Franco Ferrucci
Il formidabile deserto
Lettura di Giacomo Leopardi
Il formidabile deserto, opera in cui Ferrucci affronta la sfida con l’amato Leopardi, primo scrittore dell’età moderna, romantico inconsapevole e nichilista inquieto, rappresenta probabilmente una delle letture più originali e libere che siano mai state offerte sul genio del grande poeta di Recanati. Ferrucci ne segue vicende biografiche, percorso letterario e spirituale, con la convinzione che Leopardi sia all’origine della “coscienza moderna” degli uomini del nuovo millennio; benché pervaso da una sostanza profondamente religiosa, il pensiero leopardiano costituisce infatti il fondamento della moderna critica della civiltà, approdata al radicale rifiuto dell’idea di progresso. Scritto in uno stile limpido e asciutto, di grande accessibilità pur nella complessità degli stimoli e spunti che lo animano, Il formidabile deserto segna un punto importante nella saggistica italiana degli ultimi anni.
– 12/01/1998
Franco Ferrucci – Il formidabile deserto
Fratello ideale di Schopenhauer, e ideale consanguineo di Baudelaire e Nietsche, Leopardi vive nella propria esperienza umana e poetica la contraddizione che accompagnerà gli uomini del Novecento. “Nella letterautra italiana Leopardi é l’unico possibile equivalente di Dante per quanto riguarda l’aasolutezza del messaggio esistenziale”.
– 12/01/1998
Leopardi kafkiano più che pagano
Italianista e narratore di grande originalità, con “Il formidabile deserto” Franco Ferrucci offre un contributo tutt’altro che convenzionale alle celebrazioni del 1998, bicentenario della nascita dell’autore dei “Canti”. La sua “lettura di Giacomo Leopardi” – così il sottotitolo del volume – ha il pregio di tenere presenti, facendole reagire reciprocamente, due posizioni critiche che, anche di recente, sono sembrate addirittura inconciliabili: quella di un Leopardi solo poeta, per semplificare, e l’altra di un Leopardi eminentemente pensatore. Ferrucci traccia piuttosto il profilo di un poeta di pensiero che scopre lentamente se stesso, muovendo i primi passi all’ombra di una personalità notevole come il padre Monaldo e ritrovandosi a professare un’inattesa “religione del male”, strettamente imparentata con il dualismo gnostico. Puntuale nel riferimento a brani anche poco frequentati, l’analisi di Ferrucci ha dunque il suo baricentro nella certezza che testi come le “Operette morali” si comprendono unicamente alla luce di un’opposizione religiosa, sia pure di segno negativo, in cui il poeta porta a compimento la sua predilezione per il versante apocalittico della tradizione giudaico – cristiana. non un Leopardi cristiano, quindi, ma comunque un Leopardi che non si spiega senza il cristianesimo. Anzi, che non si rivela mai pienamente neppure a se stesso, proprio per la reticenza a considerare in chiave religiosa la propria vicenda letteraria ed esistenziale. Di particolare interesse, in questo senso, l’individuazione delle fonti dantesche all’interno della “Ginestra”, ma anche l’indicazione di Leopardi come figura isolata nella letteratura italiana tra Sette e Novecento, caratterizzata secondo Ferrucci dal tentativo di rifondare un paganesimo classicheggiante di ascendenze massoniche e anticristiane ( si pensi a Carducci). Nel suo corpo a corpo con una tradizione che rifiuta, ma da cui non può prescindere, Leopardi diventa così il precursore non tanto del nichilismo di Nietsche, quanto del disorientamento di Kafka, al quale lo lega – nella felice definizione di Ferrucci – una “sofferenza” intesa come “segno di elezione”.
– 02/01/1998
Leopardi filosofo per tutti
“Profeta in quanto vittima, vittima in quanto profeta” Giacomo Leopardi continua a emanare un’influenza “lunare”, obliqua e sottile, per il suo modo di essere scrittore. Come in Friedrich Nietzsche, Soren Kierkegaard e altri pensatori moderni, infatti, quella che é parsa incoerenza della sua visione (Benedetto Croce per questo motivo gli negava dignità di filosofo) in realtà é capacità veggente di sviscerare l’incoerenza dell’esistente: caratteristica che denota una logica “esplosiva” e paradossale piuttosto che un difetto di capacità di sistematizzare. Ma al romanziere e critico, docente di italianistica negli Stati Uniti, Franco Ferrucci, nel suo “Formidabile deserto” non preme tanto rivalutare il poeta di Recanati come filosofo e pensatore (ripercorrendo una linea sviluppatasi nel dopoguerra e di recente ribadita da un saggio dello studioso fiorentino, Luigi Baldacci), quanto cercare una comprensione d’insieme dell’uomo Leopardi. Attraverso un percorso analitico dei suoi scritti e delle sue vicissitudini esistenziali, Ferrucci racconta come sotto la pressione di un “super -ego”, intellettualmente ipertrofico e severo, la lirica dell’autore del “Sabato del villaggio” rappresenti un ultimo “gesto di fede nel dialogo e nella vita”. Una poesia quindi che si impone come riscatto possibile alle molte prigionie dell’esistenza. Scritto con un linguaggio agile e spregiudicato, anche a rischio di qualche eccessiva semplificazione, il libro ci restituisce dell’autore delle “Operette morali” un ritratto vivo ed efficace, che si offre alla lettura di tutti.
– 02/10/1998
Solo come Leopardi
Può sembrare un paradosso affermare che, a dispetto di migliaia di titoli sulla sua opra,il poeta di Recanati é forse più noto che conosciuto, perché tante sono le contrastanti verità che alimentano il suo pensiero e la sua poesia. E chissà, se Leopardi avesse voluto giudicare i suoi autorevoli futuri critici dal Risorgimento a noi, cosa avrebbe loro consigliato per un miglior trattamento del suo caso. L’auspicio é che questo anno leopardiano per il bicentenario della nascita, che si annuncia ricco di inizaitive editoriali e convegni, non fornisca chiavi universali di comprensione del poeta ma che sia piuttosto, come suggeriva Fortini per i classici, ecologico affinché scolari e adulti non siano parimenti “protetti e illuminati”, cioé educati ai messaggi ultimi e/o alle ragioni della sua poesia. Che é una poesia sempre da decifrare come un geroglifico. Leopardi é un poeta ribelle al secolo, al padre, alla modernità, al progresso, alla natura “madre di parto e di voler matrigna”, e tale ribellione é l’esigenza irrinunciabile che lo spinge, come Colombo, Tasso, l’Islandese, Amelio, i personaggi delle Operette, ad evadere da quell’universo prigione che é la vita, ad esplorare terre e continenti per fuggire “la noia”, il “tedio”, a cercare piacere “tra sognare e fantasticare”. Il sogno in cambio del vero é il pensiero dominante del prigioniero che dimora in una “cella tutta lacera e rovinosa”, luogo simbolico della condizione umana.il sogno del prigioniero, che allude a una celebre lirica di Montale, ispira l’ultimo libro di Franco Ferrucci, “Il formidabile deserto. Lettura di Giacomo Leopardi”, (Fazi Editore, pp. 139; £ 25,000). Si tratta di un saggio intenso, a tratti folgorante, che scruta il mistero di una vita senza eventi che si fa forma, atto creativo nell’opera, dischiude insondate originalità di alcuni testi e itinierari leopardiani. Otto capitoli, estremo di ogni figurazione leopardiana della realtà: il deserto, “questo formidabile deserto del mondo” di cui il poeta parla in una celebre lettera all’amico Pietro Giordani del 17 dicembre 1819. La prigione e il deserto, due luoghi perfettamente speculari del vivere e delle sue antinomie, affiorano come immagini inquietanti nell’opera leopardiana dalle pagine dello “Zibaldone” alle “Operette morali” ai “Canti”. Allo stesso modo il deserto terreno, “la mesta landa” sulla quale siede il pastore errante dell’Asia é speculare al deserto cosmico da cui la luna “solinga, eterna peregrina” contempla ”questo viver terreno”. Leopardi é cartografo e pellegrino di questi luoghi, cantore del male di vivere, mai rassegnato in una sterile contemplazione, ma spirito combattente, come già rammentava Francesco De Sanctis.Il ritratto di Leopardi da giovane che Franco Ferrucci scolpisce nelle prime pagine é quello di un prigioniero il cui desiderio di fuga diverrà inseparabile dal bisogno di reclusione, un tormentato adolescente che sfida la cultura e i valori paterni, un figlio ribelle che ci invita a diffidare dell’aureo secolo e dell’universale amore che terrebbe insieme popoli e climi. E’ il punto nodale del pensiero leopardiano, che non aspira alla sintesi ma si condensa come una “materia in movimento”, cresce attraverso appunti e frammenti nello “Zibaldone” da cui, poi, si diparte nelle più mature opere. Assegnando alla contraddizione il ruolo di motore immobile del suo pensiero, Leopardi è “l’archetipo cronologico del nichilismo moderno”, un critico della civiltà che ha modellato tanta letterautra e filosofia di questo secolo. Dense appaiono le pagine che Ferrucci dedica al rapporto tra Leopardi e la nostra contemporaneità. “Nasce con lui – scrive l’autore – , almeno da noi, l’artista moderno, la cui stessa creatività é legata al naufragio del proprio desiderio”. Come i grandi romantici tedeschi, Leopardi sente che poetare é generare, come “Kafka, sente il peso della coscienza moderna”.Dalla sua Recanati estrema periferia dell’Italia e dell’Europa negli anni tempestosi della Restaurazione, Leopardi mette appunto un’impietosa diagnosi della modernità che lo porta ad una personale concezione materialistica della realtà a la rifiuto radicale del presente. La memoria, lo specchio dell’infinito, la rimembranza, il moto e la quiete: tali sono le figure concettuali che pervadono l’universo poetico leopardiano e tali si offrono nella ricostruzione di Ferrucci, come nuclei di una filosofia che oltrepassi la ragione, discolpi gli uomini e rivolga l’odio contro la Natura “all’origine vera de’mali de’ viventi”. Tuttavia le immagini della Nautra, prima benigna e poi matrigna, prima armonia e poi rea, capace di imporre una deliberata volontà di infliggere il male, ma anche una natura che ha memoria di sé, consapevole del dolore che arreca, sembrano dall’intrinseca contraddittorietà che muove il pensiero leopardiano, contraddizione evidente ed innegabile che si espande dall’ordine delle cose via via fino a comprendere la società e la ragione, la storia e il progresso. La memoria, nutrita dall’immaginazione, sana il dolore, si sostituisce così alla realtà esterna e genera fonte di piacere, di sentimento liberatorio nell’uomo, una realtà mai veduta prima Ferrucci mostra intensa convivenza con Giacomo, esplora, più che le croste, gli strati profondi dei testi celebri come “L’infinito”e “La Ginestra”, e scopriamo un poeta che si nutre di idee, di reminiscenze, un poeta di revisioni, di negoziazioni a distanza con Platone e Dante. Impariamo a conoscere un Leopardi platonico, gnostico, impegnato in un serrato confronto con modelli e archetipi della tradizione. Ma é proprio l’Alighieri “il segreto fuoco d’ispirazione che alimenta il fuoco della ginestra”: Il vulcano é il simbolo della montagna del Purgatorio sulla cui cima non troviamo il paradiso ma una bocca che vomita fuoco. Solo la lenta ginestra che ha sede e dimora nelle terre desertiche può esortare gli uomini a vivere con umiltà e dignità il momento della loro sopravvivenza. nel formidabile deserto del mondo, la sopravvivenza é un valore in sé, mentre la poesia aggiunge solo “un filo alla tela brevissima della nostra vita…ci rinfresca per così dire; e ci accresce la vitalità”. L’umile pianta é lì coi suoi profumi, forse ad annunciare una comunità più partecipe e solidale.
– 02/01/1998
Giacomo Leopardi. Il pensiero globale
(…)In questo “deserto” (“Il formidabile deserto” è il titolo di un altro recente libro leopardiano, di Franco Ferrucci, edito da Fazi) resistono dei “fiori”, e non solo in quella poesia così “ultima” e assoluta che è “La ginestra”, ma in tutto il percorso poetico e filosofico dell’autore. Questi procede a smantellare tutti i fondamenti illusorie delle ideologia e della vita collettiva, ma si affida comunque a qualche valore vitale che giustifica il suo stesso procedere, che allude a qualche possibile forma di autenticità, spostata sempre più in là, sempre più disillusa e privata di fondamenti, ma proprio per questo tanto più nobile e “alta”. E tra i tanti esempi fatti da Prete, basta ricordare un famoso pensiero dello “Zibaldone” del 22 aprile 1826, descrizione di un giardino la cui bellezza sorge dalla sofferenza di tutti gli esseri che in essi vivono, che rivela il dominio assoluto del male e la crudeltà assoluta della natura, ma nello stesso tempo indica una “fraternità” del patire, “chiama a una partecipazione che strazia”: anche il Leopardi più radicalmente “negativo” distingue tra una natura “nemica” e artefice di male e una natura che patisce, che subisce, che si ribella al male. Inutile ripetere che questa distinzione dovrebbe correggere o almeno sfumare ogni assunzione del pensiero di Leopardi sotto l’etichetta di un puro nichilismo. Questo senso della contraddizione agisce vigorosamente in tutta l’analisi che Leopardi fa della vita di relazione (a cui è dedicato anche il “Discorso sopra lo stato presente dei costumi italiani”): e oggi avremmo davvero bisogno di prestare più attenzione alla sua spietata denuncia dei condizionamenti reciproci tra gli uomini, degli effetti dello “sguardo altrui” sui comportamenti e sui modelli mentali, degli artifici deformanti e delle derive che costituiscono e corrodono il nostro insieme. Si sarà ministeriali e “buonisti” se si ripeterà che questo pensiero sociale così “negativo” comporta dentro di sé la ricerca di un possibile equilibrio “civile”? Se si ricorda che esso indica la strada di una cultura della responsabilità e della coscienza, di una “cura”, per quanto disillusa degli errori, degli inganni, dei disastri che gli uomini sono abituati ad aggiungere a quelli della natura? Io credo che abbiamo più che mai bisogno di essere leopardiani, oggi che “il brutto / poter che, ascoso, a comun danno impera”, assume le sembianze ingannevoli della virtualità e del consumo totale, di “magnifiche sorti e distruttive”.