’errore di Marx lo spiegava bene quel filosofo che nessuno vuole leggere; la sua società povera e triste prevede una casta di diversi, potenti e influenti. Intellettuali padroni, tiranni nuovi. Stirner ve l’aveva insegnato nel momento, l’avete cancellato.
Noi nuovi intellettuali non saremo né americani, né marxisti: saremo europei. Per l’Europa delle patrie e dei popoli: liberi, autonomi e confederati, Vattimo: non per l’Europa dei compagni della parrocchia, ostia e falce e martello. Quell’Europa fondata sul disastro del patchwork tra religione e ideologia è destinata a spegnersi; senza martirio, se non in senso etimologico: cioè, testimonianza. Questa sua è una testimonianza intellettuale simile a quella dell’ultimo parlante dalmata, il povero e glorioso Antonio Udaina, da Veglia (che i compagni hanno ribattezzato, loro moltitudine rivoluzionaria e mendace, non so come. Aspetti. Con un codice fiscale del latino curicta: Krk).
Curiosamente, c’è qualche passo che smentisce in toto il vangelo “cristiano comunista” propagandato con convinzione. Come questo: “Costruire un mondo dove tutti possano scegliere in piena libertà il valore, il Dio, in nome del quale vivere la vita o anche sacrificarla, potrebbe essere davvero l’ideale in nome del quale sfuggire alla (vita e) morte stupida a cui rischiamo di essere condannati” (p. 26): che mi fa auspicare un prepotente ritorno di Vattimo sulle pagine del sempre caro Max Stirner.
Altrove, Vattimo pubblica osservazioni intelligenti sul fenomeno dell’evasione fiscale, salutando la sofferenza del popolo delle partite IVA: “Quando non è anch’esso ridotto a un’ansiogena rincorsa con le continue ristrutturazioni produttive imposta dal capitalismo finanziario, è appunto il popolo che paga, duramente, l’IVA, in un Paese dove i condoni edilizi e le leggi ad personam favoriscono solo i grandi evasori” (p. 34): per chiarire questo passo al felice popolo dei dipendenti, spiego in poche battute che favolosi fenomeni di magia e prestidigitazione in sede di fatturazione permettono, a liberi professionisti che guadagnano molte decine (o centinaia) di migliaia di euro, di dichiarare di aver avuto spese altrettanto alte; la (falsa) differenza determinerà le tasse, che potrebbero essere analoghe a quelle che paga qualcuno tra noi, magari estraneo a vizi, lussi e condotta dissoluta ed edonista, non proprio spendaccione e probabilmente padrone di niente, e via dicendo. Capito?
Praticamente un poveraccio che ha guadagnato tredicimila euro in un anno, spendendo poco per risparmiare e sopravvivere, viene massacrato dallo Stato più o meno come se avesse guadagnato trecentomila, dichiarando spese per 287mila. Paese di merda, Stato stupido. Questa è la verità, semplificata a vostro uso e consumo. Non cercate logica, lo Stato non è logica. È dottrina del furto a danno degli onesti.
Ancora: notevole, ma incompleto, quando carica la democrazia: “Come credere ancora alla democrazia quando essa è il valore in nome del quale Bush, Blair, Berlusconi buon ultimo bombardano l’Iraq, tengono in piedi il lager di Guantanamo, impongono un controllo universale sulle nostre vite private o no per difenderci dal ‘terrorismo’? Il sogno di vivere in regimi democratici ‘normali’ è un po’ come il sogno della mano invisibile del libero mercato, che dovrebbe realizzare l’equilibrio economico ideale” (p. 49).
Peccato aver omesso la menzogna della partitocrazia; la truffa della pretesa d’uguaglianza tra partiti, quando è il potere economico a determinare la loro visibilità e la loro credibilità; l’inutilità quindi del voto, oggi strumento destinato a garantire liceità e legittimità a chi non deve averne, perché in ogni caso non è stato scelto dagli individui del suo territorio, ma dai dirigenti e dagli industriali finanziatori. Poco dopo, soltanto leggiamo: “le elezioni sono fortemente distorte dal denaro, dal potere sui media, dalla vera e propria corruzione mafiosa” (p. 50): tutto qui? “Fortemente distorte”? E dal 1945 ad oggi cos’è cambiato, allora? Suvvia. Onestà, lucidità, coraggio: da quanto non esiste un partito autenticamente democratico, capace di riconoscere intelligenza, coraggio, disciplina e dedizione di un cittadino incapace di finanziare la propria campagna elettorale e tuttavia amato dai concittadini, e di sostenerne quindi la candidatura? Di quale Italia stiamo parlando?
Restituiamo il filosofo alla filosofia.
Non è tempo di mascherate cattocomuniste. Serve coscienza e intelligenza nuova, serve determinazione e serve europeismo autentico: serve seppellire falce e martello, serve fondare ideologia nuova. E smetterla – per sempre – col borborigmo infame del “proletariato internazionale”; la menzogna più dolorosa e omicida della storia, la più credibile e la più ingiusta. Nei confronti, una volta ancora, proprio di quei cittadini che andavano difesi.
Torniamo deboli e interpretiamo ogni cosa: libertas, non veritas.
Qui culpae ignoscit uni, suadet pluribus.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Gianteresio, alias Gianni Vattimo (Torino, 1936), filosofo e politico italiano. Insegna Filosofia Teoretica all’Università di Torino.
Gianni Vattimo, “Ecce comu. Come si ri-diventa ciò che si era”, Fazi, Roma 2007. In appendice: Fonti, Nota Bibliografica.
Progetto grafico di copertina di Maurizio Ceccato. Stella, falce e martello diventano simboli da ritagliare e ricomporre, come nel bricolage. Geniale.
– 01/09/2007
Alla ricerca delle priorità
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Cattocomunisti di tutto il mondo uniamoci