Beryl Bainbridge
Ognuno per sé
Traduzione di Alessandra Osti
In occasione del centenario del naufragio più famoso della Storia contemporanea, torna in libreria Ognuno per sé, di Beryl Bainbridge, la grande scrittrice inglese insignita del Man Booker Prize alla memoria e vincitrice con questo romanzo del Whitbread Award. Ambientato sul Titanic negli ultimi giorni prima del disastro, Ognuno per sé racconta le reazioni dei passeggeri, metafora della condizione umana al cospetto dell’imprevedibile e dei limiti della tecnologia. Una storia di amore e morte, sull’istinto di sopravvivenza e sul senso di responsabilità nei confronti di altre vite umane.
Quando il 10 aprile 1912 si imbarca sul Titanic, Morgan ha poco più di vent’anni, un’infanzia trascorsa con uno zio ricco e dispotico, armatore del transatlantico, un futuro incerto davanti. Diviso tra un sentimento sottilmente snob verso la vita e un desiderio indefinito di fare grandi cose, Morgan affronta il viaggio inaugurale del Titanic verso New York pieno di speranze e progetti ambiziosi. L’incontro con alcuni amici di famiglia, tra cui la bella e distaccata Wallis di cui si scopre innamorato, e il misterioso Scurra, un affascinante avventuriero dal passato oscuro, lo porterà a mettere in discussione se stesso fino a perdere ogni punto di riferimento. Così in pochi giorni, attraverso una serie di piccoli avvenimenti e di insospettate e dolorose scoperte su Wallis e Scurra, Morgan conoscerà tutta la propria inadeguatezza e vedrà di fronte a sé, oltre la linea d’ombra che l’ha sempre accompagnato, la strada nuova da intraprendere all’arrivo in America. Ma durante la notte del 14 aprile il Titanic si scontrerà con un iceberg…
Beryl Bainbridge è nata a Liverpool nel 1932 ed è considerata una delle maggiori scrittrici inglesi del secondo Novecento. I suoi romanzi sono tradotti in numerose lingue e acclamati dalla critica. Oltre il Man Booker Prize alla memoria nel 2011, ha vinto nel 2003 il prestigioso David Cohen Prize e il Whitbread Award ben due volte, nel 1977 e nel 1996. Si è spenta a Londra nel 2010.
«Difficile immaginare un romanzo più avvincente sul naufragio del Titanic».
The New York Times Book Review
«Magistrale».
Masolino d’Amico, La Stampa
«La bravura di Beryl Bainbridge nel creare grandi storie è una delle meraviglie del romanzo moderno e questo bildungsroman sul mare esercita una malia oscura e fatale».
Kirkus Reviews
TITANIC
Un giovane Amleto di inizio secolo sul transatlantico
Inglese di Liverpool, sessantaquattro anni, Beryl Brainbridge ha un passato di attrice alle spalle ed è autrice di numerosi romanzi (due dei quali sono diventati film, “Un’avventura terribilmente complicata” di Mike Newell e “La sarta di Jim O’Brien”), racconti e drammi televisivi. Lavora esclusivamente nella sua casa di Camden Town dove armata di carta e penna dà vita alla prima stesura dei suoi libri seduta al tavolo della cucina per poi passare alla macchina da scrivere al primo piano, fino al computer dell’attico dove il manoscritto viene completato in guanti bianchi per non macchiarsi le dita di nicotina. Si tratta davvero di un personaggio fuori dalla norma una scrittrice assolutamente singolare che con uno stile semplice e compatto, incredibilmente potente disegna sullo sfondo di un avvenimento da tutti conosciuto, il disastro del Titanic, i diagrammi eleganti ed eccentrici dello spazio in cui si esplicitano i turbamenti della coscienza, i conflitti dell’anima e il passaggio all’età adulta del giovane Morgan, protagonista e voce narrante di “Ognuno per sé”, suo diciassettesimo romanzo, ottimamente tradotto da Alessandra Osti per i tipi di Fazi (pp. 200, L. 26.000). Lo scenario è per l’appunto quello del tragico viaggio inaugurale del famoso transatlantico. Tra mezzanotte meno un quarto del 14 aprile e le due e venti del 15 aprile 1912 “l’inaffondabile” Titanic, salpato da Southampton con destinazione New York, urta un iceberg e in meno di tre ore cola a picco. Dei 2.235 passeggeri che trasportava verso il nuovo mondo 1.500 persero la vita. Tra quelle persone non vi erano soltanto frotte di emigranti italiani, francesi, irlandesi, tedeschi, alla ricerca di un futuro migliore, ma facevano spicco anche i nomi illustri di John Astor, uomo ricchissimo, proprietario di grandi alberghi, Benjamin Guggenheim, magnate del rame, Isidor Straus, proprietario dei grandi magazzini Macy’s e Thomas Andrews, direttore dei cantieri navali Harland e Wolff, nei quali lo stesso Titanic aveva visto la luce. Ed è tra quei personaggi realmente esistiti nello spazio limitato del microcosmo del ponte di prima classe che la Bainbridge fa muovere i protagonisti frutto della sua fantasia. Ovvero, Morgan, appena ventenne, e i personaggi che nel corso di quel breve viaggio disastroso in qualche modo lo porteranno ad aggiustare la traiettoria della propria vita. Tra questi troviamo un sarto di Manchester una cantante lirica e il misterioso Scurra. Quest’ultimo “era una persona così stimolante, profondo senza essere oscuro, colto senza essere trito. Non sapevamo per certo quale fosse la sua professione. Io sostenevo che fosse un avvocato, ma mi rendevo conto che con le sue conoscenze e il suo sapere circa la pittura, l’economia e la politica, avrebbe potuto essere qualsiasi cosa (…) Forse era un medico però avrebbe potuto essere il proprietario di un giornale”. E proprio Scurra, già introdotto nel breve prologo e sul quale l’autrice fa cadere gran parte del peso della narrazione, che è un uomo dal passato enigmatico e dal presente ancora più ambiguo, nel pronunciare la frase “ancora non hai capito che ognuno è per sé ” riferendosi però alle preoccupazioni fondamentali dell’umanità, e dunque alle questioni legate all’amore e alla morte, costringerà Morgan a spalancare gli occhi, a mettere a nudo la propria coscienza e a trovare la forza necessaria per dare finalmente una svolta al proprio modo di essere. Sul Titanic sono stati scritti circa 3.000 libri, prodotti una decina di film, e forse anche di più, compreso lo strepitoso successo della più recente versione di James Cameron, il film più costoso nella storia del cinema ( 200 milioni di dollari) con 14 nomination agli Oscar e la creazione del mito Di Caprio. Ma questa della Bainbridge, però, non è una storia che sfrutta spettacolari effetti speciali o colpi di scena e neanche viene sorretta dall’intrigante melodramma che unisce amore e differenza di classe. È più semplicemente la storia straordinaria delle gioie e dei dolori di un ragazzo che giunto alle soglie dell’età adulta e dei tempi moderni s’interroga sul senso della propria vita, sull’amore e sulla fine. Un Amleto di inizio secolo, il superstite di un viaggio fatale, che col senno di poi racconta perfettamente, attraverso una lingua rigorosa e asciutta, pur tuttavia ricca di immagini e sensazioni, un momento di passaggio nella storia dell’uomo e del mondo, un ritaglio di tempo, uno squarcio di storia.
– 03/05/1998
Sul Titanic a lezione di vita e di morte
Ecco “Titanic”, ed è subito business. Il successo del film con il bel Di Caprio ha rilanciato anche i libri dedicati al disastro: Garzanti ha infatti appena ripubblicato Titanic La vera storia, scritta da Walter Lord nel ’55. Ma non si deve all’effetto del film il bel libro pubblicato da Fazi Ognuno per sé (201 pagine, 26.000 lire), scritto da Beryl Bainbridge due anni fa, quando ancora la moda non si era imposta. La scrittrice inglese (che con questo libro fu finalista del Brooker Prize e ottenne il Whitbread Prize) racconta i brevi, lunghissimi momenti della vita del transatlantico per bocca di Morgan, il giovane nipote dell’armatore, che impara più in quel viaggio che in tutto il resto della vita. Sarà infatti uno dei superstiti, e di quei giorni gli rimarrà la lezione che, alla fine, “ognuno per sé”. I suoi sogni e i suoi ideali si infrangono con realtà diverse: il cinismo dei personaggi della prima classe di quel viaggio inaugurale, il suo amore, così ingenuo e così disperato, per una ragazza che poi scopre essere per lui irraggiungibile, il suo contatto con la realtà (i camerieri) fino allora lontane dal suo. Insomma, un bel romanzo di formazione.
L’ultimo Titanic. Naufragio con ritmo.
La storia esemplare del Titanic naufragato per hubris (dal greco: cieca arroganza, incosciente sfida agli dei) durante il viaggio inaugurale viene di solito raccontata secondo uno schema che non fallisce: galleria di personaggi eterogenei riuniti per qualche giorno in un ambiente chiuso; tensioni, aspettative, speranze di vario genere; catastrofe finale che, per usare il termine di Totò, livella. Così molta fiction e tutto il cinema; fanno eccezione, in poesia, Thomas Hardy e Hans Magnus Enzenberger, per non parlare del celebre articolo tecnico di Conrad. L’ultimo film supercampione di incasso si rifà al cliché, anche se punta più sugli effetti speciali dell’apocalisse conclusiva che sull’idillio fra un giovane passeggero di terza classe e una giovane passeggera di prima, intorno al quale ruotano i non molti casi umani proposti. Come gli sceneggiatori di Hollywood, anche l’estrosa, prolifica Beryl Bainbridge sembra credere che in quelle navi chi viaggiava nella stiva potesse mescolarsi come e quando voleva coi privilegiati dei ponti e dei saloni, e ancora meno di loro ha spazio per quegli iloti che al momento del si salvi chi può non trovarono posto nelle scialuppe e i cui nomi non vennero nemmeno incisi nelle lapidi commemorative; anzi, la Bainbridge in terza classe non si affaccia nemmeno concentrando quella fauna in un solo esemplare, una donna alta e molto bella, che passeggeri di prima salvano quando, delusa dal mancato arrivo dell’amante, tenta prematuramente di buttarsi dalla murata.Per il resto la galleria di cammei dell’autrice inglese, pur improntata alla sua caratteristica concisione, é più ampia e interessante di quella inventata per lo schermo. Le giornate e le nottate di traversata del fatidico lunedì 15 aprile 1912 vivono nella rievocazione di un testimone speciale, un giovanotto di nascita illegittima ma allevato come un gentiluomo in quanto parente della potente famiglia Morgan, parziale finaziatrice della nave, nella progettazione della quale egli ha svolto qualche funzione minore.Questo giovanotto é nevrotico, impaziente, orgolgioso e insicuro, e durante il viaggio oltre a frequentare i coetanei del suo giro, bevendo, giocando a carte e facendo conversazione, é stranamente attratto da due personaggi anomali, un misterioso signore dalla cinica filosofia a nome Scurra, e un modesto sarto ebreo che sogna di diventare couturier – non si diceva ancora stilista -a New York. Il sarto si entusiasma della donna alta di cui sopra, trovando in lei la mannequin ideale per il vestito-capolavoro della sua vita; Scurra dal canto suo seduce l’altera debuttante di cui il ragazzo Morgan é timidamente innamorato, con grande delusione di questi, per cui il viaggio é peraltro un vero percorso di formazione, rivelatore dei particolari della sua nascita. Magistrale la Bainbridge risulta al momento del cozzo e di quanto segue, con una quarantina di pagine davvero ammirevoli per ritmo, intensità e precisione. La nave é considerata inaffondabile, quindi i passeggeri ricchi continuano fino all’ultimo a ridere e a scherzare sulle bizzarre tenute in cui sono usciti all’aperto, prima di finire in acque che, almeno a giudicare dalla disinvoltura con cui il protagonista ci nuota, sono meno gelide dell’occhio della narratrice.
– 11/01/1998
Titanic: letteratura meglio di Hollywood
Beryl Bainbridge, “Ognuno per sé”, Fazi, 1998, pagg. 206, lire 26.000
Non ci sono soltanto gli iper-romantici Jack e Rose cinematografici sul ponte del Titanic che affonda. La narrativa degli ultimi anni, anzi, è particolarmente generosa di rievocazioni romanzesche del più celebre e simbolico tra i naufragi del Novecento. Con un dato in comune: l’antipatia per i viaggiatori di prima classe, ridotti a semplici figuranti di una tragedia che di volta in volta vede protagonisti orchestrali e cameriere, quando non semplici emigranti. L’eccezione è costituita da “Ognuno per sé”, con cui un paio d’anni fa la scrittrice Beryl Bainbridge si é aggiudicata in patria il Whitbread Prize e che ora arriva in Italia nella traduzione di Alessandra Osti. Primo attore e voce narrante è infatti il giovane Morgan, rampollo delle più potenti famiglie della finanza americana. Educato nelle migliori scuole del mondo, il giovanotto ha in realtà trascorso l’infanzia in una condizione molto prossima alla miseria, fino a quando il potente zio, il celebre John Pierpoint Morgan, non ha deciso di reintegrarlo in quello che dovrebbe essere il suo milieu naturale.Anche se viaggia in prima classe, Morgan junior continua a sentirsi un clandestino della terza. La traversata inaugurale del Titanic sarà, per lui un vero e proprio viaggio iniziatico, dominato dalle presenze della bellissima e fatua Wallis e del suo amante, lo spregiudicato Scurra, un avventuriero nel quale l’orfano Morgan è tentato di individuare l’ambigua figura paterna.Un romanzo asciutto, capace di temperare l’apparente cinismo del titolo (“Ancora non hai capito che ormai ognuno é per sé?”, é l’amara considerazione con cui Scurra cerca di giustificare davanti a Morgan la squallida realzione con Wallis) con una pietas intessuta di osservazioni minime, particolari in apparenza irrilevanti che la sensibilità del narratore- protagonista trasforma in autentiche epifanie della tragedia imminente. La descrizione del naufragio, condotta in una tonalità distaccata e quasi dimessa, é un autentico capolavoro di sprezzatura. Da leggere tenendo in mente il kolossal di James Cameron per convincersi – una volta di più – che sul proprio terreno la letteratura non teme la concorrenza di niente e di nessuno. Neanche di Hollywood e dei suoi effetti speciali.
Transatlantica
Due romanzi (usciti in epoca non sospetta) prolungano l’effetto Titanic. E vanno a rimpinguare la già poderosa bibliografia sul fatale naufragio
Se siete veramente appassionate, vi conviene andare in edicola a chiedere “Il Leonardino” ovvero “Il gioranle di Leonardo Di Caprio”. Se invece rispetto al Titanic incominciate ad avvertire strani sintomi d’intolleranza, vi restano due possibilità: o non ne parlate proprio più, oppure, come antidoto per dir così omeopatico, decidete di abbassare il profilo mediatico, passando dalle luci di Hollywood alle raccolte penombre di un buon libro. La vicenda del Titanic ha sempre generato letteratura, spesso ottima: basti considerare il poema di Hans Magnus Enzensberger o il romanzo “Corale alla fine del viaggio” del norvegese Erik Fosnes Hansen. E’ talmente forte lo spessore metaforico di quel colossale naufragio della modernità, che gli scrittori (e non solo loro) continuano a esserne ispirati. Un libro importante (è stato finalista al Booker Prize e ha vinto il Whitbread) è il romanzo della scrittrice inglese Beryl Bainbridge “Onuno per sé” (FAzi, 202 pagine, 26 mila lire). Il titolo rinvia chiaramente alla fase finale della tragedia. Si tratta di una ricostruzione storica assai precisa, benché poi il libro (che è del ‘96) sia anche un’autentica “fiction”, che ha per protagonista (sopravvissuto) il nipote del miliardario americano John Pierpont Morgan, il quale in quella fatale traversata iniziata il 10 aprile 1912 consumerà un tempo mentale più lungo, quello di un romanzo di formazione: con un amore non ricambiato, le illusioni e le disillusioni cresciute nell bozzolo confortevole e fatuo di una vita agiata, nel giro (magnificament evocato) dei divini mondani di un’aristocrazia al suo fulgore; una classse che, come quel meraviglioso transatlantico, è attesa da prove perigliose. Tono diverso – più raccolto, più concentrato sulla personale traiettoria dei personaggi-chiave – ha un altro romanzo, “La cameriera del Titanic” del francese Didier Decoin (Marsilio, 304 pagine, 28 mila lire). Abbiamo qui una storia d’amore, quella tra Marie, la cameriera del titolo, e Horty, uno scaricatore di porto, i quali si conoscono a Southampton, scalo d’imbarco della nave. Caso vuole che i due debbano passare una notte nella stessa stanza d’albergo: nulla succede, ma nasce un sentimento, che in Horty si trasformerà in ossessione nel momento in cui avrà notizia del naufragio e non troverà il nome di Marie nell’elenco dei sopravvissuti. La sua vita cambia invasa dal ricordo: metterà su uno spettacolo, una povera scena in cui troneggia la gigantografia di Marie, porterà in giro “UNa storia drammatica sul naufragio del Titanic”. Il passo del libro (che è del ‘91) si fa ambiguo, visionario. Ma grosse sorprese ci attendono. E un finale poetico, non lieto.
Beryl Bainbridge, Ognun per sé
Le disgrazie attirano. Se avvengono in mare, ancora di più. I naufragi usciti dalla cronaca per entrare nell’arte e nella letteratura sono molti. Nel 700, Daniel Defoe prese spunto dalla storia vera del marinaio Alexander Selkirk per scrivere Robinsoe Crusoe. Nell’800, la chiatta di fortuna con cui 150 uomini cercarono di mettersi in salvo dopo il disastro della fregata Medusa ispirò a Géricault il colossale dipinto “La zattera della Medusa”. Il 900 ha il “Titanic”, celebrato definitivamente dal fim di James Cameron, campione di incassi dopo una lavorazione funestata da mille incidenti. Si parlava ormai di maledizione estesa dal transatlantico vero a quello finto. Due secoli non sono però trascorsi invano; Con Robinson trionfa l’ottimismo: un uomo solo, sull’isola sperduta, ricostruisce un’esistenza identica a quella che si è lasciato alle spalle, insieme al Titanic affonda la modernità, con la sua cieca fiducia nella tecnologia.Nel 1978 Hans Magnus Enzensberger scrive un poema in 33 canti: “La fine del Titanic” (Einaudi). Francesco de Gregori nell’album “Titanic” uscito nel 1982 dedica tre canzoni al disastro. La sciagura della nave che aveva osato sfidare gli dei dichiarandosi “inafondabile” è resa ancora più attraente dalla presenza a bordo di un tesoro: i gioielli dei ricchi passeggeri, conservati nella cassaforte. Se ne appropriano gli scrittori di genere: Arthur C. Clarke, che ambienta nel 2010 il recupero del relitto (Il fantasma del Titanic, Rizzoli) e Clive Cussler (Recuperare il Titanic!, Rizzoli). Sulla scia del film, Garzanti ha ristampato “Titanic-La vera storia”, che Walter Lord scrisse nel 1955 intervistando i superstiti; Per la maggior parte erano donne, e tutte dichiararono con civetteria di aver trovato posto “sull’ultima scialuppa”. Il libro rievoca le due ore e mezzo che precedettero l’inabissarsi del transatlantico, incredibilmente avvenuto tra il disinteresse generale, nonostante gli s.o.s. e i razzi di soccorso. Le molte navi che incrociavano nei dintorni rimasero dov’erano, in un intreccio di distrazione e fatalità perfetto per alimentare le fantasie attorno alla nave maledetta. (Le raccoglie – e le confuta una a una – Massimo Polidoro in “La maledizione del Titanic” Avverbi edizioni).E se il Titanic non fosse mai partito? Non è un esercizio di immaginazione, ma la tesi sostenuta dai giornalisti Robin Gardiner e Dan Van Der Vat nel libro intitolato “I due Titanic” (Piemme). Altro che disastro: fu una truffa colossale, esercitata ai danni delle assicurazioni, che non avevano viluto risarcire la Shite Star Line (proprietaria del Titanic) per un incidente subito dalla nave gemella l’Olympic. Nel bacino di carenaggio, fu facilissimo scambiare le placche con il nome delle navi, che per il resto erano quasi identiche. A partire fu in realtà la carcasssa danneggiata dell’Olympic, mentre il Titanic solcò i mari tranquillo e sicuro per altri vent’anni. Tra le prove: il miliardario John Pierpont Morgan, azionista della compagnia, decise all’ultimo momento di non imbarcarsi, puntando con la giovane amante verso la Costa Azzurra. La scrittrice Beryl Bainbridge fa salire sulla nave un nipote di quel Morgan, e lo mette al centro di un moderno romanzo di formazione: “Ognuno per sé” (Fazi). Il titolo rievoca le parole con cui il capitano Edward John Smith annunciò all’equipaggio che tutto era perduto. Mentre il sociologo Jean-Pierre Keller ci ricorda nel suo saggio che in questa fine secolo siamo tutti quanti “Sul ponte del Titanic” (Eleuthera), Didier Decoin costruisce sulla tragedia un altro romanzo: “La cameriera del Titanic” (Marsilio). Due racconti arricchiscono il panorama. In “L’uomo che portava felicità” di Jurg Federspiel (Marcos y Marcos 1994) ce n’è uno che si intitola “Il superstite” , salvato da una scappatella adulterina. Con perfidia Ernst W. Heine collega invece la mitica nave a un altro mito del nostro secolo: la psicoanalisi (A bordo del Titanic, Theoria 1994). Felice e beato, un uomo ringrazia il suo analista per avergli fatto passare la paura dell’acqua. Lo fa con un messaggio telegrafico inviato dal Titanic.
– 02/08/1998
Esce “Ognuno per sé” romanzo ispirato alla famosa tragedia, oggi tanto di moda
Sul Titanic a lezione di cinismo
Nel viaggio inaugurale del Titanic c’erano anche loro, i giovani rampolli dell’aristocrazia del danaro: cosmopoliti, eleganti, snob, condannati all’eccesso e alla follia. Il ritratto di questa gioventù dorata, incurante e ignorante, destinata a scomparire nell’oceano insieme al transatlantico, anima le pagine migliori del romanzo di Beryl Bainbridge “Ognuno per sé” (Fazi, pagg. 199, lire 26.000, tradotto da Alessandra Osti) che sarà da domani nelle librerie. Il naufragio della nave più fastosa del mondo continua ad affascinare la gente, come dimostra lo strepitoso successo che il film sta riscuotendo ovunque, e non c’è dubbio che questa fascinazione sia in parte dovuta al carattere anche simbolico che con il tempo quell’avvenimento ha assunto. Le élites del vecchio mondo che con incosciente leggerezza precipitano verso il baratro della guerra hanno trovato una rappresentazione perfetta in quell’orchestrina che continua a suonare per i facoltosi passeggeri mentre la grande nave già si sta inabissando. Il libro accentua senza pesantezza proprio questo aspetto, infatti del gruppo di giovani maschi della prima classe si salverà solo il protagonista Morgan, che, per nascita e per sue inquietudini morali, non appartiene completamente a quel ceto.“Ognuno per sé” è uscito in Inghilterra due anni fa e forse il film ne ha tratto ispirazione. Anche se le due storie centrali sono diverse, in entrambe c’è, all’inizio, il ritratto di una donna misteriosa. Nel film è quello della protagonista della storia d’amore, nel libro invece è la madre di Morgan, morta quando lui era un bambino e da lui amata-odiata per via di un passato sordido che a tratti affiora dal suo subcosciente come tessere incoerenti di un puzzle. L’infanzia cancellata del giovane verrà ricomposta nel suo disegno completo del racconto del misterioso e ambiguo Scurra, anche lui sul Titanic. Scurra, che guarda tutti attraverso i suoi spessi occhiali scuri e obbliga tutti a guardare “la squisita oscurità del mondo”, che ha il labbro tagliato non si sa se per un colpo di fioretto in un duello o per la beccata di un pappagallo, che ha la caratteristica sconcertante di non saper “conversare del più e del meno”, che seduce uomini e donne, obbliga Morgan a fare i conti con se stesso, con il suo passato e con quello che vorrà essere nel suo futuro e gli impartisce la fondamentale lezione: “Mio caro ragazzo – disse – Ancora non hai capito che ormai ognuno è per sé?”Beryl Bainbridge è una scrittrice molto popolare in Inghilterra e questo romanzo ha ottenuto premi e riconoscimenti meritati. Solo l’ultimo capitolo è dedicato al naufragio vero e proprio, ma fra colossali bevute di brandy e deliziose battute di spirito la temperatura della narrazione sale per tutto il libro fino al suo epilogo sinistro. Tuttavia il cuore del romanzo rimane il fitzegeraldiano ritratto di quelli happy few, non poi così happy: persone che sono andate alle stesse scuole alle stesse università, alle stesse scuole di scherma, hanno avuto gli stessi maestri di ballo, maestri di musica, insegnanti di latino, istruttori di tennis: “Potrei trovarne cinquanta o più che ho conosciuto per metà della mia vita e Dio sa quanti altri con i quali sono stato seduto a mangiare in metà delle capitali d’Europa” dice il protagonista “non c’è una fotografia scattata da qui al NIlo che non rappresenti almeno venti di noi allineati a guardare l’uccellino… la metà degli uomini più anziani qui ha persino avuto le stesse amanti”.Quella società in cui una ragazza può sposarsi perché si è innamorata delle ciglia del suo bel spasimante e il commento della ua più cara amica è: “Che cosa intelligente. Quelle, almeno, sono genuine di certo”.