Nafeez Mosaddeq Ahmed

Dominio

COD: 92c8c96e4c37 Categorie: , , Tag:

La guerra americana all'Iraq e il genocidio umanitario

Collana:
Numero collana:
51
Pagine:
220
Codice ISBN:
9788881124275
Prezzo cartaceo:
€ 17,00
Data pubblicazione:
28-03-2003

Traduzione di Thomas Fazi, Andreina Lombardi Bom, Nazzareno Mataldi, Pietro Meneghelli, Vincenzo Ostuni e Isabella Zani

In Dominio, Nafeez M. Ahmed prosegue la sua documentatissima requisitoria contro il “nuovo imperialismo” angloamericano. Citando centinaia di fonti – documenti desecretati, libri e articoli di prestigiosi accademici, funzionari di Stato, giornalisti, per la gran parte autori occidentali di alta reputazione e indubbio profilo – Nafeez M. Ahmed mostra fra l’altro che: 1. Nonostante la pluridecennale “propaganda umanitaria”, la politica degli Stati Uniti nella regione iraniano-irachena è stata unicamente dettata dagli interessi strategici, economici e politici della superpotenza americana; 2. Tale politica si è espressa in primo luogo nell’installazione di regimi servili nei due Stati: quello dello shah Pahlevi in Iran, e poi quello dello stesso Saddam Hussein in Iraq; 3. Gli USA hanno sostenuto Saddam durante la lunga, inutile e devastante guerra contro l’Iran, in particolare fornendo know-how e tecnologie di distruzione di massa; 4. Esistono prove convincenti che gli Stati Uniti e il Kuwait, di concerto, diedero vita a partire dal 1990 a una serie di provocazioni che indussero Saddam a invadere il Kuwait; nel frattempo, la posizione ufficiale degli USA nei confronti della diatriba Kuwait-Iraq, e una serie di comunicazioni dirette a Saddam da alti funzionari USA – ora desecretate –, lasciarono intendere a Saddam che gli Stati Uniti “avrebbero lasciato fare” il loro “amico” qualora avesse invaso il Kuwait; 5. La politica delle sanzioni, che per dodici anni ha messo in ginocchio uno dei Paesi più avanzati del Medio Oriente riducendo la sua economia, i suoi servizi sociali e le sue infrastrutture ai più bassi livelli del terzo mondo e ha causato oltre 1.500.000 morti (di cui per un terzo bambini al di sotto dei cinque anni), costituisce un vero e proprio genocidio, per il quale il Consiglio di Sicurezza, l’amministrazione USA e il governo britannico dovrebbero essere giudicati; 6. Scopo reale delle sanzioni è fiaccare il popolo iracheno e mandare un preciso messaggio a tutti gli altri popoli mediorientali: “è questo che succede a chi non voglia allinearsi agli interessi economici USA nella regione”; 7. La retorica sulle armi di distruzione di massa utilizzate dall’Iraq non è altro che propaganda; prove irrefutabili dimostrano: a) che è quanto meno dubbio che l’Iraq ne possieda; b) che gli Stati Uniti hanno tollerato e tollerano l’utilizzo continuato di armi di distruzione di massa da parte dei loro alleati Israele, Indonesia e Turchia; c) che, durante la stessa prima guerra del Golfo, gli Stati Uniti hanno tollerato l’utilizzo di armi di distruzioni di massa da parte di Saddam nei confronti dei ribelli curdi; d) che gli Stati Uniti hanno utilizzato armi di distruzione di massa – e in particolare armi a base di uranio impoverito – durante la stessa guerra del Golfo, pienamente consapevoli dei loro effetti genocidari.

DOMINIO – RECENSIONI

 

Attilio Giordano, IL VENERDÌ DI REPUBBLICA
– 11/04/2003

 

Ma tutto era già deciso prima dell’11 settembre

 

Un documento recentemente declassato e pubblicato dallo studioso inglese di origine araba Nafeez Masaddeq Ahmed (in Dominio, Fazi, 222 pp. 16.50 euro) racconta come, da decenni, esistano due verità americane. Nel 1948 il dipartimento di Stato teorizzava: “Dovremo smetterla di parlare di obiettivi vaghi e irrealistici come i diritti umani, il miglioramento del tenore di vita e la democratizzazione del mondo. In un prossimo futuro dovremo ragionare in termini puri e semplici di relazioni di potere…”.
Quel disegno è stato perseguito da un gruppo che si definisce neo-conservatore, già testa d’ariete dell’amministrazione Reagan e poi del presidente Bush padre. Un gruppo che si è raccolto, dal 1997, intorno ad un’associazione che si chiama “New American Century” (Nac) e nel settembre del 2000 – come ha rivelato il Sunday Herald – aveva predisposto “un piano di pace globale” che prevedeva il controllo militare del Golfo e la necessità di “combattere e vincere con decisione in vari e simultanei teatri di guerra” nonché di “scoraggiare i paesi industriali avanzati dal mettrere in discussione il nostro potere o solo aspirare a un più ampio ruolo regionale o globale”. Il documento immaginava di realizzare tutto ciò con l’Inghilterra alleata, di far sì che le missioni di pace fossero guidate “dagli Usa piuttosto che dall’Onu”, si preoccupava della potenziale “rivalità dell’Europa” e si spingeva fino a prevedere, per il futuro, una potenza militare Usa più forte nel Sud-est asiatico allo scopo di “spronare il processo di democratizzazione della Cina”. Infine dettava i nemici di “breve periodo”: Iraq, naturalmente, ma anche Siria, Libia, Iran e Corea del nord.
Da chi era formato questo gruppo di “visionari americani che vogliono controllare il mondo”, per usare le parole del parlamentare inglese Tam Dalyell, esponente di spicco della Camera dei Comuni? Da Dick Cheney, diventato poi vice-presidente degli Stati Uniti, da Donald Rumsfeld, attuale segretario della Difesa, da Paul Wolfowitz, vice di Rumsfeld e ideologo del Nac, da Joe Bush, fratello del presidente e da Lewis Libby, capo di Stato maggiore di Cheney. Cioè dell’attuale vertice strategico-militare del Pentagono.
Le bugie e le omissioni sulle vere ragioni della guerra a Saddam non hanno, tuttavia, scalfito la serenità degli americani. Che, in maggioranza, sono con Bush e – secondo un sondaggio del 2002 – si sono convinti che Saddam Hussein abbia organizzato gli attentati dell’11 settembre.
Che gli attentati, in realtà, siano stati uno dei pretesti per scatenare una guerra prevista e pianificata da anni, non meraviglia. Il Nac aveva chiesto all’allora presidente Bill Clinton di muovere guerra all’Iraq già nel gennaio del 1998. Non aveva ottenuto risposta, anche perché quei signori che oggi guidano gli Stati Uniti, allora erano considerati “un gruppo di estremisti fuori dai giochi”. La previsione era errata: il “gruppo di estremisti” ha condotto per mano l’America fino convincerla dell’inevitabilità della guerra. Ogni bugia ha comunque lasciato una traccia nell’anima del Paese. La prima pista, la più facile e popolare, fu proprio quella dei collegamenti con Al Qaeda. “Lo stesso giorno degli attentati”, riferisce Bob Woodward del Washington Post “Donald Rumsfeld richiese di giudicare se le informazioni erano abbastanza buone per colpire Saddam Hussein e non solo Bin Laden”.
Le informazioni, a quanto pare, non erano sufficienti. Ma arrivò di seguito il “caso antrace” che venne subito attribuito non a Bin Laden, ma direttamente all’Iraq. Gli investigatori fecero sapere, infatti, che “l’Iraq è il principale sospettato per le spore letali”. Si ribadiva: “Siamo sotto attacco”. In seguito, senza troppo clamore, si scoprirà che le spore sono “le stesse in possesso dell’esercito Usa dal 1980”, e provengono tutte, “da un’unica fonte militare: il Medical Research Institute of Infectious Disease di Fort Detrick, nel Maryland”. Ma si scoprirà di peggio: secondo l’agenzia Associated Press al personale della Casa Bianca, presidente compreso, era stato distribuito il farmaco anti-antrace (Cipro) un mese prima che la notizia dei casi di avvelenamento divenisse pubblica.
Le notizie sgradite, tuttavia, annegano presto nel mare dell’informazione. E, presto, si torna ad accusare l’Iraq di legami con Al Qaeda sulla base di un incontro che il leader degli attentatori suicidi, Mohamed Atta, avrebbe avuto con u agente dei servizi segreti iracheni a Praga. I primi a rivelare questa “prova” sono i giornali inglesi che descrivono l’iracheno in crescendo: prima è un “basso livello” (The Guardian), poi “quadro medio” (Indipendent), per diventare “alto funzionario” (Financial Times) e decisamente “il capo dei servizi segreti iracheni” (Times). Chi lo dice? “Fonti segrete”. Dopo poche settimane, senza lo stesso risalto, non solo tutto è smentito dalla polizia ceca, ma da Vaclav Havel in persona: Atta non ha incontrato nessuno a Praga. Anzi a Praga non c’è mai stato.
La linea di Washington cambia ancora. Ora si esprime così: Saddam Hussein ha armi di distruzione di massa. Tra l’altro, questo crea nell’opinione pubblica spaventata dagli attentati dell’11 settembre un alto grado di comprensione. Tony Blair promette un dossier. Il suo contenuto trapela a settembre 2002, proprio mentre il Congresso sta per votare l’autorizzazione all’intervento in Iraq. La Cia riferisce di una partita di tubi d’alluminio che il Niger ha venduto all’Iraq allo scopo di fabbricare ordigni nucleari. Chi ha dato l’informazione alla Cia? L’MI6, i servizi inglesi. L’informazione è ritenuta “seria”. Ma il 7 marzo il direttore dell’Agenzia per l’energia atomica, Mohamed el Baradei, fa sapere che i documenti che provano la vendita sono falsi. E talmente mal falsificati che compare il nome di un ministro, Allele Habibou, che non è più in carica dal ’97. Ma la notizia ha già condizionato l’atteggiamento di molti democratici dubbiosi, inducendoli a sostenere la guerra di Bush.
A proposito di armi nucleari e batteriologiche, d’altronde, si era già dato un caso. L’ex ispettore dell’Onu Scott Ritter, repubblicano ed ex marine, aveva espresso con forza la sua certezza, dettata da 7 anni di ispezioni in Iraq: “Saddam non può avere quelle armi”. In una lunga intervista (pubblicata in Italia sempre da Fazi, Guerra all’Iraq, 118 pp. 10.00 euro) fornisce gli elementi della sua convinzione. Inoltre Ritter ha sbugiardato un famoso “disertore”, testimone chiave del riarmo iracheno: Khidre Hamza. Affermava di essere il responsabile della produzione della bomba nucleare irachena. “Appare di continuo alla tv americana”, dice Ritter. “Ma non è chi sostiene di essere: era un funzionario di medio livello, non ha mai progettato armi nucleari. Fu licenziato e disertò. La Cia, era il 1994, rifiutò di utilizzarlo perché inattendibile. Il capo del programma era Jafar el Jafar”. Ritter, nei mesi seguenti, è stato accusato dall’Fbi di essere prima un agente israeliano e poi una spia irachena.
Intanto la strategia si arricchisce: viene spiegato che si va in Iraq per portare la democrazia. Ma l’Iraq di Saddam fu appoggiato dagli Usa contro l’Iran, benché allora utilizzasse armi di distruzione biologica. Non a caso una fonte della Cia riferì una battuta divenuta proverbiale: “Sappiamo bene che Saddam è un figlio di puttana. Ma è il nostro figlio di puttana”. E sia americani che inglesi hanno sovvenzionato tentativi di golpe che non avrebbero cambiato il regime ma, solo, lo avrebbero orientato verso gli interessi di Washington (come il gruppo golpista Accord, finanziato dall’MI6 britannico).
Esempi di una strategia davvero “duratura”. Portata avanti, per ironia, da un gruppo di persone che ha avuto poco a che fare con le guerre: Cheney fu imboscato del Vietnam e il presidente stesso ha fatto il soldato nella guardia nazionale del Texas, “ultimo bastione”, scherza qualcuno, “per difenderci da un’imminente invasione dell’Oklahoma”.
Un gruppo d’affari, per tradizione, dentro a tutte le lobbies del petrolio e delle armi, che fu persino in società con la famiglia Bin Laden (nel gruppo Carlyle fino all’11 settembre 2001).
Il nonno di George W. Bush, racconta Eric Laurent (in La guerra di Bush, Fandango, 220 pp. 16.50 euro), si chiamava Prescott ed era un senatore, repubblicano del Connecticut. Era un finanziere figlio di finanzieri. Lavorò con la Germania nazista facendo ottimi affari. Fu direttore della Union Banking Corporation, messa sotto accusa dal governo per “commercio con il nemico” anche durante la guerra. Era inoltre in società un industriale tedesco, Friedrich Flick, processato a Norimberga e condannato a sette anni.
Uomini dediti agli affari, poco inclini alle passioni politiche. Come quel nipote presidente che, oggi, rimprovera all’Europa ingratitudine: “L’abbiamo liberata dai nazisti”. Vero. Ma non è stato Prescott Bush.

 

Francesco Neri, IL MANIFESTO
– 28/03/2003

 

Obiettivo, Stati uniti del Golfo

 

 

«Dominio. La guerra americana e il genocidio umanitario» di Nafeez Mosaddeq Ahmed. Pamphlet contro la politica espansionista degli Usa

Nafeez Mosaddeq Ahmed, giovane studioso inglese, direttore dell’Institute for Policy Reserach & Development di Brighton, un ente di ricerca e intervento che si occupa di diritti umani, con il fortunato saggio Guerra alla libertà, aveva offerto «la più approfondita analisi sull’11 settembre» (Gore Vidal). Ora, per lo stesso editore – Fazi – torna nelle librerie con una tagliente e documentatissima requisitoria contro la nuova politica espansionista degli Stati uniti: “Dominio”. La guerra americana all’Iraq e il genocidio umanitario (pp. 219, ? 15). La sua tesi principale è che la «guerra al terrore» intrapresa dagli Usa dopo l’11 settembre sarebbe «fondamentalmente un’estensione dei piani e dei princìpi che hanno motivato e guidato la politica estera americana a partire dalla seconda guerra mondiale. Col pretesto di combattere il terrorismo internazionale, il governo americano sta in realtà tentando di espandere e consolidare la propria egemonia globale in accordo con le strategie progettate ed elaborate nel corso degli ultimi decenni. Le radici della nuova guerra al terrore vanno ricercate nel clima politico internazionale che portò alla guerra fredda con l’Unione Sovietica.»
Nel volume – ricco di fonti, documenti desecrarti, libri e articoli di accademici, funzionari di stato e giornalisti per la gran parte occidentali – Nafeez Ahmed spiega come la concezione Usa dell’ordine mondiale nel periodo seguente alla II guerra mondiale sia descritta molto bene, già nel 1948, in un documento top secret recentemente declassificato del dipartimento di Stato, all’epoca diretto da George Kennan: «Noi possediamo circa il 50% della ricchezza prodotta sulla terra, ma solamente il 6,3% della popolazione mondiale… In una tale situazione non possiamo evitare di essere oggetto di invidia e risentimento. Il nostro vero obiettivo nel futuro prossimo è creare un sistema di relazioni che ci permetta di mantenere questa condizione di disparità senza danni effettivi alla sicurezza nazionale…»
Questo memorandum segreto conferma l’obiettivo principale degli Stati Uniti: assicurarsi il dominio economico mondiale. “Dominio”, su cui si basa la forza dell’America, che deve essere istituzionalizzato attraverso la creazione di un sistema di relazioni politiche estese a livello globale.
La strategia dell’America, il cui scopo è il controllo del mondo, è stata perseguita ben prima dell’11 settembre: lo scozzese Sunday Herald – pure citato da Nafeez Ahmed – ha parlato di un piano strategico per il dominio globale degli Stati Uniti e rivelato piani militari approvati dal presidente Bush ancor prima che assumesse il potere nel gennaio 2001.
Questo piano fu steso da Dick Cheney, oggi vice presidente, Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa, Paul Wolfowitz, vice di Rumsfeld, Jeb Bush, fratello minore di George W. Bush. Secondo il Sunday Herald – scrive Nafeez Ahmed – il piano mostra l’intenzione del gabinetto Bush di porre la regione del Golfo sotto il proprio controllo militare, con o senza Saddam al potere. C’è scritto nel documento: «Per decenni gli Stati Uniti hanno tentato di giocare un ruolo più costante nella sicurezza regionale del Golfo. Se il conflitto irrisolto con l’Iraq offre l’immediata giustificazione, il bisogno di un’importante forza americana nel Golfo trascende il problema del regime di Saddam Hussein». Su questo documento del Project for a New American Century (Pnac) si afferma inoltre che l’Inghilterra è un alleato chiave degli Usa e che le missioni di pace necessitano della «guida politica degli Usa piuttosto che di quella delle Nazioni Unite»; si dice, inoltre, che l’Europa può diventare rivale degli Usa e che – «se Saddam dovesse scomparire dalla scena politica» – le basi in Kuwait e in Arabia Saudita continueranno a esistere a tempo indeterminato. Infine, viene dato per possibile un cambio di regime in Cina e si sostiene la pericolosità di Corea del Nord, Libia, Siria e Iran.
Il libro è suddiviso in tre capitoli – Il massacro nel Golfo del 1991; Il Golfo insaguinato; “Dominio” o speranza – che smontano tutte le argomentazioni di chi sostiene la necessità dell’intervento in Iraq, di chi afferma la necessità di questa guerra per estromettere dalla scena politica mediorientale il dittatore Saddam. Gli interessi strategici, economici e politici degli Usa nella regione iraniano-irachena occultati dalla «propoganda umanitaria»; il sostegno a Saddam in chiave anti-iraniana; gli accordi segreti tra americani e Saddam sul Kuwait; la politica delle sanzioni che ha raso al suolo, prima delle bombe, l’Iraq provocando un vero e proprio genocidio (1.500.000 morti, un terzo bambini al di sotto dei 5 anni); la retorica sulle armi di struzione di massa utilizzate dall’Iraq…. “Dominio” documenta e accusa con la forza della precisione e il rigore dell’apparato storico-documentale.

 

Dominio - RASSEGNA STAMPA

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