Filippo Tuena
La passione dell’error mio
Il carteggio di Michelangelo Lettere scelte 1532-1564
«e di che sorte sia la vita mia: perché sto sempre solo, vo poco actorno e non parlo a persona».
Michelangelo
È la prima volta che al lettore moderno, in un’edizione agevole ed economica, viene presentata una scelta del carteggio di Michelangelo e dei suoi corrispondenti. Il periodo focalizzato va dal 1532 al 1564, gli anni dell’ultimo soggiorno romano; gli anni del Giudizio Universale, della Cappella Paolina, della fabbrica di San Pietro; gli anni della vecchiaia e dei dubbi. Il commento, puntuale per quel che riguarda le notizie storiche, è di piacevolissima lettura, accessibile al curioso e allo stesso tempo ricco di notazioni artistiche, e accompagna il lettore passo passo, sciogliendo dubbi e difficoltà di lettura, mostrando come proprio il carteggio sia non solo la base principale per la conoscenza del Buonarroti ma anche la più accessibile, per l’essenzialità e l’immediatezza che caratterizza la prosa michelangiolesca. Tra il centinaio di lettere trascritte, si trovano quelle che testimoniano la passione per il giovane Tommaso de’ Cavalieri; quelle che descrivono la terribile prostrazione dell’artista dopo la morte dell’Urbino, il suo fido collaboratore; quelle che ricostruiscono la complessa manovra diplomatica che doveva portare Michelangelo a Firenze a lavorare per il duca Cosimo. Filippo Tuena che da diversi anni si è dedicato allo studio di Michelangelo ha scritto un libro di fondamentale importanza per una migliore conoscenza del genio artistico di Michelangelo e per capirne la straordinaria umanità; così questo carteggio, proprio per le sue caratteristiche intime, può rappresentare il mezzo più diretto per avvicinarsi alla figura di Michelangelo.
– 01/10/2003
I segreti di Michelangelo e il cibo
Autunno, tempo di bilanci. Così, alla conclusione della quinta edizione di “Incroci: l’arte del cibo, il cibo dell’arte” a cura delle Compagnie Assemblea Teatro e del Teatro delle Forme due convegni d’interesse nazionale previsti per oggi e domani “I due Michelangelo: Buonarroti e Caravaggio” a cura di Assemblea Teatro e “L’arte del cibo” a cura del Teatro delle Forme. Sempre loro inaugurano domani a Carignano la quarta e nuova edizione de “Il Racconto segreto: veglie d’autunno”, rassegna sulle tradizioni popolari organizzata dal Teatro delle Forme. Si parlerà di “Michelangelo”, riduzione teatrale da “La grande ombra” di Filippo Tuena (Fazi Editore). Perché Michelangelo, la sua arte, il suo genio, non cessano di attrarre la nostra attenzione culturale. Con altre sue produzioni Assemblea Teatro ha portato in scena importanti personaggi storici quali Vittorio Emanuele II e la Bela Rosin, Alessandro Cruto, Giordano Bruno. Da qui l’incontro con Filippo Tuena, vincitore del Premio Letterario Grinzane Cavour e la sua storia romanzata “La grande ombra” sugli ultimi anni di vita di Michelangelo. Una coralità di narrazioni monologanti attorno ai giorni, al lavoro, ai turbamenti e ai dolori del grande artista. In “O cotta o cruda” si tratta, invece, dell’amore, della seduzione e del tradimento. Con la continua riconquista di un amore, di una passione, attraverso una delle arti più antiche: la cucina. Allora stasera al Teatro Agnelli, in via Paolo Sarpi 111, alle 21, Torino “I due Michelangelo: Buonarroti e Caravaggio” (ospiti della serata: Filippo Tuena, autore di “La passione dell’error mio”, carteggio di Michelangelo, lettere scelte dal 1532 al 1564. Coordina Renzo Sicco, direttore artistico di Assemblea Teatro). Domani, invece, al Ristorante “Il Canonico”, in Strada Castagnole 29, alle 21 a Carignano “L’arte del cibo” (con la partecipazione dell’attore Enrico Bonavera, Ambrogio Artoni, professore di semiologia dello spettacolo al D.A.M.S. di Torino, Piero Sardo, Presidente della Fondazione Slow Food per la biodiversità, e Barbara Ronchi della Rocca, esperta di buone maniere, coordina Antonio Damasco, direttore artistico del Teatro delle Forme).
– 26/03/2003
La passione dell’error mio
Un centinaio di lettere di Michelangelo (ma anche a Michelangelo) scelte da Filippo Tuena fra le mille che l’artista scrisse fra il 1532 e il 1564, e cioè fra i cinquantasette e gli ottantanove anni. Tuena ha smussato certe spigolosità delle lingua cinquecentesca, ma questi lievi interventi che farebbero inorridire un filologo non sminuiscono la concretezza e lo straordinario vigore del linguaggio michelangiolesco. Superata qualche difficoltà iniziale, si va incontro a una lettura indimenticabile che insegna che cosa significa davvero scrivere con l’anima.
– 04/01/2003
Michelangelo nei suoi ultimi anni
Dopo il Romanzo La grande ombra (Fazi 2001), Filippo Tuena dedica a Michelangelo questo nuovo testo importante, in cui ogni lettera è accompagnata da un commento puntuale e affettuoso, tanto da trasformare la sequenza di missive in un autentico romanzo epistolare. L’autore ne è il Michelangelo della Pietà Rondanini, perché le lettere scelte da Tuena riguardano gli ultimi trent’anni del grande artista fiorentino, e rivelano l’intreccio drammatico di amicizie e inimicizie, passioni e delusioni che segnarono il periodo complesso e difficile culminato con la realizzazione del capolavoro incompiuto. La Pietà Rondanini è infatti l’opera simbolo della parte finale della sua vita, a cui lavorava fino a qualche giorno prima della morte e che avrebbe dovuto essere l’ornamento della sua tomba.
Alcune di queste sue lettere sono quasi inedite, perché non compaiono nell’edizione del carteggio complessivo di tutta la vita del maestro. La passione dell’error mio ci fa perciò leggere una parte nascosta della figura di Michelangelo, lontana dall’ossessione per l’arte e vicina invece alla letteratura se non addirittura alla filosofia.
Gli ultimi trent’anni di Michelangelo non furono facili nonostante la grande ormai acquisita, e questo carteggio è testimone di una vecchiaia a cui è negata la tranquillità. Il maestro si dibatte tra l’inquietudine per le ambizioni non realizzate e l’inaridirsi delle passioni, tra lo spegnersi della vigoria fisica e l’esaurirsi della fiducia nelle capacità sue e degli uomini che gli stanno intorno di portare a compimento i suoi progetti memorabili, ma troppo ambiziosi per le possibilità dell’Italia delle signorie e dello Stato pontificio. In questo clima diffusamente negativo, Michelangelo si sente una vittima: in primo luogo dell’umanità che lo circonda, tradendo le sue aspettative e la sua fiducia, in ultima analisi tradendo il suo genio che avrebbe dovuto brillare senza rischiare di spegnersi per ragioni meschine. Ma si sente addirittura prigioniero dei suoi doveri, della sua stessa opera che pure amava come una prole ingrata.
Prigioniero o vittima, in definitiva, persino di dio che gli aveva infuso il suo talento. E si fa sempre più lunga su di lui la “Grande Ombra” che lo minaccia e lo lusinga, la morte con la quale tenta un dialogo, perché non lo “tratti troppo male” come fa con tutti i vecchi da che è mondo e mondo. Così che le sue lettere per lo più brevi, perché come osserva Tuena “non spreca né pensieri né carta o inchiostro”, alternano notizie e indicazioni concrete a riflessioni amare sulla precaria condizione umana
– 14/12/2002
La passione dell’error mio
In copertina compare il famoso Mosè cornuto che ricorda tanto il volto del so autore del quale si raccoglie, in questo volume, un’ampia antologia di lettere. Ma perché leggere michelangelo Buonarroti, perché sprofondare in queste lettere dall’italiano un po’ ostico e tagliente, e seguire quasi trent’anni di vita di uno dei maggiori artisti di tutti i tempi? Pittore, scultore, poeta, Michelangelo è l’artista completo, poliedrico, che rappresenta perfettamente il suo tempo.
Ma non solo nello splendore, soprattutto nell’aspetto della sconfitta e nella perdita dei sogni. Il successo artistico, i capolavori nascono spesso in condizioni difficili, tra mille scontri, tra compromessi e colpi bassi, fra tradimenti e ostinazioni che rasentano la follia. Michelangelo oggi lo si ricorda per le cappelle medicee, per gli affreschi della Cappella sistina, per le sculture e la Pietà, come quella Bandini la cui modernità sfida i grandi contemporanei novecenteschi, ma pochi conoscono l’uomo. I contemporanei ricordano Michelangelo soprattutto per l’umanità e il carattere difficile, per le tensioni e la profondità del suo pensiero e della sua persona, ma non lo ricordano per le sue opere, come capita oggi. L’epistolario, curato da uno scrittore di qualità come Filippo Tuena, ci riporta in primo piano la persona Michelangelo, ribaltando la prospettiva sull’uomo. Tuena, dopo il romanzo Tutti i sognatori, vincitore del Superpremio Grinzane Cavour e dopo La grande ombra, romanzo biografico dedicato all’ultimo soggiorno romano di Michelangelo, ritorna al primo amore. Ogni scrittore ha il suo personaggio ombra. Per Tuena resta Michelangelo del quale oggi raccoglie l’epistolario a partire dall’uscita dell’artista da Firenze verso Roma, dopo che sono svaniti i sogni di far diventare la città toscana la nuova Atene, secondo i miti rinascimentali di una nuova e rinnovata classicità. Un’ampia antologia di lettere che va dal 1532 al 1564, quasi trent’anni di lavori, di progetti realizzati in parte, che raccontano un artista del quale tutti pensano di conoscere l’opera ma che in verità nessuno conosce nella sua complessità di persona e di pensatore, di autore di poesie. Tuena ci accompagna con calore e passione tra i meandri di queste lettere con grande intelligenza e senza strafare, lavorando di fino, come gli è consono. Un volume per cultori di biografie e di epistolari, per chi ha voglia di non lasciarsi sfuggire un libro importante della nostra cultura.
– 20/12/2002
Una prosa dura come la pietra
Nella raccolta di lettere di Michelangelo, a cura di Filippo Tuena, si percepisce come lo scultore, diversamente dal suo amico Vasari che considera la corrispondenza come una forma letteraria, scriva sull’onda della necessità e senza spreco di parole
Tra le sviste di certa critica, sempre a caccia di clamorose rivelazioni letterarie, c’è il caso di Filippo Tuena , scrittore insolito e appartato, di sicuro talento e profondità di pensiero, che, tra le altre cose, si è dedicato anima e cuore allo studio della vita e delle opere di Michelangelo. Dopo “Tutti i sognatori” (1999) e “La grande ombra”(2001), romanzo biografico a più voci intorno agli ultimi anni del Buonarroti, Tuena pubblica “La passione dell’ error mio”, una raccolta di lettere scelte dal carteggio di Michelangelo degli anni 1532-1564.
Presentato e commentato con dovizia di particolari e scrupolo filologico, il carteggio condivide con “La grande ombra” la qualità narrativa, nonché lo spessore poetico, anche e soprattutto perché in entrambi i libri la penna di Tuena va oltre la ricerca storica per sondare le più profonde contraddizioni umane. Nel romanzo, lo scrittore interroga idealmente i tanti personaggi che conobbero Michelangelo ( dai domestici ai mecenati) per capire il rifiuto del maestro di tornare a Firenze di portare a termine i suoi lavori. Nel carteggio sentiamo le vere voci di quei personaggi e dello stesso Michelangelo, che, in prima persona lascia intendere la sua disillusione e la sua sofferta percezione della precarietà della condizione umana.
La prosa del Buonarroti spicca tra quelle dei suoi corrispondenti per l’ essenzialità e per la durezza pietrosa che scolpisce il suo pensiero e i suoi stati d’animo. Diversamente dal suo amico Vasari che considera la corrispondenza come una forma letteraria, Michelangelo scrive sull’onda della necessità e senza spreco di parole. Rabbia, risentimento, passione, disperazione più che esser dette, vivono sulla pagina. Il dolore per la morte del suo fedele servitore Urbino pulsa nella lettera al Vasari (febbraio 1556) che trasmette un senso di vuoto incolmabile : «La grazia è stata che, dove in vita mi teneva vivo, morendo m’ha insegnato morire non con dispiacere, ma con desiderio della morte……la maggior parte di me n’è ita seco, né mi rimane altro che infinita miseria».
Il volume presenta un decimo della documentazione relativa agli ultimi trent’anni della vita di Michelangelo e si sofferma in particolare sull’incontro con Tommaso de’ Cavalieri, sulle manovre di Cosimo de’ Medici per ricondurre l’artista a Firenze ad ultimare le opere incompiute, sulle beghe con i Deputati della fabbrica di San Pietro e infine sull’agonia e la morte del maestro. Poco meno della metà delle lettere presentate sono di Michelangelo che figura pertanto non come protagonista assoluto, bensì come comprimario, sia nel drammatico conflitto tra arte e potere che nell’intensa commedia umana dei suoi rapporti amorosi e familiari. Della sua arte Michelangelo non parla mai in modo diretto o sistematico. Ma tra le maglie della scrittura emergono aspetti fondamentali del suo essere artista : la sua avversione alle leggi del meccanismo produttivo, la sua sfiducia nel progetto sempre tradito dal mutevole processo della creazione artistica, la sua coscienza dell’inevitabilità dell’incompiuto e la sua ostinata volontà comunque di fare, in nome di un Dio assente.
La fiducia nelle infinite possibilità dell’uomo e dell’artista rinascimentali è rinnegata dall’ultimo Michelangelo e la coralità dell’epistolario fa emergere la solitudine di un genio frainteso e vessato dai suoi contemporanei. Interprete appassionato e intermediario instancabile, Filippo Tuena riesce nel suo intento di avvicinare anche i non addetti ai lavori alla sensibilità straordinariamente moderna di Michelangelo, e il suo libro ha il raro pregio di suscitare passioni, alimentare curiosità e invogliare ad ulteriori approfondimenti.
– 01/11/2002
La vita di un lottatore
Un libro davvero appassionante questa ricostruzione attraverso le lettere degli ultimi anni di Michelangelo. Tuena ha raccolto le più importanti missive scritte o dirette al genio fiorentino tra il 1532 e il 1564, anno della sua morte. Ciascuna lettera è corredata da quegli elementi che ci aiutano a contestualizzarla. Così, di pagina in pagina, si familiarizza con la quotidianità di questo gigante, inquieto e appassionato. Familiarizziamo con la concretezza della sua vita e dei suoi desideri. È la quotidianità di un lottatore, colto nel lungo corpo a corpo con la materia e con le ombre che lo assalgono. Michelangelo ha il senso potente della propria impotenza: e questa è la cifra della sua grandezza. Sperimenta questa dimensione giorno per giorno, vedendo i suoi cantieri procedere con fatica, in primis quello dell’immensa cupola che lui ottantenne vede alzarsi e vacillare. E intanto il nipote l’assilla, gli approfittatori lavorano alle spalle per avere la sua eredità, gli amici più cari muoiono…
– 04/12/2002
Michelangelo. Lettere di un genio deluso
Michelangelo, un uomo solo. Lo confessa in uno di quei fogli, coperti della sua fitta, nervosa grafia. “sto sempre solo, vo poco actorno e non parlo a persona”. La solitudine dell’animo, l’inquietudine dell’artista, la contemplazione della morte. Le oltre millecinquecento lettere che formano quanto è rimasto del carteggio di Michelangelo Buonarroti con la famiglia, con gli amici, con altri artisti, con il duca di Firenze,Cosimo de’ Medici ci restituiscono il suo volto non bello e tormentato, lo sguardo acuto e malinconico sugli uomini e sulle cose, il suo modo breve e netto di parlare, senza enfasi né perifrasi, che si riflette nel suo scarno ma intenso stile epistolare.
Le lettere di Michelangelo offrono preziose indicazioni biografiche e illuminano la scena politica e artistica in cui si muove. Ma soprattutto aprono uno squarcio impressionante sulla sua intima vicenda spirituale nella quale non si riassume soltanto il tormento dell’artista rinascimentale di fronte alla sua opera, bensì la dannazione perenne dell’essere artista. Il tragico contrasto tra la folgorante intuizione e la difficile e deludente realizzazione. Il tremendo baratro che si apre fra il mondo delle idee e il mondo delle cose. Un tema che nelle parole del neoplatonico Michelangelo assume un’intensità sconvolgente ma anche una assoluta contemporaneità.
Filippo Tuena è già autore di un bellissimo romanzo dedicato al Buonarroti, La grande ombra (ed. Fazi), incentrato sugli ultimi, difficili anni del suo soggiorno romano – diviso tra i lavori da terminare alla Fabbrica di San Pietro e gli inviti di Cosimo de’ Medici a ritornare a Firenze – fino alla morte avvenuta il 18 febbraio 1564 a 89 anni. Per affrontare “la grande ombra” – il colloquio fra l’artista e la morte – Tuena ha esaminato con puntiglio di ricercatore, sostenuto da una grande passione,tutto il complesso carteggio michelangiolesco. Ne è rimasto totalmente affascinato.
“La frequentazione del carteggio michelangiolesco è una delle più straordinarie esperienze che un lettore appassionato possa affrontare”. Lo dichiara nell’introduzione al libro più recente (La passione dell’error mio, Fazi, pagg. 227, euro 18,50) che segue La grande ombra, anche se in realtà il materiale che lo compone è quello che gli ha consentito di scrivere il romanzo. Sono cioè le lettere del Buonarroti, “le pezze giustificatorie”, dice lui, del primo libro.
Nel grande corpus di missive inviate e ricevute da Michelangelo, Tuena ne ha scelte quarantanove di pugno dell’artista e ventidue a lui indirizzate, riferentisi agli anni tra il 1532 (anno in cui si divide fra gli impegni fiorentini alla chiesa di San Lorenzo e quelli romani alla tomba di Giulio II) e l’anno della scomparsa. Una scelta del tutto personale, potremmo dire arbitraria, ma che consente a Tuena di raggiungere lo scopo che si è prefisso: restituire l’uomo Michelangelo nella sua interezza, nei pensieri, nelle amicizie, negli amori, nelle malattie. Ma intendiamoci: a Tuena non importa vedere l’uomo grande con l’occhio piccolo del cameriere, è sempre il genio che esce prepotente dalla scabra scrittura michelangiolesca ed è il segreto e il dolore di quella genialità che conquista, pagina dopo pagina.
All’inizio dell’epistolario è un Michelangelo ancora nel pieno delle forze e della creatività e al colmo degli onori che balza da quei lontani fogli custoditi nell’archivio fiornetino di Casa Buonarroti. Un uomo corteggiato da principi e pontefici, ammirato da artisti: il Vasari, il Cellini, Daniele da Volterra. Un uomo corteggiato da principi e pontefici, ammirato da artisti: il Vasari, il Cellini, Daniele da Volterra. Un uomo che vive passioni forti. Nel 1532 ha incontrato Tommaso de’ Cavalieri, bellissimo ventenne romano di ottima famiglia e di ottima cultura, nel quale l’artista crede di riconoscere non soltanto l’oggetto di una dirompente attrazione erotica ma, con evidente riferimento platonico, l’altra metà di se stesso, la creatura ideale che andava da tempo inutilmente cercando.
Gli scrive con la trepidazione di chi è reso indifeso dall’amore e con la tenerezza e la malinconia dell’uomo anziano (ha 57 anni) di fronte a una travolgente giovinezza. Ma già da queste prime lettere che aprono il libro sgorga una confessione fondamentale per la comprensione della sua vicenda umana e artistica: “Chi è solo in ogni cosa – scrive a Tommaso – in cosa alcuna non può aver compagni”. È questa desolata constatazione a condurci nel nodo segreto e dolente del mondo michelangiolesco: l’impossibilità di condividere il proprio tormento con alcuno, forse nemmeno con colui che ritiene il proprio complemento ideale.
Michelangelo riceve molte lettere e molte ne scrive. Gli scrive, turbato e intimorito dal sentimento suscitato, il giovane Tommaso (purtroppo di quell’epistolario sono rimaste pochissime lettere), gli scrivono Giorgio Vasari e Pietro Aretino, gli scrive (con pessima grafia che l’indispettisce per la difficoltà di decifrarla) il nipote Lionardo Buonarroti, gli scrive – ora imperioso ora insinuante – il giovane signore di Firenze Cosimo de’ Medici che vorrebbe incastonare nuovamente nella sua corona ducale la gemma Michelangelo, fuggita a Roma. Circondato, blandito, infastidito da noie familiari, Michelangelo si isola sempre di più nella sua disperazione di artista. Filippo Tuena trova parole bellissime per questo tormento interiore: “Michelangelo è tra i pochissimi artisti rinascimentali consapevoli di vivere un’epoca in cui l’arte è destinata al fallimento (…) è perfettamente cosciente che non è possibile seguire alcun progetto (…) sa che il destino di ogni opera è il tradimento dell’idea che l’ha generata”.
I grandi cantieri della Roma cinquecentesca sono anche i grandi incompiuti della storia dell’architettura; incompiuti sono alcuni dei maggiori progetti di Michelangelo: la tomba di Giulio II, il complesso di San Lorenzo a Firenze, la Fabbrica di San Pietro a Roma. Il suggello al carteggio e la consapevolezza dell’uomo rinascimentale che il suo grande sogno di perfezione antropocentrica è fallito, il mondo è imperfetto e l’uomo fragile e solo. Si annunciano i tormenti dell’età barocca e quella contemplazione della morte che accompagna gli ultimi anni del maestro. Nel 1556 gli muore il carissimo servitore Urbino e Michelangelo scrive al Vasari: “Morendo m’ha insegnato a morire”; Un anno dopo, scrivendo al Duca Cosimo e scusandosi per non aver ancora accettato il suo invito, ammette il suo sogno di tornare a Firenze “con animo di riposarmi con la morte, con la quale dì e nocte cerco di domesticarmi”.
Ma non tornerà a Firenze. L’impossibile conclusione dei lavori a San Pietro lo tormenta, rammentandogli a ogni momento la sua umana incompletezza. Rivolge allora lo sguardo più in alto, senza la querula paura dei vecchi ma con ferma rassegnazione: “Servo per l’amor di Dio e in Lui ho tucta la mia speranza”.
– 01/11/2002
La vita di un lottatore
Un libro davvero appassionante questa ricostruzione attraverso le lettere degli ultimi anni di Michelangelo. Tuena ha raccolto le più importanti missive scritte o dirette al genio fiorentino tra il 1532 e il 1564, anno della sua morte. Ciascuna lettera è corredata da quegli elementi che ci aiutano a contestualizzarla. Così di pagina in pagina, si familiarizza con la quotidianità di questo gigante, inquieto e appassionato. Familiarizziamo con la concretezza della sua vita e dei suoi desideri. E’ la quotidianità di un lottatore, colto nel lungo corpo a corpo con la materia e con le ombre che lo assalgono. Michelangelo ha il senso potente della propria impotenza: è questa la cifra della sua grandezza. Sperimenta queste dimensioni giorno per giorno, vedendo i suoi cantieri procedere con fatica, in primis quello dell’immensa cupola che lui ottantenne vede alzarsi e vacillare. E intanto il nipote l’assilla, gli approfittatori lavorano alle spalle per avere la sua eredità, gli amici più cari muoiono…
– 30/11/2002
La Passione dell’Error Mio
Il confronto che subito viene da supporre è quello con la maestosa imponenzadelle sue opere pittoriche e scultoree, o con la densità riscoperta delle Rime . Eppure a leggerne il carteggio sembra che il Michelangelo pensatore e uomo abbia la stessa materia dei giganti pieni di muscoli che si calano dalla Cappella Sistina. Filippo Tuena, scrittore tra l’altro di un romanzo biografico dedicato all’immenso artista, ci accompagna in questo inedito itinerario
– 10/11/2002
Michelangelo, lettere di pietra. E di passione
Attraverso le sue lettere il ritratto di un genio che non sapeva vivere
«Il carteggio di Michelangelo si compone di circa millecinquecento lettere tra quelle che scrive e quelle che riceve; poi ce ne sono altre cinquecento circa del nipote o di amici e di artisti che parlano di lui. Molte altre sono andate distrutte. I falò che quasi novantenne alimentò con le lettere di cui era geloso, con i disegni più rivelatori e i progetti inattuati, denunciano il desiderio di nascondere goffaggini, errori, malintesi». Lo scrittore e critico d’arte Filippo Tuena nel saggio introduttivo al carteggio di Michelangelo Buonarroti intitolato «La passione dell’error mio» (Fazi, 227 pagine, 18.50 euro), che riunisce una scelta di missive dal 1532 al 1564, sostiene che pur «senza avere la complessità strutturale dei grandi capolavori figurativi del maestro, l’epistolario michelangiolesco condivide con essi la materia d’indagine: le radici del pensiero occidentale». Si tratta di «un materiale magmatico, incandescente e frammentario, ma, soprattutto, evocativo e fulminante». Uomo di grande intelligenza e molto economo, Michelangelo non sprecava mai né pensieri né carta: scriveva l’essenziale ad artisti e potenti, familiari e amici. Scritte nell’arco di più di trent’anni – dall’ultimo soggiorno romano, quando l’artista era impegnato nel «Giudizio Universale» e nella fabbrica di San Pietro, alla vecchiaia – queste lettere che trattano di argomenti pratici quotidiani tracciano un affresco inedito del Rinascimento e un ritratto appassionante del grande scultore. «Delle circa seicento lettere a disposizione – mi dice Tuena – ne ho scelte solo un centinaio, perché attraverso di esse volevo raccontare una storia ; perciò ho privilegiato quelle che parlano della passione di Michelangelo per Tommaso de’ Cavalieri, della morte del suo collaboratore Urbino e del conseguente senso di vuoto che l’artista prova, e del rapporto con Firenze, col potere».
Da dove ha desunto il suggestivo titolo del libro?
«La parola passione è quella che ricorre più spesso nelle lettere di Michelangelo, intesa sia come passione d’amore, sia come sofferenza, o come difficoltà nel lavoro. La frase “non mi rimane che la passione dell’error mio” la scrisse dopo essersi reso conto che un pezzo di San Pietro andava buttato giù».
Dove affondava le radici il pensiero occidentale di Michelangelo?
«Nella sua formazione fiorentina e quindi neoplatonica. Alla fine del Quattrocento c’erano due scuole di pensiero, quella aristotelica che era più padovana e bolognese, e quella platonica che era fiorentino-romana. C’è molto di platonico anche nel suo senso di lontananza dal divino: Michelangelo lavora per la gloria di Dio, ma è cosciente che Dio lo ignora. Prega, ma con spirito disilluso, come ultima speranza».
Che tipo d’uomo emerge dalle lettere?
«Un uomo solitario e scontroso, perché il suo desiderio di condividere la propria esperienza non trova riscontro nel prossimo. Michelangelo è sempre disposto alla comunicazione, ma è molto raro che questa comunicazione si instauri, perché i suoi interlocutori sono più superficiali, meno profondi di lui. Molto spesso egli è frainteso, e da lì nasce la sua rabbia, il suo impulso a isolarsi. Non è disponibile se intuisce che l’interlocutore per qualche motivo non è sincero. Questo avviene in particolare con i potenti o con coloro di cui sospetta che gli stiano accanto solo per interesse. Così alla fine ha rapporti più stretti con persone umili come i suoi servitori, con i quali non deve stabilire un rapporto intellettuale. Con Tommaso de’ Cavalieri, per esempio, ebbe un periodo di grande contrasto, forse perché l’amico non corrispondeva più all’ideale che egli si era creato. Con i servitori questo non avveniva, perché si trovavano su un gradino più basso e il rapporto era meno coinvolgente. Per Urbino, però, pur trattandosi di un servitore, ebbe un intenso affetto: quando morì, Urbino era con lui da vent’anni, e Michelangelo ne conosceva la moglie e i due figli che considerava dei nipoti. Era una famiglia acquisita alla quale teneva molto».
Insomma, un uomo che aveva una certa difficoltà di rapporti.
«Sì, come ci rivela l’epistolario, Michelangelo aveva rapporti conflittuali col potere, sia col Papato per via di tutti i problemi con la fabbrica di San Pietro, sia col Duca della sua città, Firenze. Quanto agli altri artisti, non erano alla sua altezza sotto il profilo speculativo. Lo stesso Vasari, per quanto fosse un grande artista, non aveva la profondità di pensiero di Michelangelo. Col nipote discute di questioni amministrative, spesso con un certo disagio. Forse vi fu un’intesa cordiale con Vittoria Colonna: ma le lettere che ci sono rimaste non sono sufficienti per illuminare la natura di quel rapporto, anche perché le più belle, quelle sostanziali, probabilmente furono bruciate da Michelangelo».
Cosa lo frenava soprattutto nell’instaurare dei legami?
«Il timore di essere frainteso. Il malinteso, di qualunque genere, lo irritava. Scriveva in modo essenziale ed efficace per non essere frainteso, e di certo parlava anche così. Da una lettera si evince che il nipote e altri lo sollecitavano a ritornare a Firenze, e lui risponde: vi avevo già detto che per un anno non avrei potuto muovermi, ma voi insistete perché ritorni. Fra le righe si legge una forte irritazione. In campo artistico, poi, non sopportava faciloni e cialtroni».
L’unico artista con cui andava d’accordo pare fosse il Cellini.
«C’era una stima reciproca fra loro, anche perché vivevano lontani. Se fossero vissuti nella stessa città, col carattere che entrambi si ritrovavano, avrebbero avuto certamente dei contrasti. Ma risiedendo l’uno a Firenze e l’altro a Roma, non avevano occasioni di attrito, di concorrenza. Cellini lo stimava molto e questo lusingava Michelangelo, anche se lui sapeva scegliersi gli adulatori. Con Raffaello, invece, all’inizio del Cinquecento, facevano a gomitate. Due galli in un pollaio non vanno mai d’accordo».
Perché il Vasari voleva che Michelangelo tornasse a Firenze?
«Non credo che il Vasari desiderasse davvero un suo ritorno a Firenze. Vasari, tipico artista rinascimentale legato alle committenze e al potere, scrisse le lettere che invitavano lo scultore a tornare a Firenze per volontà del Duca, ma un ritorno di Michelangelo sarebbe stato controproducente per lui, perché gli avrebbe fatto ombra. Di invidia ce n’era parecchia. In alcune lettere del Vasari all’indomani della morte di Michelangelo egli assume chiaramente i modi del grande fiorentino, ne imita il carattere. Anche lui parla di un nipote cialtrone che non sa come gestire, e a proposito della volta del Duomo di Firenze dice “la mia cupola”, quasi a paragonarla a quella romana di Michelangelo, con la differenza che la sua dev’essere solo affrescata, l’altra invece era una costruzione di ingegneria complessa. Morto Michelangelo, insomma, il Vasari tentò di prenderne il posto».
– 25/11/2002
Quelle Lettere di Michelangelo
Già autore di «La grande ombra», romanzo dedicato all’ultimo soggiorno romano di Michelangelo, Filippo Tuena, raffinato intellettuale, ritorna sull’argomento. Con una scelta dal carteggio di Michelangelo che diventa una sorta di biografia degli ultimi anni di vita dell’artista. Divise in cinque capitoli le lettere coprono il periodo che va dal 1532 al 1564, l’anno della morte. Su un corpus di circa un migliaio di documenti l’autore ha fatto una scelta per focalizzare il suo sguardo su alcuni eventi ben precisi: dalle manovre di Cosimo de’ Medici per strappare il Buonarroti dal suo soggiorno romano alla lenta agonia del Maestro.
– 20/11/2002
Michelangelo innamorato
È senza dubbio uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. Davanti alle sue opere si rimane sbalorditi e senza fiato. Generazioni di studiosi e ammiratori sono da sempre incuriositi dalla personalità dell’uomo che più di tutti rappresenta il Rinascimento italiano: Michelangelo Buonnaroti.
Filippo Tuena da anni si dedica allo studio della vita e delle opere dell’artista fiorentino. L’anno scorso ha pubblicato un bellissimo romanzo, La grande ombra (Fazi editore, 287 pag., 14,46 euro) che racconta l’ultimo soggiorno romano di Michelangelo attraverso le testimonianze delle persone a lui più vicine. Oggi Tuena pubblica uno straordinario libro La passione dell’error mio. Il carteggio di Michelangelo. Lettere scelte 1532-1564 (Fazi editore, 227 pag., 18,50 euro) e ci racconta di Michelangelo in un modo che nessuna cronaca né alcun manuale di storia potrebbe mai fare.
Gli abbiamo rivolto qualche domanda.
Come è nata la sua passione per la figura di Michelangelo?
Nei primi anni ’80 studiavo l’ambiente degli scalpellini romani del ‘500. Alcuni di questi lavoravano per Michelangelo. Così iniziai a raccogliere documentazione dell’ambiente legato al Buonarroti. Affrontai il carteggio di Michelangelo soltanto con uno scopo documentario, ma ne sono rimasto fulminato. Ricordo anche la lettera che mi convinse a questo cambio di rotta, che dura ormai da una ventina d’anni. E’ quella del 23 febbraio 1556, che Michelangelo invia a Giorgio Vasari, informandolo della morte di Urbino. E’ un manifesto dell’esistenzialismo ante-litteram. Veramente un capolavoro. Ma quasi in ogni lettera, anche in maniera inaspettata, Michelangelo riesce ad essere impressionante, coinvolgente grazie a una scrittura essenziale, illuminante, efficacissima.
Il suo romanzo dello scorso anno e questo carteggio pubblicato ora sembrano due libri complementari, nel primo lei sviluppa con la fantasia fatti, vicende e sentimenti testimoniati da queste lettere. Come mai ha pensato di pubblicare prima uno e poi l’altro e non il contrario?
Il romanzo è nato da una fortissima pulsione espressiva. Dovevo, dopo anni di letture e ricerche, dar vita ai fantasmi che mi avevano accompagnato per tutto quel tempo. La grande ombra è stato scritto di getto – quasi fosse un’improvvisazione jazzistica – in poco più di sei mesi con pochissimi ripensamenti. Quanto all’epistolario, mi sembrava importante continuare a lavorare sul quel periodo della vita di Michelangelo (la vecchiaia) e condividere con i lettori che avevano apprezzato il romanzo l’esperienza della lettura del carteggio. Sicuramente, i due libri formano un dittico, sono due aspetti di uno stesso lavoro e illustrano molto bene i miei interessi di natura storica e narrativa.
Si è fatto un’idea sulla sessualità di Michelangelo?
Certamente complessa, e segnata da un’infanzia molto difficile. I primi anni trascorsi a balia lontano dai genitori; poi il ritorno a Firenze in famiglia; la morte della madre avvenuta poco dopo; il nuovo matrimonio del padre. Inoltre il suo aspetto fisico che sicuramente non lo favoriva nei rapporti affettivi. I biografi ricordano che ‘si asteneva dal coito’. Ma fu una scelta volontaria? La mia impressione è che anche nella sessualità Michelangelo cerca disperatamente il rapporto con l’esterno. E anche nella sfera sessuale questa comunicazione viene a mancare. In questo senso anche la sua omosessualità dev’essere letta come uno spaventoso sforzo per comunicare col prossimo. Le lettere a Tommaso sono impressionanti proprio per questo: dichiarano la passione travolgente per un’essere umano. Che fosse uomo o donna mi sembra un dato del tutto secondario. Credo che anche a Michelangelo importasse relativamente l’etero o omo sessualità dell’oggetto del suo desiderio. Era la capacità di esprimere un desiderio forte quel che lo affascinava. Veniva vinto dalla meraviglia, dalla passione quando, per caso, s’imbatteva nei suoi desideri. Come ogni grande mente libera andava oltre il dato contingente.
Esistono altri documenti oltre al carteggio con Tommaso dei Cavalieri che possono testimoniare se non proprio l’omosessualità, l’interesse di Michelangelo per il suo stesso sesso?
Vi sono una lettera e alcuni sonetti dedicati a Febo di Poggio, questo giovane fiorentino che Michegelangelo frequentò nei primi anni trenta. Ma l’unica lettera che abbiamo di Febo è una richiesta di denaro, abbastanza deprimente. Anche in questo ridottissimo carteggio ciò che emerge è la dirompente necessità d’affetto che Michelangelo esprime e la pochezza dell’esito, come ho detto, malinconico, fallimentare. Tra l’altro i sonetti per Febo possono avere per destinatario anche Tommaso, tanto sono indeterminati. E altri sonetti dedicati a Tommaso, possono con altrettanta ragione essere riferiti a Vittoria Colonna. Dunque, si torna sempre all’indeterminazione del sesso dell’oggetto desiderato.
Lei sottolinea la caparbietà con cui l’artista rifiuta le lusinghe di Cosimo I de’ Medici, l’uomo politico più importante di tutto il Rinascimento italiano. La figura di Michelangelo appare dunque ancora più grande e attuale in questi anni di regime in Italia. Ha pensato a questo aspetto mentre lavorava al libro?
Cosimo I è l’alter ego perfetto per Michelangelo. Animale politico per eccellenza ha un orizzonte e obiettivi essenzialmente terreni, quanto Michelangelo li ha celesti. Tutto il rapporto con Cosimo I si gioca su questo contrasto; sull’autonomia dell’arte nei confronti del potere. Michelangelo sa che non sarebbe stato possibile essere libero lavorando a Firenze. Sa anche – ed è tra i pochissimi artisti del rinascimento – che ogni intervento artistico legato a un regime diventa anche un intervento politico. L’analogia con i tempi moderni è calzante nel senso che condivido in pieno l’atteggiamento di Michelangelo nei confronti del potere: assentarsi, nascondersi, rinchiudersi nella tana. Cercare, per quanto possibile, di non appartenere a nessuno.
Ha nuovi progetti legati a Michelangelo?
Innanzitutto sto programmando una serie di eventi teatrali e musicali con letture michelangiolesche e esecuzioni di madrigali scritti per Michelangelo (a Roma, Vigevano, Milano, Varese, Novara). E poi, con un musicista contemporaneo, Massimo Nunzi, sto lavorando al progetto di un’opera musicale e teatrale su Michelangelo. Ne presenteremo qualche brano a Roma, il 28 novembre, alla libreria Feltrinelli di via del Babuino.
– 25/11/2002
Michelangelo, Quel fuoco che genera la forma
di Luigi La Rosa
A poco più di un anno dal suo ultimo romanzo, Filippo Tuena, uno dei maggiori narratori contemporanei italiani, ci regala un nuovo appuntamento con un suo vecchio amore. Michelangelo Buonarroti. Il padre della Sistina. L’autore della celeberrima Pietà. Un artista che più d’altri segnò il proprio tempo e precorse il sentire futuro, se è vero il giudizio di Kant secondo cui dentro la difficile e tormentata vita del Michelangelo può essere letta la parabola di una prima, modernissima stagione di esistenzialismo.
Michelangelo riassunto dal volume La passione dell’error mio, appena stampato da Fazi. Un Michelangelo al di là dei suoi contemporanei. Nel bene e nel male. Uomo di ieri che si riflette nelle idee dell’uomo di oggi, gettando un ponte imponente verso il futuro. Michelangelo che passa oltre noi, scavalcandoci con l’autorità del genio. Ma è un Michelangelo umano quello a cui si rivolge l’appassionante lavoro di Tuena, un epistolario al quale lo scrittore romano ha dedicato anni di ricerca e di studio, cercando di selezionare, all’interno di tutto il materiale esistente, quei testi indicativi per comprendere scelte e momenti esistenziali dell’artista.
La lettera che apre il volume è datata fine dicembre 1532, indirizzata a Roma, e rivolta al giovanissimo messer Tomao, ovvero Tommaso de’ Cavalieri. Un frammento di umanità al quale l’artista affida tutte le sue speranze, nel quale racchiude i suoi desideri. Una lettera d’amore in piena regola, con quello stupore, quel candore, quell’intima ingenuità tipici di ogni richiesta d’affetto. “Non altro che dirmi. – scrive Michelangelo – Leggiete il cuore e non la lettera, perché – la penna al buon voler non può gir presso”. Brano che si conclude con una sintesi mirabile di tanto stupore e tanta febbre: “Perché quanto è da maravigliarsi che Dio faccia miracoli, tant’è che Roma produca uomini divini. E di questo l’universo ne può far fede.”
Al Michelangelo innamorato segue l’uomo d’affari, lo scultore alle prese con le difficoltà degli ambienti romani e fiorentini entro i quali sembra oscillare dolorosamente la sua esistenza. Sono le pagine dedicate a Bartolomeo Angelini, a Pietro Aretino, da cui il Buonarroti è inseguito per anni al fine di riceverne qualche disegno, a Luigi del Riccio, con cui Michelangelo scambia delle bellissime epistole notturne e amare riflessioni di mondo, al nipote Leonardo in Firenze, cruccio e preoccupazione costante dello scultore. C’è pure un Michelangelo privato, lo stesso uomo romantico e passionale che si lascia imbrigliare dalle malefatte del giovane Febo di Poggio di pasoliniane memorie, un uomo avanti negli anni che percepisce il dramma del decadimento e la realtà della morte come pochi prima e dopo di lui hanno fatto e sapranno fare.
L’opera di Michelangelo potrebbe infatti essere letta alla luce di questa amara consapevolezza. È nel tormento delle cupe Sibille, nell’inquietudine dei Prigioni, nella curva rabbiosa disegnata dalle spalle del David che andrebbero letti i simbolismi di una simile algebra esistenziale. La materia si scontra con il pensiero, alla luce di una virilità decadente, sontuosa, che rifiuta le verità imposte dallo spirito pur di riconquistarle attraverso le leggi epidermiche della materia e della carne. Un Michelangelo filosofo, che s’interroga sulla fragilità dell’essere, che cerca nel messaggio cristiano una possibile soluzione alla propria vertiginosa decadenza.
Filippo Tuena, che già nel precedente romanzo La grande ombra aveva restituito alla figura del Buonarroti una fisionomia corale e poliedrica, compie con questo nuovo libro un percorso di grande importanza storica e letteraria. Il suo testo – non un romanzo né un saggio, ma qualcosa che da entrambi questi due generi letterari assorbe le migliori risorse – si pone nell’ambito dell’indagine biografica ma con tutto il sapore e l’originalità del racconto, quel dono del narrare calviniano che si riduce infine alla scelta dell’unica direzione possibile tra le infinite possibilità dell’inventare una storia.
La passione dell’error mio, introdotto da una bella prefazione esplicativa dello stesso autore, è un libro di rara bellezza ed eleganza, corredato da tavole contenenti le riproduzioni dei maggiori momenti creativi del Buonarroti, le lettere, i bozzetti, i disegni preparatori dei suoi intramontabili capolavori, gli schizzi anticipatori della Sistina. Un testo che interessa non solo gli studiosi, gli storici, i critici d’arte, ma che richiama l’attenzione di quanti sentono l’esigenza di penetrare il mistero umano e creativo di uno dei più grandi artisti di tutti i tempi.
Il libro di Filippo Tuena percorre la lunga esistenza dello scultore per consegnarci, alla fine, un inventario accurato della sua morte e dei suoi lasciti. Un elemento che conferisce alla lettura il piacere del grande romanzo storico, della biografia letteraria, del ritratto umano che sempre, e in modo dilettevole, finisce col facilitare la comprensione reale dell’arte e dei suoi percorsi.
La sensazione più grande, una volta terminato il libro, è quella di essere entrati in punta di piedi nella stagione umana e intellettuale di un nostro contemporaneo. È calato il sipario dei secoli, la storia ha liberato uno dei suoi figli più geniali. Michelangelo è lì, davanti a noi, vive gli stessi drammi che sentiamo nostri, soffre per le stesse irrealizzabili passioni. Basta davvero poco per consolare il suo dramma, non chiede altro. Basta stargli accanto con quel rispetto necessario al suo rinnovato perimetro. La figura di un uomo senza tempo.
– 04/11/2002
E MICHELANGELO DISSE NO A FIRENZE
Dice Filippo Tuena, e con ragione, che la frequentazione del carteggio michelangiolesco è una delle più straordinarie esperienze che un lettore appassionato possa affrontare. E’ così che è nato La Passione dell’error mio. Carteggio di Michelangelo</>, di cui è autore, e che Fazi Editore ha da poco mandato in libreria (pagg. 223, euro 18,50).
E’ curiosa la storia di Filippo Tuena. Erede di una dinastia d’antiquari romani, qualche anno dopo la laurea in storia dell’arte ha chiuso bottega e si è dedicato soltanto alla scrittura. E sa un ventennio gira sempre intorno a Michelangelo. Prima con un romanzo e ora con queste lettere scelte, un centinaio, che fotografano la maturità e la vecchiaia del maestro, una strada lungo la quale s’incontrano potenti signori e artisti, amici e amori, Giorgio vasari e Cosimo de’Medici, Tommaso de’Cavalieri e Benvenuto Celllini.
Non ci sono inediti ma il libro ha un merito: porta al grande pubblico un carteggio difficilmente reperibile perché pubblicato in costose e monumentali edizioni, per lo più riservate agli specialisti. La passione dell’error mio è dunque una finestra sulla vita di Michelangelo.
“Ho cercato di raccontare una storia”, dice Filippo Tuena che si è addentrato negli ultimi trent’anni di Michelangelo soprattutto per capire i motivi del distacco, totale, da Firenze. Michelangelo se ne andò “lasciando incompiute, la Sacrestia Nuova, la biblioteca laurenziana: era in stato di totale abbandono con le statue per terra, e nel caso della biblioteca senza neppure il tetto e lo scalone d’ingresso”.
Michelangelo, ricorda Tuena, “cocciutamente rifiutò ogni intervento, trovò mille scuse per respingere le richieste di Cosimo de’Medici: una volta era occupato, poi c’erano i problemi della vecchiaia…Ebbe un’incredibile capacità di mantenere le sue decisioni. Non tornò mai a Firenze anche se ci fu un fitto scambio epistolare con Cosimo, con Giorgio Vasari”.
Fu una decisione politica?
“All’inizio sicuramente non rientrò a Firenze per ragioni politiche. Sentiva molto il significato politico del far arte. Se avesse accettato le offerte di Cosimo ne avrebbe avallato il potere. In quel tempo fu quasi l’unico artista ad avere questo atteggiamento nei confronti della committenza, dei signori italiani. Non soddisfece mai la voglia di Cosimo di essere glorificato. E’ un aspetto importante della vita di Michelangelo, che gli storici dell’arte a volte sottovalutano. Credo anche che volesse lavorare soltanto per il Papa. In questo modo sentiva di lavorare per Dio”.
Lei ha escluso dal volume che in quegli anni Michelangelo scambiò con Vittorio Colonna; Perché è?
“E’ una scelta. Negli ultimi anni si è già scritto e parlato molto di questo carteggio anche se abbiamo poche lettere e spesso molto formali. Molte furono distrutte, bruciate. Si dice che fossero compromettenti ma non sappiamo quanto. Nono volevo fare un lavoro su delle ipotesi. E personalmente credo che Michelangelo non fosse così dogmatico come si è dedotto da queste missive. Era pragmatico, era un uomo che sceglieva ogni volta”.
La passione dell’error mio è una citazione da una lettera inviata a Tommaso de’Cavalieri, che apre il libro Tommaso è straordinariamente affascinante e passa in secondo piano qualsiasi considerazione di natura sessuale. C’è, sicuramente, una passione fortissima, una travolgente attrazione. In Tommaso il maestro probabilmente vide avverarsi teorie neoplatoniche che gli appartengono. Crede di essersi imbattuto nell’altra metà di sé, nella metà perduta, mancante, Purtroppo ci sono rimaste pochissime lettere”.
Qual è per lei la lettera più bella?
“Quella che scrisse nel febbraio 1556 a Giorgio Vasari dopo la morte di Urbino, l’assistente e amico fedelissimo. E’ quasi un manifesto dell’esistenzialismo. Michelangelo in poche righe analizza l’inevitabile miseria della condizione umana: non c’è progetto di vita che abbia la certezza di realizzarsi, non c’è destino che l’uomo possa forgiarsi”.
E’ solo scritto di un uomo molto solo…
“Era un uomo solitario, che non poteva fare diversamente. Se escludiamo Daniele da Volterra non ebbe allievi importanti. Non creò intorno a sé un ambiente artistico molto forte. Era un accentratore, doveva essere presente in ogni cantiere, in ogni lavoro, altrimenti non era possibile cedere”.
Lei ripubblica anche l’inventario dei beni di Michelangelo redatto dopo la morte. Il Cristo portacroce scoperto a Bassano Romano e presentato in occasione della mostra dedicata ai Giustiniani è, secondo lei, del maestro?
“Credo proprio di sì. E stato molto lavorato in epoche successive ma è il Cristo che Michelangelo non terminò per il celebre “pelo nero” del marmo. Dall’inventario risulta anche un altro Cristo, simile ma più piccolo. Ancora deve essere scoperto”.
– 19/11/2002
La passione dell’error mio. Carteggio di Michelangelo
“Il carteggio appare come uno zibaldone di assoluta sincerità ed essenzialità. E il lettore si stupirà della scarsa rilevanza che ha, nell’epistolario, l’esperienza artistica di Michelangelo.”
La passione di Tuena per Michelangelo già la conosciamo, l’abbiamo scoperta con un romanzo intenso, La grande ombra, il ritratto (fondato sull’epistolario dell’artista) di un uomo tormentato e forte, intimamente e intellettualmente irraggiungibile. Ecco ora un’opera strettamente documentaria in cui l’autore presenta una selezione delle lettere scritte e ricevute da Michelangelo negli anni tra il 1532 e il 1564, un periodo di intensa vita artistica e intellettuale per il nostro Paese. “Il carteggio di Michelangelo è il carteggio di un uomo di grande intelligenza e di grande economia: non spreca né pensieri, né carta o inchiostro. Scrive soltanto quello che serve, non una riga in più”, ed è davvero emozionante leggere le missive di un uomo come lui al centro della vita culturale dell’epoca, accompagnate poi dalle risposte di personaggi come Vasari. In questo libro, infatti, “il numero di lettere scritte da Michelangelo è di poco inferiore a quello degli altri corrispondenti. Non è quindi un libro solo su Michelangelo. L’obiettivo è più ambizioso: analizzare Michelangelo in relazione ai suoi contemporanei”. E darne un ritratto “vero”, non mediato da interpretazioni e non legato esclusivamente alla sua attività artistica. Il ritratto di un uomo che, inevitabilmente, ci colpisce per la sua personalità straordinaria.
– 18/11/2002
Filippo Tuena. La passione dell’error mio.
La passione dell’error mio è il secondo libro che lo scrittore romano Filippo Tuena dedica a Michelangelo, dopo la precedente biografia La grande ombra. Due testi di grande valore storico e documentaristico, ma che possiamo tranquillamente leggere come due godibilissimi momenti narrativi, per la forza, il calore, l’originalità che l’autore conferisce alla materia del suo racconto.
La tormentata e geniale esistenza di Michelangelo, i suoi difficili amori, le difficoltà quotidiane, la diversità, l’incomprensione dei suoi contemporanei. E soprattutto la lotta con l’angelo della creazione, le riflessioni spirituali, tutto rientra nel quadro di un ritratto umano di grande bellezza e maestosità.
Ci si chiede: chi fu davvero Michelangelo? Quali furono i meriti principali della sua figura storica, se Kant rintraccia nella vita di quello che rimane il maggiore tra gli artisti italiani del Cinquecento il primo, assoluto esempio di esistenzialismo?
Michelangelo scavalcò il suo e il nostro tempo, gettando il ponte verso il futuro dell’arte e dell’individualità. Cercò di essere libero oltre ogni misura, nella vita e nel pensiero, e le sue lettere rimangono quanto di più alto e di più elegante la prosa cinquecentesca possa annoverare tra i suoi innumerevoli esempi.
Pittore, scultore, scrittore, poeta, scenografo, il padre della Sistina ci consegna l’esempio di uno spirito libero e ribelle che non conobbe definizioni e confini. La scrittura di Filippo Tuena compie un prodigioso recupero e ci offre la vita dell’artista come un romanzo umano di grande fascino e bellezza. Ritornano gli echi del tempo, la vita della strada, la Roma del Rinascimento e soprattutto gli scambi intellettuali con artisti come Cellini, Vasari, Ammannati, Aretino e Angelini.
A corredare il tutto, le bellissime tavole in carta lucida contenenti i progetti delle Cappelle Sistina e Paolina, i bozzetti per la tomba di Giulio II, progetti e disegni che rimangono alla base di un’esperienza creativa senza limiti e senza tempo, all’insegna del genio e della volontà di lasciare un segno nel mondo.
– 11/11/2002
Michelangelo un tipaccio neoplatonico
Attraverso le sue lettere il ritratto di un genio che non sapeva vivere
«Il carteggio di Michelangelo si compone di circa millecinquecento lettere tra quelle che scrive e quelle che riceve; poi ce ne sono altre cinquecento circa del nipote o di amici e di artisti che parlano di lui. Molte altre sono andate distrutte. I falò che quasi novantenne alimentò con le lettere di cui era geloso, con i disegni più rivelatori e i progetti inattuati, denunciano il desiderio di nascondere goffaggini, errori, malintesi». Lo scrittore e critico d’arte Filippo Tuena nel saggio introduttivo al carteggio di Michelangelo Buonarroti intitolato «La passione dell’error mio» (Fazi, 227 pagine, 18.50 euro), che riunisce una scelta di missive dal 1532 al 1564, sostiene che pur «senza avere la complessità strutturale dei grandi capolavori figurativi del maestro, l’epistolario michelangiolesco condivide con essi la materia d’indagine: le radici del pensiero occidentale». Si tratta di «un materiale magmatico, incandescente e frammentario, ma, soprattutto, evocativo e fulminante». Uomo di grande intelligenza e molto economo, Michelangelo non sprecava mai né pensieri né carta: scriveva l’essenziale ad artisti e potenti, familiari e amici. Scritte nell’arco di più di trent’anni – dall’ultimo soggiorno romano, quando l’artista era impegnato nel «Giudizio Universale» e nella fabbrica di San Pietro, alla vecchiaia – queste lettere che trattano di argomenti pratici quotidiani tracciano un affresco inedito del Rinascimento e un ritratto appassionante del grande scultore. «Delle circa seicento lettere a disposizione – mi dice Tuena – ne ho scelte solo un centinaio, perché attraverso di esse volevo raccontare una storia ; perciò ho privilegiato quelle che parlano della passione di Michelangelo per Tommaso de’ Cavalieri, della morte del suo collaboratore Urbino e del conseguente senso di vuoto che l’artista prova, e del rapporto con Firenze, col potere».
Da dove ha desunto il suggestivo titolo del libro?
«La parola passione è quella che ricorre più spesso nelle lettere di Michelangelo, intesa sia come passione d’amore, sia come sofferenza, o come difficoltà nel lavoro. La frase “non mi rimane che la passione dell’error mio” la scrisse dopo essersi reso conto che un pezzo di San Pietro andava buttato giù».
Dove affondava le radici il pensiero occidentale di Michelangelo?
«Nella sua formazione fiorentina e quindi neoplatonica. Alla fine del Quattrocento c’erano due scuole di pensiero, quella aristotelica che era più padovana e bolognese, e quella platonica che era fiorentino-romana. C’è molto di platonico anche nel suo senso di lontananza dal divino: Michelangelo lavora per la gloria di Dio, ma è cosciente che Dio lo ignora. Prega, ma con spirito disilluso, come ultima speranza».
Che tipo d’uomo emerge dalle lettere?
«Un uomo solitario e scontroso, perché il suo desiderio di condividere la propria esperienza non trova riscontro nel prossimo. Michelangelo è sempre disposto alla comunicazione, ma è molto raro che questa comunicazione si instauri, perché i suoi interlocutori sono più superficiali, meno profondi di lui. Molto spesso egli è frainteso, e da lì nasce la sua rabbia, il suo impulso a isolarsi. Non è disponibile se intuisce che l’interlocutore per qualche motivo non è sincero. Questo avviene in particolare con i potenti o con coloro di cui sospetta che gli stiano accanto solo per interesse. Così alla fine ha rapporti più stretti con persone umili come i suoi servitori, con i quali non deve stabilire un rapporto intellettuale. Con Tommaso de’ Cavalieri, per esempio, ebbe un periodo di grande contrasto, forse perché l’amico non corrispondeva più all’ideale che egli si era creato. Con i servitori questo non avveniva, perché si trovavano su un gradino più basso e il rapporto era meno coinvolgente. Per Urbino, però, pur trattandosi di un servitore, ebbe un intenso affetto: quando morì, Urbino era con lui da vent’anni, e Michelangelo ne conosceva la moglie e i due figli che considerava dei nipoti. Era una famiglia acquisita alla quale teneva molto».
Insomma, un uomo che aveva una certa difficoltà di rapporti.
«Sì, come ci rivela l’epistolario, Michelangelo aveva rapporti conflittuali col potere, sia col Papato per via di tutti i problemi con la fabbrica di San Pietro, sia col Duca della sua città, Firenze. Quanto agli altri artisti, non erano alla sua altezza sotto il profilo speculativo. Lo stesso Vasari, per quanto fosse un grande artista, non aveva la profondità di pensiero di Michelangelo. Col nipote discute di questioni amministrative, spesso con un certo disagio. Forse vi fu un’intesa cordiale con Vittoria Colonna: ma le lettere che ci sono rimaste non sono sufficienti per illuminare la natura di quel rapporto, anche perché le più belle, quelle sostanziali, probabilmente furono bruciate da Michelangelo».
Cosa lo frenava soprattutto nell’instaurare dei legami?
«Il timore di essere frainteso. Il malinteso, di qualunque genere, lo irritava. Scriveva in modo essenziale ed efficace per non essere frainteso, e di certo parlava anche così. Da una lettera si evince che il nipote e altri lo sollecitavano a ritornare a Firenze, e lui risponde: vi avevo già detto che per un anno non avrei potuto muovermi, ma voi insistete perché ritorni. Fra le righe si legge una forte irritazione. In campo artistico, poi, non sopportava faciloni e cialtroni».
L’unico artista con cui andava d’accordo pare fosse il Cellini.
«C’era una stima reciproca fra loro, anche perché vivevano lontani. Se fossero vissuti nella stessa città, col carattere che entrambi si ritrovavano, avrebbero avuto certamente dei contrasti. Ma risiedendo l’uno a Firenze e l’altro a Roma, non avevano occasioni di attrito, di concorrenza. Cellini lo stimava molto e questo lusingava Michelangelo, anche se lui sapeva scegliersi gli adulatori. Con Raffaello, invece, all’inizio del Cinquecento, facevano a gomitate. Due galli in un pollaio non vanno mai d’accordo».
Perché il Vasari voleva che Michelangelo tornasse a Firenze?
«Non credo che il Vasari desiderasse davvero un suo ritorno a Firenze. Vasari, tipico artista rinascimentale legato alle committenze e al potere, scrisse le lettere che invitavano lo scultore a tornare a Firenze per volontà del Duca, ma un ritorno di Michelangelo sarebbe stato controproducente per lui, perché gli avrebbe fatto ombra. Di invidia ce n’era parecchia. In alcune lettere del Vasari all’indomani della morte di Michelangelo egli assume chiaramente i modi del grande fiorentino, ne imita il carattere. Anche lui parla di un nipote cialtrone che non sa come gestire, e a proposito della volta del Duomo di Firenze dice “la mia cupola”, quasi a paragonarla a quella romana di Michelangelo, con la differenza che la sua dev’essere solo affrescata, l’altra invece era una costruzione di ingegneria complessa. Morto Michelangelo, insomma, il Vasari tentò di prenderne il posto».
– 03/11/2002
Michelangelo. Nelle lettere il colloquio con il mondo
FILIPPO Tuena cura e commenta una scelta di lettere di Michelangelo tra il 1532 ed il 1564, vale a dire gli ultimi trent’anni di vita. Pur senza possedere la complessità strutturale dei capolavori figurativi, le lettere michelangiolesche ne condividono la materia d’indagine: le radici del pensiero occidentale. Magmatico, incandescente e frammentario, il materiale di questo epistolario è sovrattutto evocativo e fulminante. Attraverso il contatto epistolare, il maestro cerca il contatto con il mondo, un contatto difficile e talvolta doloroso con interlocutori, famigliari, come il nipote Leonardo, oppure con i grandi artisti e mecenati come Giorgio Vasari e Cosimo de’ Medici.
– 24/10/2002
Ecco… Michelangelo: Serata del Roncalli con Filippo Tuena
Michelangelo Buonarroti approda a Vigevano. A portare in città una parte della storia e della vita dell’artista è la Fondazione Opera Pia Roncalli. L’iniziativa culturale, promossa nell’ambito delle celebrazioni del venticinquesimo anniversario di istituzione dei corsi serali di pittura e ceramica proposti dall’ente, si terrà domani (venerdì 25 ottobre), con inizio alle ore 21 (affluenza pubblico a partire dalle ore 20,30), presso la sala dell’Affresco del Castello sforzesco.
Alla “Serata Michelangelo”, organizzata dal Roncalli e dall’assessorato alla cultura del Comune, sarà presente il curatore dell’evento, lo scrittore Filippo Tuena, che proporrà una lettura scenica di brani tratti dai libri “La grande ombra” e “La passione dell’error mio. Il carteggio di Michelangelo” di Fazi Editore. Il programma della serata, oltre alle letture michelangiolesche, prevede l’esecuzione da parte della Camerata polifonica di Milano diretta da Giuseppe Reggiori, di tre madrigali (“Come harò donque ardire”, “Deh dimm’amor se l’alma di costei” e “Io dico che fra voi potenti dei”) su testi di Michelangelo e musicati da Bartolomeo Tromboncino e Giacomo Arcadelt.
Tra musica e lettura di brani si potrà così scoprire il Michelangelo meno conosciuto al grande pubblico. Un Michelangelo che, ne “La grande ombra” viene raccontato da Tuena nei suoi ultimi anni di vita. Uno dopo l’altro, interrogati dallo scrittore-cronista-detective, sfilano davanti al lettore i tanti personaggi (dai domestici di Buonarroti ai suoi amanti romani e fiorentini, dai mecenati illustri ai pochi amici sinceri al fidato servo) che conobbero da vicino il suo genio e raccontano la propria versione, il proprio personale coinvolgimento nella storia michelangiolesca, il proprio parere: sono voci di testimoni fuori dal tempo, alcuni viventi durante la “deposizione”, altri richiamati “in assenza di tempo e di spazio” a lasciare la propria voce di omaggio al grande artista scomparso. “La passione dell’error mio. Il carteggio di Michelangelo” focalizza invece, il periodo che va dal 1532 al 1564, gli anni dell’ultimo soggiorno romano, gli anni del Giudizio Universale, della Cappella Paolina, della fabbrica di San Pietro, gli anni della vecchiaia e dei dubbi. Il commento, puntuale per quel che riguarda le notizie storiche, è di piacevolissima lettura, accessibile al curioso e allo stesso tempo ricco di notazioni artistiche, e accompagna il lettore passo passo, sciogliendo dubbi e difficoltà di lettura, mostrando come proprio il carteggio sia non solo la base principale per la conoscenza di Buonarroti ma anche la più accessibile, per l’essenzialità e l’immediatezza che caratterizza la prosa michelangiolesca. Tra il centinaio di lettere trascritte, si trovano quelle che testimoniano la sua passione per il giovane Tommaso de’ Cavalieri; quelle che descrivono la terribile prostrazione dell’artista dopo la morte dell’Urbino, il suo fido collaboratore; quelle che ricostruiscono la complessa manovra diplomatica che doveva portare Michelangelo a Firenze a lavorare per il duca Cosimo.
Filippo Tuena è nato a Roma nel 1953. Per Fazi Editore ha pubblicato nel 1999 “Tutti i sognatori”, vincitore del Superpremio Grinzane Cavour per la narrativa italiana, “La grande ombra” nel 2001 e “La passione dell’error mio. Il carteggio di Michelangelo” nel 2002.
L’iniziativa di domani sera conclude le celebrazioni del Roncalli, iniziate a giugno con la la mostra collettiva degli allievi che, in questi venticinque anni, hanno seguito le lezioni serali di pittura e di ceramica istituite nel 1977.
– 22/10/2002
Con Filippo Tuena negli anni bui di Michelangelo
Filippo Tuena, ex antiquario, storico d’arte e scrittore, torna a rendere omaggio a Michelangelo.
L’anno scorso gli aveva dedicato un suggestivo romanzo, La grande ombra, che ripercorreva gli anni del suo soggiorno romano fino alla morte, chiamando a parlare dei suoi capricci e delle sua angosce allievi, parenti, servitori e committenti.
Ora completa la rivisitazione raccogliendo e pubblicando per lo stesso editore un’antologia del suo carteggio mirata su quello stesso periodo, tra il 1532 e il 1564. Centoundici lettere scritte o ricevute da Michelangelo che portano in scena lo stile asciutto, i dubbi, le fobie, il carattere aspro, gli amori e le antipatie del più geniale maestro del Rinascimento.
Ma lasciano ampio spazio all’autore della raccolta per orientare la lettura con le bussole di una ricostruzione molto personale del personaggio e dell’epoca in cui è vissuto. Partendo dall’ampia prefazione che non si limita a mettere in luce il valore letterario delle lettere di Michelangelo ma sottolinea il senso di fallimento che domina la vecchiaia dell’artista, le sfide perdute e i compromessi che segnano la fine delle grandi illusioni del Rinascimento. E proseguendo con le ampie chiose che accompagnano ogni lettera, inquadrando gli interlocutori e illustrando il ruolo che occupano nella biografia di Michelangelo.
Tra tutte spiccano in particolare le figure di Tommaso Cavalieri, il giovane di cui Michelangelo s’invaghisce, e di Cosimo de’ Medici, il duca che cercò invano di richiamarlo a Firenze.