Rosario Ferré

La casa della laguna

COD: 7f6ffaa6bb0b Categoria: Tag:

Collana:
Numero collana:
21
Pagine:
400
Codice ISBN:
9788881120987
Prezzo cartaceo:
€ 15,00
Data pubblicazione:
01-03-1999

Traduzione di Ursula Bedogni

Ritirata nella splendida casa della laguna, Isabel Monfort decide di mettere per iscritto le memorie della sua famiglia e quelle della famiglia del marito QuintÍn Mendizábal, tracciando così anche la storia complessa e affascinante della loro terra, Puerto Rico. Però, proprio nel bel mezzo di questo personale viaggio nel passato, QuintÍn trova casualmente il manoscritto di Isabel e reclama il diritto di dare la propria versione dei fatti. La casa della laguna, capolavoro della scrittrice portoricana Rosario Ferré e finalista nel 1995 del National Book Award, ci regala una indimenticabile saga familiare di amore, odio, orgoglio e morte.

«La sua prosa è densa e non di rado schiettamente poetica, efficace nelle descrizioni così come negli approfondimenti psicologici […] Un affresco che permette di penetrare in un mondo ancora sconosciuto […] La casa della laguna viene così a porsi tra i più validi romanzi che dibattono la questione dell’identità nazionale».
Giuseppe Bellini, «Il Sole 24 Ore»

«Un giallo che cresce nel diario di una moglie, sigillato da un nastro di porpora rossa».
Maurizio Chierici, «Corriere della Sera»

LA CASA DELLA LAGUNA – RECENSIONI

 

Maurizio Chierici , CORRIERE DELLA SERA

INTERVISTA In italiano due romanzi dell’autrice portoricana. Le storie della sua terra hanno conquistato il pubblico nordamericano

ROSARIO FERRE’, LA MAGIA LATINA DI NEW YORK

“Con le mie saghe di famiglia ho regalato il tropico agli Stato Uniti”

Latini sono gli intrighi, le palme, i tramonti. Latini i protagonisti perduti nella memoria, ma le donne che ricordano i segreti di famiglia dominano la scena con l’eleganza gran borghese di un’altra cultura. Le protagoniste dei due romanzi di Rosario Ferrè, appena usciti in Italia, “guardano gli uomini con la stessa tenerezza armata, ed è sempre la volontà femminile a dominare le loro storie”. Storie con casa, giardino e cameriere devote fra le colonne di una “Via col vento coloniale”, Rosario Ferrè sorride. Scrittrice molto amata e premiata negli Stati Uniti per quel suo essere americana di un altro posto: la doppia vocazione di Portorico. Strana America Latina per un’intellettuale non proprio spagnola e non proprio yankee. Sul filo San Juan-New York corrono mondi diversi. Portorico ha tre milioni di abitanti, quattro milioni e mezzo di portoricani vivono nella Grande Mela divisi dalla stessa differenza che li fa scappare da casa. La famiglia “tradizionale” di Rosario Ferrè appartiene ai fortunati. I romanzi della Ferrè sono sempre romanzi di famiglie, a partire da “Memoria di Ponce”, memoria della città natale, pubblicato in Colombia, anni fa. Il sospetto che le saghe e gli intrighi sdi altre storie continuino a pescare fra i libri di casa, perseguita la Ferrè in ogni recensione. “No… – si agita -. Gli scrittori, come gli scienziati, cercano informazioni guardandosi attorno. Ma la vita delle famiglie è quasi sempre grigia. Chi può appassionarsi al grigiore? L’immaginazione deve coprire di carne inquieta la quotidianità; esaltarla con le passioni. E trasgredire quando serve. Perché la letteratura ha bisogno di un compromesso: cambiare la realtà per affascinare il lettore”. Portorico crocevia di razze e culture: Rosario Ferrè da dove viene? “Lo racconta il romanzo “Vicini eccentrici”: siamo una frontiera dove cominciano e muoiono pensieri diversi. Colombo è arrivato mentre gli indios Caribes, antropofagi, combattevano contro gli indiani Tainos, agricoltori. Gli spagnoli hanno aiutato i Tainos a cancellare i Caribes; poi li hanno incatenati e mezzo secolo dopo erano morti per epidemie e lavoro forzato. Per tagliare la canna hanno cercato nuovi schiavi; ecco gli africani. Le razze si sono mescolate. Alla fine dell’800 l’onda di altre emigrazioni si è abbattuta su Portorico. C’erano i miei bisnonni. Una bisnonna era corsa, Bartoli, nata in un piccolo villaggio di nome Sisco. Con mio padre sono andata a cercare la tomba di famiglia nel 1954. Che parola grossa, tomba di famiglia: Estephano Bartoli riposa in una fossa nel fondo di una gola dove pascolavano capre. La nonna parlava italiano. Quando ero bambina mi aveva regalato un quadretto di fiori attraversato da un pensiero devoto. L’ho perduto tra un trasloco e l’altro. Ma ricordo l’invocazione, come una preghiera che non si dimentica: “Solo due cose sono certe nella vita: l’occhio di Dio e il cuore della mamma ti seguono ovunque”. L’identificazione tra famiglia e racconti si nutre di questi riflessi: nel romanzo “La casa della laguna” appare una famiglia di discendenza corsa. Non è la mia, ma un po’ le somiglia nei mille diavoli dell’orgogliosa indipendenza”. Rosario ha piedi e fantasia a Portorico, ma la disciplina è americana. Scrive in spagnolo, scrive anche in inglese. Le parole volano come le fantasie dell’isola: coglie i suoni che si affacciano nel momento dell’abbandono, non importa se anglosassoni o casigliani. Poi traduce nell’una o nell’altra lingua. Ma quando sogna, in quale lingua sogna? Lungo respiro: “Direi in spagnolo…”. La nostalgia è il motore di chi racconta e Rosario Ferrè ha il vantaggio di aprire finestre sempre diverse e poter sempre rimpiangere altri paesaggi che le appartengono. Non lo fa. I due romanzi appena usciti in Italia lasciano capire che la memoria del tropico sfoglia le foto del passato prossimo con una passione sconosciuta all’altra abitudine di Portorico: dollari, università, affari. Impossibile strappare le radici e il ricordo non si allontana. “Vicini eccentrici” è la saga di due famiglie: cinque ragazze dal collo di cigno cresciute nella casa del re dello zucchero che si mescolano ai ragazzi venuti su voltando le spalle alla campagna per il sogno americano della ricchezza. “La casa della laguna” è un giallo che cresce nel diario di una moglie, sigillato da un nastro di porpora rossa. Ricostruisce le fortune della famiglia imbrogliando la storia. Confonde date e scandali. Per superficialità? Per fantasia? Il mistero si propone al marito in modo curioso. Trova il diario sotto un vocabolario che gli serve per tradurre Plutarco. Lo legge di nascosto: ne resta ferito. Comincia il conflitto silenzioso all’ombra di una casa che fa paura. Ha ragione la moglie o ha ragione il marito? “La verità non è solo razionale, insegue anche la passione”. L’anima latina di Rosario non ha dubbi. “Non si può giudicare usando solo la testa, anche il cuore entra in gioco”. Deve essere questa la piega che incanta l’altra America soprattutto in “Vicini eccentrici”. Gli indaffarati del Nord respirano il loro passato scoprendo nella concretezza di una borghesia ormai yankee, passioni che scaldano la fantasia. Ed è anche la meraviglia che agita il mondo latino d’America dove la letteratura al femminile continua ad inseguire (poche eccezioni) la storia degli uomini senza la quieta indipendenza della donna borghese. Solo rivoluzioni, repressioni o le dittature di un machismo quotidiano che frusta i sentimenti. Per sopravvivere le scrittrici si arrangiano. Furbizia di Isabel Allende: si aggrappa ai tavoli che volano dalle finestre di Garcìa Màrquez, per evocare i suoi spiriti fra i denti d’oro degli stivali di Pinochet. E poi narratrici cubane, dentro o in fuga dall’Avana: girano i loro racconti attorno al problema che ha intristito o infiamma la loro vita. Anche l’ironia di una raccontatrice straordinaria, come Angeles Mastretta: si arrende alla rivoluzione di un Messico che sta invecchiando. Nell’America dei latini manca la quadratura borghese della vecchia Europa: i guai della sua politica nascono così. Ma il vuoto condiziona anche la scrittura femminile, costretta a sopravvivere agli eccessi dell’eterna frontiera. Pensare che il secolo era cominciato bene. Nei labirinti di Borges e Bioy Casares, Victoria Ocampo diventava la Geltrude Stein argentina. Ma non solo. Bella, ricca, rompeva le convenienze che il ceto imponeva. Fumava in pubblico, indossava abiti maschili, cambiava amori e mariti. Coltivava la provocazione. Attorno alla rivista “Sur” aveva raccolto le idee di chi stava aprendo gli occhi al mondo: Gide, Einstein, Stravinskij, Le Corbusier. Dopo di lei il diluvio. Donne costrette a scrivere da donne in un continente dove i sentimenti diventano uragani. “Non è vero”, risponde la Ferrè: “Come l'”Orlando” di Virginia Woolf, quando ero bambina desideravo essere maschio: non volevo diventare donna. Ma sono donna e la fortuna mi ha fatto nascere in questo secolo che ha rotto le catene imposte dagli uomini. Viviamo sulla cresta dell’onda. E’ stupendo poter ripetere: sono la prima donna che ha fatto questa cosa. Poveri maschi stanchi dall’aver già esaurito tutto. Il nostro futuro è aperto a mille cose e il secolo che sta per finire verrà ricordato come il secolo che ha visto nascere la donna. Donna che scrive, sceglie, decide. Non la Venere immobile di Botticelli”.

 

Angela Bianchini, TUTTOLIBRI – LA STAMPA
– 06/03/1999

 

Sudamerica

 

“La Casa della Laguna” (Fazi, pp. 396, L. 30.000) è il terzo romanzo di Rosario Ferré a vedere la luce in Italia: segue, infatti, “Maldito amor” (e/o, 95) e “Vicini eccentrici” (Piemme, 98).Tre libri che hanno lo stesso sfondo: quasi un secolo della vita di Puerto Rico, attraverso l’ascesa e anche e anche la decadenza di grandi famiglie, alcune appartenenti all’aristocrazia terriera, altre di più recente formazione industriale. La scelta del tema non stupisce. Rosario Ferré occupa una posizione particolare: è nata a Puerto Rico, nel 1942, ha studiato negli Stati Uniti, così come era tradizione per le ragazze delle famiglie più abbienti, e si muove, con facilità, tra il polo latino americano e quello statunitense. Puerto Rico fu ceduta dalla Spagna agli Stati Uniti, dopo la sconfitta spagnola del 1898.Dal 1952 è uno Stato libero, associato agli Stati Uniti, i cui cittadini, se residenti in Usa, prendono parte alle elezioni statunitensi. Negli Anni ’40 e ’50, ha rappresentato una piccola patria, un rifugio di creatività spagnola per gli esuli dalla Spagna repubblicana: lì sono vissuti i poeti Pedro Salinas e Juan Ramon Jimenez. Il metro letterario della Ferré è la saga familiare: in “Casa della Laguna”, questa ci viene narrata attraverso il manoscritto scritto a due mani, da un marito e da una moglie. Assai abile nel raccontare la vita pratica e quotidiana, anche nel lasciarci intravedere, qua e là, con una certa nostalgia, la bellezza di Puerto Rico, la Ferré si limita a descrivere, nel modo più sommario, eventi, anche tragici, messi in moto da uomini e donne di diverse ascendenze; bianchi, neri o meticci. Il dato psicologico emergente da questa saga è la straordinaria volubilità delle donne, capaci di passare da un giorno all’altro dallo status di regina a quello di schiava. La stessa protagonista di “Casa della laguna”, Rebeca, che nei primi anni di matrimonio ha dimostrato tendenze intellettuali, si fatta costruire una bellissima casa da un architetto seguace di Wright (dato probabilmente storico), si è circondata di poeti, quando viene sorpresa dal marito, rozzo commerciante spagnolo, a interpretare la danza dei sette veli di Salomé e malmenata pubblicamente, cambia subito ruolo. “Sopporto con pazienza le sue frequenti gravidanze e sembrava rassegnata al suo destino”. Risalgono forse al sopito desiderio di vendetta delle donne le molteplici disgrazie in cui sprofondano le grandi famiglie di Puerto Rico? Non ci è mai detto esplicitamente. Viene fatto di chiedersi, invece, se l’apparente illogicità dei comportamenti femminili non faccia parte, nella Ferré, di un certo modo, un po’ svagato, di presentare un’America Latina standardizzata nel suo esotismo eccentrico.

 

Rosario Ferré

La casa della laguna

 

Quintín Mendizábal è un prospero imprenditore portoricano che, come in una ideale sintesi tra l’eredità dello spirito affarista del padre e quella delle manie artistiche della madre, ha il culto della storia: passione intellettuale e umanista, nutrita di amore per la precisione. Ma un giorno negli anni ’80, mentre cerca un vocabolario di greco per comprendere una parola di Plutarco, scopre per caso nascosto dietro al volume un manoscritto. Si accorge così che sua moglie, Isabel Monfort, sta lavorando a un romanzo in cui la storia di quattro generazioni delle loro due famiglie si intreccia con le vicende di Porto Rico e con quelle della loro abitazione avita: la “casa della laguna”. Una famiglia, una casa, un paese… E’ lo schema di “Cent’anni di solitudine”. Modello che con qualche accorgimento, è facilmente ripetibile per ogni paese dell’America Latina, per non dire del mondo. Isabel Allende, ad. esempio, lo ha riscritto due volte in chiave cilena nella “Casa degli spiriti”, e in chiave venezuelana in “Eva Luna”. Debiti chiaramente riconosciuti fin nella presentazione del risvolto di copertina, in cui si spiega al lettore che “ricorda Gabriel García Márquez al suo meglio”. Altre “tracce” sono liberamente sparse a piene mani un po’ in tutto il libro. ”Carmelina la bella” richiama la “Remedíos la bella” di “Cent’anni di solitudine” e la “María la bella” della “Casa degli spiriti”. Il finale cataclismatico evoca quello immaginato nel capolavoro del Nobel colombiano, con il sinistro “vortice di ombre” dei granchi nel ruolo di forze ctonie che a Macondo era stato riservato alle formiche. E anche il contrappunto tra gli scritti della moglie e le osservazioni del marito rimanda alla rilettura femminil-femminista delle saghe, cara alla Allende. Ma mentre la cilena spesso annega poi questa visione “altra” della storia in un sentimentalismo deteriore da harmony terzomondista, la portoricana lo sviluppa in un grido di rivolta che alla fine colpisce, letteralmente, allo stomaco il lettore. Fortunatamente la Ferré lascia anche perdere tutta la paccotiglia del realismo magico. Che in “Cent’anni di solitudine” si mantiene miracolosamente su un felice virtuosismo in punta di penna, ma che nella Allende degenera inesorabilmente nel kitsch più pacchiano. Quel po’ di sapore vudù che emerge dai personaggi di un mondo nero tratteggiato nell’evidente ricordo di certe pagine di Alejo Carpentier, è risolto discretamente a livello di notazione antropologica. E un vantaggio, per il lettore non portoricano, è nella guadagnata utilità didascalica dello sfondo storico. Sì, Quintín può forse farvi arricciare il naso, ma in comparazione con l’alone semimitico con cui realtà e fantasia si sovrappongono in “Cent’anni di solitudine”, o con l’antipatica abitudine della Allende di elencare dettagliatamente fatti senza citare neanche un nome, “Casa della laguna” è come un lungo reportage sull’idiosincrasia di Porto Rico. Col suo eterno stare in sospeso tra l’identità iberico-africana e la tentazione dell’american way of life. Unico neo: più di un lettore, probabilmente, alla fine non si troverà d’accordo con la conclusione. E penserà che l’ideale processo in cui le due parti facevano sentire le proprie ragioni è stato alla fine forzato in una vicenda a senso unico, in cui Isabel si è imposta come parte lesa, giudice e boia allo stesso tempo. Ma se si pensa che, in fondo, gli elementi per metterci dalla parte di Quintín è stata proprio la Ferré a darceli, allora potremmo forse concludere che questo antipatico sgambetto è stato un effetto voluto. Ad ogni modo, in patria si è gridato al capolavoro. E, con la concessione del National Book Award del 1995, Rosario Ferré è stata proclamata a furor di popolo “la più grande scrittrice portoricana vivente”.

 

Memorie di Puerto Rico

La casa dela laguna

 

Sullo sfondo della natura di Puerto Rico, Isabel ricostruisce le storie della sua famiglia e delal famiglia del marito, Quintin. E tutto ruota intorno alal vecchia casa sulla laguna. Qui la protagonista prenderà sia coscienza di sé, sia dell’egoismo di Quintin. Grande letteratura latino-americana epica e passionale.

 

Giuseppe Bellini, IL SOLE-24 ORE

Latinoamericana

Se hai una casa sulla laguna

 

Nel rinnovato fervore con cui da qualche anno è stata accolta la narrativa latinoamericana nel nostro paese, hanno avuto modo di affermarsi nuovi valori. Mentree i consacrati Garcìa Marquez, Vargas Llosa e Fuentes continuano ad aver, e a ragione, lettori entusiasti, altri scrittori si sono fatti conoscere, probabilmente sulla scia dello straordinario successo arriso al cileno Luis Sepulveda che ha riportato l’attenzione degli editori sulla narrativa del mondo americano. Si sono così tradotte opere id grande rilievo della narrativa contemporanea di veri paesi dell’America Latina, dal Messico ai Caraibi, dal Centroamerica al Cile e all’Argentina. Ora la pubblicazione de La casa della laguna della portoricana Rosario Ferré focalizza l’attenzione su un piccolo paese delle Antille, più noto letterariamente per i suoi apporti alla poesia che alla narrativa, ma anche questa non priva di consistenza. Basterebbe pensare a scrittori come Laguerra, Rodrìguez Julià e quello straordinario fenomeno che è il Sànchez, autore reso celebre dal romanzo La guaracha del Macho Camacho. Tra le scrittrici ha goduto tra noi di favore la cubano-portoricana Mayra Montero, autrice di romanzi intensi come il Rosso della sua ombra e Tu, l’oscurità, editi da Feltrinelli, e della quale l’ultima opera, non ancora tradotta in Italia, Como un mensajero tuyo, ha per protagonista il grande Caruso. La Ferré era già nota nell’ambito della creazione poetica, ma due romanzi, Maledettapo amore e questa Casa della laguna, l’hanno imposta all’attenzione della critica come narratrice ed è oggi considerata una della maggiori scrittrici del mondo latinoamericano. Il libro ora tradotto da Ursula Bedogni per l’editore Fazi – libro che si legge con piacere -, si presenta come una saga che coinvolge le famiglie Arrigoita Menzizàbal, Monfort e Avilés, offrendo uno spaccato della società portoricana nello spazio di quasi un secolo, sullo sfondo della vicenda politica del Paese, divenuto associato agli Stati Uniti dopo la disfatta della Spagna nel 1898. Nella narrativa latinoamericana contemporanea non è difficile risalire alla fonte ispiratrice dela numerose saghe familiari presenti: Cent’anni di solitudine. Il colombiano Garcìa Marquez ha lasciato un segno profondo e lo si vede oltre che nel romanzo, peraltro bello, di Isabel Allende, La casa degli spiriti, anche in La casa della laguna della Ferré: la quale non esita a offrire anch’essa in apertura di libro un albero genealogico, utile al lettore per orientarsi tra le complicate vicende. Ma Rosario Ferrè non è asservita a un modello divenuto famoso; suo riferimento è piuttosto il grande romanzo europeo del tra l’Ottocento e il Novecento, e in particolare si può individuare in lei la lezione di un grande scrittore spagnolo del XX secolo, Pio Baroja, maestro di scrittori come Camilo José cela e Miguel Angel Asturias. La Ferré afferma la sua autonomia anche nella strutturazione del suo libro, che fonda su voci alternate di narranti. La sua prosa è densa, non di rado schiettamente poetica, efficace nelle descrizioni come negli approfondimenti psicologici. Nel romanzo, che si dipana in un accumularsi di eventi e di riflessioni, il lettore assiste alle origini e al processo evolutivo di una famiglia che raggiunge la potenza economica partendo da origini fortunose, per concludere con la divisione e la rovina: ricchezza e potere si dissolvono, infatti nello scontro tra il sentimento e l’aridità del cuore. Con i conflitti di razza si mescolano quelli dello spirito, sullo sfondo di un processo politico sempre più conflittuale, tra dipendenza e indipendenza, ancor poggi oggi irrisolto, quando tutto sembrerebbe avere affermato in modo definitivo i legame con gli Stati Uniti. Gran teatro del mondo in un angolo sperduto dei Caraibi, il romanzo della Ferré ha il potere di esaltare la portoricanità senza ostentarne la bandiera. La casa nella laguna viene così a porsi, efficacemente tra i più validi romanzi che dibattono la questione dell’identità nazionale. Non un romanzo storico, né politico, ma un affresco efficace che permette di penetrare in un mondo ancora sconosciuto, nel quale si mescolano faticosamente le razze e dove si afferma una presenza nera che vive riferimenti profondi alle remote origini africane.

 

Maria Antonietta Saracino, ALIAS – IL MANIFESTO
– 04/10/1999

 

Le due lingue di Rosario Ferré

 

Ha un viso dai tratti morbidi incorniciati da capelli neri, la scrittrice portoricana Rosario Ferré – il nome maschile non tragga in inganno – due occhi allegri e un inglese impastato di cadenze spagnole, il che le consente di passare da una lingua all’altra con la disinvoltura dell’ambidestro; con la leggerezza di chi è abituato a pensare, a scrivere – in una parola a vivere – in un bilinguismo attivo, quasi fosse una seconda pelle. Due lingue e forse due anime per una autrice che, nata e cresciuta a Portorico, con studi compiuti prima in patria (è stata allieva del maestro Vargas Llosa), poi negli Stati Uniti, e un continuo andirivieni da una sponda all’altra, di questi due modi estremi e vicinissimi, porta in sé le impronte. Di Rosario Ferré esce per Fazi La casa della laguna (trad. di Ursula Bedogni, pp.400. L.30.000), il più corposo dei suoi romanzi, dopo l’agile e bellissimo Maldido amor (e/o) e il più recente Vicini eccentrici (Piemme). Anche in questo caso una saga familiari e politica dai toni intensi, dalla cadenze narrative lunghe, traboccanti di narrazioni di vite comuni intrecciate a vicende storiche, com’è nella grande narrativa latino-americana. La storia ha inizio il 4 luglio del 1917 quando ai portoricani viene conferita la cittadinanza americana, per concludersi nel 1980, in un momento politico di estrema tensione. Ma la vicenda copre in realtà l’arco di cinque generazioni, la cui sequenza genealogica ci viene incontro ad apertura di libro, per oltre un secolo di storia dell’isola. Voce portante, la prima di molte, è quella di Isabel – discendente di immigrati e moglie del commerciante Quintin – la quale, dopo anni di matrimonio creduto felice, comincia a tenere un diario segreto in cui racconta la storia della famiglia del marito, e della propria che ad essa si intreccia, in virtù di un antico detto di sua nonna: «quando una ragazza si innamora è meglio conoscere bene tutta la famiglia del pretendente, perché… purtroppo non ci si sposa con il marito e basta, ma con i genitori, i nonni, i bisnonni, per non parlare del maledetto groviglio genetico a monte… (Ma io)… Non volli darle ascolto…». Quintin troverà il diario segreto e interverrà per correggere ciò che non gli piace, secondo la propria versione dei fatti. Fatti che dalle vicende di famiglia si allargano a coprire la storia di Portorico, in un affascinante groviglio di narrative private ed eventi nazionali. Rosario Ferré si muove sicura tra due lingue, spagnolo e inglese, come s’è detto, ciascuna autonoma eppure necessaria all’altra. Talmente necessaria che spesso Ferré scrive in una delle due e poi traduce il suo racconto nell’altra, quasi avesse bisogno di “provarlo” in un diverso sistema di suoni; ma spesso nel paesaggio i materiali narrativi si moltiplicano, e ciò che deborda nel transito fra le due lingue va ritradotto in quella di partenza, con un movimento idealmente senza fine. Se Maldido amor nasce in spagnolo ed è poi tradotto (e parzialmente riscritto) dall’autrice, quasi in contemporanea, in inglese, nella Casa della laguna la scrittura in spagnolo lascia il posto, a metà racconto, all’inglese lingua con la quale Ferré tornerà indietro a “pareggiare il suono” dell’intera narrazione, che nella versione spagnola, sarà a opera di un traduttore cubano. Per continuare a viaggiare fra due lingue, tenendo insieme i due mondi alla cui ricchezza Ferré, e la cultura portoricana, non intende rinunciare

La casa della laguna - RASSEGNA STAMPA

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