Quelli come John Fante gli americani li chiamano WOP, ovvero "WithOut Passport", persone che pur essendo nate negli USA non sono considerate veri statunitensi, perché conservano ancora l’impronta delle origini, che nel caso specifico di Fante hanno la forma di un paesello dell’Abruzzo di inizio secolo. E in effetti le pagine di Fante sono brandelli autobiografici e luoghi della memoria mal camuffati dalla nostalgia, dove si aggirano amici e parenti, un padre ubriacone e puttaniere, rude come "rocce della Maiella" e una madre-madonna fervida credente e devota al figlio scrittore.
"Sono nato in un appartamento nel seminterrato di una fabbrica di maccheroni nella zona nord di Denver", racconta di sè Arturo Bandini. In effetti Fante e Bandini (come anche Dominic Molise, l’altro alter ego) si assomigliano un bel po’: hanno entrambi un padre muratore ("il più grande muratore della California"), sono entrambi scrittori squattrinati alla ricerca del successo. Per John Fante il successo arriverà, anche se tardi, con la pubblicazione di Full of Life, il suo romanzo più comico e più autobiografico. E poi, arriverà postumo, grande e soprattutto europeo quando in Francia, e quindi in Europa, si deciderà di pubblicare e ripubblicare tutte le sue opere. Bandini, nonostante tutto, di racconti ne pubblica soltanto uno, quel E il cagnolino rise di cui tanto parla in Chiedi alla polvere.
"Bassetto, vivace, con le unghie mangiate e le mani tozze, era abbigliato con delle vecchie scarpe da tennis e dei pantaloni troppo grandi, sformati", così l’amico Ross Wills descrive lo scrittore e sceneggiatore John Fante. Curioso, distratto, generoso, spendaccione, pigro, John lotta per gran parte della sua esistenza con la povertà. A Denver, in Colorado, frequenta la scuola parrocchiale e poi l’istituto dei gesuiti. L’università è costretto ad abbandonarla perché deve aiutare la madre a mantenere la famiglia, visto che il padre se ne va di casa con una donna molto più giovane di lui. (John riprenderà i corsi universitari al Long Beach College dove farà i lavori domestici a casa del suo professore in cambio di vitto e alloggio, "fino a quando non terminarono i soldi"). A questo punto Fante decide di andare in California e, a Wilmington, la zona portuale di Los Angeles, vive in uno stato di indigenza assoluta, tenta di vendere i suoi racconti e nel frattempo fa lavori davvero d’ogni tipo: il fattorino, lo stivatore nelle navi, l’inscatolatore di cibi, l’impiegato in una stazione di servizio. Ma Fante non si arrende: continua a scrivere lettere e mandare racconti a Mencken, il direttore di "The American Mercury" finché un giorno dell’anno 1932 un suo racconto viene pubblicato. Ma non è tutto: il racconto gli viene pagato ben 175 dollari con i quali Fante riesce finalmente a pagare gli imbarazzanti conti del droghiere. Per due anni John vive in una stanza di un albergo in rovina (l’Alta Vista Hotel a Bunker Hill, un quartiere più che malfamato) dove gli fanno compagnia una serie di personaggi davvero emarginati: filippini alcolizzati, prostitute sconfitte e scrittori disperatamente poveri. Alla fine i soldi arrivano, e anche tanti: 250 dollari settimanali (una quantità di denaro da "levarmi il fiato", racconta in una lettera) sono il primo stipendio che Fante guadagnava a Hollywood facendo lo sceneggiatore. D’ora in poi Fante avrà la possibilità di guadagnare molti soldi (e di spenderli anche in proporzione), ma considererà sempre la scrittura per il cinema un lavoro di ripiego, frustrante e poco benefico alle sue aspirazioni "vere". E quando John raggiunge finalmente la stabilità economica, un po’ grazie al matrimonio con Joyce Smart, redattrice colta e di buona famiglia, ma soprattutto grazie al successo commerciale di Full of Life (1952) – scopre di avere una grave forma di diabete. Il successo del libro (e soprattutto del film tratto dal romanzo) permette comunque ai Fante di comprare anche una nuova casa a Malibu, dove trascorrono “un periodo di relativo benessere", racconta Joyce; è qui che Fante, malato e vecchio, si rimette a scrivere narrativa, si dedica a libri che non aveva mai finito, ne scrive di nuovi, e memorabili. La malattia lo stava devastando.
Bukowski lo ricorda così: «Andavo a trovarlo in ospedale e a volte anche a casa quando lo rilasciavano per un po’. Era in un ospedale, stava morendo, cieco e con entrambe le gambe amputate; aveva il diabete. Ma andava avanti. Scrisse ancora un libro in quello stato, dettandolo a sua moglie. È stato uno scrittore fino alla fine. Mi raccontò addirittura di un’idea per il suo prossimo romanzo: la storia di una donna, campionessa di baseball. "Forza, John, scrivilo", gli ho detto. Ma subito dopo era finita...» John Fante muore nel maggio del 1983 a 74 anni.