Leo Perutz
Il Giuda di Leonardo
Postfazione di Roberta Ascarelli
Traduzione di Sabrina Di Gaspere
«”Tu conosci il segreto e il peccato di Giuda? Sai perché tradì Cristo?”, chiese messer Leonardo. “Lo tradì appena comprese che lo amava”, rispose il ragazzo. “Egli capì in anticipo che avrebbe dovuto amarlo troppo e il suo orgoglio non lo permise”. “Sì, quell’orgoglio che fece sì che egli tradisse il proprio amore, questo era il peccato di Giuda”, affermò messer Leonardo».
Con il suo consueto gusto per le ricostruzioni storiche accurate, ma pervase di spirito visionario, Leo Perutz scelse di ambientare il suo ultimo romanzo fra le bettole e i mercati della Milano quattrocentesca, durante gli ultimi anni del regno di Ludovico il Moro. Per terminare la sua Ultima cena, Leonardo da Vinci ha bisogno di trovare “l’uomo peggiore di tutta Milano”: un volto sui cui lineamenti l’eterno dramma di Giuda, il dramma del tradimento e dell’incapacità di amare, si riveli ancora una volta per essere immortalato dal pennello dell’artista. Il Giuda di Leonardo è il racconto di questo incontro necessario fra la creatività e il male, fra il desiderio di giustizia e conoscenza che anima l’opera del genio e la miseria morale che sempre incombe sulle decisioni degli uomini. Come in tutti i libri di Leo Perutz, che non a caso trovarono in Borges un lettore ammirato, è un meccanismo narrativo ingegnoso e inquietante a farsi carico dell’interrogazione filosofica e morale sulle oscure radici del peccato.
«Sottilmente documentato eppur prezioso per invenzione, il romanzo si dipana attorno a una storia d’amore di raro vigore metaforico».
Ubaldo Soddu, «l’Unità»
«Il Giuda di Leonardo, racconto postumo al quale lo scrittore ebreo tedesco-praghese Leo Perutz (1882-1957) aveva lavorato più di vent’anni, è un piccolo gioiello, un capolavoro di quella letteratura minore che, di tanto in tanto, con un colpo d’ala, si guadagna un posto accanto alla grande».
Andrea Casalegno, «Il Sole 24 Ore»
Che faccia ha un traditore
Leonardo è nella Milano del duca Ludovico Maria Sforza, detto il Moro, e in Santa Maria delle Grazie deve dipingere nell’anno 1498 l’Ultima Cena. Ma i giorni passano e il grande artista, invece di portare a termine l’opera, va in giro a cercare l’ispirazione per un volto che non trova. Come dovrà essere il volto di Giuda, il traditore di Cristo? Non quello di un farabutto qualunque o di un malfattore, ma dell’uomo peggiore di tutta Milano. Non può essere neppure quello di Bernardo Boccetta, l’usuraio, un miserabile avaraccio, “perché il peccato di Giuda non era l’avarizia, non fu per avidità di denaro che baciò il Signore nel giardino di Getsemani”. Deve trovare un uomo che tradisce mentre sa di amare, che per orgoglio commette il peccato “costringendo il silenzio coscienza, senso del divino e umana comprensione”. Nelle pieghe del volto di Giuda Leonardo vuole cogliere ciò che è impossibile scorgere nella profondità dell’anima. Leo Perutz, scrittore e matematico praghese, ricostruisce allora nel romanzo una vicenda d’amore che vede protagonisti un giovane tedesco, mercante di cavalli, Joachim Behaim, arrivato a Milano per lavoro, e una splendida ragazza, Niccola, figlia di Bocetta l’usuraio. Intorno a loro gravitano una serie di grossi nomi dell’epoca: oltre a Leonardo, c’è Mancino, uno smemorato, forse il grande poeta francese François Villon, che vive un’esistenza movimentata tra gli artisti che abitano a ridosso del Duomo, pittori, intagliatori di legno, fonditori di bronzo, maestri scalpellini. C’è il poeta Bernardo Bellincioli, il pittore Marco d’Oggiono, il frate matematico Luca Pacioli, Matteo Bandello. E si fa strada la vicenda fatta di soldi prestati e non resi, di un colpo di fulmine che vede i due giovani amarsi senza conoscersi, di grandi artisti che vivono le difficoltà della vita quotidiana, fra l’assillo del denaro e le pressioni di munifici signori. L’autore pone anche il dito nella piaga della giustizia ingiusta e lenta, che succhia i soldi a chi vi si avvicina, che manda liberi i ricchi sfrontati “senza pensare poi agli appelli, ai ricorsi, alle revisioni e agli intralci formali che si contano a dozzine”. Intanto Leonardo continua nella sua ricerca: “Dovete sapere che questo dipinto in cui raffiguro il Redentore a tavola con gli Apostoli, richiede un lavoro vario e imprevedibile che mi porta via tanto tempo. A volte mi colpiscono il mento, la fronte, i capelli o la barba di un tale; allora lo inseguo per un giorno intero in tutte le strade che percorre per sondarne indole e natura e poi dipingere, prendendolo a modello, il mio Giacobbe o Simon Pietro o un altro dei dodici Apostoli”. Per non parlare delle ore spese studiando il mistero del volo di fringuelli o lucherini comprati al mercato e liberati in campagna per osservarli meglio. E il volto di Giuda gli si offre il giorno in cui Joachim usa l’amata per ricuperare un suo credito e poi lascia “svendendo un grande amore come se si trattasse di un anello senza valore”. Tutti lo riconosceranno come il traditore, colui che ha messo il suo orgoglio davanti a tutto, anche all’amore. Grazie all’intuizione di Leonardo, Niccola dirà: “Non l’ho mai amato se avessi saputo che ha il volto di Giuda”. Un libro difficile, ma capace di far risaltare il sogno di un’aspirazione pura, di una vita intima coerenza e disprezzo per il denaro contrapposta all’incapacità di amare e alla confusione che regna nei cuori.
– 06/06/1997
A cena da Leo
Una Milano quattrocentesca, durante il regno di Ludovico il Moro fa da sfondo all’inquietante vicenda di questo romanzo storico: per terminare la sua “Ultima Cena” Leonardo da Vinci ha bisogno di trovare l’uomo peggiore di tutta Milano: un volto che rappresenti la drammatica figura di Giuda. L’incontro fra il genio e il male è il filo conduttore di questa meticolosa ricostruzione storica che pur non cedendo alle lusinghe dell’immaginazione è scorrevole e avvolgente come un romanzo. Leo Perutz, matematico e scrittore ebraico che suscitò l’ammirazione di Borges, riesce a innestare nel racconto storico inquietudini e sensazioni in cui l’uomo moderno riesce facilmente a rimanere coinvolto.
– 11/04/1997
Un romanzo di Leo Perutz
Viaggi letterari nel mondo di Leonardo
Neppure dopo un’attenta analisi delle sue opere, Leo perutz “tradisce” i suoi numerosi lettori, sparsi nel cosmo, che si scontrano col peccato, le ingiurie, le maldicenze del protagonista del suo romanzo, Behaim, in “Il Giuda di Leonardo” Fazi Editore; l’ultimo racconto storico concluso dall’autore, nel luglio 1957 prima della sua morte giunta nell’agosto dello stesso anno. Grazie alle qualità dialettiche del suo “discepolo” Alexander Lernet-Holenia, il manoscritto è stato ricontrollato e predisposto alla pubblicazione. Una generazione lunga e difficile iniziata con un lontano progetto del 1933, dove il protagonista è un giovane mercante tedesco nella Milano del XV secolo, quella della fabbrica del Duomo officina di fonditori, capimastri, architetti e scalpellini. In questo ambiente Leonardo da Vinci, per terminare la sua “Ultima cena”, ha bisogno di scovare “l’uomo peggiore di tutta Milano, un volto che esprima il dramma del tradimento contro Gesù. Ma chi è dove sta l’originalità di Leo Perutz? É un autore contemporaneo, matematico, filosofo, numerologo, amante dell’arte e giocatore di bridge; uno “zingaro” solitario ideatore de “Il maestro del giudizio universale”, “Turlupin”, “Tempo di spettri”, per citarne alcuni; scrittore che riporta i temi caratteristici del dopoguerra, dove i protagonisti dilaniati nella mente e nel corpo ricercano disperatamente la patria e il loro posto nel mondo. Con maestria e sapienza traccia e percorre paesaggi ed ambienti conosciuti, famosi, ripresi e descritti con verosomiglianza nella storia, ma minacciati dalle casualità degli eventi, a volte reali, ma anche surreali. Fascinoso romanziere mitteleuropeo vissuto, tra gli splendori asburgici dell’Ottocento e la caduta dell’impero dopo il primo conflitto mondiale, vagando come una “decadente” pedina tra Praga e Vienna. Genio della penna capace di imbattersi nel fantastico e nel demoniaco in vicende miste di amore, guerra, morte e tradimento. Dopo un’attenta analisi ritornano a galla i concetti tracciati dalla poetica aristotelica, tanto che Perutz sembra narrare nei tre modi descritti: nel mezzo, nell’oggetto, nel come, rispettivamente con l’utilizzo di un personaggio (leonardo), col far diventare protagonisti gli stessi personaggi, col trattare ogni personaggio come narratore. La sua arte poetica nasce dunque da una particolare imitazione tipica dell’uomo, intesa come quel fenomeno conosciuto, conduttore di piacere e godimento. Perutz predilige epoche violente, trasformazioni nette, dove la storia ha un ruolo dominante poiché diviene luogo di nascita di uomini e di vicende a loro collegate. Perutz, dunque, ha il merito di essere non solo lo storico portavoce di eventi realmente accaduti ma è anche un abile poeta, propone eventi che possono accadere utilizzando nomi conosciuti per divenire più credibile. E c’è e si sente la costante presenza di Brecht inseguitore instancabile e rispettoso delle tre unità, di luogo, tempo e azione, affinché i personaggi che agiscono siano raffigurati come agenti coerenti e invischiati in un procedimento che li riguarda, che prende vita e si arresta con loro. L’immedesimazione è il gioco-forza di Brecht-Perutz, un gesto irrazionale, dal momento che il protagonista è l’uomo in tutti i suoi aspetti. É vero, la scena classica in questo senso si spacca, si dilata per far si che i gesti che stanno dietro a ciò che capita agli uomini vengano visualizzati. Allora è per questo motivo che è necessario conoscere l’ambiente in cui il soggetto vive. Nel “Giuda di Leonardo” il lettore si cala in quella corte sforzesca lombarda, patria dei tagliatori di pietre e dei decoratori. Una Milano luogo d’incontro di umanisti e scienziati. Leonardo è il direttore di feste, riunioni di corte, ingegnere militare preoccupato, insieme al garante, Ludovico il Moro, di convitare i letterati e di innalzare il monumento a Francesco Sforza. Ma Leonardo è un artista “sui generis”, un disegnatore attentissimo che usufruisce della matita come mezzo per prendere appunti rapidi, per far si che divengano lo strumento per i suoi studi lenti e prolungati, per fissare un’intuizione a lungo ricercata. Perutz e Leonardo sono simili, quasi simbolici, cercano entrambi il particolare; da maghi curiosi fanno apparire nella scena François Villon, poeta personale, anima povera che conosce il bene ma che è trascinato verso il male, eccellente ideatore dai versi ritmati, maestro di ottave e ballate. Perutz è attratto da queste anime “perse”, da questi generi apolidi, che conoscono la precarietà dell’esistenza ma nonostante i flebili legami acquistano vigore dalle loro opere e dal loro senso morale, calati in un Quattrocento scintillante di poeti, maestri, pittori ma contenitore di tristi eventi.
– 03/02/2000
Il caso Perutz
Scrittore di testi buoni da leggere in treno o poeta fantastico capace di romanzi perfetti? Leo Perutz (1882-1957), ebreo praghese esiliato a Vienna e poi in Palestrina, arrivato in Italia nel 1931 con “I libri gialli”, ritradotto nel 1947, comincia a circolare in libreria solo negli anni Ottanta, pubblicato da Serra e Riva, revertido, e/o Fazi e Adelphi che ora propone “Turlupin” (pp. 152), apparso sulla “Vossische Zeitung” nel 1923. con una logica geometrica – non per nulla era un matematico – e un innato talento per il romanzo, partendo da un avvenimento reale, Perutz inventa un dettaglio impazzito che dalla periferia della storia capovolge il corso degli eventi. Siamo nel 1642 e la Francia è già pronta alla rivoluzione che scoppierà 150 anni più tardi. Ma per contrastare il Titano Richelieu “il destino si servì di un matto”, di un parruccaio umile e sognatore: Turlupin, appunto.Quasi una sceneggiatura (pure Hitchcock confessò a Truffaut di essersi ispirato a Perutz) che, a chi sa leggere oltre le scenette teatrali da commedia degli equivoci e la visionaria bellezza della cronaca immaginaria, rivela tutta la crisi mitteleuropea dei suoi personaggi: la ricerca di un’identità negata, il restare sospesi in un passaggio di transizione che non si riesce a compiere, la sofferenza ma anche la follia di chi cerca di sfuggire al proprio, precario ruolo. Peccato sia poco studiato, unica eccezione il saggio di Beatrice talamo “Un ebreo praghese” (Polistampa, pp. 120).
Leonardo da Vinci e le eclissi del Novecento
Nella corte di Ludovico il Moro, attorno al 1498, si snoda l’intreccio di “Il Giuda di Leonardo”, l’ultimo romanzo di Leo Perutz, scomparso nel 1957. Una Milano che fiuta la fine di un’epoca, già indovinando la discesa in Italia di Luigi XII, la sconfitta di Ludovico, tradito dai suoi scherani, il dominio dei francesi. Ma, come a Pompei, é ancora il vecchio ordine a governare, il presente sembra eterno, il futuro irreale mentre la paura alimenta cupidigia e sospetto. Più che rivolgersi ai maghi, la gente cerca di far soldi, altrimenti si diverte all’osteria, al bordello. E ci sono gli artisti, anzi ce ne sono di straordinari, chi presso il Duca, come Leonardo da Vinci, intento a completare il Cenacolo nel monastero domenicano di Santa Maria delle Grazie, chi nelle bettole, come un certo Mancino, poeta francese, ribelle dal misterioso passato. Pullulano i vicoli di esuli, fuggiaschi, viaggiatori guardinghi che girano qua e là con occhi allucinati, il pugnale nella cintura. Tra essi, Leonardo cerca chi possa svelargli il volto di Giuda. Gli altri apostoli sono già disegnati, manca il traditore.Sottilmente documentato eppur prezioso per invenzione, il romanzo si dipana attorno a una storia d’amore di raro vigore metaforico. il commerciante tedesco Behaim ha appena venduto due cavalli al capo della scuderia ducale ma tratta merce di ogni tipo che acquista personalmente a Costantinopoli, dove sovente si reca. ora, vorrebbe recuperare diciassette ducati da un usuraio, che resiste in casa propria, con lo stesso vigore col quale Ludovico Sforza s’arrocca a Milano. E Behaim s’innamora di una donna bellissima che bazzica ambiguamente il poeta francese, ma che gli dà pure il primo appuntamento nella chiesa di Sant’Eustorgio. E’ strana, s’innamora di colpo, parla di sua madre non del padre, sfugge, si concede…poi Behaim scopre che é la figlia dell’usuraio e s’indigna. L’amore non conta più, all’amore si può anche rinunciare, soltanto quel credito conta di diciassette ducati, al quale il merciaio tedesco sacrifica la bella Niccola, un matrimonio, una prospettiva di pace. E Leonardo lo incontra, lo sente parlar di vendetta, gli spiega gentilmente più d’una cosa, lo guarda di dritto, di sbieco; poi lo ritrae sul proprio quaderno…Giuda é finalmente trovato!Concepito nel ‘33, più volte abbandonato e ripreso, questo libro (curato da Roberta Ascarelli, tradotto da Sabrina di Gaspere per Fazi Editore) precisa il valore di Perutz. La raffinatezza dell’intreccio addensa i livelli della colpa nel riferimento ai peccati individuali di un prototipo, il commerciante tedesco avido, egoista, sopraffatore: é lui che, rifiutando solidarietà e amore, vantando la superiorità sugli altri, ordisce e sostiene il nazismo. In un finale che ricorda, per semplicità e fiducia nella Storia, la logica di grandi tele del rinascimento, lo scrittore praghese ( poi vissuto a Vienna, Israele etc.) pennella le contraddizioni della natura umana affidando all’artista di rappresentare il tradimento, i turbamenti, i chiaroscuri di responsabilità diverse. Non abbandonando la speranza. Sono percezioni che vanno oltre la ragione, sino alla catarsi. Del resto, scrive Pascal che “a mano a mano che abbiamo maggiori lumi, scopriamo nell’uomo maggior grandezza e maggior bassezza”.Tra Leonardo e il poeta francese, in cui pare cifrato un possibile percorso di Francois Villon (dopo la scomparsa), si allarga l’ipotesi di un Doppio tra Arte consacrata e Arte sfortunata, rimasta apolide, non riconosciuta, marginale. Quasi Perutz se la sentisse…tra le ingiustizie della Storia e le tante eclissi del Novecento.
Giuda a Milano
Qual è il più grave dei peccati? Secondo una radicata tradizione é l’orgoglio, il peccato di Lucifero, che lo indusse a ribellarsi al Signore, rifiutandogli amore e gratitudine. Lo stesso orgoglio che, secondo il Leonardo da Vinci di Leo Perutz, é alla radice del tradimento di Giuda.Siamo a Milano, nel marzo del 1498. Leonardo, affettusamente difeso da Ludovico il Moro, é perseguitato dal priore del convento di Santa Maria delle Grazie perché non porta a termine l’affresco dell’Ultima Cena. Ma Leonardo non può terminarlo, perché gli manca l’ispirazione per il volto di Giuda. Egli dice di aver bisogno di un modello reale, e dove trovare un uomo che incarni il più terribile dei delitti, il tradimento dell’amore? Leonardo sa perché Giuda tradì Gesù Cristo, e ne parla con Girolamo, un giovane servitore del Moro. “Lo tradì – intuisce il ragazzo – perché capì in anticipo che avrebbe dovuto amarlo troppo, e questo il suo orgoglio non lo permise”. Sì, conferma Leonardo: “L’orgoglio fece sì che egli tradisse il proprio amore. Questo era il peccato di Giuda”. Ma dove trovare, in Milano, un uomo che si sia macchiato di una simile colpa?“Il Giuda di Leonardo”, racconto postumo al quale lo scrittore ebreo tedesco – praghese Leo Perutz (1882 – 1957) aveva lavorato più di vent’anni, é un piccolo gioiello, un capolavoro di quella letteratura minore che, di tanto in tanto, con un colpo d’ala, si guadagna un posto accanto alla grande. La cura e l’efficacia dell’ambientazione, in cui Perutz era maestro, l’amorosa attenzione ai particolari, dai cibi alle vesti alla caratterizzazione dei personaggi, in gran parte storici, la potenza delle figure di fantasia (indimenticabile il Boccetta, sinistro usuraio di nobili natali) e la nettezza di quelle minori, l’audacia delle suggestioni culturali (fino a un misterioso poeta dei bassifondi che forse é un Francois Villon di cui si erano perse le tracce) ne fanno una lettura da assaporare con delizia. Ma, come sottolinea la densa postfazione di Roberta Ascarelli, il significato della vicenda va oltre l’inquietante contaminazione, consueta a Perutz, tra rievocazione storica e atmosfere cupamente irreali. Il tradimento di Giuda, alla fine scoperto, diviene il simbolo di un altro tradimento: quello di cui fu vittima il popolo dell’ebreo Perutz.
– 07/02/1997
Leo Perutz – “Il Giuda di Leonardo”
“Tu conosci il segreto e il peccato di Giuda? Sai perché tradì Cristo?, chiese messer Leonardo”. L’ultimo romanzo che Perutz scrisse, tra la ricostruzione storica e il visionario, vede Leonardo aggirarsi tra le bettole e i mercati della Milano quattrocentesca alla ricerca dell’uomo peggiore di tutta Milano, un volto insomma nel quale si riveli l’eterno dramma di Giuda. Vuole immortalarlo con il pennello, inserendolo fra gli apostoli dell’ Ultima Cena. E il romanzo é l’incontro fra la creatività e il male, incontro, scrive Perutz, necessario.
Il Giuda di Leonardo
Chi é indeciso se riservare al tempo libero delle vacanze la lettura impegnata di un autore di pregevole stoffa letteraria o ripiegare pigramente su un più rilassante scrittore di best-seller può sciogliere il dilemma scegliendo Leo Perutz. A quarant’anni dalla morte ( il 25 agosto 1957), la dopia anima di questo prolifico narratore si dimostra ancora ingrado di catturare ogni tipo di publico: non sarà un caso che fra i suoi estimatori ci siano tre lettori d’eccezione, ma diversissimi tra loro, come Theodor W. Adorno, Jan Fleming, e Jorge Luis Borges.Nato a Praga nel 1882 e vissuto a Vienna, amico intimo di Arthur Schnitzler, Perutz é il tipico rappresentante di quella letteratura mitteleuropea della finis Austriae che ha fra i suoi massimi rappresentanti Robert Musil e Joseph Roth, rispetto ai quali però, pur frequentando lo stesso contesto culturale, fu una specie di Ken Follet o di John Grisham. La miscela originale ed equilibrata di romanzo storico e thriller fantastico gli permise di confezionare a getto continuo libri di successo che arrivavano fino alla decima edizione, dalla “Terza pallottola” al “Cavaliere svedese”. Per il critico Friedrich Torberg i suoi libri sembrano nati dall’incontro di Agatha Christie con Franz Kafka.“Il Giuda di Leonardo”, tradotto per la prima volta, é il suo ultimo lavoro: terminato pochi mesi prima della morte, fu edito postumo per le cure dell’amico-allievo Alexander Lernet Holenia, altro narratore di razza. Nel romanzo, che per lo spunto può ricordare le deliziose “Storie veneziane” di Neri Pozza, si ritrovano tutte le caratteristiche della geniale arte dell’intrattenimento che é la cifra stilistica dell’autore: un ritmo incalzante da giallo, l’affresco storico mai pedante, suggerito con pochi tocchi suggestivi, la mesolanza di personaggi storici e vicene inventate, un’accurata documentazione che fa da sfondo a storie di sfrenata fantasia.Nella Milano del 1498 si intrecciano i percorsi di Leonardo da Vinci, che gira per le vie alla ricerca del volto più adatto cui ispirarsi per il Giuda dell’Ultima Cena, e di Joachim Behaim, un mercante tedesco che invece vuole ritrovare una bellissima fanciulla che ha visto di sfuggita passare per strada. Mentre il duca Ludovico il Moro lo sprona a finire il Cenacolo, il pittore Vinci non sa decidersi perché nessun uomo gli sembra un modello adatto a rappresentare la turpitudine del tradimento di Giuda. Il mercante Behaim intanto rintraccia l’agognato oggetto del desiderio, che gli riserverà però brutte sorprese. Dopo vari incroci nel corso del racconto, l’incontro finale di Leonardo e Behaim unisce le due storie parallele ma chiude in modo beffardo il romanzo, lasciando il lettore gradevolmente di stucco.Beniamino dei lettori degli anni Venti, Perutz sembra affatto apposta anche per le atmosfere della postmodernità: ambienta la storia in un’epoca di incertezza politica e disordine mentale, la dissemina di citazioni, la popola di personaggi storici (oltre al duca e a Leonardo, Matteo Bandello, Francois Villon, Luca Pacioli, Marco d’Oggiono, Antonio Landriano, Bernardino da Corte, Lucrezia Crivelli, Bernardo Bellincioni, Atalante Migliorotti, Giacomo Caprotti), combina la struttura del romanzo storico ottocentesco (c’è anche l’idillio infranto) con il tema tutto novecentesco della colpa, offrendo al contempo molteplici livelli di lettura.Interrogandosi sul senso del tradimento di Giuda (dopo “Giuda Iscariota” di Thomas De Quincey e prima de “La Gloria” di Giuseppe Berto e del recente libro del lusitano José Saramago) e insieme giocando sul mito del grande Leonardo da Vinci, Perutz appassiona il lettore con gli ingredienti immortali di ogni fiction davvero avvincente: l’arte, il denaro, l’amore e la giustizia.