Lo strano caso di Hilary Mantel

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Pubblichiamo il bell’articolo di Natalia Aspesi  sulla grande scrittrice inglese Hilary Mantel, apparso su D di Repubblica il 15 novembre 2014.

 

Unica scrittrice due volte Booker Prize, regina del romanzo storico, donna dalla vita difficile, polemista coraggiosa. Adesso torna raccontando Danton e Robespierre. Ma la vera rivoluzione è lei.

Si era sposata a vent’anni con un geologo, si era laureata in giurisprudenza e si professava di sinistra, viveva a Manchester, aveva lavorato in un ospedale geriatrico come assistente sociale e non le era piaciuto, si era messa a vendere vestiti in un grande magazzino e si era stancata. E se fosse diventata una scrittrice?
Ma da che parte si comincia a scrivere? Si era messa a leggere sulla Rivoluzione Francese prendendo in prestito i libri dalla biblioteca civica: non le interessavano il re, la regina gli aristocratici e il loro sanguinoso destino, ma i rivoluzionari, la gente che si era ribellata e aveva cambiato la Francia e il mondo. Di quell’evento epocale le piacquero subito tre protagonisti soprattutto perché erano scesi nella capitale dalla provincia per fare fortuna e perché erano giovani: e giovani erano morti sotto la lama della ghigliottina nello stesso anno, il 1794, Robespierre a 36 anni, Danton e Desmoulins a 34. Cominciò a prendere appunti e quegli appunti, in cinque anni, divennero il suo primo libro, un romanzo storico enorme di 840 pagineche mandò a tanti editori: nessuno lo accettò.

Lo strano caso di Hilary Mantel
Era il 1979, lei aveva 27 anni, il suo matrimonio stava finendo, la sua salute era sempre più malferma. A place of greater safety uscì solo anni dopo, nel 1992: Hilary Mantel era ormai conosciuta per quattro suoi romanzi piuttosto crudeli, e quel romanzone storico che li aveva preceduti, finalmente pubblicato, fu accolto con consenso critico. Si sa che il lettore italiano è terrorizzato da un libro di troppe pagine, così da noi, 22 anni dopo la prima edizione inglese, l’editore Fazi lo pubblica in tre volumi. Esce adesso il secondo, Un posto più sicuro; il primo, La storia segreta della rivoluzione, è uscito in aprile, prossimamente uscirà l’ultimo. Il primo volume racconta l’infanzia, gli studi in collegi privilegiati, la giovinezza, la protezione delle autorità religiose, gli amori, le speranze di questi provinciali ben lontani dall’idea di una Rivoluzione; questo secondo inizia proprio con la presa della Bastiglia, i primi linciaggi, le prime teste ficcate sulle alabarde. Robespierre, Desmoulins, Danton, sono tra i rivoluzionari, ma nessuno di loro immagina che poi ci sarà un ininterrotto bagno di sangue, che il re e la regina verranno decapitati, che il Terrore (nel terzo volume) eliminerà anche i tre rivoluzionari. Ma poiché si tratta non di un saggio storico, ma di un romanzo, per quanto, dicono gli studiosi, storicamente irreprensibile, dialoghi, descrizioni, pensieri, legami con le loro donne, momenti domestici e lo scivolare a poco a poco in un’immane tragedia, rendono ogni pagina affascinante.
Oggi, a 62 anni, Hilary Mantel è una celebrità: le è successo qualcosa che la rende unica nel mondo della cultura anglosassone, ha vinto due Man Booker Prize, il più prestigioso premio letterario inglese, nel 2009 e nel 2012, con due libri che fanno parte di una trilogia su Thomas Cromwell, il potente consigliere di Enrico VIII, che aiutò a divorziare dalla regina Caterina, a sposare Anna Bolena e poi a liberarsene, e soprattutto a staccarsi dalla chiesa di Roma e a fondare la chiesa anglicana. Sempre Fazi li ha pubblicati col titolo Wolf Hall e Anna Bolena, una questione di famiglia. Chi ha visto la serie televisiva I Tudors, sappia che i due romanzi sono molto più affascinanti, frutto di una ricerca storica sconfinata e di una profondità psicologica meravigliosa. La signora sta lavorando al terzo volume, con la caduta di Cromwell, che si intitolerà Lo specchio e la luce.

Lo strano caso di Hilary Mantel

Sin dalla prima giovinezza Hilary aveva sofferto di dolori lancinanti e misteriosi e alla fine i medici avevano deciso che erano di origine psicologica e la riempirono di psicofarmaci. Uno psichiatra sentenziò che il male dipendeva dalla sua eccessiva ambizione, innaturale in una donna, e le prescrisse di non scrivere più. Lei e il marito geologo, Gerald McEwan, come lei cattolico e di origine irlandese, si erano intanto spostati nel Boswana, che era ancora in uno stato molto primitivo. E continuando a soffrire, Hilary decise di arrangiarsi da sola. Sfogliando i testi della libreria universitaria capì di essere affetta da endometriosi, e tornata in Inghilterra entrò in ospedale dove le asportarono utero e ovaie. Non avrebbe mai più potuto avere figli: «Non so se ne volevo, ma mi addolorava non avere scelta. Adesso mi addolora non poter essere nonna».
Intanto il matrimonio era finito, lei era tornata a viver con sua madre, di giorno lavorava in una libreria, di sera in un bar. Era molto infelice, fin quanto tornò Gerard e nel 1982 decisero di risposarsi per poter andare insieme in Arabia Saudita dove lui aveva trovato lavoro. Furono mesi terribili, non poteva uscire sola di casa perché veniva insultata, non poteva guidare perché proibito alle donne e aveva paura del senso di ostilità e di minaccia che sentiva ovunque. Questa sgradevole esperienza le aveva almeno suggerito un nuovo libro, Eight months on Gazzah Street, che anticipò la verità sull’ostilità tra arabi e occidentali.
Ma da dove veniva Hilary Mantel, con la sua malattia, la sua intelligenza, la perfezione della sua scrittura? Lo racconta ampiamente nelle sue memorie pubblicate in Inghilterra nel 2003 e in Italia nel 2006 (Einaudi, I fantasmi di una vita). Viveva poveramente col padre, la madre e due fratellini in un cupo paesino nel nord del Derbyshire, dove la gente «era diffidente e incapace di vivere la vita». Jack andava a bere il tè da loro e un giorno non andò più via, installandosi nella camera della mamma che ogni tanto andava a letto col marito, tanto da mettere al mondo il terzo figliolino, identico al padre ufficiale. Che Hilary non vide mai più quando a 11 anni lei, i fratelli, la mamma e Jack se ne andarono a vivere in un altro villaggio, nel Cheshire, e i bambini presero il cognome di Jack, Mantel, che aveva un pessimo carattere, litigava sempre con la compagna e sgridava i piccoli.
Lei vedeva i fantasmi, i diavoli, parlava con i morti, era molto religiosa. «Credo che Gesù per me non fosse meno reale delle mie zie e dei miei zii, e il fatto che non potessi vederlo per me era irrilevante». A 12 anni smise di essere credente, ma non di provare per anni il senso di colpa cattolico. Da ragazza era molto sottile, con grandi occhi azzurri, capelli biondi, una carnagione perlacea. Con l’operazione e la cura di ormoni cominciò a ingrassare sempre di più: oggi è una signora dal bel viso infantile e molto robusta, che porta abitoni a campana, e non si è ancora rassegnata: «Spesso ho ancora la sensazione di essere nel corpo di un’altra».
Il suo ultimo libro in edizione inglese è una raccolta di racconti e porta il titolo di uno di essi, L’assassinio di Margaret Thatcher, in cui Mantel immagina la morte del primo ministro inglese per mano di un militante dell’Ira, che naturalmente ha suscitato le proteste dei conservatori. C’è chi l’ha definita «squilibrata», chi ha chiesto alla polizia di investigare su di lei. Del resto l’anno scorso era stata rabbiosamente attaccata per aver definito Kate Middleton «una modella da vetrine», sfruttata dalla monarchia per assicurare eredi e con la sua grazia e bellezza per fare un’ottima pubblicità alla casa reale. I reporter assediarono la sua casa, le sue frasi non offensive per la duchessa di Cambridge furono interpretate negativamente e ci fu chi scrisse che essendo grassa era invidiosa della linea di Kate.
Oggi Hilary e suo marito vivono a Budleigh, un paese di cinquemila abitanti soprattutto pensionati, nel sud dell’Inghilterra, affacciato sul mare che lei vede dalle grandi finestre del suo studio. È a tre ore da Londra e chi vuole incontrarla deve andare da lei. Suo marito ha lasciato il lavoro di geologo per starle vicino e le fa da manager. «Cosa penso della mia vita? Che se avessi potuto scegliere avrei preferito i figli ai libri, che sono orgogliosa di essere la prima donna a vincere due Man Booker Prize, ma sarei stata ugualmente contenta se li avesse vinti un’altra donna. Che per me guadagnare è importante, perché mi permette di ricevere le bollette e i conti senza tremare».

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