John Williams
Nulla, solo la notte
Traduzione di Stefano Tummolini
«Questa stanza è come la mia anima: sporca e disordinata». L’anima di Arthur Maxley è opaca, stretta nell’incertezza della giovane età e in una biografia familiare amara, dove la protezione dei genitori si è polverizzata quando era ancora un ragazzino. Arthur spende la giornata estiva che fa da cornice a questo romanzo breve a San Francisco; qui ci sono le feste di Max Evartz, dove si beve troppo, e l’amico Stafford Lord, sempre in ritardo e terribilmente lamentoso, un giovane viziato da sogni irrealizzabili. Ma non sono le frequentazioni quanto i pensieri ad affollare la mente di Arthur, frammenti di ricordi di un’infanzia che ha al centro una voragine, una madre perduta senza sapere quale sia stata la causa e un padre, uomo d’affari sempre in giro per i continenti, il quale proprio in questo giorno è in città e propone al figlio un incontro. Ed è allora che le parole non si trovano e quelle che vengono pronunciate sono troppo poche e deboli, in un dialogo che non concede nulla al rapporto tra un genitore e un figlio. È a partire da Luisant’s, un club immerso nelle strade della metropoli, che Arthur consuma la notte e la delusione, un cocktail dopo l’altro, con una donna che diventa compagna di solitudini e seduzioni.
Nulla, solo la notte è l’esordio letterario di John Williams, che, a soli vent’anni, raccontò la giornata di un giovane borghese della California, scrivendo forsennatamente nelle lunghe ore vuote che caratterizzarono la sua esperienza militare in India e Birmania nel secondo conflitto mondiale. Al rientro negli Stati Uniti riuscì, un anno prima di laurearsi, a far stampare il suo primo romanzo, queste prime pagine della carriera di un grande scrittore, osservatore lucido e sensibile della condizione umana, narratore puntuale delle sue fragilità.
«Una scoperta meravigliosa per tutti gli amanti della letteratura».
Ian McEwan
«Perfettamente scandito, completamente vero».
Julian Barnes
«La pulizia della scrittura di John Williams è così poco appariscente e simile alla lucentezza che resiste sui pavimenti bruniti di legno massello; la sua struttura è invisibilmente perfetta, come quel genere di case che non si è più capaci di costruire».
«The New Yorker»