William Hazlitt
Il piacere dell’odio
A cura di Marina Valensise
Traduzione di Catherine McGilvray
Il piacere dell’odio è un altro libro di saggi estremi e paradossali del grande pensatore inglese del primo Ottocento, tratti dalla raccolta The Plain Speaker, pubblicata nel 1826. È un libro sferzante e scontroso sui desideri, più o meno confessati, dell’animo umano.
“Se il volto assume un sorriso abituale nella luce della buona sorte, o se all’improvviso si avvilisce nelle tempeste delle avversità, non fidatevi delle apparenze: in realtà l’uomo è lo stesso. Avvicinatevi con cautela”.
– 05/01/1997
L’essenza del carattere
Hazlitt, giornalista e saggista dei primi decenni dell’Ottocento si inserisce nella tradizione letteraria inglese all’interno dell’ orizzonte romantico. Attento ai particolari , agli eventi della vita comune alla ricerca di una morale, Hazlitt esamina nei saggi compresi in questa raccolta le cause della corruzione dell’uomo le impressioni e i sentimenti che ne determinano il comportamento dell’autore quasi sempre polemico. La narrazione com’è consuetudine del genere si arricchisce di citazioni esplicite manovrate a piacimento secondo l’utilità immediata del discorso che sembra esigere puntellamenti su cui il pensiero possa sorreggersi e trovare conferma. Emerge così l’amarezza dello scrittore, la sua delusione di fronte all’ipocrisia della società del tempo e soprattutto dell’ambiente culturale cui appartenne dominato dall’invidia e da una vanità accecante che semina ovunque diffidenze e inganni. Eppure se i sentimenti e i segni di vicende personali e drammatiche emergono in maniera evidente tra le righe al centro dei saggi è sempre l’essere umano ritratto nei suoi difetti più inquietanti nelle colpe, nei limiti che lo sviliscono. Dal particolare all’universale attraverso esempi tratti dalla sua esperienza quotidiana l’autore studia l’essenza del carattere, le norme, i principi che lo governano per scoprirne l’immutabilità di fondo, la componente biologica e genetica che come un particolare del volto riemerge nel corso di generazioni a prescindere dall’influenza delle circostanze esterne. Hazlitt spinge la sua osservazione nei recessi più oscuri dell’animo nelle zone buie e inconsce della mente per capirne i segreti universali con cui vuole intrattenere il lettore perché si comprende, in questo consiste l’arte di scrivere. E nel mezzo di considerazioni prive di speranza sulla cattiveria insita nell’uomo emergono inaspettatamente più evidenti per il contrasto, i valori di solidarietà, amicizia, libertà, espressi nello stesso tono energico e incalzante che qui si stempera, si addolcisce, colorando la creatura umana con qualche fugace lampo di luce e di poesia.
Sulle tracce (grazie all’editore Fazi) di uno scomodo romantico inglese
la cattiva istruzione e le idee degli altri
Potenza del titoli, “Il piacere dell’odio” mi aveva incuriosito proprio per il titolo, così anomalo in questi nostri tempi di buonismo imperante. L’incipit del primo saggio della raccolta (“Ragione e immaginazione”) prometteva bene: “Odio la gente che ha nella testa soltanto concetti generici, formule, dottrine e vuote affermazioni, ancor di più quanto detesti chi non riesce assolutamente a comprendere un concetto astratto”. Proseguendo nella lettura, altre affermazioni provocano una sorta di pugno nello stomaco per la sincerità disarmante, per la veemenza dell’argomentare. Eccone alcuni esempi: “Senza qualcosa da odiare, perdermmo la stessa fonte del pensiero e dell’azione”; “L’odio soltanto é immortale”; “Il piacere dell’odio, come un minerale velenoso, corrode il cuore della religione e la trasforma in rabbia bruciante e fanatismo”; “La celebrità degli scrittori di maggior successo contribuisce ad allontanarci da loro, per il gran chiasso che se ne fa, per il fatto di udirne i nomi ripetuti all’infinito”. I titoli dei vari saggi suonano come un invito a non lasciarsi mai ingannare dalle apparenze: oltre ai già citati “Ragione e immaginazione” e “Il piacere dell’odio”, si allinenano “L’obbligo della riconoscenza”, “Caldo e freddo”, “Il carattere”, “I requisiti necessari per riuscire nella vita”, “Profondità e superficialità”.William Hazlitt: questo romantico inglese ( 1773 – 1830), poco conosciuto in Italia, mai tradotto, brillante e originale nel suo stile impressionistico, il quale si basa sulla morale la sua forza immaginativa e fa uso del sentimento nella logica, dice cose estremamente iinteressanti e quanto mai attuali. Sono andata a cercarmi anche la raccolta precedente, “Sull’ignoranza delle persone colte e altri saggi”, e ancora una volta, in apertura, pensieri disarmanti: “Le persone che hanno meno idee di tutti sono gli scrittori e i lettori”; “il divoratore di libri si avvolge nella sua rete di astrazioni verbali, e vede solo la pallida ombra delle cose riflesse dalla mente altrui”; “( Il lettore colto) é uno che chiede la saggezza in prestito agli altri. non ha idee proprie e deve quindi vivere quelle altrui”; “La persona istruita é fiera della sua conoscenza di nomi e date, non di quella di uomini e cose”. In sostanza lo svantaggio principale della superiorità intelletuale sarebbe di non essere compresi; prova ne sarebbe che i pensatori più originali e profondi non sono sempre gli scrittori che hanno più successo ( leggi in questa chiave il caso Tamaro).“Mi domando se non vi sia molta ciarlataneria nell’istruzione superiore”; no, queste parole non appartengono a William Hazlitt, bensì l’incipit del “Parnaso Ambulante” di Christopher Morley (Sellerio, 1992). Ma poiché Hazlitt, in questo racconto brioso come uno spumante, tiene compagnia ai grandi scrittori, ai libri di Addison, Lamb, Emerson, Lowell, che il buffo Signo Mifflin, il protagonista, porta a spasso per la Nuova Inghilterra a bordo del suo bibliobus ambulante, mi é venuto il dubbio che Morley (1890 – 1957) scrivendo i suoi due “divertimenti” ( “Il Parnaso ambulante”, “La libreria stregata”) sull’arte di portare libri, ovvero la felicità, alle masse che la (li) ignorano, si possa essere fatto suggestionare proprio da Hazlitt. “La gente ha bisogno di libri, ma non lo sa”, dice Morley, ma Hazlitt aveva a suo tempo precisato: la gente ha bisogno di libri che parlino chiaro, di qualcosa che entri loro nel sangue…Hazlitt se la prende con tutti: gli studenti modello, le donne saccenti, i ciarlatani che fanno sfoggio di erudizione, in genere con tutti quelli che hanno studiato sui libri ma che non conoscono la vita. Nel pezzo “Caldo e freddo”, arriva persino a prendersela con gli italiani, sporchi e malandrini, che ingannano, truffano, derubano con piena impunità, e con le donne italiane, campionesse di volgarità.Energico, affilato, impulsivo senza timore di contraddirsi ( ma spesso lo fa), Hazlitt spara a zero contro le istituzioni corrotte, contro le ipocrisie sociali del suo tempo, l’egoismo in quanto vizio di epoche e nazioni incolte e fu quindi temuto e odiato dai contemporanei per questa sua testa pensante, antierudita, un po’ empirica, ma così intemperante da condannarlo alla solitudine. Sfortunato in amore, pittore fallito, filosofo ignorato, i suoi compagni prediletti erano i libri. Figlio di un pastore protestante, uomo facile alla polemica, aveva ricevuto l’educazione di un dissenter. Integralismo spirituale e relativismo erano i suoi dogmi;Scontroso, nutrito di buone letture ( Shakespeare é il prediletto e il più citato), redattore del “Morning Chronicle”, scelse l’essay alla maniera di Montaigne quale forma congeniale ai suoi scritti polemici, infiammati. Avverso al piacere (“Il piacere raggiunge il suo culmine in qualche momento di calma solitidine o di inebriante armonia; dopodiché inevitabilmente declina, lasciando dietro a sé, nel confronto e nella consapevole caduta, solo un segno di sazietà e fastidio”), fa della passione il tratto dominante della sua scrittura, il perno attorno al quale ruotano e si fondono: “La passione é l’essenza, l’ingrediente principale della verità morale; e il calore della passione accenderà sicuramente la luce dell’immaginazione sugli oggetti che la circondano” ( “Ragione e immaginazione).virginia Woolf non lo amava (“Hazlitt non prova alcuna reticenza, nessuna vergogna. Ci dice esattamente quello che pensa, e – confidenza meno allettante – quello che sente…intensamente egoistico..”). Il suo amico Coleridge ce ne ha lasciato un ritratto illuminante: “I suoi modi 99 volte su 100 sono particolarmente scostanti: aggrotta la fronte, sta lì a contemplarsi la punta delle scarpe, è strano…Geloso, cupo; orgoglioso, permaloso…scocca pensieri “ben appuntiti e ben bilanciati dritti al bersaglio vibrando sonoramente la corda dell’arco”. Ma più diverte l’autoritratto dello stesso Hazlitt: “Non sono un uomo di buon carattere…Sono infastidito da molte cose…Odio una menzogna; un’ingiustizia mi ferisce nel vivo…mi sono procurato molti nemici e pochi amici…Coleridge era solito lagnarsi della mia irascibilità da questo punto di vista, e non senza ragione. Magari avesse posseduto parte della mia tenacia e scrupolosità di carattere!” (“Profondità e superficialità”.
Palombaro dell’anima
Non vorrei che nascessero equivoci: il titolo che l’editore Fazi ha dato all’antologia di saggi di Wiliam Hazlitt, “Il piacere dell’odio”, non vorrei facesse pensare a scritti d’incitamento all’odio, a quella spazzatura di offensivi sentimenti che cola irresistibile nel nostro costume quotidiano, sollecitata forse dalla massificazione dei comportamenti per cui l’unica libertà possibile sembra essere quella di scatenarsi gli uno contro gli tutti.Luminoso saggista romantico inglese, non riluttante a disconoscere l’eredità dell’Illuminismo, Hazlitt ebbe in gran conto uno stile aspro, risentito, tagliente. La natura umana non provocava illusioni in lui. Ragionò sul cuore profondo dell’uomo, su quel che é più intimamente nascosto nell’animo, sulle contraddizioni che vi si annidano: così, oggi, viene considerato un precursore, tra i più acuti, di coloro che percepirono l’importanza dell’inconscio fra i moventi dell’agire.Eppure, l’odio é in qualche modo necessario all’esistenza, poiché il bene finisce per risultare spesso insipido: “Senza qualcosa da odiare, perderemmo la stessa fonte del pensiero e dell’azione”. Questo non deve permettere, però, di privilegiare l’odio, di mutarlo in un programma totalizzante. Se c’é “bile superflua sullo stomaco”, non é detto che il superfluo sia tutto e il resto un inesistente.L’amarezza é la musa di Hazlitt: ma, a leggere la sua pagina con attenzione, con l’attenzione che si deve ai classici, ci si accorge che c’é in lui una sottile, ma robusta, continua nostalgia per la temperanza, per un equilibrio che non é sconosciuto all’uomo pure se egli fa presto ad accantonarlo e a ignorarlo.
Gli abitanti dello stivale visti da William Hazlitt
Ma è tutta colpa del caldo e dei preti
Disonesti e fraudolenti, si tolgono i pidocchi per la strada, adorano le case luride e i mobili polverosi. Non hanno alcun interesse per le cose, salvo quelle personali e quelle che toccano i sensi. Ma a quale fato debbono gli italiani questa mole impressionante di vizi? Al sangue caldo, naturalmente, che li inchioda all’indolenza. E poi agli umori profondi, alla latitudine e alla religione che professano. Questo iperbolico distillato di nefandezze è raccolto da William Hazlitt, il saggista inglese amico di Coleridge e Keats. Alcuni suoi saggi composti negli anni Venti del secolo scorso sono ora pubblicati da Fazi ( “Il piacere dell’odio”, pagg. 163, lire 22,000, con introduzione di Marina Valensise). E uno di essi, “Caldo e freddo” prende di petto il carattere degli italiani.Alcuni decenni prima, nel 1786, Ann Radcliff aveva descritto in un romanzo intitolato “The Italian” , le gesta del signor Schedoni, l’italiano tipo, una vocazione sistematica all’intrigo. Schedoni possiede “braccia e gambe di lunghezza smisurata”, é vestito sempre di nero, ha un cappello larghissimo che fa ombra su “occhi semiaperti, sintomo di tradimento”, che saettano sguardi obliqui.L’italiano di Hazlitt, invece, odia l’acqua fredda, detesta il pettine e la sua sporcizia “sembra essere quasi cotta all’interno del suo stesso essere così radicata da farne parte”. Ha poca attitudine alle idee e al senso di proprietà e “il suo buon umore rimpiazza il cibo, gli abiti e i libri”. Ama la comodità, ma mentre i popoli del Nord la intendono come l’accumulo di benessere, egli la persegue perché dà libertà di godere, è “dolce far niente”. Non possiede niente, non ha bisogno di nulla: al punto da indurre gli stranieri a domandarsi come possa addirittura vivere.
Inglesi d’annata
William Hazlitt, il disincanto maligno di uno scrittore napoleonico
La natura ci sembra costituita di contrasti: senza qualcosa da odiare, perderemmo la stessa fonte del pensiero e dell’azione. La vita si trasmuterebbe in una pozza d’acqua stagnante, se non la increspassero gli interessi discordanti, le passioni ribelli degli uomini. La traccia bianca dei nostri destini é resa più luminosa ( o almeno visibile) dall’oscurare il più possibile tutto ciò che la circonda, così come l’arcobaleno colora la propria forma su di una nube. Che sia orgoglio? Invidia? Ma il fatto é che nella mente umana esiste una segreta affinità, un ardente desiderio del male, che assapora un godimento perverso ma felice nella cattiveria, poiché questa rappresenta una fonte inestinguibile di soddisfazione”.Sono alcune delle osservazioni che William Hazlitt, pittore, giornalista e saggista inglese romantico fissa sulle pagine del saggio che dà nome alla raccolta “Il piacere dell’odio” ( Fazi Editore, pp.170, £ 22,000). Contemporaneo di Lamb e De Quincey, amico e critico severo di Coleridge e Wordsworth, accanito sostenitore di Napoleone, ricalca i suoi scritti sul modello degli essai di Montaigne, capostipite dei saggisti moderni e colui che per primo “osò dire come autore quello che sentiva come uomo”.E’ quello che Hazlitt farà per tutta la vita e in tutte le sue opere: esternerà con energia violenta e passionale ciò che pensa e soprattutto ciò che sente, tralasciando annotazioni aridamente didascaliche e riflessioni vanamente astratte.Per questo suo atteggiamento di autentico attacamento ai fatti e alla natura umana, i suoi saggi parlano di tutto e del contrario di tutto senza mai cadere nella contraddizione banale. Nella sua acuta analisi saranno in primo luogo le debolezze dell’uomo e le pecche della società del suo tempo. Sebbene avversario feroce delle teorie di Hobbes e animato da un vago senso di altruismo da concedere all’umanità un’occasione per uscire dalla pura condizione animale, giungerà sempre all’amara conclusione che l’uomo é quello che è e nulla e nessuno potrà mai cambiarlo.Uomo di grande cultura e sensibilità dà indicazioni per agire nel mondo. Come si può avere successo? Nel saggio “I requisiti per riuscire nella vita” dice che “la via per assicurarsi il successo consiste nel preoccuparsi di ottenerlo piuttosto che di meritarlo”.In un altro saggio, “L’obbligo della riconoscenza”, dipinge ancora una volta un ritratto impietoso del genere umano: “é straordinario quanto amore per la cattiveria e quanta rabbia bruciante giacciano in fondo al cuore umano; e come un costante approvvigionamento di fiele sembri tanto necessario alla salute e all’attività della mente, quanto a quelle del corpo”, e in “Caldo e freddo” spiega perché i Protestanti sono più puliti dei Cattolici e perché si dice che le donne italiane siano le più volgari.La sincerità estrema di Hazlitt prende la forma di un giornalismo letterario che non conosce esitazioni. Una prosa serrata che basa su di uno stile semplice e diretto le osservazioni di chi, alle soglie dell’era moderna, ha già un’idea chiara di come dovrebbero andare le cose e di come invece vanno. Una lingua dura e inclemente che con sarcasmo ed ironia disegna i contorni infetti dell’uomo e del mondo a venire.