Guillermo Arriaga
Pancho Villa e lo squadrone ghigliottina
Traduzione di Stefano Tummolini
Con grande passione e ironia Arriaga narra le gesta di questo “eroe per caso” – diviso tra i suoi ideali e le tentazioni della sirena della Storia – in una divertente e originale storia alternativa della rivoluzione messicana, con un’indimenticabile “interpretazione” di Pancho Villa.
Messico, primi del Novecento. Feliciano Velasco y Borbolla de la Fuente, geniale inventore, nonché dottore in Diritto e discendente da una famiglia di gran lignaggio, sogna, con la sua ultima invenzione, di ottenere finalmente la fama e la prosperità che merita. È lui, infatti, l’artefice della ghigliottina perfetta, la più efficiente, la più letale di tutta la storia. Insieme ai suoi assistenti, Juan Alvarez e Julio Belmonte, Velasco si presenta dal generale Francisco Pancho Villa – il cui esercito rivoluzionario è ormai temuto e riverito in tutto il paese – con l’intenzione di vendergli un esemplare della sua macchina da guerra. Il costruttore non ha nessuna simpatia per quella che considera un’accozzaglia di ladri e delinquenti, ma riesce nondimeno a convincere Villa di quanto sia indispensabile l’apporto della ghigliottina alla guerra di liberazione, galeotta anche una dimostrazione sul campo alle spese di uno sfortunato gruppo di prigionieri. Velasco è sicuro di avere già i soldi in tasca ma Villa ha altri piani per lui e i suoi colleghi: darà ai tre l’onore (che nessun messicano sano di mente avrebbe il coraggio di rifiutare) di partecipare alla Rivoluzione, andando a formare lo “Squadrone Ghigliottina”. Così, per uno scherzo del fato, Feliciano Velasco y Borbolla de la Fuente – colto borghese col mito dell’Europa – da un giorno all’altro si ritrova fianco a fianco con contadini e assassini a combattere una guerra contro la sua stessa classe. Usando la sua stessa ghigliottina.
– 05/11/2006
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Intervista a Guillermo Arriaga
Guillermo Arriaga, scrittore, sceneggiatore, produttore, regista e attore messicano, è stato invitato dalla Scuola Holden a discutere della sua personale esperienza autoriale tra cinema e letteratura in un seminario di 4 giorni con 25 partecipanti selezionati attraverso un bando di concorso nazionale.
Lo incontriamo nei locali della scuola stessa, alla conclusione del seminario e pochi minuti prima che vada a presentare l’edizione italiana del suo ultimo libro Pancho Villa e lo Squadrone Ghigliottina (Fazi Editore) in una nota libreria torinese.
Pluripremiato per le sue sceneggiature (21 grammi e Amores Perros, solo per citare le più note), e molto apprezzato per la sua attività di romanziere, Arringa ha alle spalle una vita a dir poco rocambolesca. Nasce nel 1958 a Città del Messico. Trascorre l’infanzia in un sobborgo violento della città e a tredici anni perde l’olfatto a causa di un pestaggio. Da ragazzo non legge romanzi ma enciclopedie e libri di storia e si avvicina alla letteratura solo durante le scuole superiori, folgorato da Il vecchio e il mare di Hemingway. Dopo aver superato un grave problema cardiaco, si laurea in Scienze della Comunicazione all’Universidad Iberoamericana, dove resterà come insegnante per più di vent’anni. I temi/ossessioni che ricorrono nei suoi romanzi e nelle sceneggiature – dolore, morte, violenza – hanno spesso origine da episodi della sua vita.
I temi ricorrenti della sua narrazione sono violenza dolore e morte. Perché concentrarsi su questa triade?
Perché sono parte della vita. Perché viviamo in una società che si impegna la massimo per anestetizzarli, ed è un obbligo per uno scrittore analizzarli per questo.
La vita senza dolore, senza violenza, senza morte si trasforma in una massa informe, gelatinosa, che no si può chiamare vita
In un’intervista ha dichiarato “Sogno tutto quello che scrivo”, e anche oggi, durante il suo seminario. Ha fatto riferimento a teorie freudiane. Qual è il rapporto fra inconscio e scrittura?
Credo che il subconscio lavori costantemente. Il subconscio lavora mentre il conscio si riposa.
Inoltre il cosciente si può ricordare, il subcosciente no.
Credo che il subcosciente organizzi meglio la materia di quanto non possa fare il cosciente. Dunque non posso dire che tutto ciò che scrivo lo ho sognato, ma i sogni mi aiutano ad organizzare ciò che sto raccontando
Cosa significa essere scrittore per Guillermo Arriaga?
Scrivere è carne e sangue. Chiunque voglia diventare scrittore sappia che bisogna essere pronti a sacrificarsi e a sacrificare. Amici, tempo, famiglia… lo scrittore sa che rischia costantemente di sacrificare qualcosa o qualcuno…
Essere scrittore non significa solo mettere nero su bianco, ma è mettere in ogni singola parola che scriviamo il proprio sangue e la propria carne, ed anche il sangue e la carne di coloro che vampirizziamo per poter scrivere. Essere scrittore significa essere disposto ad uccidere per la propria scrittura.
Scrive romanzi, ma è più famoso per le sceneggiature. Qual è i rapporto fra cinema e letteratura per Arriaga?
Tutto ciò che scrivo è letteratura. Tutte le sceneggiature e tutte le novelle sono letteratura. Non si chiede mai ad un autore teatrale se la sua è letteratura o meno. Può essere una novella, un’opera di teatro, ma entrambe sono riconosciute come letteratura.
Tutto ciò che scrivo lo scrivo curando il linguaggio, la struttura, i personaggi, i loro movimenti. È un’opera letteraria.
Durante il seminario ha citato Kerouack, affermando che per l’autore americano lo spazio dell’esistenza è il viaggio. Qual è lo spazio dell’esistenza di Arriaga?
Il senso dell’esistenza sta nell’essere ciò che si desidera essere.
Cercando informazioni su di Lei in internet, sono incappato nel seguente commento:
“è un bastardo Guglielmo Arriaga, non ti lascia mai uno spiraglio di luce, un’ancora di salvezza. Nessuno si salva, non esistono anime buone, non cercare aiuto: non lo troverai.
Ma continuerò a leggere i suoi libri e a vedere i suoi film. Anche se mi spaventano.
Perché mi sa che c’ha ragione, la vita è proprio così”
Ci si riconosce?
No, non mi ci riconosco! Al contrario, io mi considero e considero la mia opera estremamente ottimista e speranzosa.
Perché gli esseri umani finiscono per conoscere se stessi, finiscono per conoscere la loro potenza distruttiva e non usarla mai, e finiscono per capire che l’amore, in qualunque momento, per quanto oscuro, è la sola possibilità di salvezza.
Il problema è che viviamo in una società che ci riempie di messaggi di ottimismo malato
– 12/10/2006
Sono tristi, cialtroni e bugiardi. Sono i nostri eroi irresistibili
Un grasso cialtrone cerca fortuna tentando di vendere a Francisco Villa, eroe della rivoluzione messicana, l’invenzione che cambierà l’immagine e le sorti dei combattenti per la libertà. Insieme ad altri due degni compari si presenta davanti al generale e gli mostra una ghigliottina, mirabile strumento di giustizia che già servì con onore un’altra e nobile rivoluzione. Anziché tirar su i pesos che pensavano e che probabilmente, noteranno subito dopo, i federali avrebbero volentieri speso per la ghigliottina, i tre si ritrovano abili e arruolati come addetti al funzionamento della macchina. Entrano nel cuore di Villa, ma si ritrovano a fare i conti con il tipo di vita e di ideali più lontani da quelli dettati dalle loro terrene aspettative. Toccano la gloria fino a quando un incidente per cattiva manutenzione della macchina non cambia le loro sorti. E diventa dura. Una vena comica insospettabile in uno come Guillermo Arriaga, autore di sceneggiature devastanti come Amores Perros o 21 grammi in questo Pancho Villa e lo squadrone ghigliottina .
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Pancho Villa in commedia
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