David Knowles

Il terzo occhio

COD: 735b90b45681 Categoria: Tag:

Collana:
Numero collana:
38
Pagine:
240
Codice ISBN:
9788881121601
Prezzo cartaceo:
€ 13,00
Data pubblicazione:
02-02-2001

Traduzione di Alessandra Osti

Jefferson, lo strano protagonista e voce narrante di questo romanzo, ha l’abitudine di affittare ogni estate l’appartamento nel centro di Manhattan di cui è proprietario a una giovane ragazza, scelta dopo un’accurata selezione. Il suo scopo è quello di nascondersi nella casa di fronte e spiare da dietro le finestre, apparentemente murate, le azioni quotidiane delle sue inquiline, fotografandole in continuazione, giorno e notte, per poi dare le immagini al suo amico pittore Henry perché ne realizzi degli splendidi disegni. Questa volta l’inquilina è una giovane indiana, Maya Vanasi, bella e misteriosa, che ha un segno in mezzo alla fronte, il tipico bindi, o terzo occhio, appunto. Maya, subito dopo aver preso l’appartamento, svanisce nel nulla, impedendo a Jefferson di poterla fotografare. La scomparsa di Maya trascina il giovane in un’autentica ossessione, che prende forma nel tentativo di seguire gli ambigui indizi che la donna ha lasciato dietro di sé, ritrovarla e scoprire cosa mai si nasconda dietro il suo sfuggente fascino orientale. Così facendo Jefferson abbandona poco a poco ogni barlume di lucidità e si perde tra indicazioni bibliografiche, strane coincidenze e riflessioni filosofiche, in un crescendo di monologhi e dialoghi esilaranti, narrati in forma di racconto a posteriori, in cui si convince che Maya abbia capito tutto sin dall’inizio e si stia semplicemente divertendo alle sue spalle per farlo impazzire. Il romanzo procede con un ritmo serrato e divertente e non manca di sorprendere nei colpi di scena che in un crescendo finale travolgono Jefferson e quel che resta del suo equilibrio interiore.

IL TERZO OCCHIO – RECENSIONI

W&W WEB E WEEKEND SUPPL. MILANO FINANZA
– 19/05/2001

 

Il terzo occhio

 

“Era piuttosto alta, uno e settantacinque immagino. Forse un paio di centimetri in meno di me. Capelli nerissimi che le cadevano lisci lungo la schiena senza il minimo cenno di un ricciolo. Una pelle scura e liscia per la quale sarebbe potuta appartenere a più di un gruppo etnico. Una corporatura agile, senza però nulla di maschile nella sua figura sinuosa. (…) Un ornamento comunque, attrasse la mia attenzione più degli altri: un segno rosso circolare, forse di mezzo centimetro di diametro, dipinto proprio in mezzo alle sopracciglia”. Così appare, agli occhi di Jefferson, la sua nuova inquilina, Maya Vanasi. Brillante conoscitore d’arte contemporanea, ogni estate Jefferson affitta il suo appartamento di Manhattan a giovani donne attraenti per poi spiarle e fotografarle dal palazzo di fronte. Poco dopo aver occupato la casa, però, Maya sembra scomparire e riuscire a vederla o a catturarla la sua immagine con l’obiettivo diventa per l’uomo pressoché impossibile. Jefferson, ossessionato dalla giovane, cerca allora di scoprire che cosa si nasconda nella vita di lei. Il terzo occhoi, pubblicato da Fazi editore, è il secondo romanzo dello scrittore americano David Knowles. Trentaquattro anni, originario dell’Indiana, l’autore vive a New York con la moglie Jennifer e il figlio Eli, collabora con una rivista di viaggi e insegna scrittura creativa. Appassionato di musica, suona la tromba, la chitarra e ha anche una sua band, gli Anchor Tattoo.
Il suo primo libro “I segreti della camera oscura” è stato tradotto in Germania e in italia. “Il terzo occhio” è un raffinato noir newyorchese che conferma il talento narrativo di David Knowles già apprezzato nel romanzo d’esordio.

CARNET
– 01/01/2001

 

Il terzo occhio

 

Sarà un caso che il protagonista di questo romanzo, che affitta il suo appartamento per poter spiare le giovani inquiline, si chiami Jeff come il protagonista del film di Hitchcock la finestra sul cortile? Ma al contrario di James Stewart, il nostro Jeff passa da spia a vittima, in un gioco che finirà per farlo impazzire.

Irene Merli, VERA
– 02/01/2001

 

Come in un film

 

Un uomo affitta la sua casa di Manhattan a donne che spia e fotografa. Ma quando l’ultima inquilina svanisce nel nulla si getta in una caccia ossessiva che poco a poco gli sconvolgerà la mente. perché forse la ragazza scomparsa gioca…

Enrico Magrelli, FILM TV

 

L’arte di spiare

 

Un appartamento subaffittato a SoHo diventa per un giovane, misterioso e perverso cultore d’arte, affetto da una forma acuta di agorafobia, mecenate di un pittore con un talento in divenire, un’installazione, una galleria di performance domestiche. Il protagonista affitta la sua casa a giovani e belle donne per poi spiarle e fotografarle nascosto in un palazzo di fronte. Le foto rubate, in una città che esalta il voyeurismo e pratica il people-watching, sono trasferite e rielaborate su tela da Henry, un pittore cha ha uno studio a Hell’s Kitchen. La finestra sbarrata non affaccia sul cortile, ma su Sullivan Street e l’obiettivo è quello di riprendere le persone mentre hanno la guardia troppo bassa per difendersi. Sarà l’ultima inquilina, Maya Vanasi/Mara Thompson, indiana di Benares, con un “bindi” sulla fronte, da qui il titolo del romanzo di David Knowles, “Il terzo occhio” (Fazi Editore, pp. 228, L. 25.000), a guidare il protagonista dal benessere all’illusione, dall’irrealtà al fantasma. Oltre l’arte e la frode.

BELLA!
– 04/03/2001

 

Per chi ama i thriller

 

Giovane esperto d’arte, Jefferson affitta ogni estate a una ragazza il suo appartamento a Manhattan. Poi, dall’edificio di fronte, per due mesi Jefferson fotografa, di nascosto, la ragazza di turno. Finché si presenta un’indiana, Maya, con il punto rosso sulla fronte, l’occhio dell’anima Jefferson non riesce a farle neppure una foto. Anzi, Maya, così sfuggente e misteriosa, diventa per lui un’ossessione. Un thriller intrigante e intelligente, un originale noir psicologico.

Anna Folli, IL NUOVO
– 04/03/2001

Intervista

“Quell’intenso piacere di spiare”

Parla David Knowles, autore de Il terzo occhio, la storia di un’ossessione. Una specie di Grande Fratello che osserva la realtà e la donna attraverso il buco della serratura.

NEW YORK – Che cosa ha in comune un giovane esperto d’arte di New York, protagonista  dell’ultimo romanzo di David Knowles, con i milioni di spettatori inchiodati davanti al televisore per spiare i protagonisti del Grande Fratello? Apparentemente niente. In realtà, lo stesso maniacale desiderio di scrutare la vita degli altri. Insomma, in un caso come nell’altro, alla base c’è un tema molto attuale: quello della privacy e del piacere che si prova nel guardare, più o meno metaforicamente, dal buco della serratura. E’ questo infatti il motivo centrale di Il Terzo occhio, opera seconda di un giovane e interessante autore americano che ama cimentarsi con libri che stanno a metà tra il giallo e il romanzo psicologico. Abbiamo incontrato David Knowles a Soho, il quartiere più trendy di New York, dove si svolge la vicenda narrata nel romanzo appena pubblicato in Italia. Che cosa racconta Il Terzo occhio? E’ la storia di un brillante esperto d’arte, Jefferson, che  affitta il suo appartamento a giovani donne per poi fotografarle di nascosto e farne l’oggetto delle creazioni artistiche di un amico pittore. Ma tutto cambia, quando al suo annuncio  risponde una bellissima ragazza indiana, Maya, che lo affascina con il bindi che porta sulla fronte, il terzo occhio, quello che nei sacri testi indù è definito “il punto metafisico fuori dal tempo e dallo spazio”. Maya, dopo essersi installata nell’appartamento, scompare e da quel momento per Jefferson inizia un’angosciante ricerca che lo porterà a mettere in discussione tutta la sua vita. La scelta dell’ambientazione è curata in ogni particolare: si ha l’impressione di passeggiare con i personaggi del romanzo tra le gallerie d’arte e  le boutique new fashion di Soho. Questo particolare quartiere di New York diventa insomma uno dei protagonisti del Terzo occhio. Si. La vicenda parte proprio dall’affannosa ricerca di un appartamento a Manhattan, che definisco “il posto al mondo in cui è più difficile trovare alloggi a prezzi ragionevoli”. La descrizione degli eleganti locali alla moda di Soho aiuta a capire il carattere del protagonista: un uomo colto e intelligente, ma anche viziato dalla ricchezza e convinto di avere il diritto di spiare impunemente nella vita degli altri. Questo ci porta a considerare il tema centrale del romanzo: Jefferson, in nome dell’arte si sente libero di entrare nella vita delle donne che abitano il suo appartamento, negando il loro diritto alla privacy. Quello che interessa a Jefferson è catturare l’esistenza non agendo direttamente, ma rimanendo spettatore mentre si svolge la vita degli altri. La sua sicurezza gli viene dall’obbiettivo che fotografa le ragazze mentre non sanno di essere riprese. Il suo è un atteggiamento pericoloso, che lo porta a considerare le persone come fantocci. La ricerca di bellezza diventa una violazione e la mancanza di un codice morale gli impedisce di rendersi conto di quanto ingiusto sia il suo comportamento. Solo alla fine diventerà più consapevole. Nel suo romanzo lei usa la prima persona. C’è qualche elemento autobiografico in questa storia? No, a parte la passione per il mondo artistico nel quale avevo ambientato anche il mio primo romanzo: La camera oscura . A questo mondo rimarrò legato anche nel libro al quale sto lavorando in questo momento e che avrà come protagonista un grande pittore morto prima di diventare famoso: Amedeo Modigliani. A lui, emotivamente e caratterialmente, mi sento molto più vicino che a Jefferson, del quale non condivido né il modo di guardare alla realtà da una posizione privilegiata, né il distacco dalle conseguenze del suo comportamento. Il Terzo occhio   sembra l’analisi di una fascinazione. Fino all’ultimo non si sa se Maya sia un’allucinazione di Jefferson o un personaggio reale. Volevo creare nel lettore questa incertezza, perchè credo che alla base del libro ci sia proprio questo mistero. Non voglio decidere per i lettori: io posso avere una mia idea, ma sono loro a scegliere una verità che deve essere soggettiva. Posso dire soltanto che non credo ai fantasmi, ma alle persone reali che a volte trasformano la nostra vita.  Quali sono state le fonti della sua ispirazione per questo romanzo? Mi interessava indagare sui confini dell’ispirazione: fino a dove è eticamente accettabile arrivare in nome dell1arte? Per il resto la storia è interamente frutto della mia fantasia. Recentemente, ne sono stati acquistati i diritti da una casa di produzione anglo-americana che vuole girare un film basato su Il terzo occhio. Dal punto di vista dello stile, ci sono autori che ho molto amato e che probabilmente mi hanno influenzato. Penso ad esempio a John Fante, con quel suo modo che è insieme così intimo e così semplice di scrivere, oppure a un autore giapponese: Yukio Mishima. Il suo rigore e la sua limpidezza stilistica mi hanno certamente ispirato. Nei suoi romanzi lei mostra un grande amore per l’arte e la fotografia, ma è interessato anche alla musica. So che sta preparando una versione elettronica del suo primo romanzo, La camera oscura , con la colonna sonora originale di Brian Eno. Si, quello che mi interessava non era realizzare emplicemente un CD rom, ma il riuscire a sfruttare esperienze sensoriali diverse per comporre un’opera in cui il piacere della lettura fosse amplificato da quello della musica e delle impressioni visive. Per questo ci sarà anche una grafica molto particolare che accompagnerà il testo. Quello che vorrei ottenere è un’integrazione delle arti.

TEMPO DEL LUNEDÌ
– 03/05/2001

 

David Knowles alfiere del voyerismo in letteratura

 

David Knowles, 34 anni, tra gli autori americani più apprezzati della nuova generazione, si sta facendo conoscere in italia come lo scrittore del voyeurismo. Dopo i “Segreti della camera oscura”, da maggio in Usa anche in e-book con una colonna sonora di Brian Eno, Fazi pubblica “Il terzo occhio” in cui torna con più forza sul tema del voyeurismo. Il nuovo romanzo diventerà anche un film di cui inizieranno le riprese in estate per la regia di martin Brierley. Anche questa volta, come nel primo romanzo, al centro della storia c’è il mondo della fotografia e delle immagini a cui si aggiunge l’ossessione dell’enigmatico esperto d’arte contemporanea, Jefferson, che ogni estate affitta il suo appartamento a giovani donne per poi spiarle nascosto nel palazzo di fronte. “Il voyeurismo – dice Knowles – è una metafora del nostro modo di conoscere che ci porta ad assistere piuttosto che a sperimentare direttamente le cose. Lo dimostrano trasmissioni come “Il grande fratello” o i reality show che in America hanno tanto successo.

Mauro Drudi, PULP
– 03/01/2001

 

David Knowles. Il terzo occhio

 

In questa storia ambientata in una delle scenografie più collaudate, cioè Manhattan, l’autore lascia la penna (ma forse si tratta di una preziosa stilografica con tanto di iniziali incise) a Jefferson, trentenne newyorkese, agente immobiliare per eredità e comodità, esperto d’arte per il gusto dell’arte, fotografo per ossessione. Jefferson ci narra la storia di uno strano hobby che diventa presto un’ossessione. Durante le calde estati metropolitane, quanto i suoi ricchi genitori ormai da anni migrano verso la Costa Azzurra, lui affitta il suo appartamento e si trasferisce nel loro, un loft situato nell’edificio di fronte che per l’occasione diventa un grande studio nonché sala di sviluppo fotografico. Jefferson inchioda infatti assi di legno a tutte le finestre, per far si che i locali sembrino disabitati, lasciando solo piccoli spiragli nei quali insinuare l’obiettivo. I suoi soggetti sono gli inquilini dell’appartamento: all’inizio gente varia, poi solo belle ragazze, quasi tutte modelle o aspiranti attrici. Jefferson è anche un mecenate, o così si vuole sentire: aiuta infatti il giovane Henry nella sua carriera di pittore. I soggetti di Henry sono le fotografie rubate di Jefferson. Tutto funziona bene: Henry si migliora sempre più mentre Jefferson appaga completamente la sua ossessione. Fino a che non entra in gioco Maya Vanasi, la splendida ragazza indiana con il bindi in mezzo alla fronte. Il bindi, o bindu, è il cosiddetto “terzo occhio”: in filosofia, “il punto metafisico fuori dal tempo e dallo spazio dove l’assoluto e il fenomenico si incontrano”. Maya affitta l’appartamento di Jefferson – il quale, vedendola, ne rimane folgorato – ma da quel momento cominciano a succedere stranezze che Jefferson non si sa spiegare e che minano il suo particolare (per non dire precario) equilibrio psichico, un equilibrio raggiunto attraverso anni e anni di vero e proprio spionaggio. Anche se non lo diventa veramente, il romanzo ha la suspense di un giallo; la scrittura è elegante e classica, perfetta per il personaggio di Jefferson mentre la storia in sé è coinvolgente fino a diventare inquietante.

Sergio Pent, IL DIARIO

 

Ossessioni noir

Brutta vita nella Manhattan dei ricchi

Nel suo precedente – e primo – romanzo I segreti della camera oscura, l’americano David Knowles mostrava una convinta predisposizione alla geometria dell’intreccio narrativo: l’opera letteraria come punto d’osservazione privilegiato sulla realtà, ma una realtà di per sé deformata dalla visionarietà soggettiva dei protagonisti, in grado di plasmarla a uso e consumo di un pericoloso delirio privato. Non può non venire in mente Paul Auster – quello eccelso della trilogia newyorchese e del film Smoke, perlomeno – leggendo le pagine fredde e misurate, intense ma in qualche modo lucidamente aliene di Knowles: la dimensione delle fobie contemporanee sembra trovare qui – come nei libri migliori di Auster – il punto d’incontro tra il noir come semplice sfumatura di perversione e una quotidianità legata soprattutto alla solitudine e all’incapacità di comunicare, in un mondo dove – per contro – la comunicazione sembra ormai privilegio di massa. Nel romanzo d’esordio c’era un delitto, simile ad altri oscuri e remoti delitti; c’era una figura solitaria su una sperduta scogliera californiana, e la camera oscura rivelava tutte le più torbide pulsioni di una gelida, quasi astratta emarginazione. Qui siamo in piena folla, nella Manhattan dei ricchi, ma il distacco dal mondo reale – che sembra muoversi in sordina sullo sfondo, come lo scenario di un incubo privato – è altrettanto aspro e marcato. Il solitario di turno è il giovane Jefferson, esperto d’arte contemporanea e apatico erede di una fortuna immobiliare lasciatagli in consegna dal padre, che si gode la vecchiaia con la moglie nel sud della Francia. Il disagio di Jefferson è rappresentato – almeno così abbiamo intuito – da una scarna predisposizione al contatto umano intimo o affettivo: la ricchezza e la sicurezza sono il palliativo a una imbarazzante agorafobia che costringe il giovane a misurarsi con una dimensione urbana ridotta e asfissiante. La sua passione diventa quella di spiare giovani inquiline in un elegante appartamento di sua proprietà che affitta per due mesi, ogni estate, a una ragazza diversa. Dal palazzo di fronte Jefferson osserva e fotografa le giornate delle sue ospiti ignare, una specie di Grande Fratello personalizzato da cui ricava materiale da regalare al suo pupillo, il pittore Henry. Quest’ultimo sa ricavare, dai momenti sospesi di quelle vite spiate nella loro intimità, dipinti sintomatici di una gelida e bella solitudine contemporanea, che lo stanno rendendo noto nell’ambiente dei galleristi newyorchesi. Ma la quinta estate, dopo Claire, Victoria, Laura e Paula – riassunte nella singola specificità che le fece scegliere tra altre candidate – arriva l’indiana Maya Vanasi: affascinante, inquietante, colpisce Jefferson soprattutto per la presenza, sulla fronte, del mitico bindi, il “terzo occhio” tipico delle donne indiane. Jefferson si prepara a un’estate ricca di sorprese, ma l’unica sorpresa è quella della repentina scomparsa della donna: la ricerca affannosa del fotografo-spia disvela gradualmente il tessuto sotterraneo di una oscura manovra, che rischia di emarginarlo o di metterlo a confronto con tutte le sue deliranti fobie. Le poche fotografie scattate per l’amico Henry risultano bruciate, e i pellegrinaggi in una New York affollata di estranei diventano quasi un percorso prestabilito verso la rivelazione finale. Che non è di carattere giallo, ma essenzialmente filosofico. L’impressione è comunque quella di aver letto un mistery in abito da festa, dove l’essenza stessa dell’arte diventa materia narrativa velata di intrigo e di paura. Lo scopo primario di Knowles – ci pare – risulta tuttavia quello di analizzare l’individuo alla luce di una collocazione intellettuale nella società contemporanea, senza troppe spiegazioni, perché – scrive – “l’arte non ha mai dovuto essere spiegata fino in fondo” e l’artificio di scrivere per un pubblico ideale è “la sottile linea che dividerà sempre l’arte dalla vita di tutti i giorni”. Ma le ossessioni di Jefferson sono esemplari nella loro collocazione simbolica, e Knowles potrà raggiungere – limando qualche scoria di manierismo – risultati eccellenti in questa direzione, confrontando l’alienazione contemporanea con le più classiche indagini narrative, da Dostoevskij a un’eventuale corrente post-minimalista, dove a vincere è sempre e comunque solo la letteratura.

Roberto Carnero, FAMIGLIA CRISTIANA

 

Quella finestra dell’anima

 

“Amore. No, non posso parlare d’amore in modo molto autorevole. Nella mia carriera di scapolo, che dura da una vita, ho avuto numerosi appuntamenti, ma solo una dozzina di questi hanno avuto un seguito. I soldi ti portano solo lì”. Così si esprime Jefferson, esperto d’arte contemporanea, voce narrante e protagonista del romanzo del giovane scrittore americano David Knowles. Sarà per questa mancanza d’amore che ogni estate affitta un appartamento a Manhattan a ragazze sempre nuove, per spiarle e fotografarle dal palazzo di fronte. Tutto fila liscio fino a quando l’alloggio verrà occupato dall’enigmatica Maya, giovane indiana con il caratteristico bindi o “terzo occhio”, il punto rosso che gli indù portano tra le sopracciglia e che rappresenta “la finestra dell’anima”. Maya sparisce e Jefferson inizia una ricerca ossessiva, sulla scia degli indizi che la ragazza si lascia dietro. Knowles ci dà un romanzo avvincente, irriverente e a tratti maleducato. Un noir godibile per gli amanti del genere e della suspence psicologica.

Gino Roncaglia, MEDIAMENTE -RAI 3
– 03/03/2001

 

Oltre l’E-book

Intervista di Gino Roncaglia a David Knowles

David, in questo periodo stai lavorando a una versione in formato e-book ‘arricchito’ da contenuti multimediali del tuo romanzo Il segreto della camera oscura. Puoi spiegarci come è nato questo progetto? Ho cominciato a pensarci intorno al 1996 quando una casa editrice specializzata in CD-ROM ed editoria elettronica, la Voyager (http://www.voyagerco.com), mostrò interesse per l’idea di una versione multimediale del libro. La ‘mente’ dietro alla Voyager era quella geniale e un po’ visionaria di Robert Stein, impegnato nella realizzazione di CD-ROM di qualità, con una grande attenzione per i contenuti, e molta voglia di sperimentare. L’idea era di provare ad applicare questo modello – che aveva portato alla realizzazione di CD-ROM davvero notevoli, come The Complete Maus, dal fumetto di Art Spiegelman, o Puppet Motel di Laurie Anderson – a un testo di fiction. Non volevamo trasformare il libro in ipertesto, modificandone la struttura, ma piuttosto arricchirlo con suggestioni sonore e visive che si inserissero all’interno del flusso narrativo. Ci pensammo su, progettammo qualcosa, e facemmo qualche conto: con gli strumenti disponibili allora, per fare bene quello che avevamo in mente serviva circa un milione di dollari. Provammo a cercare finanziatori, ma nel frattempo il mercato dell’editoria elettronica su CD-ROM iniziava mostrare i primi segni di debolezza. La realizzazione di buoni CD-ROM costava molto, e i ricavi non coprivano le spese: in quelle condizioni, chi avrebbe rischiato di finanziare con una cifra così alta un’opera di fiction, avventurandosi in un campo relativamente nuovo per un mercato che aveva in un altro settore – quello dei giochi per computer – il suo punto di forza, e che si stava mostrando invece estremamente pericoloso, dal punto di vista della redditività economica, per ogni altro tipo di prodotto editoriale? Come conseguenza di queste difficoltà, per un paio d’anni non pensai più all’idea. A un certo punto, però, una fortunata serie di circostanze la fece tornare attuale. Robert Stein aveva cominciato a lavorare a TK3, un authoring tool per e-book multimediali distribuito dalla Nightkitchen (www.nightkitchen.com), che nasceva con l’intento di rendere semplice ed economica la realizzazione di prodotti che in precedenza richiedevano programmatori specializzati e notevoli risorse economiche. Proprio quello che serviva per il progetto legato al mio libro: potevamo concentrarci sull’organizzazione dei contenuti e sugli aspetti artistici e creativi, anziché sulla programmazione e su dettagli tecnici. Nel libro avevo fatto un riferimento indiretto alle musiche di Brian Eno, e in un incontro lo stesso Brian Eno si dimostrò incuriosito dal progetto e disponibile a collaborare. Un analogo interesse venne da Hsin-Chien Huang, che aveva già collaborato al CD-ROM di Laurie Anderson. Altri suggerimenti arrivarono da diverse persone, alcune delle quali lavoravano nel settore dei videogiochi: non volevo realizzare niente di simile a un videogioco, ma le esperienze fatte in quel settore erano comunque preziose. Hai accennato alla differenza fra il tuo progetto e gli esperimenti di letteratura ipertestuale. Puoi approfondire questo aspetto? In cosa si differenzia il tuo lavoro da quello di autori come quelli raccolti attorno alla Eastgate (http://www.eastgate.com), ad esempio Michael Joyce o Robert Coover? In realtà non sono molto interessato al concetto di ipertesto, almeno in ambito letterario. Certo, con gli ipertesti si possono fare cose interessantissime, almeno in certi settori, ma in campo letterario continuo a pensare che debba essere l’autore a condurre il gioco. Mi viene chiesto spesso: “Non vorresti lasciare più spazio ai lettori?”. La risposta è semplice: no. Quando legge letteratura, il lettore vuole essere accompagnato in un viaggio, ma la responsabilità del percorso è dell’autore. La ‘dittatura’ dell’autore è parte del nostro concetto di romanzo, e abdicando a questo ruolo si indebolisce, a mio avviso, la costruzione narrativa. Tenere insieme le parti di un ipertesto narrativo continuando ad offrire al lettore un viaggio, un percorso unitario è, almeno per me, troppo difficile, forse impossibile. Per questo la mia idea è diversa: non abbandonare l’idea di percorso narrativo, di narrazione, ma allargarla a contenuti non testuali. Nella versione elettronica del libro vi saranno immagini, aree del testo attive che avvieranno brevi brani musicali, altri brani musicali che partiranno automaticamente quando si passa da una pagina a quella successiva, e tutte queste suggestioni si intrecceranno in maniera in parte diversa per ogni lettore (giacché ciascuno avrà i suoi ritmi di lettura e interagirà in modo diverso con il libro). Ma tutto questo sarà interno al flusso narrativo, non proporrà deviazioni o percorsi secondari. E nel contempo sarà evocativo più che illustrativo: so bene che una parte del lavoro del lettore è lavorare di fantasia nell’immaginare situazioni e contenuti che gli vengono proposti dalla scrittura: e questo lavoro, che costituisce la specifica attività creativa del lettore, è fondamentale per il funzionamento dell’opera letteraria. Non voglio renderlo inutile, non voglio delle illustrazioni che ‘obblighino’ il lettore a pensare “ah, allora questo è fatto così”. E anche se il modello cinematografico ha certo un ruolo, non voglio trasformare il libro in un film. Del resto, ci saranno pagine e sezioni del libro in cui il lettore procederà come ha sempre fatto, semplicemente leggendo. Tutto questo è legato al concetto di interazione: il concetto di interazione è un concetto complicato, può voler dire molte cose diverse. A volte penso sia semplicemente un concetto confuso. Un ipertesto è interattivo, e anche la versione elettronica del mio libro vuole essere interattiva, ma in una maniera molto diversa da quella propria di un ipertesto. Dal punto di vista tecnico, cosa puoi dirci sul software utilizzato per creare l’e-book? Il bello di TK3 è, dal mio punto di vista, l’estrema semplicità d’uso. Bastano due o tre ore per imparare a usare il programma-autore, e tuttavia si tratta di uno strumento estremamente potente per l’integrazione di contenuti multimediali attorno a un nucleo testuale. E’ possibile attivare ‘eventi’ visivi e sonori collegati a qualunque operazione di lettura: sfogliare una pagina, aggiungere un’annotazione, sottolineare qualcosa, cliccare su una parola o su una frase. La semplicità d’uso significa la libertà di liberarsi dagli aspetti strettamente tecnici, concentrandosi sul lavoro creativo e artistico. Al momento, i ‘libri’ TK3 possono essere letti – attraverso l’apposito programma di lettura – su computer Windows e Macintosh, ma non su lettori dedicati; da un certo punto di vista sembra dunque un po’ improprio parlare di e-book, dato che il concetto di libro elettronico dovrebbe essere legato strettamente a dispositivi di lettura maneggevoli e portatili, e non alla lettura sullo schermo di un computer. Cosa puoi dirci su questo aspetto? In realtà, non ho mai dedicato un’attenzione specifica al problema delle interfacce ‘fisiche’ per la lettura. Io credo che col tempo sarà possibile leggere i libri TK3 anche su dispositivi portatili; del resto i dispositivi portatili che ho visto finora – ad esempio il Rocketbook – non mi hanno particolarmente impressionato. Chissà, forse nel futuro di TK3 c’è un incontro con Microsoft: un software come questo, che permette una maggiore integrazione di contenuti multimediali, potrebbe sostituire quello Microsoft per la creazione e la lettura di libri elettronici. Ma al momento questo non mi interessa tanto: mi interessa di più la possibilità di creare e strutturare contenuti. Non credo sia così grave se per leggerli dobbiamo utilizzare uno schermo. La vecchie generazioni forse non sono abituate a farlo, e si lamentano di non poter leggere a letto, o in poltrona. Ma le giovani generazioni sono abituate a leggere sullo schermo, per loro non si tratta di un’operazione innaturale ma di una modalità assolutamente quotidiana di rapporto col testo. C’è una relazione fra la produzione di questa versione ‘multimediale’ del tuo libro e le tue pratiche di scrittura? Il lavoro per il nuovo libro che stai scrivendo ne è influenzato in qualche modo? No, non direi. Le mie abitudini di scrittore sono abbastanza tradizionali, e quando scrivo un romanzo penso solo al testo che sto scrivendo, non alle sue eventuali ‘integrazioni’ multimediali. Il lavoro che stiamo facendo attorno a Il segreto della camera oscura è un lavoro creativo, ma è un lavoro di tipo assai diverso da quello legato alla scrittura del mio nuovo romanzo, Le ultime lettere di Amedeo Modigliani. Anche se, in forme diverse, il tema della contaminazione – ad esempio della contaminazione fra più testi – torna anche nei miei romanzi.

Chicca Gagliardo, GLAMOUR
– 02/01/2001

 

Il terzo occhio

 

Jefferson affitta l’appartamento di Manhattan per spiare le sue inquiline. Ma ora è di scena Maya che ha il terzo occhio. E il potere di svanire nel nulla.

Annabella d’Avino, IL MESSAGGERO
– 03/06/2001

 

Nel “terzo occhio” di Knowles l’enigma della vita

 

A David Knowles, giovane autore newyorkese, piace molto raccontare le ossessioni. Dopo il suo primo romanzo del ‘97, “I segreti della camera oscura” (che sarà disponibile in una nuova versione elettronica con colonna sonora originale di Brian Eno), ha scritto un’altra storia ambigua e inquietante, immersa in un’atmosfera claustrofobica e illusoria. Falso è perfino il nome del protagonista di “Il terzo occhio”: Jefferson. Trentenne, figlio di un ricco agente immobiliare, in analisi per una forma di agorafobia, osserva la quotidianità in termini di estetica, convinto che non si possa più distinguere fra l’arte e la realtà di tutti i giorni. Durante l’estate Jefferson affitta la sua casa di Manhattan a giovani donne, e si trasferisce nell’edificio di fronte per fotografarle di nascosto. Non c’è nessun voyeurismo pornografico in questo suo spiare, ma solo un modo di “catturare la vita allo stato crudo e senza filtri”. Non sarà però facile catturare quella di Maya, la sua ultima inquilina, una ragazza indiana di Benares che ha sulla fronte il segno rosso del bindi. Jefferson resta affascinato da questo cosiddetto terzo occhio, “l’essenza della vita e il simbolo del nettare dell’immortalità”, e ossessionato da Maya, presenza quasi irreale che non riesce mai a fotografare. Questo racconto colto e intrigante, che scivola fra il noir e il metafisico, si rivela alla fine un percorso di crescita psicologica e di liberazione emotiva con il raggiungimento di un momento di perfezione estetica.

Edmondo Dietrich, D – LA REPUBBLICA
– 03/06/2001

 

Scacco al voyeur

 

Un noir, come è scritto nel risvolto di copertina? No, e neppure un giallo tradizionale. Non ci sono né cadaveri né polizia. C’è invece, e serpeggia per tutto il libro, un’aura ossessione che sconvolge e rovescia la vita di un voyeur. Ma Jefferson non è il solito “guardone”: colto, raffinato elegante, grande esperto d’arte contemporanea e anche ricco, possiede due appartamenti uno di fronte all’altro a Manhattan. In uno ci vive, l’altro lo affitta prevalentemente a donne. E dietro le finestre sbarrate con assi di legno, attraverso un solo pertugio fotografa le sue inquiline negli atteggiamenti più usuali: quando leggono in poltrona, quando cucinano, quando vanno a dormire e quando pensano guardano nel vuoto. David Knowles si era già messo in evidenza con “La camera oscura”. Ora con “Il terzo occhio” (Fazi, lire 24 mila) conferma quello che di buono aveva mostrato nel primo romanzo, accurato nella scrittura e nel visitare i labirinti dell’animo umano. La fissazione di Jefferson, all’inizio un fatto puramente estetico (passa le foto a un pittore che le riproduce su tela, con un certo successo) diventa un incubo qunado l’appartamento è affittato a Maya, originaria di Benares, misteriosa e inquietante, con il “bindi” in mezzo alla fronte. C’è e non c’è, in quei locali in cui la luce è sempre accesa, e Jefferson non riesce a fotografarla neppure una volta. Proprio quando sta per arrendersi, e nel frattempo studia filosofie indiane per decifrare il mistero, capisce che, con l’arrivo della donna, la sua vita è mutata.

Erica Arosio, GIOIA
– 02/02/2001

 

Camera con vista a Manhattan

 

Manhattan. Un ricchissimo trentenne, pieno di fobie, grande esteta, si riempie la vita con un passatempo voyeuristico: affitta il suo appartamento a ragazze carine, che spia e fotografa dal suo palazzo di fronte. Il suo modo di ssere artista. Finché una misteriosa indiana mette in crisi il suo rituale. Romanzo intrigante, colto, a volte un pò macchinoso, ma che si fa leggere con gusto fino all’ultima pagina.

Giampaolo Martelli, IL GIORNALE
– 02/11/2001

 

Così un fotografo scopre la metafisica a Manhattan

Nel “Terzo occhio” l’americano David Knowles si lascia affascinare dai misteri della filosofia indiana

Il “Terzo occhio” dell’americano David Knowles è un romanzo ambiguo, complesso e fuorviante. In più c’è molta suspense. Immediatamente fa pensare ad un film di Hitchcock, e soprattutto alla “Finestra sul cortile”. E infatti Jefferson, il protagonista, esperto d’arte e appassionato di fotografia (come l’autore), ogni estate affitta a Manhattan un appartamento a giovani donne, dopodiché, nascosto nel palazzo di fronte, segue i loro movimenti e le fotografa. Ma non è un voyeur. In effetti, questo insolito personaggio, afflitto da una malattia psicosomatica – una forma di agorafobia – è animato da una visione non statica dell’arte. Convinto che fotografare modelli in uno studio sia un artificio, ha deciso di ritrarre i soggetti nella loro naturalezza in modo che le fisionomie conservino i mutevoli stati d’animo. Ad un annuncio che ha fatto pubblicare sul Village Voice, risponde una ragazza dalla figura sinuosa, cerchi alle orecchie e un bastoncino alla narice destra. Jefferson è colpito dal bindi, un segno rosso e circolare dipinto tra le sue sopracciglia. É indiana, viene da Benares, si chiama Maya Vanusi. Tra le varie candidate sceglie lei perché non solo “è bellissima ma ha qualcosa di diverso”. Visitando l’alloggio, Maya è attratta da un dipinto, la riproduzione di Interno di Degas che Jefferson aveva commissionato ad Henry, un pittore bohémien con cui è diventato amico e che dipinge ispirandosi alle sue fotografie. Il quadro costituirà uno dei motivi enigmatici de “Il Terzo Occhio”. Da questo momento, David Knowles, già autore de “I Segreti della Camera Oscura” e considerato uno degli scrittori di maggior talento delle nuove generazioni, trasporta i lettori attraverso un tortuoso labirinto. Il romanzo è ricco di riferimenti culturali, citazioni tratte da libri sapienziali, interpretazioni e discussioni sull’arte. Dopo essersi installata nell’appartamento, Maya scompare e Jefferson affannosamente inizia a cercarla. Racconto e meditazioni si intrecciano. Si accavallano indizi, supposizioni, contraddittorie ipotesi e il fotografo ha l’impressione di non essere lui l’inseguitore ma l’inseguito. Uno stato d’ansia si impossessa di lui che precipita nel caos, è ripreso dai suoi disturbi che gli rendono difficile, se non impossibile, capire ciò che sta succedendo. Ha imparato che il bindi, il terzo occhio, è considerato come “il punto metafisico fuori del tempo e dello spazio dove l’assoluto e il fenomenico si incontrano”. Un’altra frase lo fa meditare: “I sentimenti prodotti dal contatto con i sensi sono transitori, hanno un inizio e una fine. Il se invece non ha una nascita e non muore mai”. Jefferson è entrato ormai in una nuova dimensione sempre meno realistica e Maya assume una caratteristica fantasmagorica. Quello di David Knowles può apparire come una sorta di gioco intellettuale. Forse lo è, ma è soprattutto l’analisi psicologica di un’allucinazione. La presenza/assenza di Maya è un incubo che perseguita il protagonista. Si susseguono misteriosi avvenimenti, enigmatici episodi e situazioni che sembrano sortilegi. Jefferson, il ricercatore della verità, si domanda se è maya a prendersi gioco di lui e, ciononostante, continua a percepire la sua immagine come qualcosa di magico e insieme “di sfuggente, d’immateriale ed ambiguo”. D’altra parte anche “la mente più razionale non può rispondere ad ogni domanda”. Jefferson cercherà di guarire dalla sua ossessione, non si nasconderà più, cercherà di perseguire altri progetti ma continuerà ad accarezzare – forse come un sogno – un ideale di perfezione estetica.

Il terzo occhio - RASSEGNA STAMPA

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