Carme Riera
Verso il cielo aperto
Traduzione di Francesco Ardolino
Accolto con entusiasmo in Spagna e già tradotto in varie lingue, Verso il cielo aperto è un grande romanzo storico e d’amore che conferma Carme Riera come la maggiore scrittrice catalana vivente.
Nella Cuba di fine Ottocento, una scommessa fra due fratelli, disposti al “sacrificio matrimoniale” di uno di loro per non perdere l’eredità paterna, porta alle nozze preparate per corrispondenza. Così dalla lontana isola di Maiorca, due sorelle si accingono al lungo viaggio in nave: una, Isabel, è destinata a sposarsi e l’altra, Maria, l’accompagna nella lunga traversata. Ma durante il viaggio una epidemia di peste uccide Isabel e al suo arrivo Maria, che è completamente incosciente, viene scambiata per la futura sposa. In un duplice e magistrale gioco di specchi, lentamente si scoprirà che le lettere che lo sposo Miguel mandava a Isabel erano scritte in realtà da sua sorella, Angela; così come le lettera firmate da Isabel erano il prodotto dell’abilità epistolare di Maria… In Verso il cielo aperto si intrecciano le vicende storiche di una Cuba che reclama l’indipendenza (era colonia spagnola) con quelle personali di Maria, della sua complicata storia d’amore e del destino avventuroso che l’attende.
– 16/02/2003
Carme Riera, la nuova regina del romanzo storico
Nata a Maiorca nel 1949, autrice di vari romanzi e raccolte di racconti, amata dal pubblico, non soltanto in patria, più volte premiata dalla critica (ha vinto, fra gli altri, il Premio Nacional de Narrativa in Spagna e, in Italia, il premio Vittorini), Carme Riera è uno dei nomi più interessanti della narrativa iberica contemporanea. In occasione dell’uscita in Italia del romanzo “Verso il cielo aperto”, pubblicato dall’editore Fazi nel novembre 2002, la scrittrice catalana ha compiuto nei giorni passati un breve tour nel nostro paese, incontrando giornalisti e lettori, che sempre più numerosi, anche da noi, apprezzano la qualità della sua narrativa.
L’approdo della Riera in Italia risale al 1997, quando Fazi pubblica, nella collana “Le strade”, il romanzo “Dove finisce il blu”. Ambientato nel 1687, nella nativa isola di Maiorca, il romanzo narra le vicende di un gruppo di ebrei, il cui sogno di fuggire in Italia, alla ricerca di un futuro migliore, s’infrange contro una terribile tempesta e contro un crudele processo allestito nei loro confronti dal tribunale della Santa Inquisizione. Il mare, il viaggio, le contraddittorie evoluzioni dei sentimenti umani sono il fulcro anche del recente “Verso il cielo aperto” (Carme Riera, “Verso il cielo aperto”, Fazi, Roma 2002, pp. 350, euro 16,50) dove, nella padronanza dell’intreccio e nell’eleganza di una scrittura ricercata, quasi arcaica, eppure mai grave né barocca, la narrativa della scrittrice catalana raggiunge una delle sue migliori espressioni. Il romanzo prende le mosse nella Cuba di fine Ottocento, dove i fratelli Fortaleza, intenzionati a non perdere l’eredità paterna, decidono il “sacrificio matrimoniale” di uno dei due. La prescelta alle nozze è la giovane Isabel che, dalla lontana isola di Maiorca, intrattiene da tempo uno scambio epistolare con il promesso sposo. Ma durante il viaggio che deve condurre a Cuba Isabel e la sorella Maria, che l’accompagna, un’epidemia di peste uccide la futura sposa. Al suo arrivo Maria, in stato d’incoscienza, viene scambiata per la sorella e destinata al matrimonio, dando il via così, ad un intrigante dramma degli equivoci, mai scontato, mai viziato da eccessi di patetismo, diretto con abilità dalla penna dell’autrice.
È evidente, nelle trame appena descritte, la volontà di Carme Riera di ereditare, aggiornandoli, i canoni classici del romanzo storico, dando così una nuova linfa ad un genere che di certo non è più attuale ma che, nonostante tutto, riesce ancora a darci della buona letteratura. Ed è questo il punto di forza della narrativa della Riera, la perizia con cui la scrittrice gestisce la commistione fra una documentata ricostruzione storica e, di contro, una trama avvincente e avventurosa, fatta di viaggi per mare, drammi umani e sentimentali. Le vicende personali di ogni singolo personaggio o di un gruppo, di una famiglia non sono mai fini a se stesse, perché incastonate nel più ampio contesto di un periodo storico e, di questo periodo storico, finiscono per diventare ritratti esemplari, piccoli quadri di una rappresentazione più grande e, solo in apparenza, più importante. Perché la storia esiste – sembra volerci dire la Riera – in quanto è fatta dalle storie degli individui.
– 22/06/2003
Storia d’amore nella Storia
Chi ha detto che il feuilleton è un genere perduto, sepolto nei bassifondi della memoria, fra porcellane cinesi, femminei rossori, interminabili tramonti, conversazioni filosofico-mondane? Se dite a Carme Riera che il feuilleton è roba morta, vi dirà che vi sbagliate.
Perché col suo nuovo romanzo “Verso il cielo aperto” (Fazi Editore, traduzione di Francesco Ardolino, euro 16,50), lei gli ha ridato vita.
“Volevo ricostruire il mondo del XIX secolo, ed è per questo che ho utilizzato il feuilleton, una tecnica nata nell’Ottocento, quando si pubblicavano i romanzi nelle riviste, un capitolo per volta. I capitoli finivano con un climax, di modo che il lettore si sentisse spinto a comprare la stessa pubblicazione la settimana successiva”, spiega l’autrice. Cinquantaquattro anni, un corpo piccolo ma volitivo, l’aria accorta di chi misura le parole. Carme Riera è nata a Palma di Maiorca e insegna filologia spagnola all’Università di Barcellona. Autrice di saggi, sceneggiatrice e scrittrice.
Con “Dove finisce il blu” ha vinto nel 1995 il Premio Nacional de Narrativa in Spagna e nel 1997 il premio Vittorini in Italia. Un romanzo sul tema delle persecuzioni degli ebrei di Maiorca, alla fine del XVII secolo: “Avevo pensato di proseguirlo. Poi, ho deciso di passare all’800, un secolo interessante per le implicazioni politiche e sociali. Punto focale del mio nuovo libro è il tema dei maiorchini emigrati a Cuba, utile a parlare anche della corruzione politica dell’isola, della rivoluzione contro la Spagna e soprattutto dei suoi antecedenti, poiché la storia si svolge tra il 1850 e il 1860, tra Cuba e la Catalogna”.
Una storia d’amore d’appendice, corroborata da uno sfondo storico robusto.
Contro il quale si muove la famiglia Fortaleza, d’ascendenze maiorchine, che a Cuba si è costruita un impero si zucchero e tabacco. José Joaquìn Fortaleza, autore di quella fortuna, per mantenere fede ad un antico giuramento, decide di dare in sposa al figlio Miguel la nipote Isabel, che vive ancora a Maiorca. La donna quindi lascia l’isola, accompagnata dalla meno avvenente sorella Maria. Ma un’epidemia, scoppiata sulla nave, sconvolge i piani. Isabel non toccherà mai Cuba. Maria invece sbarcherà all’Avana, dove l’attendono l’amore, le insidie e le cospirazioni. “Maria – prosegue la Riera – è una donna al margine. Ebrea convertita, povera e in terra straniera. Quando arriva a Cuba, agli inizi, non riesce nemmeno a parlare, le viene tolta anche la voce. Poi la debolezza si trasforma in forza. Ma la ruota della fortuna gira…”.
E il finale ha le lacrime in tasca, seppur aperto a ottimistiche interpretazioni: “La mia agente, che è la stessa di Isabel Allende e di Gabriel Garcia Marquez, se apprezza un libro piange. Mi ha telefonato e piangendo mi ha detto che non poteva finire così. Allora ho rivisto l’epilogo”.
La narrazione si muove lenta come un calesse di campagna, indugiando sul paesaggio che le scivola accanto. L’attenzione ai particolari tradisce un paziente lavoro d’indagine storica: “Mi sono documentata negli archivi, soprattutto negli Stati Uniti, a Gainesville”.
L’autrice ha un debole per le storie dimenticate. Non solo quelle dei maiorchini che andavano a cercar fortuna nel continente americano (“Partivano da Andraitx, un piccolo porto di Maiorca, e andavano a Cuba a pescare spugne”), ma anche quelle degli schiavi neri, per secoli una risorsa dell’economia spagnola: “E’ una pagina di storia dimenticata, perché scomoda. Di essa non si vuole ancora parlare, anche nei paesi più moderni, come i Paesi Baschi e la Catalogna”.
Chiediamo a Carme Riera cosa significhi per lei essere una scrittrice catalana (scrive i suoi libri in catalano e solo dopo li traduce in castigliano). Risponde con precisazione: “Non sono catalana, ma maiorchina”.
E spiega la ragione del puntiglio: “Maiorca è guardata con diffidenza dalla stessa Catalogna. Se pensiamo che la Catalogna è guardata con diffidenza dalla Spagna, allora capiamo che essa si trova al limite del limite del processo”.
Maiorca è una terra al margine, fuori dalla storia, dell’economia, dei giochi del potere.
Carme Riera, che in quella terra è nata, ne condivide l’elegante isolamento. E ne fa uno stile di vita: “Credo che nella vita non bisogna mai stare al centro, né in alto. Bisogna stare sempre accanto”.
– 25/02/2003
Hasta siempre, Carme Riera
Ci sono persone che riescono, al di là delle ovvie barriere linguistiche che separano un popolo dall’altro (o che, addirittura, frammentano uno stesso popolo), a coinvolgerti, a renderti partecipe di una discussione, che accada per l’universalità degli argomenti trattati, per l’impostazione del timbro vocale o per chissà quale altro motivo. Carme Riera, capelli bianchi e sorriso in un tailleur rosso, è una di queste persone. Prima ancora che l’interprete traducesse le sue parole, già mi sentivo trascinato tra i vicoli di Cuba e sulle coste spagnole, pronto a iniziare l’avventura.
Questo romanzo è una saga famigliare in cui si rispecchiano storia e destino di un popolo. Romanzi picareschi spagnoli, i Buddenbrook di Mann…quali sono i suoi antenati storici?
“C’è sì, dietro al mio romanzo, anche l’idea dei grandi romanzi universali, ma gli antenati diretti sono quelli dell’Ottocento spagnolo e della grande tradizione romanzesca italiana: c’è ad esempio un chiaro omaggio a Tomasi di Lampedusa e al suo Gattopardo, nella scena del banchetto con il ballo”.
Affresco storico, storia d’amore, romanzo d’avventura. Un mix in parti uguali, o un elemento domina sugli altri?
“Diciamo che sono tutti questi fattori determinanti: l’idea dell’intreccio, della grande costruzione romanzesca, della suspence, del romanzo politico all’interno del quale c’è anche una potente storia d’amore. Su tutto domina l’idea del destino, che arriva puntualmente a stravolgere ciò che si è costruito”.
Emigrazione, nazionalismo cubano, colonialismo, corruzione politica: è solo romanzo storico o anche cronaca, riflessione sul presente?
“Certo, come tutti i romanzi storici offre spunti per raccontare, spiegare situazioni attuali. C’è al centro della storia l’indipendenza di Cuba dalla Spagna, ma ampliata in una visione universale, che si può riferire oggi all’indipendenza dei Paesi Baschi o della Catalogna; contraddizione storica per cui ora ci ritroviamo una situazione di indipendentismo portata avanti da due delle regioni economicamente più forti della Spagna”.
La descrizione dell’ambiente coloniale e della vita all’Havana è coinvolgente, viva. Ha lavorato sul posto o, come Verne, ha viaggiato restando a casa?
“C’è stata una ricostruzione dal vivo, sul posto. Sono stata all’Havana a lavorare direttamente con gli archivi e con documenti di prima mano, e poi in Florida, dove sono rimasta per quattro mesi: lì, all’Università, ho trovato una documentazione molto vasta sull’argomento che mi interessava, la Cuba della seconda metà dell’800”.
Lei ha giocato con i modi del “feuilleton”. Come mai è ricorsa a questa tecnica antica e, nello stesso tempo, anche un po’ bistrattata?
“Quella del feuilleton è una tecnica sì antica ma che si ritrova spesso anche oggi, persino in cinematografia. L’idea è quella di qualcosa che faccia restare a bocca aperta, che crei l’attesa del capitolo successivo e seduca il lettore tanto da spingerlo a continuare la lettura compulsivamente, fino all’ultima pagina del libro”.
Ha usato anche molto l’ellissi…
“E’ utilissima perché dà la possibilità di spiegare il necessario e solo il necessario: così, in letteratura, si possono spiegare vent’anni in una sola riga. Usar l’ellissi vuol dire anche dare fiducia al lettore, dargli confidenza e farne un proprio complice”.
Verso il Cielo Aperto, proprio per la sua struttura narrativa, sembra già pronto per saltare dalla carta stampata alla pellicola…al film. Ha già avuto qualche proposta in tale senso?
“Sì, è proprio vero, questo romanzo è stato scritto cinematograficamente: mentre passeggiavo per le strade di Cuba lo ‘vedevo’ cinematograficamente. Alcuni capitoli sono concepiti proprio come una sequenza cinematografica, e cinematografica è la ricostruzione delle case, dei giardini, dei vestiti, delle carrozze…
Ho avuto alcune proposte in merito. Per il momento sono rimaste solo proposte, mentre a me farebbe davvero molto piacere che si concretizzassero…”.
– 17/06/2003
La carica delle spagnole
Le chiamano “las narradoras” e sono il nuovo volto femminil-letterario di una Spagna in vorticosa evoluzione. Energiche, colte e intraprendenti, spesso anche giovani e fascinose, seguono le orme di Almudena Grandes, l’autrice di Le età di Lulù che a settembre uscirà con il suo nuovo romanzo Gli anni difficili (Guanda). Le nuove narratrici si rivolgono soprattutto alle donne e raccontano la cronaca intima delle proprie esistenze.
E’ il caso di Lucia Etxebarria, la ragazza terribile della nuova narrativa spagnola. Bella, giovane e sensuale, trasferisce nei personaggi le intemperanze della sua vita. Nel suo ultimo romanzo, Noi che non siamo come le altre (Guanda, pp. 377, 14.50 euro) quattro donne svelano le loro storie di solitudine e disamore tra droga, alcool e sesso.
Differente è il caso di Carme Riera, che in Verso il cielo aperto (Fazi, pp. 348, 16.50 euro) ripercorre la complicata storia di una famiglia ebrea tra Cuba e la Spagna, con colpi di scena degni di un feuilleton.
– 06/05/2003
Lettere d’amore con sorpresa
Seconda metà dell’Ottocento: dalla lontana Cuba, colonia spagnola, una donna scrive appassionatamente lettere d’amore, per conto di suo fratello Miguel, alla promessa sposa Isabel. Da Maiorca un’altra donna, Maria Fortesa, le risponde altrettanto appassionatamente per conto di sua sorella Isabel. Finché un giorno Isabel e Maria, d’antica famiglia ebrea, s’imbarcano alla volta di Cuba per conoscere Miguel. Inizia così e non delude le aspettative, Verso il cielo aperto (Fazi, pp. 348, 16,50 euro) della scrittrice catalana Carme Riera, storia dell’intreccio movimentato, con scambi di persone, matrimoni a sorpresa, intrighi politici, che richiama il feuilleton fine ‘800. “L’idea del feuilleton”, spiega l’autrice “riguarda la struttura e insieme la tecnica del romanzo. Come struttura rimanda il lettore al romanzo ottocentesco, costruito su tematiche forti quali l’emigrazione e lo schiavismo. Come tecnica serve a creare i giusti momenti di suspence”.
Il romanzo s’ispira a una vicenda storica?
Alla vera storia di Joseph Pinto, un ebreo maiorchino fuggito dalla sua terra per le persecuzioni e riparato a Cuba, dove fece fortuna. Rimase coinvolto nella cospirazione contro il governatore civile, e fu l’unico capro espiatorio. Nel romanzo questo accade a Maria Fortesa.
Che tipo di personaggio è Maria?
Nasce come personaggio debole, si rafforza socialmente con il matrimonio e intellettualmente con la scrittura. Ma poi, quand’è in prigione, ritorna debole. Ho voluto raccontare come gli avvenimenti possono cambiare le persone a tal punto che non ci si ricorda più di come si era.
La sua scelta di scrivere in catalano ha un significato politico?
Poteva averlo alla fine del regime franchista, quando ho iniziato a scrivere. Ma ora non più. Se è vero che ogni lingua rappresenta un modo di vedere il mondo, il mio mondo passa attraverso il catalano.
– 18/02/2003
Un viaggio colmo di avvenimenti crudeli e fantastici nella città di Cuba
CARME RIERA A ROMA PRESENTA IL SUO NUOVO ROMANZO.
Accolto con entusiasmo in Spagna e già tradotto in varie lingue “Verso il cielo aperto” (Fazi Editore, 348 pagine, euro 16,50), l’ultimo romanzo storico e d’amore, conferma Carme Riera come la maggiore scrittrice catalana vivente. Il libro è stato presentato a Roma, nei giorni scorsi, alla Casa delle Letterature, in collaborazione con l’Institut Ramon Llull di Barcellona e l’Istituto Cervantes di Roma. All’incontro hanno partecipato l’autrice Carme Riera, Angela Bianchini e Francesco Ardolino. Nella seconda metà dell’Ottocento, due fratelli, Miguel e Gabriel Fortaleza, si giocano a carte il loro futuro, il perdente contrarrà matrimonio per assecondare la volontà del padre José Joaquin. Solo così l’eredità non andrà perduta ed i due fratelli divideranno equamente tra loro la parte che uno solo, colui che si sarà ravveduto, riceverà. Il sacrificio di uno, scelto dalla sorte, salverà entrambi. La sposa prescelta è una lontana parente di Maiorca, Isabel, che si appresta ad affrontare il lungo viaggio in compagnia della sorella Maria. Ma durante la traversata Isabel muore di peste e Maria viene scambiata per la futura sposa. Da qui, una lunga ed incredibile serie di avvenimenti, renderà il libro affascinante e avvincente. Da una storia d’amore la scrittrice trae spunto per affrontare ben altre tematiche, le vicende storiche di una Cuba che reclama l’indipendenza, le complesse origini degli ebrei convertiti, il commercio degli schiavi e il loro sfruttamento nelle piantagioni. Abbiamo incontrato l’autrice che ci ha concesso una lunga ed intensa intervista.
La sua scrittura particolare, rivela gli avvenimenti in maniera improvvisa, a scatti, a strappi, e richiede intuizione e partecipazione dello scrittore, è una trappola-trabocchetto o una tecnica?
Il punto di partenza è quello della tecnica del feuilleton, cioè l’idea di tenere il lettore sempre all’erta, a ciò si aggiunge l’idea dell’ellissi, che si trova in molti casi, come in quello del matrimonio di Maria, che sembra farsi suora e improvvisamente si sposa. Credo ci siano dei periodi che non devono essere necessariamente spiegati, certo questo è un metodo più moderno, quindi la mia è la commistione di una tecnica ottocentesca con questo modello tecnico che a volte può sembrare cinematografico.
Perché non ha descritto nulla del viaggio e del rapporto tra le due sorelle Forteza?
Quando si scrive un romanzo bisogna fare delle scelte, ma è molto interessante ed è pregio del buon lettore saper notare questi elementi che mancano. Scrivere un romanzo significa fare una scelta tra vario materiale, che certo deve essere sottostante, ma non tutto deve venire alla luce. Mi sembrava più interessante mostrare le scene che ho voluto esaltare. Mi interessa dire le cose attraverso insinuazioni.
Non ho trovato il personaggio di Maria, al contrario di come è stato unanimante detto, una figura così chiara, anzi l’ho avvertita contraddittoria, sfuggente, indefinibile che disorienta.
E’ chiarissimo che Maria non può scegliere, perché è figlia del suo secolo, non è una protagonista, una eroina del XXI secolo, è tutta integrata nel suo secolo, il XIX. In ogni caso accetta tutto anche perché condizionata dalla paura, per il terrore che ha del mare. Questo terrore lo conosco bene, è tipico delle persone che vivono sull’Isola. Inoltre nessuno di noi è fatto di un unico pezzo, si ha maggiore o minore adattabilità e le donne, per natura, per condizione storica, ne hanno una dose maggiore, perché al momento ne hanno più bisogno. Gli uomini riescono a sopravvivere ad alcune cose, le donne per sopravvivere devono adattarsi immediatamente.
Che cos’è per lei la patria, l’origine.
Quando penso alla mia patria penso anzitutto al mediterraneo, ma poi ripenso al “mio luogo” che è la mia lingua, alla mia essenza, Maiorca, la terra dove hanno vissuto i miei nonni, i miei bisnonni, che non va vista come concetto escludente, ma come un legame sentimentale. In questo mi sento vicina agli ideali ottocenteschi degli anarchici che si consideravano apatridi, ci sono molte più ragioni per riunire, per creare legami tra le persone che non semplicemente il concetto di essere nati nello stesso posto.
Gabriel che parte diventa più maturo, Miguel che rimane regredisce. Qual è il senso di ciò che capita ai fratelli Fortaleza?
Cervantes diceva che sono le pellegrinazioni a formare gli uomini perché li aiutano a guardare con più imparzialità le proprie terre, le proprie origini, ma c’è un racconto brasiliano, molto bello, in cui il marito parte e viaggia, ma è la donna che resta a capire di più la realtà. Dipende. A me, comunque, piace molto di più Gabriel che Miguel.
I bambini e gli umili non sbagliano mai, scrive in un passo, qual è la loro forza affinché si compia questo miracolo?
Dietro le figure degli umili e dei bambini c’è la figurazione degli innocenti, e loro, naturalmente, non sbagliano mai. Anche in un momento di guerra imminente, come può essere quello attuale, chi in realtà soffre e patisce sono gli innocenti, non certo quelli che la dirigono.
– 05/04/2003
Da Majorca, l’eroina è salita fra le nuvole
Ecco come apre Verso il cielo aperto, il nuovo libro della scrittrice catalana Carme Riera: “Quando finalmente capirono che era meglio affidarsi alla sorte, fecero chiamare il notaio. Il signor Alvaro Medina y Sotogrande giunse a casa dei Fortaleza mentre i resti dell’alba si segnavano nel giorno. Con gli occhi appiccicosi di sonno e il fumo che gli usciva dalle orecchie per la rabbia camminava trascinandosi dietro a un servo che lo precedeva per aprirgli le porte…”
Potrebbe trattarsi di una saga, di una di quelle vicende che spaziando tra continenti diversi, uniscono e separano famiglie di individui abbastanza singolari per natura oppure per la varietà delle loro esistenze attraverso il vasto mondo: di preferenza un mondo lontano, sei-settecentesco che ai nostri occhi, ormai disincantati, amplia le distanze e le rende misteriose e perciò più interessanti. In effetti, l’arrivo del sonnacchioso notaio ha a che fare con l’eredità di José Joaquìn Fortaleza, ricco signor di Cuba, il quale, nella seconda metà dell’Ottocento, per salvare il patrimonio, decide di trovare moglie per uno dei suoi due figli scapestrati, facendolo sposare per procura a una fanciulla della famiglia Fortesa che abita a Majorca.
Ma il tono, tra giocoso e favoloso, copre una delle tante beffe della Storia e su questa beffa è in realtà costruito tutto il romanzo: i Fortaleza di Cuba e i Fortesa sono parenti, ambedue le famiglie originarie di quel nucleo di criptogiudei di Majorca, ebrei convertiti al cristianesimo e tuttavia in segreto, seguaci dell’antica religione, sopravvissuti alle torture e uccisioni subite tra il 1687 e la fine del secolo. Era questo, la persecuzione dei criptogiudei, il tema del romanzo precedente di Carme Riera, Dove finisce il blu (anch’esso tradotto da Francesco Ardolino e pubblicato da Fazi nel 1997) che ottenne il prestigioso Premio Nacional de Literatura, assegnato per la prima volta a un’opera catalana. I due romanzi, anche se sono molto diversi, sono dunque legato fra loro e il tragico segreto, quello della comune origine dei Fortesa e dei Fortaleza, continuerà a perseguitarli attraverso vicende che possono anche sembrare umoristiche, ma, in un certo senso, hanno sempre per esito la morte.
Infatti, la fidanzata arriverà a Majorca, ma, complice la sostituzione e poi la malattia, non sarà Isabel, bensì Maria. L’uomo che voleva decidere della vita dei figli, finirà marito della donna, per di più sbagliata che destinava al figlio che non la voleva, mentre lei stessa che, non desiderando in realtà sposarsi avrebbe preferito farsi Clarissa, viene rifiutata per la lontana origine ebraica, e, tra l’altro, il signore che sembrava un perfetto inglese è in realtà un majorchino. Può darsi che a lei, all’eroina, tocchi una morte assurda, che ricorda assai da vicino le torture a cui erano stati sottoposti i suoi antenati; oppure può darsi – ma non lo sapremo mai – che abbia un destino tutto diverso, anche se altrettanto improbabile: sparisca a bordo di una mongolfiera che si innalza verso il cielo proprio al momento giusto.
Verso il cielo aperto è dunque un romanzo di ironici risvolti, di scambi di persone e di sentimenti, sempre radicati, però, nella possibile verosimiglianza storica. Potrebbe essere un gioco intellettuale se non fosse intessuto di elementi tragici che non si lasciano dimenticare e che l’autrice stessa insiste a porre di continuo davanti al lettore, seppure stravolti e deformati, così da spogliarli della tragedia originaria.
Anche Carme Riera, però, venuta in Italia di recente a presentare il suo romanzo, è davvero persona singolare: giovane, attraente, oltre che autrice di molti romanzi precedenti a questi due ultimi, insegna letteratura all’Università di Barcellona. È nata a Majorca (e di qui l’interesse per la storia majorchina), dunque catalana, ma in grado di tradurre le sue stesse opere in castigliano. S’interessa di scrittura femminile, ma pone al centro del suo panorama, almeno così mi pare, la grande letteratura spagnola.
E questo ci porta a tentare una definizione del modo molto particolare in cui Carme Riera adopera o, forse sarebbe più giusto dire, addirittura manipola la Storia. Rifiuterei di definire Dove finisce il blu e Verso il cielo aperto come semplici feuilleton con il termine folletìn, versione del romanzo popolare che si propagò in Spagna (passando poi all’America Latina) già ai tempi della nascita del feuilleton francese. E, in questo caso, avvicinerei l’opera di Carme Riera a quella particolare versione della Storia che fu prediletta dal grande scrittore ottocentesco Pérez Galdos, nei suoi Episodios nacionales: anche lì le vicende storiche sono alleggerite, inventate e godute fino a liberarsi spesse volte verso un grande cielo.
– 30/03/2003
Destini verso il cielo aperto
Carme Riera, scrittrice cinquantenne spagnola (da non confondere con Carmen Llera, vedova di Alberto Moravia), è nata nell’isola di Maiorca. In Italia ha già pubblicato, per i tipi dell’editore Fazi, il romanzo Dove finisce il blu, premio Nacional de Narrativa in patria, che rea il primo titolo di un ciclo dedicato agli ebrei convertiti maiorchini. Adesso sempre per Fazi, esce il secondo, Verso il cielo aperto, dove si lascia Maiorca per approdare a Cuba.
La storia di Verso il cielo aperto si concentra sulla famiglia Fortaleza, il cui capostipite è José Joaquin, avventurosamente arrivato da Maiorca a Cuba e qui arricchitosi fino al punto da far dimenticare le sue origini di ebreo convertito, questo marchio d’infamia che segna la vita dei protagonisti. Proprietario di terre, ormai anziano e vedovo, può togliersi molte soddisfazioni: una di queste è escludere i propri figli maschi, impenitenti e goduriosi scapoli, Miguel e Gabriel, dal lascito testamentario se non mettono la testa a posto. E cioè sposarsi e fare dei figli.
I due fratelli si organizzano facendo un patto tra loro: solo uno di essi seguirà il volere paterno, per poi, al ricevimento della eredità, dividerla con l’altro che continuerà nella sua vita di bagordi. La sorte sarà decisa ai dadi. Naturalmente, continuerà a fare la bella vita chi dei due vincerà.
Perderà Miguel che si sposerà per procura con una lontana parente maiorchina, Isabel. La quale partirà da Maiorca in compagnia della sorella maggiore Maria, ma solo quest’ultima arriverà a Cuba. Isabel morirà di tifo durante la traversata oceanica. Siamo in pieno XIX secolo e i tempi di navigazione e l’igiene a bordo sono ancora gravidi di conseguenze. Anche Maria si ammala di tifo, ma riesce a sopravvivere. In un primo momento verrà scambiata per Isabel, e come tale affettuosamente curata da Angela, l’unica figlia femmina del vecchio José. Quando si scopre che si tratta invece della sorella Maria, Miguel si sente come liberato dalla promessa fatta al padre.
Ma qui avviene il colpo di scena, perché non solo il vecchio José accoglie Maria come una figlia, ma se ne innamora e la sposa sconvolgendo i piani di tutta la famiglia. Tanto più che Maria darà al vecchio anche un nuovo erede. I figli di primo letto avvertono che ormai a prendersi tutta l’eredità sarà la nuova venuta e il neonato. Comincia così una serie di ostilità nei loro confronti che si inserirà nella lotta politica interna di Cuba, ancora sotto il tallone spagnolo, ma percorsa da moti di indipendenza.
L’abilità narrativa di Carme Riera, che si affida a una scrittura lenta e minuziosa, sta proprio nella sua capacità di tessere insieme i due momenti, pubblico e privato, restituendo al lettore il sapore di un’epoca e di un mondo in cui l’ingiustizia sociale, lo schiavismo, l’arroganza dei ricchi, il racconto della loro vita dissoluta, la corruzione, so coniuga con i sentimenti e le ambizioni dei singoli protagonisti, ciascuno con un suo retroscena alle spalle.
L’unica innocente è Maria, povera donna diventata improvvisamente ricca e potente, che, riconoscente verso il vecchio marito, tenta inutilmente di convincere della sua buona fede i famigliari e i salotti bene che la considerano solo un’arrivista. Ma il destino incombe, perché tutti i Fortaleza, per la posizione che occupano a Cuba, sono nel mirino da una parte degli spagnoli che confidano nel loro lealismo, dall’altra dei ribelli che sperano in un aiuto materiale della famiglia per guadagnare l’indipendenza dell’isola. Su questa spaccatura politica i vari componenti, mossi da mire personali, si muovono con l’obiettivo, ciascuno per la sua parte più o meno occulta agli altri, di far precipitare il matrimonio del padre. Se necessario con la sua morte, come avverrà.
Alla fine, Maria sarà l’unica a pagare. Anche se sopravviverà il figlio, affidato alla famiglia di un altro ricco, misterioso possidente, un esteta stabilitosi a Cuba solo perché amante delle sue bellezze. E sarà quel figlio a tramandare la storia di Maria. Se non forse Maria stessa, ormai mitico personaggio, simbolo di innocenza, che al momento di essere decapitata la leggenda vuole sia stata salvata da uno di quegli aerostati, che lei tanto amava, calato in terra per portarla, appunto, Verso il cielo aperto.
Un romanzo che si centellina e che piacerà a chi ama le grandi saghe.
– 25/03/2003
Verso il cielo aperto
Il sequel ideale del bestseller catalano Dove finisce il blu (pubblicato sempre da Fazi) è ancora un romanzo coloniale, ambientato tra Maiorca e Cuba nella seconda metà dell’Ottocento. Due isole simbolo, rispettivamente ai confini del Vecchio e del Nuovo Mondo, dove s’intrecciano i destini di tre generazioni della ricca famiglia Fortaleza. Con una nuova, indimenticabile eroina: la seducente Maria Fortesa.
– 23/03/2003
Matrimonio deciso a carte
Amori e scommesse, inganni ed equivoci. Fantastico come una saga familiare, sentimentale come un romanzo epistolare, documentato come un dramma storico e ricercato come un esperimento filologico, l’ultimo romanzo di Carme Riera (già tradotto in spagnolo dall’autrice) si presenta come il più ambizioso della narrativa catalana di oggi. Un mélange di generi e un concentrato di errori/orrori della Storia: colonialismo, persecuzione degli schiavi, cacciata degli ebrei, roghi, ripercorsi con ironia in un climax di capitoli alla maniera del feuilleton ottocentesco.
Seconda tappa di un un ciclo di finzione storica avviato con Dove finisce il blu (Fazi 1997), Verso il cielo aperto torna sulla persecuzione dei criptoebrei – gli ebrei convertiti di Maiorca nell’800. Tutto ha inizio a Cuba da una scommessa: per assicurarsi l’eredità paterna, due fratelli si giocano a carte il matrimonio con una lontana cugina di Maiorca, Isabel. Alla sorella dei due, il “bergerachiano” compito di sedurre la futura sposa per corrispondenza, con infuocate lettere d’amore. Da qui, attraverso un oceano di peripezie, il romanzo vira su una nuova protagonista: Maria. Durante la traversata, Isabel è morta di peste e al suo arrivo Maria viene scambiata per lei. Svelata e ripudiata, sfiorerà la clausura, giungerà all’altare (un altro) e infine sul rogo, in un epilogo “aperto” “verso il cielo”, verso una salvezza provvidenziale.
Il romanzo gioca sugli scherzi del Destino con l’ironia della letteratura ispano-americana e il realismo di una precisa ricerca storico-linguistica. La ricerca di una “lingua lavorata” sullo stile dell’800 e sul repertorio poetico catalano, che arricchisce quella che l’autrice definisce “una narrativa povera di tradizione”.
– 15/03/2003
Verso il cielo aperto
L’ultimo libro della Riera ha molto del romanzo storico, ma anche della “storia d’amore vero”, inaspettato e avversato, tenero e intergenerazionale. Maria, la protagonista principale del tutto, un po’ eroina, un po’ vittima sacrificale, donna tenera e forte, capace di rinvigorire i sensi e di conquistare il cuore di un facoltoso capostirpe costretto a fare i conti con due figli maschi amanti in eccesso del divertimento e delle donne e quindi costretti a scendere a patti tra loro, ad accettare di sposarsi ( estraendo a sorte il nominativo di chi dei due…) per poi concordare di dividere l’eredità in parti uguali. La sposa per procura durante il viaggio muore e l’unica ad arrivare a destinazione è appunto la premurosa sorella Maria che entrerà a far parte della famiglia Fortaleza ( questo il nome della dinastia) , divenendone la vera e propria primadonna. Sullo sfondo le vicende di una Cuba ancora vittima di un sistema politico che rende possibile la schiavitù, lo sfruttamento, l’arricchimento di pochi. Una Cuba che ha voglia di indipendenza dalla Spagna, ma che le classi più abbienti vogliono ” umile vassalla” dei nordamericani. Scritto con rara efficacia narrativa, ” Verso il cielo ” è sì romanzo storico, anche crudo e diretto, ma sa diventare a tratti anche molto bene “vicenda di forti sentimenti” e di commovente emotività, che mette in luce una protagonista donna stoica e composta nell’accettare il suo destino fino alla fine.
– 21/02/2003
La Cuba di fine ottocento tra storia, fato e feuilleton
Niente di quello che il lettore si aspetta accade nel romanzo di Carme Riera, la scrittrice catalana (nata a Maiorca nel ’49) che ha scelto come genere il feuilleton. Verso il cielo aperto è una saga familiare ambientata nella cuba di fine ottocento attraversata da spinte autonomiste che dalla Spagna la spingono verso gli Stati Uniti. Maria Forteza parte da Maiorca e attraversa l’Atlantico per accompagnare la sorella Isabel che ha sposato per procura un facoltoso parente.
Come mai ha scelto un genere così desueto come il feuilleton?
”Mi divertiva la tecnica, cioe lasciare il lettore sempre in tensione a ogni capìitolo, per il contenuto è invece un romanzo storico”.
Ma anche un romanzo sul destino.
”Sono affascinato dal fato che continuamente cambia e scompagina le nostre vite. La nostra volontà incide al venti per cento, tutto il resto lo decide il destino”.
Lei affronta temi importanti: politica, schiavismo, corruzione, colonialismo, condizione femminile. Le ha richiesto una ricerca storica laboriosa.
”Per scrivere un romanzo storico bisogna sapere tutto: dal cibo alla moda dell’epoca, anche se poi non usi il materiale. Io non capivo perché le carrozze a Cuba fossero diverse dal resto dal mondo. Ho scoperto che essendo le strade ricoperte di mozziconi di sigari, il predellino era fatto in modo che le donne potesseto scendere agevolmente saltando l’abito”.
– 18/02/2003
Carme Riera: “Un destino di nome Cuba”
Non è certo compito della letteratura rubare il mestiere al
cinema, ma per definire il suo ultimo romanzo, Verso il cielo
aperto, Carme Riera utilizza proprio l’aggettivo che meno ti
aspetti: “E’ il mio libro più “cinematografico” – dice -, con una
struttura divisa in tanti capitoli concepiti a mo’ di sequenza per
creare nel lettore la massima aspettativa”. Oggi si chiama cinema,
nel XIX secolo si chiamava “feuilletton”. E del feuilletton ha
davvero molto la saga familiare di Verso il cielo aperto (Fazi, 350
pagine, 16,50 euro), eroine appassionate e appassionanti scenari
storici, una prosa ricca ritmata da sorprese e colpi di scena. Siamo
nella Cuba di fine Ottocento e due fratelli, per non perdere
l’eredità paterna, sono messi di fronte a un bivio: uno di loro
dovrà disporsi al “sacrificio matrimoniale” e accettare le nozze
preparate per corrispondenza. Così dalla lontana isola di Maiorca,
due sorelle si accingono al lungo viaggio in nave: una, Isabel, è
destinata a sposarsi mentre l’altra, Maria, l’accompagna nella
traversata. Sennonché durante il viaggio Isabel viene uccisa dalla
peste e Maria, all’arrivo, viene scambiata per la futura sposa. Ma
siamo ancora agli inizi di un romanzo che intreccia avventure,
amori, rivolgimenti storici e a cui Carme Riera, la maggiore autrice
catalana vivente, appone anche il timbro di una scespiriana commedia
degli equivoci. “Certo – spiega la scrittrice, di passaggio a Roma
per presentare il suo nuovo libro – Verso il cielo aperto è una
storia intrisa di ironia. Nulla può essere preso troppo sul serio
sotto il cocente cielo di Cuba. Ma è soprattutto una storia sul
destino: un destino che insegue i personaggi di qua e di là
dell’Oceano, che si diverte a fare e disfare, incurante dei desideri
e delle ambizioni di tutti”. A catturare il lettore non è solo il
magistrale e ironico gioco di specchi. Il romanzo della Riera ci
regala molto di più: l’accurata ricostruzione storica di una Cuba
che reclama ormai l’indipendenza, la descrizione di un mondo
coloniale che si è arricchito sullo sfruttamento degli schiavi, la
radiografia di una nuova classe di latifondisti che fa valere la
propria morale priva di scrupoli. “Credo in una scrittura che ci
faccia sentire meno naufraghi – dice Carme Riera -, una scrittura
che abbia una forte componente etica. I romanzieri non hanno
risposte definitive da dare, ma possono seminare interrogativi. Ecco
perché mi è sembrato importante mostrare come le vittime possano
anche trasformarsi in boia. Magari senza averlo deciso in
partenza”.
– 11/02/2003
Da Maiorca a Cuba con ironia catalana
La scrittrice Carme Riera è stata in Italia in questi giorni per presentare il suo nuovo romanzo Verso il cielo aperto edito da Fazi: ieri era a Milano e giovedì scorso a Roma dove, con Francesco Ardolino (suo valente traduttore) e l’ispanista Angela Bianchini, è stata protagonista di un interessante incontro alla Casa delle Letterature di piazza dell’Orologio.
Docente di filologia spagnola all’Università di Barcellona, Carme Riera è nata a Palma di Maiorca e scrive in lingua catalana. Pur essendosi sempre dedicata alla narrativa, soltanto da pochi anni ha affrontato la dimensione del romanzo che ritiene “un genere della maturità” e così sono arrivati due libri per cui è oggi acclamata come la maggiore scrittrice catalana vivente e che le sono valsi l’accostamento a una grande autrice come Isabel Allende.
Il primo, intitolato Dove finisce il blu, ha ottenuto in Spagna importanti riconoscimenti di pubblico e di critica, tra cui il prestigioso Premio Nacional de Narrativa, mentre in Italia, sempre edito da Fazi, ha vinto il Premio Vittorini e entusiasmato tanti lettori.
Il secondo, Verso il cielo aperto, uscito da non molto, è già un caso letterario, in Spagna come nei tanti paesi europei in cui è stato tradotto, e l’affannosa ricerca di etichettature che contraddistingue la critica ha già imputato questo exploit al resuscitato genere del feuilleton d’autore.
In effetti il ritorno ad una letteratura avventurosa e romantica, dove ci siano tutti gli ingredienti appassionanti della saga nonché una colorita ricostruzione storica, è evidente. Tanto che, leggendo Verso il cielo aperto, mi tornava il ricordo dei film di Angelica, dove i bellissimi Michèle Mercier e Robert Hossein riuscivano a incontrarsi e ad amarsi soltanto dopo mille peripezie per poi venire subito divisi e nuovamente proiettati dai capricci della sorte in fughe, insidie, battaglie e intrighi. In maniera altrettanto movimentata, aprendo ogni capitolo dopo che un piccolo salto temporale è avvenuto stravolgendo ogni situazione, la Riera racconta la storia di due famiglie imparentate che riuniscono i loro destini attraverso un matrimonio per procura e il viaggio di due donne nel mare sconfinato che separa Palma di Maiorca da Cuba. Le donne sono Isabel Fortesa e sua sorella Maria e partono dalle Canarie alla volta dei Caraibi, poiché la prima è promessa sposa di Miguel, rampollo insieme a Gabriel della ricca famiglia Fortaleza di Cuba. L’idea del matrimonio è del padre dei due giovani, allo scopo di proseguire la stirpe, ma la “condanna” è prevista soltanto per uno dei due, che deve impegnarsi altresì a dividere con l’altro l’eredità paterna. Gabriel e Miguel si sono giocati a carte chi dei due dovesse rimanere libero e il secondo ha perduto. Nell’attesa del fatidico incontro, Miguel commissiona a sua sorella Ángela la scrittura delle lettere per la sua promessa sposa ed è la sorella di quest’ultima, Maria, a rispondere in vece di Isabel. Siamo soltanto all’inizio e già ogni fantasia del lettore si capovolgerà nel suo opposto; il viaggio per mare si rivela catastrofico, Isabel rimane uccisa da un’epidemia di peste e a giungere a Cuba sarà la sola Maria, che viene scambiata per la sorella. Ma i colpi di scena continuano, tenendoci avvinti al romanzo: riavutasi dalla malattia, Maria decide di svelare ogni inganno e di chiudersi in convento. Neppure questa esperienza durerà a lungo, la donna ne esce per poi finire tra le braccia di José Joaquìn, il “vecchio” Fortaleza, inimicandosi i figli Gabriel e Miguel che la giudicheranno una spregiudicata…
Sullo sfondo, come se non bastassero le peripezie dell’eroica Maria e tutto il carico di lotta per l’emancipazione femminile che esse sottendono, c’è l’affresco di una Cuba di fine Ottocento, dominata dagli spagnoli e attraversata dai sussulti indipendentisti, dalla questione degli schiavi neri che rivendicano i loro diritti, dalla radicata corruzione della classe politica. Non ultima, a percorrere tutto il romanzo come una riga sottile, è la memoria della persecuzione e dei numerosi esili ordinati dalla Spagna ipercattolica tra la fine del ’400 e la fine del ’600 ai danni degli ebrei, riverberatisi nei secoli successivi con la vessazione dei cripto-ebrei rifugiatisi a Palma di Maiorca (come i Fortesa), meno fortunati di quelli emigrati a Cuba (i Fortaleza).
Nell’incontro di giovedì scorso si è parlato molto dell’ironia con cui la scrittrice maiorchina affronta questa macchia indelebile sulla coscienza iberica. E anche di come in Spagna la sua vena ironica non venga quasi colta. Allora mi sono permesso di osservare che è difficile individuarla per coloro ai quali brutti ricordi vengono rievocati o dolorose ferite riaperte. Pensavo a Ennio Flaiano, ironico per eccellenza, e a quando pubblicò Tempo di uccidere. In occasione di quel romanzo ambientato negli anni dell’invasione dell’Abissinia, nessuno avrebbe parlato dell’ironia di Flaiano poiché, accanto a fatti banali e ridicoli che avvenivano nella storia e attraverso la fatuità dei gesti del protagonista, lo scrittore denunciava quell’atto gratuito e inutile che la campagna italiana in Africa era stata!
Ho chiesto direttamente a Carme Riera se fosse d’accordo con un’ipotesi del genere e lei ha risposto: “Totalmente sì!”. Nel lampo dei suoi occhi ho ritrovato il forte temperamento di Maria, che dalla sua autrice deve averlo ereditato…
– 04/02/2003
Carme Riera e la ‘scrittura della complessità’
Intervista con la scrittrice spagnola, in Italia per presentare il suo ultimo romanzo Verso il cielo aperto.
di Luisella Colombo
MILANO – Carme Riera ha un difetto: è l’incubo di ogni traduttore. Perché scrive in catalano ma poi riscrive in castigliano cambiando le carte in tavola e creando molteplici variabili alle sue opere. Ne sa qualcosa Francesco Ardolino, docente milanese che ha tradotto il decimo titolo della Riera Verso il cielo aperto, romanzo storico ma non solo, ambientato a Cuba nella seconda metà dell’Ottocento.
La trama consiste in una sorta di saga familiare, fatta di eredità, peripezie, miserie e potere che l’autrice ha scelto di narrare con lo stile di un feuilleton perché, “oltre ad aderire alle atmosfere dell’epoca, risponde al mio desiderio di avvincere il lettore, di creare una suspence alla fine di ogni capitolo così che non si possa smettere di leggere la storia”.
Lo stile elaborato, i vocaboli dotti e mai casuali, rispecchiano parte della profonda ricerca storica che Riera – non solo autrice ma docente di letteratura all’Università di Barcellona – svolge da anni. In un gioco di specchi e di colpi di scena, mentre per alcuni passi vige una profusione di pagine dettagliatissime – come il banchetto, che è un tributo, a detta della scrittrice, a Tomasi di Lampedusa – gli eventi più eclatanti vengono annunciati seccamente in poche righe.
Il capostipite della ricchissima famiglia Fortaleza, che risiede all’Avana, sceglie di onorare il patto di sangue con i parenti ebrei Fortesa che vivono ancora a Maiorca e che versano in pessime condizioni economiche, tramite un matrimonio per procura fra una delle figlie maiorchine e uno dei figli che risiedono a Cuba. I due maschi, potenziali candidati e per nulla disposti al sacrificio, affidano al gioco la designazione. Da Maiorca parte la futura sposa, accompagnata dalla sorella maggiore; durante la traversata dell’Oceano, però, sulla nave scoppia un’epidemia di peste in cui la prescelta soccombe. All’Avana si dipanano intricati equivoci: sul fatto che la sorella sopravvissuta non è quella designata, sul fatto che le lettere d’amore non erano scritte dagli sposi promessi ma dalle rispettive sorelle. La protagonista, dopo aver ipotizzato di chiudersi in convento, viene invece chiesta in moglie dal patriarca della famiglia, con evidente sconcerto dei quattro figli preoccupati per l’eredità.
Grande rilevanza ha il contesto storico, quello di una Cuba che prospera grazie al commercio di schiavi (la schiavitù verrà abolita solo nel 1886). Colonia spagnola, l’isola freme fra aspirazioni indipendentiste e ambizioni all’annessione con gli Stati Uniti; da ricordare che l’Ottocento, il ‘secolo dello zucchero’ in America Latina, rendeva Cuba colonia spagnola politicamente e colonia americana economicamente, per via delle esportazioni.
Il precedente romanzo Dove finisce il blu, in cui gli ebrei maiorchini fuggivano dall’Inquisizione verso Livorno, era ambientato ancor prima, nel Seicento. Perché l’autrice è tanto attratta dal passato? Crede serva a comprendere il presente? “E’ più facile tenere una distanza, aiuta a riflettere”, ci spiega. “E poi il potere, l’amore, l’istinto, il dominio, elementi che muovono le persone, non sono cambiati nel tempo. Gli aspetti del nazionalismo sarebbero meno interessanti calati nel presente”.
Se Dove finisce il blu è un canto corale, un’epopea collettiva, Verso il cielo aperto – la cui stesura ha richiesto tre anni – affronta anche la sorte individuale. E qui entra in gioco un altro tema essenziale nell’arte di Carme Riera: l’identità. L’identità e il suo doppio, l’identità e la perdità di identità. A lei interessa sia la declinazione sociale, della Catalogna che da sempre fa della propria identità nazionale un aspetto irriducibile, sia quella individuale e intimista, perché chi scrive (e chi legge) proietta un’identità falsa, riflette un caleidoscopio di possibili identità.
Dopo la ‘scrittura dell’intimità’ degli Anni Settanta e la ‘scrittura dell’intertestualità’ degli Anni Ottanta, Carme Riera si è dedicata alla ‘scrittura della complessità’, con strutture romanzesche poderose, elementi iconografici e semantici grandiosi, architetture narrative imponenti. E dopo? ‘Sto scrivendo un romanzo contemporaneo, che si snoda a partire dagli Anni ‘50 fra Catalogna e Provenza, sotto i postumi del franchismo’. Ci vorrà del tempo per leggerlo in italiano, perché, come dicevamo all’inizio, tradurla è un’impresa quasi titanica.
– 03/02/2003
Carme Riera, parole tra norma ed estasi
Carme Riera è nata a Maiorca, ed è autrice di romanzi e di
raccolte di racconti tra cui il famoso De deix, amor, la mar com a penyora. Di lei, Fazi ha già pubblicato Dove finisce il blu, vincitore dei prestigiosi premi “Nacional de Narrativa” e “Elio Vittorini”. Oggi, la scrittrice torna ai lettori italiani con Verso il cielo aperto, nella traduzione di Francesco Ardolino, un’opera che Pere Gimferrer ha definito “magistrale, straordinaria” e che si colloca, senza ombra di dubbio, tra le cose narrativamente più interessanti e vivaci di queste ultime stagioni.
Romanzo corale e suggestivo affresco storico di tutta un’epoca da noi non lontana, Verso il cielo aperto nasce da una vocazione ben precisa: quella del racconto d’appendice, genere elaborato per intrecci e colpi di scena in successione, azioni, scenari, situazioni che la scrittura riesce ad armonizzare e raccogliere all’interno di un tessuto testuale ampio, poderoso, disteso, avvolgente, compatto tanto nelle strutture quanto nella sostanza dei contenuti.
Le coordinate della vicenda narrata ci riportano nella Cuba di fine Ottocento, dove il vecchio capostipite dei Fortaleza rimette nelle mani della figlia Àngela il compito di amministrare le difficili fortune della casa, in attesa che abbiano luogo le nozze del figlio Miguel. L’altro figlio, Gabriel, ha preferito partire, inseguendo la propria vocazione d’artista e sperperando le fortune di famiglia in una vita libera da vincoli e da responsabilità contingenti. A questo punto, le vicissitudini di Àngela e del suo giovane fratello incrociano quelle della cugina Maria, venuta da Maiorca per accompagnare la sorella Isabel, promessa sposa a Miguel ma finita vittima di un naufragio che cambierà all’improvviso le sorti delle due famiglie, ristabilendo e ricucendo le fila dei destini collettivi.
Carme Riera ha una notevolissima capacità: quella di saper costruire delle storie avvincenti, restituendo al linguaggio una patina, uno spessore e una ricchezza che lo proiettano indietro nel tempo, in una dimensione di memoria sognante, ridandogli vigore e compattezza, rendendolo musicale, qualche volta prezioso, comunque austero, raffinato, intellettuale.
Al centro dell’universo incantato che l’autrice tratteggia ed evoca con assoluta maestria, una dimensione magica e polifonica, che fonde culture e mentalità differenti, che elabora algebre e alchimie, innestando il romanzo contemporaneo a un carisma, uno splendore del dettato, una sovrabbondanza simbolica probabilmente rari nel controverso panorama delle lettere europee attuali. Alla sfera dell’azione e della situazione Carme Riera sovrappone una categoria ben più alta e meno immediata: quel territorio dei sentire, quella geografia dei sensi cui partecipano le emozioni, le contraddizioni, gli amori e le ossessioni dei personaggi. La sua scrittura visionaria rende la pagina un microcosmo ideale pronto a mettere a fuoco l’infinita varietà del vivere.
Carme Riera, parole tra norma ed estasi
di
Carme Riera è nata a Maiorca, ed è autrice di romanzi e di raccolte di racconti tra cui il famoso De deix, amor, la mar com a penyora. Di lei, Fazi ha già pubblicato Dove finisce il blu, vincitore dei prestigiosi premi “Nacional de Narrativa” e “Elio Vittorini”. Oggi, la scrittrice torna ai lettori italiani con Verso il cielo aperto, nella traduzione di Francesco Ardolino, un’opera che Pere Gimferrer ha definito “magistrale, straordinaria” e che si colloca, senza ombra di dubbio, tra le cose narrativamente più interessanti e vivaci di queste ultime stagioni.
Romanzo corale e suggestivo affresco storico di tutta un’epoca da noi non lontana, Verso il cielo aperto nasce da una vocazione ben precisa: quella del racconto d’appendice, genere elaborato per intrecci e colpi di scena in successione, azioni, scenari, situazioni che la scrittura riesce ad armonizzare e raccogliere all’interno di un tessuto testuale ampio, poderoso, disteso, avvolgente, compatto tanto nelle strutture quanto nella sostanza dei contenuti.
Le coordinate della vicenda narrata ci riportano nella Cuba di fine Ottocento, dove il vecchio capostipite dei Fortaleza rimette nelle mani della figlia Àngela il compito di amministrare le difficili fortune della casa, in attesa che abbiano luogo le nozze del figlio Miguel. L’altro figlio, Gabriel, ha preferito partire, inseguendo la propria vocazione d’artista e sperperando le fortune di famiglia in una vita libera da vincoli e da responsabilità contingenti. A questo punto, le vicissitudini di Àngela e del suo giovane fratello incrociano quelle della cugina Maria, venuta da Maiorca per accompagnare la sorella Isabel, promessa sposa a Miguel ma finita vittima di un naufragio che cambierà all’improvviso le sorti delle due famiglie, ristabilendo e ricucendo le fila dei destini collettivi.
Carme Riera ha una notevolissima capacità: quella di saper costruire delle storie avvincenti, restituendo al linguaggio una patina, uno spessore e una ricchezza che lo proiettano indietro nel tempo, in una dimensione di memoria sognante, ridandogli vigore e compattezza, rendendolo musicale, qualche volta prezioso, comunque austero, raffinato, intellettuale.
Al centro dell’universo incantato che l’autrice tratteggia ed evoca con assoluta maestria, una dimensione magica e polifonica, che fonde culture e mentalità differenti, che elabora algebre e alchimie, innestando il romanzo contemporaneo a un carisma, uno splendore del dettato, una sovrabbondanza simbolica probabilmente rari nel controverso panorama delle lettere europee attuali. Alla sfera dell’azione e della situazione Carme Riera sovrappone una categoria ben più alta e meno immediata: quel territorio dei sentire, quella geografia dei sensi cui partecipano le emozioni, le contraddizioni, gli amori e le ossessioni dei personaggi. La sua scrittura visionaria rende la pagina un microcosmo ideale pronto a mettere a fuoco l’infinita varietà del vivere.
– 30/01/2003
Esplorare la Cuba ottocentesca con Carme Riera
Acclamata in Spagna come una delle migliori scrittrici catalane viventi, Carme Riera, nata a Palma di Maiorca e docente di filologia spagnola all´università di Barcellona, è arrivata stamattina a Roma, dove si fermerà qualche giorno, per la presentazione del suo ultimo romanzo, Verso il cielo aperto (Fazi, 2002). Il romanzo è diventato un piccolo caso. «Sono innamorata senza mezzi termini dell´Italia e di Roma e ci vengo appena posso – racconta la scrittrice – amo e conosco la letteratura italiana contemporanea. Oltre ai classici Pavese, Pratolini, Vittorini, Bassani, Calvino, Eco, Consolo, conosco personalmente e ammiro Francesca Duranti e Melania Mazzuco…». Reinventando il genere del feuilleton, mescolando storia e leggende popolari, la signora Riera è pronta a diventare la nuova Isabel Allende. «Il romanzo ha avuto un enorme successo di critica e ha vinto il premio Nacional de Literatura Catalana e il premio della Critica Serra D´Or. Ma quello che mi interessa è il pubblico. Senza i lettori i libri sono come lettere morte», dice la scrittrice. Il libro è ambientato nella Cuba di fine Ottocento e intreccia un´avvincente saga familiare con una ricostruzione mirabile degli ambienti coloniali e dei sussulti indipendentisti dell´isola ai tempi della dominazione spagnola. Verso il cielo aperto è frutto di un lungo lavoro di documentazione: «Ho lavorato molto sugli archivi del 1850-60, ho visionato molti documenti, poi però mi sono permessa molte licenze romanzesche. L´idea è nata sette-otto anni fa, ma penso che fosse dentro di me dall´infanzia quando io ero piccola. Cuba era un mito per i maiorchini. Peccato che a Cuba il libro non sia stato pubblicato a causa dei problemi economici». L´incontro con Carme Riera è previsto oggi pomeriggio presso la Casa delle letterature, a Piazza dell´Orologio 3, alle ore 17,30. Oltre all´autrice saranno presenti il traduttore Francesco Ardolino e l´ispanista Angela Bianchini. Alla sera invece festa vip a casa l´editore Fazi in onore della scrittrice.
– 30/11/2002
Feuilleton alla Cubana
Cuba, fine Ottocento: sul tavolo verde della sala da gioco in una casa all’Avana, due fratelli, Miguel e Gabriel, firmano uno strano accordo davanti a un notaio. Tutti e due amano girare il mondo, i tavoli di biliardo, le giovani mulatte, la vita spericolata, ma il padre minaccia di diseredarli se non si impegnano a cambiar vita dandogli una discendenza legittima, frutto del matrimonio che lui riterrà conveniente. Miguel e Gabriel se la giocano a carte: solo uno dei due contrarrà matrimonio, ma si impegna davanti all’altro a dividere equamente la parte di eredità che avrà a disposizione. “Così solo uno sarà costretto a sacrificarsi –– dice Gabriel –, atto singolo che ci è sembrato preferibile a una doppia immolazione”.
Inizia così Verso il cielo aperto”di Carme Riera, scrittrice catalana nata a Palma di Maiorca, docente di filologia spagnola all’università di Barcellona , autrice di racconti brevi pluripremiati in patria, che solo negli ultimi anni ha trovato la dimensione del romanzo (da Fazi è già uscito nel ’97 Dove finisce il blu) “un genere della maturità, perché” dice lei “da giovani si possono scrivere buone poesie, non buoni romanzi” .
Diventata in Spagna un piccolo caso, tradotta dal catalano in molti paesi europei, Carme Riera rivitalizza il genere del feuilleton mescolando racconto popolare e citazioni colte in una struttura dal passo cinematografico che cavalca storia e avventura illuminando, sullo sfondo, i sussulti indipendentisti dell’isola caraibica ai tempi del dominio spagnolo e le persecuzioni degli ebrei di Maiorca. “L’idea è nata sette o otto anni fa, ma penso che fosse dentro di me fin dall’infanzia – dice la scrittrice. Quando ero piccola, Cuba era un mito per i maiorchini, tanto che quando ci si riferiva a una cosa molto importante si diceva: ‘Questo è l’Avana’, un intercalare significativo del rapporto tra i due paesi”.
Verso il cielo aperto è una storia di donne, che potrebbe in qualche modo ricordare una Isabel Allende più asciutta, senza le trasfigurazioni del realismo magico. Ed è anche una moderna saga familiare nelle continue allusioni a problemi attuali come l’immigrazione, il razzismo, la subalternità femminile, la corruzione politica.
A emigrare verso Cuba, sono le sorelle Fortesa. La legge del romanzo d’appendice esige un equivoco iniziale: Isabel è stata data in sposa per procura a Miguel, il giocatore che ha estratto la carta del matrimonio nella sfida con il fratello. Le due famiglie, i Fortesa di Maiorca e i Fortaleza di Cuba, sono lontanamente imparentate. Mentre gli spagnoli sono i poveri, che non sono riusciti a nascondere le “infamanti origini” che risalgono a una bisnonna ebrea arsa nel 1691, i cubani sono i ricchi, che nelle acque dei Caraibi e nella fortuna degli affari hanno lavato la “macchia” delle loro radici.
Maria accompagna la sorella nel lungo viaggio verso il matrimonio combinato, ma durante la traversata un’epidemia di peste si porta via Isabel. Maria sbarca, gravemente malata e incosciente, con al dito la fede nuziale della sorella morta. Viene scambiata per la sposa e, come in un gioco di specchi, l’equivoco è destinato ad amplificarsi: si scopre che le lettere, tutte sentimento, inviate da Miguel alla sposa promessa erano in realtà scritte dalla sorella di lui, Angela, mentre quelle di Isabel erano scritte da Maria. E poiché la modernità va bene solo fino a un certo punto, non accade quello che per un attimo il lettore si aspetta: le due sorelle, vere artefici di questo amore, non si spingono oltre l’affetto amicale, destinato però a infrangersi quando Maria decide di rivelare la sua identità e di entrare in convento. Ed è di nuovo feuilleton: la vocazione monacale decade rapidamente. Maria conosce il padre di Miguel, il suocero mancato, e cambia idea: non più sposa di Cristo ma moglie del “vecchio” Fortaleza. Un matrimonio, non di puro interesse, che le scatena però contro i figli del marito.
Se Maria non è un personaggio realmente esistito, la sua vita pare un insieme di eventi verosimili. L’autrice dedica, infatti, il libro alla nonna che le raccontò la maggior parte delle storie a cui si è ispirata e che le trasmise il gusto per l’immigrazione e il racconto. Il risultato è un romanzo in cui si mischiano fatti veri e inventati. L’episodio dei due fratelli che si giocano a carte il matrimonio, per esempio, è accaduto davvero in una ricca famiglia dell’Avana, mentre le nozze di convenienza erano abbastanza normali all’epoca dei fatti. Il resto è storia : gli schiavi neri che per la prima volta vengono ammessi nel censimento dell’isola e cominciano a esistere ufficialmente, la corruzione degli spagnoli, le prime spinte indipendentiste. Schiacciata tra gli intrighi politici e la malizia dei figliastri, Maria non può che avere la peggio, come si conviene a un’eroina romantica. Anche se il finale, aperto come il cielo del titolo, lascia credere che forse la salvezza è arrivata in tempo. Magari in mongolfiera.