Brian Moore

La moglie del mago

COD: f0935e4cd592 Categoria: Tag:

Collana:
Numero collana:
29
Pagine:
256
Codice ISBN:
9788881121250
Prezzo cartaceo:
€ 14,00
Data pubblicazione:
31-03-2000

Traduzione di Lucia Oli­vieri

Henri Lambert, illusionista celebre in tutta Europa per i suoi straordinari numeri di prestidigitazione e di magia, viene inviato in Algeria dall’imperatore Napoleone III, nella speranza che riesca a convincere gli arabi della miracolosa potenza della Francia e a dissuaderli dalla jihad, la guerra santa contro gli invasori. Lo accompagna, alla corte dell’imperatore prima e in Africa poi, la giovane e deliziosa moglie Emmeline, che dapprima si accosta con timore e diffidenza al mondo elegante e raffinato della corte di Napoleone III, ma poi, tra feste danzanti e battute di caccia, ne subisce il fascino. Allo stesso tempo, con la sua ingenuità e freschezza, a sua volta Emmeline incanta l’imperatore e il colonnello Deniau, responsabile del Bureau Arabe, che accompagnerà lei e il marito in Algeria. Là, il sole abbagliante dell’Africa e la distesa sconfinata del deserto del Sahara fanno affiorare i sentimenti più profondi e nascosti della donna, mentre la devozione semplice e sincera degli arabi e la loro lealtà la rendono cosciente delle ipocrisie del potere e della politica.

«Uno dei romanzi ai quali si torna volentieri per l’abilità narrativa con la quale sono costruiti […] le scene d’azione e di suspense sono efficacissime».
Corrado Augias, «la Repubblica»

LA MOGLIE DEL MAGO – RECENSIONI

 

Mariarosa Mancuso, IL FOGLIO
– 21/04/2007

 

Ragione&illusione

 

 

 

SISTEMI & IMPRESA

 

Brian Moore, La moglie del mago

 

Una giovane donna accompagna in Algeria il marito, un mago, che ha ricevuto da Napoleone III il delicato incarico di convincere gli arabi della “bontà” dell’imperialismo francese. Il sole e i profumi dell’Africa, e soprattutto la semplice e sincera devozione degli arabi, fanno affiorare i sentimenti più profondi e nascosti della donna, che matura la consapevolezza del cinismo dell’impresa coloniale francese e sceglie di ascoltare la propria coscienza, ribellandosi a una concezione vuota e falsa del patriottismo e della religione.

 

Carmen Concilio, L’INDICE DEI LIBRI DEL MESE

 

Brian Moore. La moglie del mago

 

Poche sono le opere di Moore (cittadino canadese dal 1953, residente in California dal ‘65 fino alla morte, avvenuta nel 1998, ma nato a Belfast nel 1921) di matrice unicamente nordamericana; molte sono quelle con doppia ambientazione che si librano tra vecchio e nuovo mondo. In “La moglie del mago” li spazi geografici sono due: la Francia ai tempi di Napoleone III, e l’Algeria alla vigilia della colonizzazione. Qui il realismo, tratto caratteristico della scrittura di Moore, ben si addice alla ricostruzione storica degli ambienti. Dapprima è la corte parigina dell’imperatore Luigi Napoleone III ad affascinare la bella Emmeline. Emmeline, abituata alla monotona vita di provincia, non può che cedere allo sfarzo e al lusso della vita a corte, scandita da feste, balli e battute di caccia, alle quali per la verità Emmeline non partecipa, cominciando a caraterizzarsi quale personaggio che dice “no”. In seguito sarà l’Algeria ad ammaliarla. Terra in cui lei e suo marito si recano quando al famoso mago Henri Lambert viene assegnato, dal Bureau Arabe, il compito di impressionare gli Arabi con i suoi giochi di prestigio e indurli a rinunciare alla jihad contro la Francia, che è invece pronta a sferrare l’attacco definitivo per la conquista dell’intero pese. Qui, Emmeline conosce la profonda religiosità degli arabi e comprende finalmente gli intrighi diplomatici degli uomini di corte, di cui lei e suo marito sono strumento. E pur divenendo, suo malgrado, complice del marito durante i suoi giochi illusionistici Emmeline ne tradisce il segreto, e così facendo tradisce la Francia, ma salva se stessa dalla complicità più vergognosa con l’impresa coloniale. Il “no” di Emmeline, il suo passare dalla passività all’azione, priva il marito simbolicamente del suo braccio destro; infatti egli non solo ha già perduto il suo assistente, ma, dopo la moglie, perde anche l’uso del braccio destro a causa di una ferita d’arma da fuoco, che gli impedirà di praticare l’arte dell’inganno.

 

Marilia Piccone, BELLA

 

Il Sahara può cambiare la vita

In Algeria al seguito del marito, una donna scopre di essere parte di un complotto colonialista. E si ribella

Questo libro, del famoso scrittore irlandese morto due anni fa è veramente “magico”. L’illusionista Henry lambert è invitato alla corte di Napoleone III dove gli viene affidato un incarico ufficiale che, se avrà successo, darà a lui la fama e alla Francia la possibilità di impossessarsi dell’Algeria. Il suo compito sarà quello di presentarsi in Algeria come un “marabut” (un santo) dai poteri più grandi del più venerato marabut musulmano. Con i suoi giochi di prestigio dovrà far credere che, in caso di guerra, Dio non si schiererebbe con i musulmani, ma con i francesi. Si tratta di prendere tempo, per poter far sbarcare altre truppe. Emmeline, la moglie del mago, è il vero personaggio principale: una figura di donna indimenticabile, che iene profondamente trasformata dalla sua esperienza nell’Africa Sahariana. da piccola borghese al seguito del marito, pronta a una storia d’amore con il colonnello che si occupa della questione algerina, diventa una persona capace di vedere, pensare e giudicare con la propria testa. Emmeline capisce che sia il marito sia lei sono marionette di chi tiene il potere, che i giochi di prestigio del marito vengono usati per una vittoria che è a vantaggio di una maggiore civilizzazione degli arabi, ma risponde alle mire coloniali della Francia, che la preghiera dei musulmani ad Allah esprime una religiosità più pura di quella dei cristiani. La sua decisione di rivelare il complotto agli arabi non è un tradimento, ma rivela onestà e coraggio e aumenta la nostra ammirazione per lei.

 

Fulvio Panzeri, LA PROVINCIA

Riscoperte. Brian Moore

Profilo di donna dal silenzio all’ora del riscatto

 

Uno scrittore da leggere e da scoprire è senz’altro Brian Moore, scomparso lo scorso anno, ultimo erede di quella tradizione che fa capo a Graham Greene, narratore abilissimo e di grande talento, tradotto in Italia negli ultimi anni, anche se ancora poco conosciuto. La sua narrazione è forte, proprio in virtù dei continui contraddittori che inscena tra valore utopico delle scelte, coscienza morale dei protagonisti e valore riconosciuto ad una Storia da decifrare, soprattutto nei suoi aspetti umani e religiosi, quelli che continuamente coinvolgono la coscienza del bene e del male. Lo scrittore era nato a Belfast nel 1921 e durante la seconda guerra mondiale è stato come è successo per molti intellettuali in quel periodo, al servizio del governo inglese in Nord Africa, Francia e Italia. Nel 1948 si è poi trasferito in Canada, paese del quale ha poi mantenuto la cittadinanza, pur risiedendo negli ultimi anni a Los Angeles, dove appunto si è spento . Sempre attento alle grandi questioni religiose,e a temi, anche scottanti, ha posto al centro della sua scrittura anche il conflitto tra cattolici e protestanti nell’Ulster, riandando così alla sua patria d’origine. Brian Moore ha portato avanti le sue istanze narrative non sottraendosi ad una struttura romanzesca di forte impianto tradizionale, salvaguardando, oltre all’eticità dei temi trattati, anche la necessità del lettore di lasciarsi coinvolgere in storie che trovano il loro impianto solido nei drammi individuali e sociali. Per Brian Moore del resto la letteratura non è mai stata un esercizio consolatorio: per lui scrivere e raccontare equivale a rivelare le verità nascoste, anche le più dure e anche le più imbarazzanti. Lo dimostra il nuovo romanzo, leggibilissimo, che viene ora tradotto da Fazi, “La moglie del mago”. L’ambientazione è storica e nella prima parte la vicenda mete in scena la corte francese di Napoleone III con i suoi fasti, con le battute di caccia, con gli inviti di ospiti nelle varie residenze reali. Tra questi c’è anche uno degli illusionisti più famosi d’Europa, il mago appunto. Sembra troppo strano questo invito, probabilmente finalizzato ad alcuni interessi del sovrano. E infatti la seconda parte rende manifesti i motivi del grande successo e dell’alta considerazione in cui viene tenuto l’illusionista a corte. Nel racconto però accanto alla figura del mago, lentamente, si presenta e prende forza, in tutta la sua intensità, la figura di una donna, la moglie del mago appunto. Il suo fascino deriva da una sorta di ambiguità che la circonda.: annoiata e in crisi di coscienza, sembra osservare tutta la vita di corte da estranea, consapevole del proprio ruolo dimesso e condiscendente che l’ha portata per anni a stare a fianco di un marito che non si è occupato minimamente di lei. Prende corpo una sorta di insoddisfazione, in attesa di un riscatto morale; Lo avremo quando il mago viene invitato in Algeria dove in cinico colonnello francese lo usa per assecondare i suoi fini di conquista: deve dimostrare che è il più grande e quindi il potere che certi capi tribù si attribuiscono è nullo. la moglie non si lascia ingannare, capisce la finzione e l’ingiustizia e lotta per far sì che la verità venga a galla. da semplice comprimaria diventa protagonista di questo dramma sociale, carico di risvolti e di inquietudini morali. Si tratta di uno dei personaggi femminili più riusciti che abbiamo incontrato nei romanzi italiani e stranieri, letti in questi ultimi anni. Abilmente Moore ne tratteggia i caratteri e le profondità dell’anima: ha il potere di riscattare la sua storia, fino ad allora mortificata dal silenzio, in virtù di scelte rischiosissime. Emmeline mette in scena l’ipocrisia francese nel voler civilizzare gli algerini, per migliorare le loro condizioni di vita. il fine reale è invece quello dello sfruttamento della colonia. La scrittrice Joyce Carol Oates a proposito di questo libro ha sottolineato: “Il sensibile personaggio di Emmeline aggiunge al libro un tono di speranza, anche se è soltanto la speranza di una coscienza europea risvegliata.

 

Sergio D’Amaro, LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
– 06/04/2000

“La moglie del mago” dell’irlandese-canadese Brian Moore

L’illusionista si mette in politica

 

Brian Moore, morto due anni fa, è uno dei maggiori scrittori inglesi del secondo novecento. Nato a Belfast nel ‘21, è stato, durante la seconda guerra mondiale, al servizio dell’Inghilterra in Nord Africa, Francia e Italia. Dal ‘48 viveva in Canada. L’editore romano Fazi, che ha già pubblicato nel ‘98 “La caccia”, ora ci offre in lettura “La moglie del mago”, un folto romanzo, tradotto da Lucia Olivieri. E’ un’opera dalle ambizioni molto ben riuscite, giocata com’è sulle ampie volute strutturali del romanzo di ambientazione storica e sull’ottica onniscente della migliore tradizione narrativa. Diversamente dalla “Caccia”, qui Moore ci trasporta nell’800, alla corte dell’Imperatore Napoleone III, determinato a dare il colpo di grazia all’Algeria e a conquistarne il territorio. Lo “strumento del regno” di cui si serve il monarca è però singolare: dissuadere gli arabi dalla guerra santa contro i francesi, utilizzando le arti magiche di quel portentoso illusionista che è Henry lambert. Questi, perciò, viene invitato ad una “série” presso la corte do Napoleone (la “Série” è una settimana di appuntamenti vip – cacce, concerti, spettacoli, gala – fatti secondo una stretta etichetta e con frequenti cambi d’abito). Emmeline, la dolce giovane moglie di Lambert, vorrebbe sfuggire al pienone di crinoline e di gioielli, al mondo artificioso della noblesse. Non che le manchi qualcosa nella pigra dimora signorile di Rouen, sonnacchiosa città di provincia. Peccato che un famoso illusionista come Lambert non si sia accontentato di una casa elegantemente normale. La mania per le diavolerie più inverosimili lo porta a dotare le sue stanze di ben 42 orologi, e ad adornarle di scatole magiche, di un teatrino di marionette all’ingresso, di ritratti di antichi maghi e di locandine di spettacoli, riservando al parco i più ingegnosi congegni elettrici. La prima parte dell’opera si svolge per lo più tra i saloni della reggia di Compiégne. Emmeline è dapprima frastornata, poi cede alla suggestione del privilegio, subendo anche il fascino del Colonnello Deniau, responsabile del Bureau Arabe . Dopo i fasti di Compiégne (dove Napoleone III riserva ad Emmeline un’attenzione particolare), la natura abbagliane dell’Africa: “La mattina seguente la carovana si mise in marcia nell’istante in cui il sole sorgeva minaccioso nel pallido cielo dell’alba. La pista di cui aveva parlato Deniau attraversava il paesaggio desertico senza traccia di sentieri seganti, né di altri viaggiatori. le vesti ocra dei servitori, il manto beige e ruggine dei cammelli e quello più scuro, fulvo, dei cavalli si stagliavano contro il fondo rosso della terra… “. Qui i coniugi Lambert maturano le loro differenti psicologie: Henry è tutto concentrato sul suo grande spettacolo di magia che dovrà impedire l’aggressione algerina, Emmeline scopre la sua anima più vera e insieme il cinismo politico che guida la mano del colonialismo francese. Con la sua consumata abilità, Moore ci spalanca le porte misteriose del mondo arabo e ce ne fa capire l’originalità. Quel che preme all’autore è, però, mostrare le quinte nascoste dell’illusionismo politico camuffato da venditore di Miracoli. La sua si rivela così una forte riflessione morale, oltre che un pur complesso e ben riuscito macchinario affabulatorio.

 

VERA
– 07/01/2000

 

La moglie del mago

 

Emmeline è la timida moglie di un illusionista, che viene inviato in Algeria per dissuadere gli arabi ribelli. Ma il sole, il deserto e la sua gente faranno di lei una donna nuova e coraggiosa.

 

PROGRESS
– 04/01/2000

 

La moglie del mago

 

Siamo in Algeria alla fine del XIX secolo. Henry Lambert, famoso illusionista celebre nelle corti di tutta Europa, ha una missione da compiere commissionatagli direttamente dall’Imperatore Napoleone III: deve convincere gli Algerini a non intraprendere la guerra santa contro la Francia. Sua moglie, Emmeline, una creatura docile e ingenua lo accompagna fino all’epilogo, quando l’avventura coloniale si dipanerà in tutta la sua brutale rozzezza istigando la giovane donna alla ribellione.

 

Fulvio Panzeri, LETTURE
– 04/01/2000

 

La forza morale di una donna

 

La narrativa di Brian Moore è sempre all’insegna dell’indagine morale, un po’ come avveniva nei romanzi di Graham Greene, di cui Moore ha raccolto l’eredità e l’intensa lezione letteraria. Autore di numerosi romanzi tradotti in Italia, da “Fuochi morenti” a “La caccia”, Brian Moore dà sempre molto spazio nelle sue storie al tema del cristianesimo, indagando dubbi, dilemmi e drammi, sempre sullo sfondo di una scenario storico complesso e carico di enigmi. Avviene anche in questo romanzo, uno degli ultimi scritti da Moore prima della morte avvenuta nel 1998, che viene ora tradotto da Lucia Olivieri per Fazi. L’ambientazione è storica e nella prima parte la vicenda mette in scena la corte francese di Napoleone III con i suoi fasti, con le battute di caccia, con gli inviti di ospiti nelle varie residenze reali. tra questi c’è anche uno degli illusionisti più famosi d’Europa, il mago appunto. C’è però una trama non chiarissima intorno a questo invito, un secondo fine che diventerà palese nella seconda parte. Progressivamente, nel racconto, si stacca, in tutta la sua intensità, la figura di una donna, la moglie del mago, appunto, che sembra osservare il tutto esternamente, consapevole del proprio ruolo dimesso e condiscendente che l’ha portata per anni a stare al fianco di un marito che non si è occupato minimamente di lei. La noia così permea la sua esistenza, in attesa di un riscatto morale. Lo avremo quando il mago è invitato in Algeria, dove un ambiguo e cinico colonnello francese lo usa per assecondare i suoi fini di conquista: deve dimostrare che lui è il più grande e quindi il potere che certi capi si attribuiscono è nullo. La donna capisce l’inganno e l’ingiustizia e non si lascia sottomettere. dimostrerà la sua forza morale. Proprio questo gesto dà alla sua figura, già di per sé bellissima, come ce la presenta Moore, una inedita prespettiva.

 

Renzo S. Crivelli, IL SOLE-24 ORE

 

Il mago delle cose elettriche

 

Quando il cocchiere di Tours in una serata piovosa e cupa accompagna Henry Lambert e sua moglie, la deliziosa Emmeline, sino al Manoir de Chenes, loro residenza di campagna, il domestico Jules scende nell’oscurità e introduce una chiave a lato del cancello. Subito, come per incanto, un circuito elettrico accende una torcia al cherosene mentre un automa a grandezza naturale esce dal casotto laterale e solleva il saliscendi, per poi salutare con uno scatto metallico della mano di latta. Una scena questa, che per l’ennesima volta provoca la reazione nervosa del cavallo che si rizza sulle zampe posteriori, e quella ancor più terrorizzata del vetturino che inoltrandosi nel parco appare sempre più stupefatto a mano a mano che entrano in funzione i congegni meccanici preposti alla progressiva illuminazione a fiamma di boschetti e grotte. E, una volta giunto davanti alla casa di campagna, quel pover’uomo scarica bagagli e passeggeri come se fossero degli appestati per poi dare di frusta all’animale senza neppure chiedere di essere pagato. Questo è il Manoir de Chenes descritto nella Moglie del Mago, l’ultimo, delicatissimo e spietato romanzo (ben tradotto da Lucia Olivieri per Fazi) di Brian Moore, scrittore irlandese trasferitosi in Canada e negli Stati Uniti e vissuto tra il 1926 e il 1998. La sua grande costruzione è stata acquistata anni addietro da Lambert, il più grande illusionista di Francia, famoso per i suoi trucchi e le sue invenzioni che hanno stupito folle oceaniche e molti monarchi, a cominciare da Napoleone III, imperatore dei Francesi. Al suo interno tutto è regolato da meccanismi mossi, agli albori del 1856,dall’elettricità, una forza ancora in gran parte sconosciuta alla gente comune, incline a considerare quei trucchi e quelle invenzioni come “miracoli che nessun santo potrebbe mai eguagliare”. Henry è un uomo di mezza età, sposato a una donna molto più giovane, che ha subìto il suo fascino irresistibile tra i fumi e gli incanti del palcoscenico, stregata da una raffigurazione del potere illimitato di un illusionista, ma che ha conosciuto dopo il matrimonio (lei figlia di un medico di provincia non ostile alla prestidigitazione, ma certo più incline a credere nella scienza vera) il progressivo dramma del disamore (la tendenza ad abortire ha addirittura interrotto i rapporti sessuali della coppia, limitandoli all’esercizio di una “colpevole” tenerezza). In quest’atmosfera ambigua, in cui l’aridità sembra avvolgere anche i gesti più rispettosi rendendoli oltremodo convenzionali, irrompe nella vita del Mago il colonello Deniau, capo del “Bureau Arabe” distaccato in Algeria, una terra che l’esrecito francese sta per soggiogare completamente sulla scia della smagliante vittoria in Crimea. Che cosa vuole Deniau da lui? E che significato ha l’invito, esteso alla bella Emmeline, alla prestigiosa série dell’Imperatore a Compiègne, uno degli avvenimenti più ambìti dalla nobiltà di Francia? Sembra impossibile, ma Deniau, astuto come una volpe, e disposto a corteggiare e a illudere Emmeline nonostante la sua più o meno latente omosessualità, ha intuito che quell’abile illusionista sarebbe assai utile sulla scena algerina attraversata da venti di rivolta. I suoi eccezionali trucchi infatti potranno essere proficuamente contrapposti ai prodigi del vecchio e saggio Bou-Aziz, un grande marabut, un capo religioso algerino in grado di proclamarsi Mahadi (il benguidato da Dio) e di scatenare una rischiosissima Jihad, la guerra santa araba, contro le truppe francesi d’occupazione. Sollecitato dall’Imperatore in persona, alla ricerca di una fine gloriosa della sua carriera, Henry accetterà quest’incarico, trascinando Emmeline in un’avventura sconvolgente, in cui lo stordimento degli scenari desertici dell’Africa settentrionale (la sensualità di una cultura immaginata ma così pervasiva) darà un senso alla sua vita favorendo in lei una sofferta presa di coscienza dei guasti del colonialismo. Un’avventura traboccante di rischi e di colpi di scena degni delle quinte di un grande spettacolo illusionistico, che Brian moore, maestro di stile e di suspense, sa magnificamente orchestrare -per la gioia degli studiosi di letteratura postcoloniale e in linea con una recente rilettura del potere-con toni poetici e dense pennellate descrittive dell’universo arabo-algerino.

 

Pietro Cheli, IL DIARIO DELLA SETTIMANA
– 03/01/2000

 

La moglie del mago

 

Un po’ favola politically correct, un po’ romanzo storico, “La moglie del mago” é una storia grottesca, a tratti strampalata e incredibile, ma che si legge piacevolmente. Per dirla in breve, racconta di Emmeline giovane e timida signora della provincia francese che ha sposato Henri Lambert, illusionista, mago e inventore di strane macchine, che a metà del secolo scorso é noto in tutta Europa. Così seducente, sul palco, che i consiglieri di sua altezza imperiale Napoleone III vorrebbero spedirlo in terra d’Algeria per stregare la locale popolazione distraendola dalla guerra santa contro l’invasore. Che sono i francesi, ovviamente. E perché accetti, la coppia viene invitata a corte, per una settimana di feste in un castello. L’ubriacatura da mondanità non convince troppo Emmeline che anzi resta spaventata, soprattutto dal sovrano, la cui passione per le donne é a noi nota. Ma in compenso scatena la vanità del consorte. Ad Algeri e poi nel Sahara i suoi trrucchi hanno successo, ma per combattere la Jihad non bastano. Oggi sappiamo come in realtà le cose siano andate, non al mago che é frutto di fantasia, ma all’Algeria. Le devastanti conseguenze della colonizzazione, la violenza nella lotta di liberazione e poi le devastazioni della Jihad. Ma torniamo a Emmeline che dopo aver sfiorato l’amore – il matrimonio non l’ha mai davvero resa felice – con un bell’ufficialone napoleonico di cui, malgré elle, scopre il cinismo, resta affascinata da quella gente e dal fervore religioso che la anima. Più seria della vanesia aristocrazia francese che va messa solo per convenzione. Tutto un po’ semplice, un po’ esplicito, ma che proprio per questo si legge con facilità. E che conferma una spiccata sensibilità per la giustizia, espressa con disincanto da uno scrittore prolifico. In realtà poco noto in Italia: l’esordio di Moore nelle nostre librerie risale a un anno e mezzo fa, quando, poco prima di morire settantasettenne, gli era stato tradotto “La caccia” (Fazi), noir che illuminava sulle connivenze tra la chiesa e i nazisti nella Francia di Vichy prima e in quella repubblicana dopo. Irlandese, da molti anni in Canada, Moore aveva lavorato per i servizi segreti di Sua Maestà britannica nel secondo conflitto mondiale tra Francia, Africa e Italia, conoscendo il lato peggiore della vita, che poi ha travasato in letteratura.

 

Masolino d’Amico, LA STAMPA

 

Moore: la moglie del mago tentata da madame Bovary

 

Quando Napoleone III si preparava a sferrare una guerra coloniale per conquistare l’Algeria ebbe l’idea di inviare in quei territori Robert Houdin, famosissimo mago e illusionista (Houdini scelse il suo pseudonimo in omaggio a lui), che per i suoi trucchi si serviva di invenzioni ancora relativamente poco note come quella della elettrocalamita. Si sperava così di minare il potere dei «marabut», leader religiosi locali, ovviamente irredentisti, che fondavano il loro ascendente anche sull’esecuzione pubblica di miracoli. A quanto pare l’iniziativa incontrò un certo successo; in ogni caso come si sa la Francia si impossessò della colonia nel 1857, e la tenne per più di cent’anni. Su questo spunto affascinante Brian Moore, lo scrittore irlandese a lungo residente in Canada e in California venuto a mancare poco più di un anno fa, ha impostato il suo diciannovesimo e purtroppo ultimo romanzo, La moglie del mago , come d’abitudine diversissimo da tutti gli altri (i più recenti trattavano, alla rinfusa, delle strategie di fuga di un ex criminale filonazista; di un dittatore eletto dal popolo in una repubblica caraibica; dei goffi tentativi di evangelizzare i pellerossa nell’America del Seicento), chiamando il suo illusionista Henri Lambert e mettendogli intorno un paio di personaggi di fantasia, ma impostando solidamente lo sfondo storico, compreso il personaggio dell’avventuriero diventato Imperatore come lo zio Bonaparte, un astuto istrione dai baffi impomatati che pizzica il sedere alle ospiti e impone soffocanti banchetti e battute di caccia ai notabili che periodicamente convoca nella tenuta di Compiègne. Il racconto, che non è il caso di anticipare troppo ma che, come appare chiaro poco dopo l’inizio, è politicamente bene impostato con la condanna del colonialismo e la simpatia per le tradizioni locali dei religiosissimi musulmani del Nordafrica, si svolge tutto dal punto di vista, vedi il titolo, della giovane moglie di Lambert. Questa Emmeline è una graziosa ragazza di provincia che il marito, pur portandola in palma di mano, trascura, e che si sente oscuramente colpevole per non essere stata in grado di dargli dei figli. Non è ancora una Bovary, ma potrebbe diventarlo, e l’aitante colonnello Deniau, l’emissario incaricato di convincere Lambert, riesce a farle girare un po’ la testa; in ogni caso è una creatura schiva, piena di complessi sociali e per niente entusiasta delle ambizioni mondane del marito, un esibizionista nato che adora fingersi gentiluomo coi gentiluomini, capace di arrivare all’eroismo pur di non smentirsi, come il generale Della Rovere di montanelliana e rosselliniana memoria. Insomma, magistrale racconto con amaro finale a sorpresa, arricchito dalla sicurezza con cui sono descritti gli ambienti, la volgare corte di colui che Victor Hugo chiamò Napoleone il Piccolo, l’esotismo un po’ manierato della casbah e del deserto come appaiono ai borghesi il cui immaginario non è all’altezza di Delacroix, come poi non arriverà a quella di Matisse. Non sempre questo è un complimento: ma potrebbe diventare un magnifico film.

 

Sergio Pent, L’UNITÀ

 

La candida signora Lambert, moglie del mago

 

Apparso alla chetichella come proposta d’assaggio presso almeno quattro editori italiani, Brian Moore è uno di quegli scrittori solidi, originali e ricchi d’inventiva che, stranamente, non sono ancora riusciti a trovare una nicchia di considerazione sulle nostre distratte sponde. Ci riprova l’editore Fazi, che già ha presentato il serratissimo “La caccia” ed ora propone quello che potrebbe essere l’ultimo romanzo pubblicato da Moore, scomparso nel 1998. Definire questo scrittore cosmopolita – di origini irlandesi e cittadinanza canadese – non è semplice: la vena sotterranea del suo cattolicesimo è presente come assunto, o come etichetta, in ogni suo romanzo, e in questo potremmo forse accostarlo a Graham Greene, col quale condivide anche la variabilità eclettica dei soggetti affrontati, tanto dissimili fra di loro da far pensare ogni volta ad un nuovo scrittore, ad una nuova scommessa. Ciò che differenzia Moore da Greene è però la struttura altamente “cinematografica” dei suoi romanzi, che hanno un taglio già confezionato ad arte per una versione sul grande schermo, senza per questo regalare nulla alla superficialità o al facile effetto. Moore parla di uomini e di destini, di Storia e di figure minime che hanno portato il loro granello alla piramide del tempo, di dolore e di condanne, di illusioni tramontate e di velleità frustrate, ma lo fa con l’occhio del grande narratore attento sia al messaggio che al pubblico. Sì, perché anche la critica più disattenta deve convincersene: Brian Moore è un grande scrittore che ha saputo cogliere, di ogni accadimento storico o sociale affrontato nei suoi romanzi, l’essenza umana che ne ha caratterizzato l’evolversi, o la fine. Ed è in questa cornice di dimensioni universali che i suoi piccoli – spesso anonimi protagonisti – condividono il transito dei grandi eventi, diventando parte integrante della Storia stessa. Anche qui, in una narrazione come sempre strutturalmente perfetta, Moore regala un avanzo di grande passato ai suoi personaggi: la giovane, inquieta Emmeline, moglie piuttosto infelice del grande illusionista Henry Lambert, riesce col suo coraggio di comparsa sullo sfondo di un momento primario, a ritagliarsi un ruolo da protagonista. Nella Francia di Napoleone III – siamo nel 1856 – e poi nell’Algeria pronta alla guerra santa contro l’invasore francese, Emmeline attraversava in sordina un’epoca fondamentale, coinvolta in un gran gioco dal quale si esilierà nel silenzio e nell’anonimato dopo aver mosso la sua piccola, invisibile pedina. Suo marito è chiamato ad un’impresa proibitiva: convincere gli arabi del suo potere fantastico che dovrebbe dissuaderli dal dichiarare guerra alla Francia. Vittima egli stesso delle circostanze, Lambert insegue il suo momento di gloria con caparbia coerenza, senza accorgersi di essere utilizzato in un gioco politico in cui la sua importanza è legata solo al successo di una messinscena. Dalla corte del re al deserto senza confini , Emmeline si trova a seguire gli avvenimenti convinta di appartenere a un altro mondo, in cui la quiete provinciale e la serenità familiare potrebbero bastare per vivere. Si sbaglierà, e la sua parte nel disegno dei potenti avrà un ruolo primario. Ma gli episodi di questo percorso toccano vertici di perfezione, nella descrizione del mondo mediorientale, nel rapporto di Emmeline col misterioso colonnello Deniau, nelle avvincenti scene degli spettacoli di drammatica importanza di Lambert, nella dolorosa morte del servitore Jules, nel contatto con la realtà sanguinosa e violenta della vita vera, quella che spesso gli altri ti costringono a vivere. Un grande ritratto, di una donna e di un’epoca, un romanzo che ancora una volta ci fa invocare a gran voce una giusta attenzione per questo scrittore, tra i più veri del nostro tempo.

 

Corrado Augias, LA REPUBBLICA
– 02/07/2000

 

Napoleone III e la potenza dell’illusionismo

 

“La moglie del mago” di Brian Moore è uno dei romanzi ai quali si torna volentieri per l’abilità narrativa con la quale sono costruiti. Parigi 1856, secondo impero: la Francia teme la guerra santa in Algeria la cui conquista non è stata completata. Il colonnello Deniau, responsabile del Bureau arabe, suggerisce all’imperatore l’astuzia di inviarvi Henri Lambert, il miglior illusionista d’Europa, perché convinca gli arabi che gli “stregoni” francesi sono molto più potenti dei marabut locali nonostante questi si dichiarino protetti e ispirati direttamente da Allah. Uno sporco gioco insomma che Lambert accetta volentieri. C’è però la difficoltà che il mago ha per l’appunto una moglie, la giovane e affascinante Emmeline.Il loro rapporto è fragile, ridotto ad un tenue legame affettivo. Come sempre nei romanzi di Moore (irlandese, scomparso nel 1998) le scene d’azione e di suspense sono efficacissime. La parte alta del racconto è però riservata a Emmeline, la cui fresca bellezza accende la lussuria di Napoleone e che arrivata in Africa viene così turbata dalla luce così abbagliante e dallo spazio sconfinato del deserto da spingersi a un gesto rischiosissimo per la vita stessa di suo marito.

 

Fulvio Panzeri, L’AVVENIRE
– 02/05/2000

Un romanzo storico di Brian Moore, ambientato ai tempi di Napoleone III

La morale della moglie del mago

Nella linea di Graham Greene, inquietudine religiosa e, insieme, sapiente intreccio narrativo per tracciare una complessa figura femminile

I romanzi di Brian Moore stupiscono sempre soprattutto per il fondo di moralità e di inquietudine e interrogazione religiosa che connota la scrittura dell’autore irlandese. Anche se è stato variamente tradotto in Italia, in questi anni (soprattutto da Piemme, che ha da poco mandato in libreria l’edizione economica di “Fuochi morenti da Fazi) Brian Moore ha ancora bisogno di un riconoscimento forte da parte del pubblico, come l’ha avuto lo scrittore sulla cui linea si pone l’intera opera di Moore, Graham Greene. Un’occasione può essere la traduzione di Lucia Olivieri di “La moglie del mago”, uno degli ultimi romanzi dello scrittore, appena pubblicata da Fazi. In questo romanzo ad attrarre è la straordinaria figura femminile, la moglie, presenza assai discreta accanto ad un marito, famoso in tutta l’Europa, che a lui e al suo desiderio di gloria sembra sacrificare tutto, accettando un’esistenza piatta e noiosa, senza gratificazione alcuna, sempre comunque fedele al suo fianco. Quando capisce di essere solo un oggetto, un tramite per altri traffici, inizia in lei un percorso profondo di interrogazione e di identificazione, ma soprattutto di tutela della propria moralità. Non accetterà nessun compromesso, si ribellerà coraggiosamente, pur senza tradire il marito. Ne esce il ritratto di una figura femminile complessa e bellissima, di grande fascino che attraversa il romanzo, da protagonista, prima in modo inconsapevole e dimesso per poi fortificarsi e prendere consistenza e dignità nella parte finale. La vicenda, pur avendo al centro questa figura femminile, si snoda in modo corale e soprattutto, com’è nel caso della tradizione letteraria che Moore predilige, coinvolge e interroga la situazione politica e sociale del tempo in cui è ambientata. Qui siamo in pieno romanzo storico, con la corte imperiale francese che sfavilla nella prima parte, quando il mago e sua moglie sono invitati dall’imperatore Napoleone III, a corte per un breve periodo di tempo. L’imperatore infatti vuol conoscere questo straordinario che è in grado di compiere prodigi e che può essere assai utile, soprattutto per un fine politico ben preciso: la riuscita della conquista dell’Algeria. Emmeline, la moglie del mago, sembra osservare esternamente questa danza apparentemente innocua e galante, assai rispettosa, che però cela profonde insidie e ingiustizie, trame non del tutto chiare tessute da un freddo e assai interessato colonnello che solo inizialmente finge di interessarsi alla donna, per convincere il marito ad assecondare il suo piano: un viaggio in Africa, nella magica Algeria del deserto e della tradizione musulmana che tenta di resistere in tutto i modi all’ingiusta volontà di potenza francese. Il viaggio si farà, ma sarà risolutore e amaro per tutti i destini che ne vengono coinvolti: il mago riesce a stupire i musulmani con i suoi trucchi e i suoi illusionismi, ma il prezzo è piuttosto caro. Il suo fedele servitore si ammala di colera e muore. E’ solo la moglie ad assisterlo e a manifestare la necessaria pietà. Lui e il cinico colonnello sono impassibili: come se la morte non contasse nulla e ogni fine giustificasse i mezzi, tribolazioni e disgrazie. Lei non accetta questo dato di fatto: rifiuta la legge dell’opportunità politica e l’ingiustizia che i francesi stanno mettendo in atto; Non riveliamo la conclusione della vicenda che è essenziale. Si segnala il romanzo anche per i continui riferimenti al modo di vivere la religione, alle convenzioni che Emmeline rifiuta.

La moglie del mago - RASSEGNA STAMPA

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