Ludwig Klages - Stefan George

L’anima e la forma

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Collana:
Numero collana:
5
Pagine:
156
Codice ISBN:
9788881120031
Prezzo cartaceo:
€ 9,00
Codice ISBN ePub:
9788864119878
Prezzo eBook:
€ 4.99
Data pubblicazione:
01-03-1995

Testo tedesco a fronte
A cura di Giampiero Moretti e Pietro Tripodo

L’anima e la forma è l’incontro fra l’esperienza vitale dell’anima e la forma che essa tende ad assumere nel verso poetico. I canti del sogno e della morte (1899) di George possiedono una lacera sonorità marmorea. Nella lettura che ne dà Ludwig Klages, nel famoso saggio qui pubblicato, si mostra il senso di un enigma: l’intimità logorante eppure inesauribile di George con i propri amici.

L’ANIMA E LA FORMA – RECENSIONI

 

Marino Freschi, IL MESSAGGERO
– 01/10/1996

 

Il simbolismo rivive nei canti di Stefan George

 

Considerato il principale poeta tedesco del primo Novecento, Stefan George (1868 – 1933) é stato il massimo rappresentante del simbolismo tedesco ed anche se la sua poesia non riscuote più vasti consensi, essa resta una delle tappe fondamentali della lirica della nostra epoca. La sua poesia é strutturata su una estetica rigorosa, che il poeta accentuava amandosi circondare da una aura liturgica e ieratica. Ora l’editore Fazi pubblica il volume “L’anima e la forma” (151 pagine, 18,000 lire) a cura di Giampiero Moretti e Piero Tripodo con il ciclo poetico “I canti del sogno e della morte”, introdotto dal lungo saggio su George del filosofo Ludwig Klages (1872 – 1956). Sono due testi esemplari dell’irrazionalismo contemporaneo, che reclamava il primato dell’arte sulle altre attività spirituali.

 

Enzo Siciliano, L’ESPRESSO
– 06/02/1995

La poesia

Omosessualità, la sua musa

 

Voltare in italiano i versi di Stefan George è impresa tutt’altro che semplice. L’orfismo del grande poeta tedesco, che raccoglieva l’esperienza romantica di Novalis e l’esperienza simbolista dei francesi illuminandole di bagliori nietzscheani, non trova accesso facile nella nostra lingua. La sua verticalità, la sua densità non hanno corrispettivi credibili nella scioltezza italiana. E’ senza dubbio meritoria l’opera di Pietro Tripodo cui si deve la versione dei “Canti del sogno e della morte”. Tripodo ci cala nell’estatico paesaggio di George dove la natura e soggettività vanno a formare un’esperienza lirica di crescente densità. Arte trasfigurante con la quale si vuole scoprire una ragione nell’onirico – George volle essere il profeta di una stagione poetica i cui connotati criptici andava confermando di verso in verso. Il contenuto psicologico è spesso l’omosessualità; il contenuto metafisico si indirizza a un superamento di ogni psicologia per raggiungere una presupposta artisticità liberatrice. Il volume si completa con un saggio di George del critico e amico Ludwig Klages. Ce ne illustra le ragioni la postfazione di Giampiero Moretti. Partecipi di una medesima idealità, George e Klages ruppero poi il sodalizio: George inseguendo la propria visione apollinea e stilistica, Klages non perdendo di vista una trama di realtà, o il mistero dionisiaco, di necessità presente – egli sosteneva – in ogni ispirazione poetica. Il contrasto é di sicuro interesse, in specie se confrontato ad alcune seduzioni spiritualistiche che vanno affacciandosi presso alcuni nostri scrittori, critici e poeti, di giovane leva. Contro il puro stilismo di George per il quale la forma è astrazione ritmica o astratto concerto di segni, il richiamo di Klages all’ineliminabilità del dato naturale, è di indubbia suggestione, pur tenendosi fedele il critico alla necessità che il poeta, come scrisse, “mediti l’inaudito”.

 

Roberto Carifi, IL GIORNALE

 

Il carissimo nemico Stefan George

Nella Germania di inizio secolo due visioni del mondo a confronto nella scia di Friedrich Nietzsche e Johann Jakob Bachofen

Per anni un ingiustificato ostracismo ha pesato sulla figura e sull’opera di Ludwig Klages, forse per l’inaccettabile giudizio di Gyorgy Lukàcs che vi vedeva la “preparazione dell’imminente reazione barbarica”, oltre che per gli insulti di Theodor W. Adorno, che ironizzava sullo “zelante apologeta del sacrificio”. Il maldestro tentativo successivamente operato di recuperare Klages in chiave materialistica e freudiana ha prodotto danni anche maggiori, in ogni caso tradendo una riflessione ricca e complessa interamente protesa alla ricerca dell’anima originaria del mondo. Klages è un pensatore scomodo, avverso come pochi al destino nichilista della civiltà occidentale, accostabile a Oswald Spengler per energia profetica e anticipatore di Martin Heidegger nella critica radicale al dominio della tecnica. Vicino al poeta Stefan George, fino alla rottura avvenuta tra il 1903 e il 1904, Klages rappresenta, rispetto ai gheorgiani di stretta osservanza, il versante pagano e dionisiaco dei cosiddetti Cosmici, accanto alle figure di spicco come Alfred Schuler e Karl Wolfskehl. Lontano da certe suggestioni cristiane presenti all’interno del circolo di Stefan George, Klages recupera soprattutto il pensiero di Friedrich Nietzsche e di Johann Jakob Bachofen, sviluppando una forte difesa dell’anima e delle forme in opposizione al freddo spirito che ha finito per soggiogare e disperdere le energie vitali. Il dionisismo nietzschiano si carica di connotati spersonalizzanti e metamorfici, dove “la perdita di sé per lacerazione” configura un estatico superamento dell’io e della coscienza. Recuperare il momento “pelasgico” della storia umana, rappresentato dalla vita dell’anima e dalla ininterrotta fusione con il flusso cosmico, è il compito che Klages assegna all’eros della lontananza, allo sguardo rivolto verso la profondità della terra, delle forze matriarcali e telluriche. E’ qui che si colloca l’adesione klagesiana all’opera di Bachofen, a quello straordinario Matriarcato che individua nel femminile la “poesia della storia”, uno stadio della civiltà non ancora sottoposto alle leggi dello spirito. Il principio materno di Bachofen, l’idea della madre tellurica che incarna il diritto primordiale opposto al diritto spirituale paterno, designa proprio la zona dell’anima cara a Klages, il “sentire e l’esperire stesso della vita” che avvengono “in virtù e nel processo del contemplare”. Tale estaticità e apertura nei confronti del mondo e del suo fluire è la chiave della interpretazione che Klages dette della poesia di George in un saggio del 1902, ora proposto in L’anima e la forma, a cura di Giampiero Moretti e Pietro Tripodo (Fazi). Seguito da I canti del sogno e della morte, poesie di George comparse per la prima volta nel 1899 e ben tradotte da Tripodo, il saggio di Klages è un documento importante del suo difficile rapporto con il poeta. Il nucleo della rottura va cercato paradossalmente nelle argomentazioni che Klages utilizza per esaltare il maestro, la convinzione cioè che la sua poesia costituisca un ritorno al “mondo sotterraneo materno”, l’Untelwelt nei cui confronti George rivendica invece la priorità della luce: “Ma patria tutti noi resta la luce,/ cui noi torniamo su contorte vie”. Klages considera George un poeta della “Urheimat der Seele”, della patria primordiale dell’anima, e questo nonostante la spiritualità che in George, come osserva Moretti, “non viene mai meno”. Comunque stiano le cose in ordine al distacco consumatosi tra i due personaggi, peraltro troppo geniali per restare accanto senza contrasti il saggio di Klages costituisce un’appassionata difesa della “condizione primordiale” che la sovraccrescita della civiltà ha distrutto da quando “le dee vendicatrici chiusero per sempre dietro di sé i cancelli del sotterraneo mondo materno”. Oggi non ci sono più divinità vendicatrici, ma solo cecchini di piccolo calibro, nemici del destino e delle forme. Si leggano, questi necrofori della cultura, le seguenti parole di Klages: “Senza l’ebbrezza la coscienza parla una lingua morta, nella quale i suoni si sono ridotti a concetti mummificati. […] Poiché non sono le parole le sole a morire, è la nostra anima a morire con loro.

 

Alain de Benelet, IL GIORNALE

Grafolog, saggista, poeta: torna l’opera eclettica di un genio dimenticato del Novecento

Scritture senza segreti

La psicologia antirazionalista di Ludwig Klages

Nietzsche, Wagner, Beethoven, Karl May, Schliemann, Bernouilli… Sono alcuni dei personaggi esaminati da Ludwig Klages nelle Perizie grafologiche su casi illustri (Adelphi), che ripropongono un autore importante nel movimento delle idee del XX secolo, che è stato trascurato negli ultimi decenni. Fondatore nel 1897 (con Hans Busse e George Meyer), della società grafologica tedesca, convinto che l’invenzione della scrittura segni l’ingresso di un popolo della storia. Klages confuta la tesi secondo cui la causa della scrittura sarebbe da cercare nel carattere. Secondo lui, la scrittura è un’autentica immagine descrittiva della struttura della mente. Una struttura eminentemente ritmica: “La vita si esprime e si manifesta attraverso il ritmo”. Il lavoro del grafologo consiste dunque nell’apprezzare il “livello di forma” della scrittura, che dovrebbe riflettere il livello di vitalità dell’anima individuale…. Nato ad Hannover il 10 dicembre 1872, l’anno in cui Friedrich Nietzsche pubblica il suo libro sulle origini della tragedia greca, nel 1893 Klages si trasferisce a Monaco, dove si laurea in chimica. In quel periodo entra nel circolo di poeti e scrittori riunito attorno a Stefan George. Proprio su di lui scriverà la sua prima opera, ora tradotta in L’anima e la forma (Fazi), insieme con le poesie di George “I canti del sogno e della morte”. I rapporti tra i due si guastano presto. Klages rimprovera a George di abbandonarsi a un estetismo senza rigore e di concedere troppo al pensiero cristiano. Lui invece si richiama al politeismo pagano, d’accordo con uno dei suoi amici più stretti, il poeta Alfred Schuler, ispiratore dei Sonetti a Orfeo di Rainer Maria Rilke (ne esistono sul mercato due edizioni di Studio Tesi e Feltrinelli). Klages e Schuler fondano un loro circolo, la Kosmiche Runde, cui si troveranno associati, direttamente o indirettamente, autori diversi come Nietzsche, Ibsen, e Bachofen. In quegli anni Klages ha contatti con parecchie personalità: sotto il nome di Meingast figura perfino nell’ Uomo senza qualità di Robert Musil (Einaudi). E di allora anche l’amore fra Klages e Franziska Reventlow, autrice del Complesso del denaro (Adelphi) e Da Paula a Pedro (La Luna): è sorella di Ernest, che dal 1933 dirigerà con Jakob Wilhelm Hauer il Movimento della fede tedesca. Nel 1905 Klages organizza, all’Università di Monaco, un seminario di scienza dell’espressione, che nel 1919 trasferirà a Kilchberg, presso Zurigo, dove passerà il resto della vita. Nel 1917 pubblica il primo libro di grafologia che in italiano uscirà nel 1982 col titolo La scrittura e il carattere (Mursia). Se si guadagna da vivere come grafologo, Klages scrive anche diversi testi di “scienza del carattere”, termine che questo deciso avversario del freudismo preferisce a quello, per lui troppo confuso, di “psicologia”. L’opera più importante di Klages. Der Geist ais Widersacher der Seele, in tre volumi, appare fra il 1919 e il 1932: nel 1990 il terzo è stato tradotto col titolo I Pelasgi (ed. Tempi Moderni). Si tratta di un vasto affresco storico-politico inperniato sull’opposizione tra anima e spirito, in parte corrispondente all’antagonismo fra Kultur e Zivilisation. Per Klages l’anima è il principale elemento di ogni pensiero biocentrico, così come lo spirito è il motore del pensiero logocentrico. Spettano all’anima l’inconscio, il mito, il simbolo, l’immaginario delle origini. Tornano, qui, tutti i temi del romanticismo tedesco, in particolare quelli di Jean Paul e Novalis. Già Goethe diceva: “il sentimento è tutto”. Ma Klages è molto attento anche a scienziati e mistici come Oken, Baader, Gorres, C. G. Carus o Gotthilf Heinrich Schubert. Lo spirito (detto anche intelletto) si pone invece come nemico di ciò che è vitale: disincanta il mondo, spezza il legame che unisce l’uomo al cosmo, sostituisce il concetto all’immaginazione, diffonde il razionalismo, impoverisce il pianeta, (a partire dal 1913, con Mensch und Erde , Klages professa un ecologismo ante litteram), insomma riduce la vita a una cosa e gli uomini ad oggetti. Negli ultimi due millenni, dunque, le forze dello spirito hanno progressivamente soffocato quelle dell’anima. Klages non disdegna una concezione “orgiastica” dell’esistenza. Sottolinea anche l’importanza delle immagini, la cui percezione suscita impressioni immediate e simultanee, contrapposte al concettualismo analitico e riduzionista dello spirito, che tende sempre a dissolvere l’unità fondamentale di corpo e spirito: “Vita e immagine – scrive – sono i due poli della realtà”. L’imperativo categorico Kantiano, invece, sarebbe un esempio tipico di “negazione categorica della vitalità”. Su Nietzsche, Klages è diviso. Se approva calorosamente l’autore di Zarathustra perché oppone la figura di Dionisio al “Crocefisso”, non gli risparmia critiche in merito all’Oltreuomo e alla Volontà di potenza, che Klages definisce “avanzi di socratismo” e che denuncia come temi destinati a legittimare oggettivamente militarismo e capitalismo… Klages muore a Kilchberg il 29 luglio 1956. Chi ne ha studiato l’opera, in particolare Max Scheler, ne ha sottolineato l’influenza sul pensiero di Carl Gustav Jung. Altri ne hanno notato il ruolo nella scoperta dell’Es freudiano. Gli argomenti cari a Klages spesso sono stati accostati anche a quelli di uno scrittore anglosassone come David Herbert Lawrence. E poi ci sarebbero molte filiazioni da individuare. Il pensiero di Klages è troppo ricco perché lo si possa dimenticare.

 

Mario Bernardi Guardi, PAGINE LIBERE
– 01/01/1996

 

Klages l’anti-Brecht

 

“Mentre in Dilthey la tipologia antropologica era ancora subordinata alla scienza obbiettiva, mentre in Jaspers è già posta al di sopra di questa, in Klages significa un attacco frontale contro lo spirito della scientificità, contro la parte che la ragione, la conoscenza, lo spirito hanno sostenuto e sostengono in tutta l’evoluzione dell’umanità”. Così parlò Lucàcs nella “Distruzione della ragione”, un terroristico libello intellettuale che, fino a un paio di decenni fa, serviva a individuare e a circoscrivere la minaccia dell’irrazionalismo. E cioè a demonizzare tutti quegli scrittori che la ‘vulgata’ marxista definiva come ‘fascisti’. Un’operazione che finiva col ‘crocifiggere’ gran parte della cultura tedesca del Novecento, così pericolosamente suggestionata dai miti e dai riti della ‘Konsevative Revolution’. Ma oggi Lukàcs è quasi scomparso dagli orizzonti della critica, anche di quella ‘progressista’ che ha finito con il dimenticarlo, così come è avvenuto con Brecht, il cui santino è ormai affidato alle cure di Giorgio Strehler, cotonato custode di ogni sinistro didascalismo. Ed è così che gli immensi territori del pensiero germanico tra le due guerre sono riscoperti e percorsi da schiere di devoti. Curiosi di tutto: e come non potrebbero suscitare curiosità un saggio di Klages sulla poesia di Stefan George e una raccolta di liriche del grande poeta simbolista, alfiere di impervie avventure nell’estetica e nell’etica comunitaria ? La lettura consente di illuminare un paesaggio ricco di immagini plastiche e di cifre simboliche; la tensione conoscitiva si fa strada esplorando un substrato mitico in cui la sensualità vitalistica, l’ebbrezza visionaria, la limpida tessitura formale e il grande progetto di rifondazione metapolitica si coniugano fecondamente. E’ come se l’impalpabile evocazione si desse una disciplina e un destino, e il magico, nostalgico fluttuare di frantumi mitici si placasse nella lucidità di uno sguardo che intuisce e disegna. E che dire, poi, del ‘grafologo’ Klages ? Questo singolare filosofo, psicologo e scrutatore della parola scritta ( se ne possono trarre responsi ? Che cosa può dirci la calligrafia riguardo a un carattere, ai segreti di un’opera letteraria, a un destino ? ) nacque nel 1872, l’anno in cui Friedrich Nietsche pubblicò l’opera che lo avrebbe imposto alla perplessa attenzione degli ambienti accademici: ‘La nascita della tragedia’. Ed è a Nietzsche, come giustamente rileva Moretti, che l’interprete deve guardare se vuole accostarsi al nucleo del pensiero di Klages. E, del resto, come potrebbe prescindere da Nietzsche l’inquieto spirito del germanesimo, nelle sue variegate vesti ? Esistono, senza Nietzsche, George e Benn, Mann e Beumler, Spengler e Jünger, Schmitt ed Heidegger? Il rapporto di Klages col ‘padre di Zarathustra’ di cui viene esplorata la personalità insieme a quella di altri grandi come Wagner, Bismarck e Beethoven, è comunque segnato dalla polemica intellettuale: profeta di un radicale antispiritualismo perché cantore di una dionisiaca dimensione dell’ebbrezza come primordiale eros cosmico, poeta dell’anima che estaticamente si apre sull’eracliteo fluire delle immagini del mondo, Klages rimprovera al suo maestro di aver tradito le aperture paniche del dionisismo nella volontà di potenza, cioè nell’affermazione esaltata dell’Io. E questo condanna all’implosione un’anima per difetto di eros. Leggiamo – e di certo sono notazioni che fanno pensare: “Abbiamo qui a che fare con una personalità movimentata in ‘sé’, ma isolata dall’esterno, distanziata in modo singolare, essenzialmente asociale, interiormente solitaria (…). Le esperienze vissute da un simile carattere sono letteralmente sue e soltanto sue (…). Egli vive in sé, pur essendo costantemente eccitato e per così dire risonante. Brucia in sé e brilla di fredda fiamma che il minimo alito di vento fa però cambiare di colore (…). Come può un’eccitazione pressoché ininterrotta e spesso passionale conciliarsi con una sorta di immobilità ? La risposta suona così: l’essenza dello scrivente è profondamente idiopatica e niente affatto simpatetica! Non vi è nulla di più errato che scambiarne l’incessante vibrazione con i turbamenti degli uomini passionali, del quali egli è invece quanto di più opposto si possa pensare”. Un Dionisio tragico che finirà col volgere ‘dentro’ di sé ‘contro’ di sé le lame di una fiamma fredda, più devastante che illuminante ?

L’anima e la forma - RASSEGNA STAMPA

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