Rebecca West
Rosamund
Traduzione di Francesca Frigerio
Mentre lo scintillio degli anni Venti cede il posto alla Grande Depressione, Mary e Rose sono ormai due pianiste famose. Girano l’America soggiornando negli alberghi più esclusivi e vengono accolte come star alle feste d’élite, dove lo champagne scorre a fiumi e gli invitati sono ricchi, affascinanti e privilegiati. Di pari passo al lusso e al successo, si trovano però ad affrontare una società crudele e la volgarità di chi si finge amante della musica senza realmente comprenderla. Ma soprattutto le due gemelle non riescono a colmare il divario tra presente e passato e a intessere nuove relazioni; prostrate dal dolore per la scomparsa della cara madre e dell’adorato fratello, subiranno anche l’allontanamento dell’unica persona che sarebbe in grado di dare valore alle loro esistenze: l’affascinante cugina Rosamund, che ha inspiegabilmente sposato un uomo avido e volgare, la quale abbandona il suo lavoro per viaggiare all’estero con lui.
In questo faticoso percorso di maturazione emotiva e artistica, le due donne si aggrapperanno sempre di più l’una all’altra e troveranno rifugio e ristoro nell’affettuosa e pacata umanità degli avventori del Dog and Duck – il pub sul Tamigi –, che ai loro occhi paiono trasformarsi quasi in figure mitologiche. Eppure, mentre il loro senso di inadeguatezza nei confronti della realtà continua a crescere, e Mary si ritira sempre di più a vita privata, c’è una sorpresa che attende Rose: la più deliziosa delle scoperte, l’amore, con tutta la potenza di una sensualità ancora da esplorare.
Da una delle più raffinate maestre di stile del Novecento inglese, il terzo e ultimo capitolo della trilogia della famiglia Aubrey che ha scalato le classifiche conquistando i lettori con la grazia e la vividezza della sua prosa.
«Uno dei migliori libri scritti nel Novecento».
Alessandro Baricco
«Quel poco che so della bellezza, e della delizia, lo devo a Rebecca West… Uno dei libri più belli che abbia mai letto».
Andrea Marcolongo, «TTL – La Stampa»
«Una ricostruzione narrativa che si apparenta a certi grandi romanzi dickensiani. Richiama alla memoria il quadretto della famiglia di Piccole Donne di Louisa May Alcott».
Alessia Gazzola, «La Lettura – Corriere della Sera»
«Milioni di famiglie riempiono la letteratura, ma negli Aubrey c’è dell’altro: c’è la sostanza profonda e necessaria dell’essere-famiglia».
Leonetta Bentivoglio, «Robinson – la Repubblica»
«Un gigante nel suo genere, sia per ciò che ha scritto sia per ciò che ha rappresentato. Scopritela, ne vale la pena».
Caterina Soffici, «Vanity Fair»