Karel Glastra Van Loon
Il frutto della passione
Traduzione di Claudia Di Palermo e Alessandra Corda
Oltre 300.000 copie vendute solo in Olanda, dove è alla sua ventisettesima edizione, tradotto in dieci lingue, Il Frutto della passione è stato un grande caso editoriale tradotto con successo in 25 paesi (solo in Francia ha venduto più di mezzo milione di copie, rimanendo a lungo ai vertici delle classifiche). Armin Minderhout è il padre di un ragazzino di tredici anni di nome Bo. La mamma di Bo – Monika, il grande amore di Armin – è morta da più di dieci anni e Armin, dopo un difficile periodo di solitudine, convive felicemente con Ellen, la migliore amica di Monika. Nel tentativo di avere un bambino, la coppia si sottopone a un test di fertilità dal quale risulta che Armin soffre da sempre di una rara sindrome congenita che gli impedisce di avere figli. La sua vita è di colpo sconvolta: chi è dunque il padre del bambino che ha sempre considerato suo figlio? Questa e altre domande riaprono in lui la ferita del passato e rimettono in discussione la storia d’amore vissuta con Monika. Armin decide di andare in cerca del vero padre di Bo, e nel finale, la rivelazione sarà tanto inaspettata quanto sconvolgente. Durante il doloroso percorso che lo porterà a scoprire la verità, Armin è costretto a riconsiderare tutto ciò in cui ha creduto fino a quel momento e a trovare una risposta a tutte le domande che non avrebbe mai voluto porsi: che cosa sappiamo in realtà di coloro che amiamo? Conosciamo veramente le persone che ci sono più vicine? E come continuare a vivere adesso? Cosa fare dei propri ricordi più cari ora che ha scoperto che in realtà sono falsi?
– 03/07/2003
Il frutto della passione
Secondo Van Loon il padreterno è un gran burlone. Infatti ad Armin Minderhout , padre di un ragazzino di tredici anni di nome Bo, fa scoprire, per caso, di essere sterile da sempre e per sempre, a causa di un errore della cellula XX che nell’ovaia non si divide come dovrebbe in due ovuli ciascuno con un cromosoma X, ma in due ovuli di cui uno senza cromosomi. Ma il destino è veramente cieco e le leggi di nature sono, veramente, così ingiuste, come appaiono da questa variazione algebrica? Poiché la madre di Bo, la non dimenticata Monika, è morta, ad Armin non resta che mettersi alla ricerca del passato di lei, nonché del padre naturale di Bo. La conclusione è l’amaro lamento:”Non sono più niente. Né padre, né figlio, né amante, né amico. Ho smesso di esistere. Devo reinventare me stesso”. E’ proprio vero che chi ha il pane non ha i denti! Secondo il filosofo polacco Zygmunt Baunam (“Intervista sull’identità” Laterza, 2003, pp.124), infatti, ogni identità-politica, nazionale, sessuale, religiosa-è in continua trasformazione ed è proprio questa flessibilità la garanzia sia di evitare preoccupazioni e accese controversie, sia di arricchire il proprio bagaglio umano.
– 03/05/2003
3 domande a Karel Van Loon
Un vedovo con figlio desidera un altro figlio dalla nuova convivente, la migliore amica della moglie a lungo rimpianta. Il figlio non arriva e allora decide di sottoporsi a un test. Il risultato – sterile dalla nascita – sconvolgerà la sua vita ed è anche l’incipit di Il frutto della passione dell’olandese Karel van Loon (Fazi, 15 euro), che mette in forma di thriller contenuti attuali (il ruolo della paternità) e universali (la ricerca della verità).
Nel libro ricorre una frase del Vangelo: “La verità rende liberi”. Anche felici?
Vengo dal giornalismo e so quanto è complesso il rapporto con la verità. In ogni caso preferisco avere a che fare con verità dolorose, sia a livello personale sia politico. Il fatto è che non sappiamo niente della persona che amiamo, ma tendiamo a ricordare le storie passate come le migliori della nostra vita.
Qui un padre scopre che il figlio non può essere suo. Anche un figlio, con l’inseminazione artificiale, può non sapere mai chi è il padre naturale.
Invece è molto importante, per un bambino, saperlo. In Olanda non è più possibile per il donatore del seme restare anonimo.
Che cosa l’ha ispirata?
La visione dell’amore nei romanzi di D. H. Lawrence. E il modo di intrecciare le trame del telefilm E.R.: mi pare il modo più onesto per ricomporre i fatti. E arrivare a una verità accettabile.
– 15/04/2003
L’olandese volante
Sotto il sole di una primavera agli inizi incontriamo, su una terrazza con “vista tetti” (di quella Roma antica che il nostro interlocutore definisce “incredibile”) Karel Van Loon, lo scrittore che ha conquistato prima la sua Olanda, poi il mondo intero; L’Olandese Volante, che si libra con la penna e la mente restando però con i piedi ben saldi a terra, a quella realtà alla quale è attaccato non solo come scrittore ma anche come giornalista. E parliamo del suo libro, quello che è un vero e proprio frutto della passione. Della sua passione, per la scrittura e per il mondo.
La trama del romanzo per chi non l’avesse letto?
“E’ la storia di Armin, già padre del tredicenne Bo, che volendo avere un figlio dalla nuova compagna si sottopone ad un test di fertilità e scopre di essere affetto da una rara sindrome congenita che gli impedisce di avere figli. Bo, dunque, non è suo, né lui può chiedere spiegazioni alla moglie, morta dieci anni prima. Chi è allora il vero padre di quello che ha fino ad oggi considerato suo figlio? Armin si mette alla ricerca di quest’uomo”.
Ventisette edizioni e trecentomila copie vendute solo in Olanda, traduzione in quattordici lingue… come ci si sente ad essere un “caso editoriale” a soli 40 anni?
“Trentacinque edizioni” corregge Van Loon ridendo, con una punta di legittima vanità. “Bene, mi sento molto bene anche se sono ancora stupito. Tre mesi dopo la pubblicazione, ero al bar con un amico e gli dicevo che avevamo fatto la terza ristampa e venduto ottomila copie. Lui mi faceva i complimenti, mi diceva che per essere un primo romanzo stava andando benissimo, e che sarei arrivato a vendere ventimila copie. Un mese dopo i diritti furono venduti alla Germania, che è il mercato classico per gli autori olandesi, ed ero contento; poi un mese dopo alla Francia, ed io ero sconvolto. Adesso sono venti Paesi, Cina, Sudafrica… non ci posso credere… è una cosa fantastica. Il mese scorso ero in Thailandia quando mi telefona la mia agente da Londra per dirmi che aveva venduto i diritti alla Bulgaria e al Brasile. Sono felice di questo successo, non è che si guadagni moltissimo, ma è entusiasmante che il mio libro arrivi in tutto il mondo”.
Come si arriva ad un mix ideale di qualità letteraria e forza commerciale?
“La cosa più importante è essere onesti, aderire alla verità. Può sembrare banale, ma quando scrivi dell’amore, della morte, di temi importanti, ti accorgi che la cosa più difficile è proprio essere sinceri. Non la pensavo così quando ho scritto Il frutto della passione, che è il mio primo libro, perché non pensavo al giudizio di critici e lettori, volevo solo scrivere il mio libro. Ma con il secondo romanzo sapevo che tutti mi sarebbero saltati addosso per farmi a pezzi, quindi era più difficile ascoltare la mia voce, perché ero più preoccupato di piacere. Voglio dire che se uno cerca di scrivere un romanzo di successo, allora è la volta che non ci riesce”.
Lei è giornalista, autore televisivo e scrittore. Le tre anime sono fuse o una prevale sulle altre?
“Non potrei fare a meno del giornalista: sono curioso, se succede qualcosa voglio essere lì per vedere, capire e raccontare; d’altra parte scrivere letteratura dà più soddisfazione perché si crea dal nulla qualcosa di assolutamente personale; questo libro l’ho scritto io e non l’avrebbe potuto scrivere nessun altro”.
Armin è un redattore di testi scientifici e sembra parlare del rapporto tra parentela e amore come contando geni e cromosomi.
“Non si può dire che Armin abbia una visione scientifica dell’amore, ma è consapevole di come persone che vivono in un ambito scientifico vedano l’amore in modo scientifico. Lui è però un romantico, proprio un romantico perso”.
La ricerca del vero padre di Bo è una storia personale di Armin o una meditazione sui legami familiari?
“Credo abbia un respiro maggiore della sola storia personale, che pure è importante; tocca infatti un tema universale che è poi la risposta alla domanda se sia davvero un bene conoscere tutto della persona che amiamo. Non sarebbe meglio mantenere qualche segreto?”.
Senza svelare il finale, qual è l’insegnamento che si trae dal romanzo?
“Se c’è una morale, è che l’amore riesce a vincere su tutto, a ricomporre le cose andate in pezzi. C’è sempre speranza, dopo tutto” conclude Van Loon con la risata che ha punteggiato tutta l’intervista.
– 01/06/2003
Una famiglia all’esame del Dna
Tradotto in venticinque Paesi, best seller in Olanda, patria dell’autore, Il frutto della passione affronta l’antico tema della certezza i paternità attraverso una porta tutta contemporanea: lo sgretolamento di quella stessa certezza grazie a un semplice esame del Dna. Tanto basta, oggi, per vedere saltare uno dopo l’altro i picchetti della sacra famiglia.
Arnim Miderhout scopre che il dodicenne Bo non è suo figlio. La madre, morta da dieci anni, non può rispondere alla classica domanda: chi è il padre? Sullo sfondo di una Amsterdam multietnica, cosmopolita, dove quasi tutto è lecito, Armin, uomo che preferisce l’apocrifo vangelo di Filippo alle quattro versioni ufficiali, inizia a capire che l’inganno è fitto. La trama s’avvita su questo dado fin dalle prime pagine; e la sua ricerca, a tratti sfilacciata, diviene ricerca di sé, di una verità possibile oltre la cortina fumogena dell’apparenza: “La vita è una catena infinita di ristrutturazioni”.
Non c’è anfratto della sua esistenza e del suo matrimonio che egli non voglia illuminare con la torcia di una nuova consapevolezza, tanto dura quanto antica: se la scienza odierna certifica, il dubbio della paternità s’annida nella preistoria umana. Ricco di citazioni, anche da riviste di biomedicina, Il frutto della passione è in realtà un romanzo controllato, in cui convivono il linguaggio sciolto della narrazione e quello, assai più freddo, della trattazione a tema: l’influenza pesante e ormai ineliminabile delle biotecnologie sulla vita di noi.
– 05/05/2003
All’origine del tradimento. L’olandese Van Loon parla di “Frutto della passione”.
Un giovane olandese si sposa e fa un figlio, poi la moglie, venticinquenne, muore e solo dopo vari anni, solo dopo essere andato a vivere con la migliore amica di lei, il ragazzo scopre che è sterile da sempre e che il figlio, quindi, non è suo. Ed è così che Il frutto della passione, dell’esordiente olandese Karel Van Loon, grande successo di critica e di pubblico in Europa, tradotto in 25 Paesi e adesso pubblicato in Italia, diventa la tragicomica ricerca, da parte del protagonista, del possibile correo, del padre di suo figlio, di quello che ha sempre considerato suo figlio: il frutto della passione, appunto (ma quale passione, e con chi, si chiede per tutta la storia il giovane Armin, sconvolto dalla scoperta e ossessionato dalla ricerca della verità). La risposta arriva alla fine ed è una sorpresa che, per quanto inaspettata per Armin, non aggiunge molto alla storia. Nel senso che il romanzo è bello indipendentemente da quell’espediente finale: è bella la storia d’amore tra Armin e la moglie, e poi tra lui e l’amica della moglie. Ed è bello, e fresco e descritto splendidamente, il racconto di quello spaccato di mondo che sono i giovani nati e forgiati negli Anni 70, e ancorati senza eroismi ma con vigore, negli anni a venire, a quegli stessi ideali che non spariscono ma solo si stemperano nel quotidiano. Dal quale affiorano, sottotono, come un leit motiv, anche i drammoni esistenziali di sempre: l’amore, la paternità, la vita, e soprattutto la morte.
In effetti la morte è sempre presente nel suo romanzo, sia pure in maniera poco drammatica. E’ una scelta funzionale alla storia, o si tratta invece di un espediente letterario?
“E’ funzionale alla storia. In questo romanzo che parla di incertezze, in cui non c’è nulla di sicuro, di propriamente definito, la morte è l’unica certezza, il lato oscuro”.
Si mischiano molti elementi, eppure tutti restano appena sfiorati. Tutto – la morte, la vita, la paternità, i rapporti sentimentali, l’impegno politico – è alla fine un po’ incoerente.
“E’ vero, ho finito per oscillare tra molti soggetti, tutti quelli che mi passavano per la mente. La ragione è che, probabilmente, trattandosi del mio primo romanzo, ho avuto difficoltà a focalizzare un elemento centrale. Nel prossimo romanzo sarà diverso, credo”.
Dicono che ha polverizzato Nick Hornby. Che ne pensa?
“Penso che mi piacciono molto i suoi libri, però sono molto diversi dal mio. Non condivido il paragone. Hornby e io attingiamo a tradizioni letterarie, quella americana e quella europea. Come olandese cerco di rispondere ai grandi quesiti esistenziali, come è appunto nella grande tradizione letteraria europea, anche se in maniera più moderna, più attualizzata, più legata a un modo di vivere che attinge alla televisione, per esempio. Al contrario, Hornby, come tutti gli americani, racconta storie più minimali, più legate al giorno per giorno”.
E’ strano questo romanzo. Ha tutti i requisiti per essere una storia cruda e invece non lo è: a volte commuove, in certi casi fa sorridere.
“Non so, direi che alla fin fine si risolve tutto nel fatto che questo romanzo è un riflesso di come sono io. Non che la storia sia autobiografica, solo che il protagonista somiglia a me, anche se la sua storia non è la mia storia”.
E’ anche lei, quindi, il ragazzo che si sforza di fare scelte coerenti con il suo impegno politico, anche se non sempre ci riesce. Come vede, adesso, quel ragazzo che è stato lei un tempo?
“Lo vedo bene. Non sono di quelli che pensano che, siccome non riescono a realizzare i propri ideali al 100 per cento, si demoralizzano e lasciano perdere. Credo che lottare sia giusto, lottare per i propri ideali intendo, ha torto chi afferma il contrario, chi afferma che non serve. Io sono convinto che serva. Basti pensare alla guerra in Vietnam. Non ha contato forse l’opinione pubblica, il peso della società civile, di quello che pensava la gente sull’esito di quella guerra?”.
Questi strani personaggi femminili, così forti eppure appena abbozzati. Non si sa cosa pensino, né chi siano davvero.
“Sì, uno dei limiti del libro è che Armin, il protagonista, è troppo preso da se stesso e dalla ricerca del tradimento da occupare quasi tutto lo spazio, relegando sullo sfondo gli altri personaggi, i loro pensieri. Altra differenza con gli americani: questi ultimi sono capaci di scrivere trecento pagine per descrivere tutti i dettagli della vita dei personaggi. Gli europei non lo fanno, e io rientro perfettamente nella tradizione europea”.
Spesso si sfiora la tragedia, in questa storia, eppure se ne esce sempre. Questo non è molto europeo.
“No, questo è molto personale”.
Lei parla tanto di grande romanzo europeo. Che fine ha fatto quel romanzo? Che cosa ne è rimasto, di quello negli scrittori di adesso, a cominciare da lei?
“La differenza, in estrema sintesi, credo consista nel fatto che ai tempi di Dostoevskij non c’era la televisione. E’ una metafora, naturalmente, significa che anche le grandi passioni, i grandi drammi vanno mediati dal tempo in cui vivono, e dalle caratteristiche dei tempi in cui sono ambientati e scritti. In altre parole, credo che quei drammi e quelle passioni, le tragedie epocali siano esattamente le stesse, solo vengono filtrate e vissute in modo diverso”.
Lei, che è un uomo di sinistra, che cosa ha pensato della guerra Iraq-Usa? Cosa pensa che sia giusto o utile fare, anche adesso che è finita?
“Sono convinto che protestare, scendere in piazza sia giusto e utile. Tutte le proteste hanno sempre un grande impatto sull’opinione pubblica, sull’amministrazione pubblica. A volte gli effetti non si vedono sul breve periodo, ma si vedranno in futuro. In questo caso specifico, non sono convinto che le scelte del governo americano non riflettano il sentimento dell’opinione pubblica di quel Paese, e questo si farà sentire, prima o poi”.
– 27/03/2003
Dall’Olanda con stupore. Ecco Van Loon, l’autore del Frutto della passione
Karel Glastra Van Loon sorride bevendo il suo primo cappuccino italiano all’Hotel Locarno: “Non sono mai stato a Roma, né in Italia. E’ buffo, sono stato quasi dappertutto nel mondo e invece qui per ora ho fatto solo una passeggiata notturna da Piazza del Popolo a Piazza di Spagna. Ho quasi paura di avere aspettative troppo alte”. Un olandese errante sbarca dunque a Roma. Ma pensa alla sua casa: “Amsterdam è un posto in cui si sentono gli uccellini cantare, in effetti è abbastanza raro in una città”. Chissà se Roma non la deluderà.
Quest’olandese, però, non è un turista qualsiasi. E’ uno scrittore brillante. Anzi perfetto: quarantenne, gentile, impegnatissimo, umile nonostante il successo strabiliante. Il frutto della passione (Fazi 2003) è un romanzo che ha scalato le classifiche di 25 paesi europei, rispecchia benissimo il suo autore, è un libro perfetto: piace a tutti, diverte e commuove gente di tutte le età, mette d’accordo critica e pubblico. Ha le carte in regola dello scrittore impegnato: ha lavorato per i servizi sociali, è stato corrispondente da Cuba, dalla Cina, dal Kuwait, nel 1989 ha partecipato come volontario a una missione di rimboschimento in Nicaragua. Adesso fa il giornalista free-lance per la radio e la televisione. Ha partecipato anche alla campagna televisiva del partito socialista olandese. Un vero “eco-scritttore” che si batte contro l’inquinamento ambientale, gli animali geneticamente modificati e il ruolo dell’Olanda nei conflitti internazionali.
Il frutto della passione è un libro dalla trama semplice e tematica “universale”: il protagonista scopre di avere una sterilità congenita, la sua ex compagna è morta da una decina d’anni, e lui si ritrova con un figlio di tredici anni improvvisamente non “suo”. Sulle inevitabili ricerche che scatenerà questa scoperta si snoda un romanzo ben calibrato, dallo stile spoglio; fresco che arriva dritto al cure delle cose. Ma non solo. I segreti del successo de Il frutto della passione sono tanti e inutile tentare di capirli tutti, conviene affrontare la lettura facile e appagante, ma anche rigenerante, di questo best-seller di qualità. Un romanzo che affronta temi come temi macroscopici come ma paternità e la perdita di un amore è scritto con una lingua “molto scarna, le frasi brevi, facili”, dice ancora Claudia Di Palermo, traduttrice del romanzo e editor romana che vive ad Amsterdam.
“La cosa incredibile è che in Olanda tutti hanno letto Il frutto della passione, dalla casalinga al ragazzino del liceo, e il libro è adottato nelle scuole, ma è molto criticato dal mondo degli intellettuali. Forse perché è troppo impegnato. Conta anche il pragmatismo tipicamente olandese che considera gli scrittori un po’ come artigiani e non concepisce che si occupino di altro”, dice Claudia Di Palermo. Per chi volesse incontrare questa promessa della narrativa oggi pomeriggio l’autore incontrerà i lettori alle ore 18 presso l’Istituto Olandese in Via Omero 10
– 01/04/2003
Effetto sorpresa
A prima vista sembrerebbe la storia dell’amore di Armin e Monika, morta giovane dopo aver messo al mondo un figlio. In realtà leggendo si scopre che la vera storia d’amore è quella che lega Armin a questo figlio, Bo, cresciuto da solo, con allegria e coraggio, condiviso con la nuova compagna, portato con saggezza alla soglia dell’adolescenza. Finché un esame non rivela che Armin è sterile, e che quindi Bo non è suo figlio. Potrebbe essere la fine. E invece è, a modo suo, un inizio.
– 08/04/2003
Un uomo, un amore, un segreto
Cosa può provare un uomo scoprendo che suo figlio, il figlio che ha desiderato e accarezzato, che ha giocato con lui sulla spiaggia e ha dormito nel suo letto, il figlio che ha cresciuto da solo, dopo la morte della moglie… ebbene, che quel figlio non è suo figlio? Di più: che non può avere figli, perché è – da sempre – sterile? E’ la storia di Arnim, che ha 35 anni e vive ad Amsterdam, e della rivelazione-choc che gli cambia la vita. Ed è anche Il frutto della passione (Fazi Editore): molto più di un romanzo, un thriller dei sentimenti, che esce adesso in Italia dopo essere stato un caso editoriale in Olanda (dove è arrivato a 27 edizioni). Abbiamo intervistato l’autore, Karel G. Van Loon. Che ci parla di paternità mentre, nella sua casa di Amsterdam, gioca con i suoi bambini… Scoprire che tuo figlio non è tuo: un fantasma molto maschile, che è l’anima stessa del suo libro. Una scelta insolita, quasi inquietante, come tema per un primo romanzo…
Volevo scrivere di paternità: e il miglior modo di parlarne non è forse metterla in dubbio?
Lo dice in quanto padre?
Ho 40 anni e due bimbi piccoli (più un terzo in arrivo). Ma curiosamente, quando ho cominciato a scrivere questo libro, non avevo figli. Il primo è stato concepito proprio mentre scrivevo il romanzo…
Cambierebbe qualcosa, ora che è padre?
Forse non scriverei certe pagine con la stessa leggerezza: oggi so anche quanto i bambini significano in termini di fatica, di tempo. Ma sono sempre convinto della tesi di fondo: che il legame paterno è basato soprattutto sul prendersi cura, sull’insegnare, sull’accudire. Al di là della biologia. Lo pensavo e adesso lo so: non a caso ho scelto (grazie anche al successo del libro) di restare a casa con i bambini, di scrivere da casa. E mi sento molto privilegiato nel poterlo fare, nel poterli seguire così da vicino.
E lei, un test Dna lo farebbe?
No, no (ride). Sono abbastanza sicuro di essere io il padre…
E se avesse dei sospetti? Arnim, nel libro, scava da detective nel suo passato, e nel passato della sua compagna, per scoprire chi è il vero padre di suo figlio…
Arnim deve trasformarsi in detective per forza: la sua compagna è morta. Ma non mette mei in discussione il rapporto con il figlio: solo il rapporto con la donna che ha amato. Io cosa farei? Cercherei un confronto con la mia compagna; non credo farei un test. Trovo che ognuno di noi abbia diritto ai suoi segreti.
E’ un approccio molto democratico, forse anche molto nordico…
Ma potrei semre cambiare idea, no?
– 04/04/2003
“Bush e Rumsfeld, i volti della follia”
Ha venduto 300 mila copie solo in Olanda, dove è giunto alla sua 27ma edizione, ed è stato tradotto in dieci lingue. “Il frutto della passione”, primo romanzo lungo di Karel Van Loon – ora in Italia per Fazi editore – è stato osannato da tutta la stampa straniera, dal Times a The Independent, come il più interessante romanzo degli ultimi mesi.
Van Loon, che nella vita è anche giornalista di carta stampata e televisione, oltre che ricercatore appassionato di biologia, è riuscito a raccontare una storia di forte attualità mescolando generi quali il thriller, la scrittura leggera, la didattica scientifica, il romanzo d’amore e il filone generazionale.
La storia raccontata è quella di Armin, giovane padre di Bo, distrutto dalla morte prematura della moglie e rifidanzatosi dopo anni con la migliore amica di lei. Non riuscendo a fare un secondo figlio con la nuova compagna si sottoporrà a delle analisi che gli riveleranno una strana verità: il suo seme è sterile, lo è sempre stato. Dunque Bo non è suo figlio. E sua moglie Monika è morta. Nessuno potrà dirgli come sono andate le cose. Ma l’ossessione di Armin per la verità si trasformerà in un giallo alla ricerca dell’altro “padre” e dell’altro amore di sua moglie. La verità sarà dura da digerire.
Abbiamo incontrato Van Loon a Roma, durante la promozione del suo romanzo. Giovane, bello, simpatico e dichiaratamente di sinistra.
Mi spieghi come è possibile che un giovane, come il tuo protagonista, che combatte per l’ambiente, è di sinistra, vive il sesso piuttosto tranquillamente, poi finisce per scivolare sull’unicità del suo seme….
Guarda che non è autobiografico, il libro.
Lo so, ma il personaggio lo hai inventato tu. Saprai dirmi perché è tanto in crisi nello scoprire che il figlio che ha accudito e amato per tutta la vita ora non gli sembra più tale.
La femminista americana Marylin French nel suo libro “Uomini, donne e morale oltre il potere” sostiene nella sua tesi centrale che gli uomini si costruiscono un mondo di potere negli ambiti della politica e della religione partendo dalla loro insicurezza sulla paternità.
Ma tu condividi l’angoscia del tuo personaggio?
In modo subdolo e non sempre riconoscibile, credo che sia condivisa da tutti gli uomini.
Nel libro, nonostante sia un romanzo, ti muovi costantemente tra argomenti legati alla biologia e altri di carattere culturale. E’ solo una questione di tuoi interessi personali o cerchi di dimostrare qualcosa?
Più che alla biologia sono interessato all’ingegneria genetica. E il tema mi interessa di questi tempi anche per motivi politici. In tutta Europa e non solo, Olanda in testa, le forze di destra stanno riprendendo vigore su questioni quali il presunto aumento della criminalità e l’arrivo di numeri consistenti di immigrati, proprio a partire da supposti motivi biologici. Come a dire: il criminale è tale per motivi precisi, per dove è nato, per dove è cresciuto e per le caratteristiche dei suoi geni. Una tesi molto pericolosa che ritengo vada contrastata con un ragionamento più complesso.
Stessa varietà anche nei generi letterari di cui fai uso.
E’ vero. Nella scrittura ho padri classici come Dostoevskij e D. H. Lawrence ma non nego di trarre ispirazione anche da serie televisive come “E. R. “. Una serie che ha una scrittura di ferro, dove si affrontano temi anche molto intimi senza cercare risposte-scappatoia. E poi non amo le etichette, preferisco mescolare tutti i generi con cui lavoro.
“Il frutto della passione” è il tuo primo romanzo lungo. Ed è stata un’esplosione. Ti sei domandato come mai? E che risposta ti sei dato?
Sì, me lo sono chiesto. E ho capito che il libro è piaciuto a molti proprio per questa sua varietà. Un vecchio biologo mi ha detto di averlo trovato appassionante, così come mio nipote diciottenne l’ha trovato carino perché si parla anche di sesso tra giovani. E poi c’è la mia generazione di quarantenni che vive le mie stesse angosce. Anche se in Olanda i lettori forti sono le donne, non gli uomini. Una differenza notevole, anche per la saggistica.
Approfitto della tua presenza a Roma per chiederti notizie del tuo paese e della posizione che ha assunto rispetto al conflitto in Iraq. Non ne sappiamo molto dell’Olanda.
La cosa non può che farmi piacere… che non ne sappiate molto, intendo. Siamo in un momento di notevole caos. Le elezioni di gennaio hanno fatto cadere il vecchio governo di destra ma non si sono formate ancora coalizioni in grado di assumere la guida del paese. Quindi siamo in mano ad un governo provvisorio che ha preso strane posizioni sulla guerra. Tipo: appoggiamo l’America politicamente ma non militarmente. E poi scopriamo che invece ci sono truppe olandesi sul fronte iracheno.
Sembra l’Italia… Ma il tuo particolare stato d’animo?
Mi sento impotente. E’ ovvio che Bush non porterà la democrazia da nessuna parte, né in Iraq né tantomeno in Medio Oriente. Le uniche cose che mi danno speranza sono i grandi movimenti pacifisti che si muovono nei nostri paesi. E anche la presenza della televisione. Sì, c’è del buono anche nella tv che ti fa vedere che facce hanno Rumsfeld e Bush e ti fa sentire le cose che dicono. Come è possibile non rendersi conto della loro follia?
– 02/04/2003
Dolori e verità delle apparenze
Incontro con lo scrittore e saggista olandese Karel Glastra van Loon, attivamente schierato sul fronte degli ecologisti. In Italia per parlare del Frutto della passione, uscito da Fazi
Il panorama della terrazza romana in cui ci incontriamo mostra tetti, cupole, facciate, ma non a caso quel che lui mi indica col braccio alzato è un corvo appollaiato su un’antenna. Trova sorprendente il suo piumaggio bianco e nero, quando a queste latitudini sarebbe stato prevedibile trovarlo interamente nero. Lui è Karel Glastra van Loon, scrittore quarantenne nato a Amsterdam, fortemente impegnato sul versante dell’ecologismo militante, autore di diversi volumi d’inchiesta e di denuncia. Nel `97 ha esordito alla narrativa con un libro di racconti e due anni dopo ha pubblicato Il frutto della passione, un romanzo proposto ora in Italia dalla Fazi editore (250 pagine, 15 euro), dopo un eccezionale successo di vendite. Mi dice che questa ottima accoglienza gli ha aperto spazi di intervento e discussione mai avuti prima, così che il militante ha guadagnato in libertà d’espressione grazie al romanziere. Il romanzo ha la trama di una detective story: Armin, il protagonista che narra in prima persona, ha avuto un figlio, Bo, dal suo grande amore giovanile, una ragazza morta prematuramente. Dalla sua nuova donna vorrebbe un altro figlio, ma scopre di essere sterile e, peggio ancora, di esserlo sempre stato. Poche pagine iniziali, dunque, e la vicenda comincia, fatta di interrogativi e rievocazioni angosciose, di inchieste privatissime e imbarazzanti, e soprattutto del rapporto col «figlio-non figlio» ormai adolescente, un rapporto pedagogicamente libero e creativo da cui traspaiono la moralità del protagonista, la sua emotiva didattica del paesaggio, l’amore per la condivisione e la conoscenza della natura. Non si può dire che la verità finale sia del tutto imprevedibile, ma la struttura giallistica, intrecciandosi con quella di una storia d’amore, adempie al proprio dovere, che è quello di sorreggere una riflessione a più livelli su cosa vuol dire essere davvero padre o figlio, sulla prevalenza dell’ambiente o del patrimonio genetico sulla nostra individualità, sull’essenza della persona e delle sue scelte.
L’affannoso rispecchiarsi tentato dal «padre» negli atteggiamenti e nelle predilezioni del «figlio», le distanze e le complicità, la stessa curiosa somiglianza fisica fra i due innescano la trama più autentica del libro, fatta di uno smarrimento comprensibile e di una diffidenza nei confronti delle apparenze frettolosamente consolidate in verità. Come davanti al fenomeno della fata morgana, il protagonista ammonisce il «figlio» di non dare per scontate le nozioni imparate dagli altri, di non fermarsi per pura comodità alle «idee ricevute». Eppure viene da chiedersi, visto il finale della storia, se la sua morale non sia piuttosto quella di dare anche alla apparenze il loro peso, data la vicinanza fisica e psicologica fra Armin e Bo. «Sì e no – risponde Karel Glastra van Loon – il fatto è che non c’è mai un punto di vista conclusivo sulle cose. Mettere sempre tutto in dubbio è un atteggiamento che, se portato alle estreme conseguenze, può condurti a un punto morto, da dove non puoi ripartire senza dare a qualcuna delle apparenze un certo valore di verità. Tutto il libro pone una grande enfasi sull’educazione, sul bel rapporto dialogico fra Armin e Bo, ma alla fine il lettore scoprirà che anche il patrimonio genetico ha un’importanza decisiva: verità diverse non si escludono, bensì dialogano tra loro». Del protagonista potremmo dire che è un grande osservatore della natura, amorosamente preciso nel dare nome a piante e animali. Tuttavia, per diversi anni ha ignorato una verità che lo riguardava molto da vicino. E’ possibile leggere in questa miopia privata un giudizio perplesso sull’attivismo pubblico, che può far perdere di vista gli aspetti più personali, o addirittura l’identità stessa delle persone a noi più prossime? «In realtà, ho inserito delle parti in cui la natura viene osservata e descritta perché mi irrita il fatto che pochissime persone siano consapevoli della sua fragilità e bellezza. Un giorno camminavo per un parco di Amsterdam e improvvisamente vidi una coppia di trampolieri, splendidi, elegantissimi ma soprattutto molto rari, praticamente impossibili da trovare in piena città. Ebbene, la gente passava davanti a questo miracolo senza accorgersi di nulla. Non riuscivo a capacitarmene. Io sono fatto al contrario: a casa mia non riesco a trovare gli oggetti più quotidiani, ma nel fitto del bosco posso individuare gli uccelli più nascosti e lontani. Non siamo noi a decidere quali sono le cose che riusciamo a notare con particolare acutezza, ma il senso di quelle parti del libro è anche quello di invitare a coltivare questo sguardo.» Torniamo all’intreccio: Armin e Bo giocano spesso a far scomparire con la fantasia palazzi e industrie, tutto quanto di moderno è stato costruito dopo il 1945. Quella che esprime in questo romanzo è una versione apertamente antiprogressista dell’ecologia? «Dobbiamo essere contro il tipo di progresso che abbiamo conosciuto finora, come fanno i movimenti ecologisti più seri. C’è un legame implicito fra ecologia e conservazione, ma non c’è dubbio che il movimento ecologista nel suo complesso sia storicamente un fenomeno progressista, avendo affermato per la prima volta l’opportunità, anzi il dovere, di conservare la natura per farne godere le generazioni future.» Di fatto, l’ecologia non è tanto il capitolo di una nuova politica, quanto di una nuova civiltà, non le sembra? «È un buon modo di vedere la questione. In effetti, il modo in cui noi guardiamo alla natura è molto personale, però la sua rilevanza è civile. Ma credo che il movimento ecologista sia ancora attestato su rivendicazioni di ordine strettamente politico.
– 27/03/2003
Karel Van Loon ha trovato il gene del successo
Che cosa succede se il padre di un ragazzo di 13 anni scopre quasi per caso
di essere sterile? Da questa semplice ma angosciante domanda si sviluppa Il
frutto della passione (Fazi, pagg. 249, euro 15) di Karel van Loon, il
giovane autore olandese, diventato sia in patria che all’estero un vero e
proprio «caso editoriale». Forte di numeri da capogiro (nel suo Paese il
romanzo ha venduto oltre 300mila copie, mentre in Francia ha già superato il
mezzo milione) van Loon è approdato a Roma dove oggi incontrerà il pubblico
presso l’Istituto olandese di via Omero (ore 18).
Il romanzo si annuncia come un sicuro best seller non soltanto per il
clamore suscitato in Olanda e nei Paesi che già lo hanno pubblicato. La sua
forza è tutta in un sapiente dosaggio di emozioni e invenzione narrativa. È
anche un romanzo a tesi, basta andare all’ultima pagina e scorrere la lista
di titoli che hanno offerto un supporto teorico, per capirlo. Si va dai
Vangeli apocrifi alla Ribellione delle masse di Ortega y Gasset, fino a
testi scientifici sulla curvatura terrestre e a pubblicazioni mediche
dedicate alla genetica e alla scienza del comportamento.
«Più che un romanzo a tesi – spiega van Loon – è un romanzo che parte da una
domanda che rimane però sostanzialmente inevasa. Quanto è forte il
condizionamento ambientale? E quanto conta l’eredità genetica nella crescita
di una persona?». Fino a qualche tempo fa la risposta sarebbe stata facile.
L’eredità positivista che ha plasmato il pensiero occidentale avrebbe
scartato i dubbi dei genetisti. «E così avrei fatto io – racconta l’autore
olandese – per sentirmi come tutti gli altri politically correct. Poi, però,
ho provato a calarmi in una situazione più concreta e, aggiungendo i
risultati delle ultime ricerche scientifiche, ho iniziato a coltivare dei
dubbi. Il frutto della passione è l’incarnazione di quei dubbi».
Arnim, il protagonista del romanzo, ha da tempo una relazione con Hellen, la
migliore amica della moglie scomparsa da una decina d’anni per una meningite
. Provano a fare un figlio ma senza successo. I risultati delle analisi
danno un esito inatteso. È Arnim a essere sterile. E questo nonostante abbia
un figlio di tredici anni che si chiama Bo. Il lungo e doloroso viaggio alla
ricerca di un passato da ricostruire si consuma velocemente dal momento che
van Loon riesce a dosare con sapienza davvero inusuale colpi di scena,
digressioni scientifiche e riflessioni esistenziali. «Volevo soprattutto
costruire – spiega – un romanzo che proponesse una riflessione su un tema
che solo in apparenza è scontato. C’è stato chi ha confessato che la lettura
del romanzo lo ha portato per giorni a non pensare ad altro che ad Arnim e
al suo rovello sulla paternità “scippata”. Ebbene, questo è stato
sicuramente il più bel complimento che ho ricevuto».
I critici inglesi hanno proposto un facile (anche se improprio) collegamento
con Nick Hornby, l’«inglese del momento», visto che ogni suo romanzo di
successo diventa immediatamente anche un film di cassetta. «About a boy
parlava soprattutto di un ragazzo – puntualizza van Loon – mentre io mi
concentro sulla vita emotiva di un padre che scopre di non esserlo mai stato
(almeno naturalmente). E poi mi sembra che Hornby si fermi sulla superficie
delle cose senza scendere in profondità».
Van Loon si gode un successo meritato che condivide, però, con una buona
squadra di conterranei. I vari Cees Nooteboom, Hugo Klaus, Harry Mulish sono
stati i protagonisti dell’ultimo Salon du Livre di Parigi. Dove hanno
portato l’esempio di una letteratura che gode di una salute strepitosa. «La
lettura nel mio Paese – spiega van Loon – è un’attività per fortuna molto
radicata. Ma il successo di questi ultimi anni è dovuto a un nuovo fattore:
l’immigrazione. Si sta formando una nuova generazioni di scrittori davvero
multietnica. Il primo nome che mi viene in mente è quello di Kader Abdollah.
Si tratta di un esule iraniano, arrivato ad Amsterdam quando aveva 32 anni.
Una volta arrivato da noi ha studiato l’olandese, che ora usa egregiamente.
Si tratta di opere che hanno rivoluzionato la nostra scrittura, prima così
asettica e seria e ora, grazie al contributo di scrittori provenienti
soprattutto dalle ex colonie e dal mondo arabo, piena di calore e di colore.
Da qui a un umorismo che pervade quasi tutti i nostri lavori il passo è
stato breve». E di sicuro effetto, visti i risultati.
– 02/04/2003
“Il Tevere? Un fiume magico”
Lo scrittore Van Loon racconta la “sua” Roma
L’autore olandese ha presentato nella Capitale il suo romanzo “Il frutto della passione”
Karel G. van Loon, 42 anni, giornalista, ha scritto un romanzo, “Il frutto della passione”,(Fazi editore,15 euro) tradotto in dieci lingue, uscito in venticinque paesi, di cui sono state vendute oltre trecentomila copie solo in Olanda. Lo scrittore è stato a Roma la settimana scorsa per presentare il libro all’Istituto olandese. A giorni parte il primo ciak per fare di questo romanzo un film. Anche Hollywood ha chiesto infatti i diritti per girare una versione americana.
Il romanzo racconta la storia di un padre, Armin, e di un figlio di 13 anni, Bo. La madre di Bo, Monika, muore e Armin, dopo alcuni anni di solitudine, va a convivere con Ellen, la migliore amica di Monika.
Nel tentativo di avere un bambino la coppia si sottopone a un test di fertilità dal quale risulta che Armin soffre da sempre di una rara malattia che gli impedisce di avere figli.
Chi è dunque il padre di Bo? La ricerca della verità è il filo conduttore che muove i personaggi e le emozioni della storia.
Scoprire la verità appartiene più al giornalista o al romanziere per van Loon?
“Cos’è la verità? È questa l’eterna domanda. Nel giornalismo c’è sempre un po’ la ricerca di una verità ma è più facile trovarla nella narrativa anziché nella vita quotidiana. In questo caso viene soprattutto dalle mie esperienze nella ricerca della verità nei rapporti umani”.
In questo viaggio ha scoperto Roma, che effetto le fa questa città?
“La conosco soprattutto in senso mitologico e attraverso i miei studi di latino a scuola. Roma è per me più di ogni altra cosa l’Impero romano ed è anche il Vaticano per la cristianità. Città unica anche perché si vive, si cammina, si incontrano le diverse epoche come parte della normalità. Questa città, con tutte le ere che si sono succedute, è fondata sulle idee, sul pensiero, sui rapporti fra l’uomo e Dio o gli Dei, e la Natura”.
Se dovesse ambientare un romanzo a Roma che genere di storia racconterebbe?
“Vorrei raccontare la storia di un bambino dell’età di Bo, 12 anni – un’età che precede l’esplosione sessuale che diventa, per un maschio, la sua maggiore preoccupazione – che ricostruisce Roma nella sua mente, nella sua immaginazione, nella fantasia. Dove tutte le diverse epoche l’hanno visto protagonista, e passa dall’una all’altra incontrando persone come gli antichi romani, personaggi del Medioevo, del Rinascimento, e anche del periodo fascista, del tempo di Mussolini. Ci dovrebbe però essere qualcosa che il protagonista deve scoprire, un mistero”.
Quanto del suo romanzo è autobiografico?
“La storia è finzione, non ho un figlio di quella età, ho due bambine di 4 e 2 anni e tra un mese nasce il terzo. Sono abbastanza sicuro che i miei figli sono i miei. Tutto il resto è autobiografico: le idee, il modo in cui il protagonista vede il mondo, gestisce i rapporti e le situazioni”.
Le piace di più essere un giornalista o un romanziere?
“Non potrei vivere senza il giornalismo, potrei vivere senza la narrativa. Ho bisogno di andare in giro per il mondo, ficcare il naso negli affari altrui, sono curioso di tante cose e voglio sapere come funzionano, perchè, cosa pensa la gente, cosa succede. Allo stesso tempo però quello che mi da soddisfazione è scrivere di situazioni finte, è una verità più grande di quello che si può raccontare dal vero”.
Ha viaggiato molto e quali sono i paesi che più l’hanno colpito?
“Gli Stati Uniti mi hanno molto impressionato per la loro immensità, enormità e vastità in tutto ma soprattutto nella natura. E l’altro paese è l’Indonesia che era una colonia olandese e mio padre è nato a Djakarta. Una cultura così diversa dalla nostra. Ho imparato che ci sono tanti punti di vista. Di Roma mi piacciono i colori dei palazzi, le ombre e le luci. I raggi del sole riflessi nei platani del lungotecere. E il Tevere? Non è solo un fiume, è un fiume magico”.
– 28/03/2003
Mali di famiglia, mali sociali
QUARANT’ANNI, alle spalle una lunga esperienza come inviato di guerra in Asia, Africa e America Latina, Karel Van Loon è oggi il narratore olandese di maggior successo in ambito internazionale. Il frutto della passione, il suo romanzo d’esordio appena uscito in Italia da Fazi (249 pagine, 15 euro), è stato già tradotto in dieci lingue, rimanendo a lungo nelle posizioni di vertice delle classifiche in Francia, Gran Bretagna, Usa e Germania. Cosa lo ha spinto a scrivere una commedia agrodolce sui tormenti di un uomo che, molto tempo dopo essere rimasto vedovo con un figlio, si accorge di essere da sempre sterile a causa di una rara sindrome congenita e cerca di scoprire chi è il vero padre del bambino? «Una considerevole percentuale della letteratura contemporanea viene scritta da donne per un pubblico di donne e mette al centro il tema della maternità», risponde Van Loon, a Roma per presentare il suo libro. «Ho tentato di offrire il punto di vista maschile, senza però fare una scelta di genere troppo netta. Mi interessava anche mettere in evidenza come è cambiata la famiglia con la crisi della coppia tradizionale. Arnim, il mio protagonista, è il portavoce di una generazione che ha creduto nell’importanza dell’amore e della sincerità. Quando deve fare i conti con il tradimento della moglie, morta da oltre un decennio, è costretto a rivedere tutte le sue idee, a riesaminare in profondità i principi sui quali ha costruito sino a quel momento la sua vita».
Van Loon non condivide l’opinione dei critici angloamericani, che lo hanno spesso paragonato a Nick Hornby. «Certo, Arnim ha alcuni elementi in comune con Will Freeman di Un ragazzo», dice. «Tuttavia Hornby, che conosco e apprezzo, mi sembra si limiti quasi sempre a raccontare la superficie delle cose, dei rapporti personali. Io, invece, ho provato a spingermi più a fondo, cercando di mettere a fuoco attraverso un romanzo quale spazio resta per i sentimenti nella società contemporanea. Per questo ho scelto la formula del thriller psicologico in forma di commedia. Mentre segue il protagonista durante la sua insolita indagine sul passato nascosto della moglie scomparsa, il lettore è costretto a porre anche a se stesso le domande sulla felicità e sull’amore alle quali Arnim tenta di trovare risposta». Sui motivi che hanno spinto molti autori europei a privilegiare una narrativa rivolta soprattutto al privato Van Loon ha idee chiarissime. «Nel corso degli ultimi anni, in Olanda come altrove, ci siamo accorti di essere molto diversi da come abbiamo amato a lungo ritrarci», conclude. «Pensavamo di poterci definire tolleranti, di avere acquisito un punto di vista davvero multiculturale, e ci siamo scoperti provinciali, egoisti, addirittura xenofobi. Una letteratura capace di esplorare senza ipocrisie le dinamiche psicologiche contemporanee spero possa aiutarci a risolvere questi drammatici problemi e a costruire un nuovo sistema di regole sociali all’insegna del rispetto e della tolleranza».
– 07/03/2002
Dall’Olanda con amore: preparate i fazzoletti
Amim cresce da solo il figlio tredicenne Bo. Monika, la donna amata, è morta di meningite fulminante dieci anni prima. Adesso Amin vive con Ellen, la migliore amica di Monika. La coppia decide di avere un figlio che non arriva, così si sottopone a un test di fertilità da cui risulta che Amin soffre di una forma di sterilità congenita. Allora chi è il padre di Bo? Il bambino è il frutto di un tradimento estemporaneo o di una relazione? L’olandese Karel Van Loon, classe 62, ha scritto un formidabile thriller psicologico oltre a una storia d’amore emozionante.
La notizia cambia il presente di Amin, ma soprattutto il suo passato.
“Certo, Amin era così innamorato di Monika da averla idealizzata e si trova a dover rivedere l’immagine santificata, capire la complessità di un carattere che credeva di conoscere intimamente”.
E non può evitare di andare alla convulsa ricerca del padre biologico.
“Cominciando a scrivere il libro non pensavo che sapere la verità fosse un dato così importante per il protagonista, ma poi ho capito che io nei suoi panni avrei disperatamente cercato di saperla.”
Amin per tredici anni è stato un padre perfetto: che cosa cambia?
“Per lui la paternità è amare il figlio, crescerlo e darli il meglio di sé, ma anche diventare uomo. La verità metterà tutto in discussione”.
Il finale, per quanto terribile sia, mi sembra in parte rassicurante.
“Lo credo anch’io. Se un messaggio va cercato nel libro è che l’amore può essere una ferita terribile, ma rimane sempre una forza salutare”.
– 01/03/2003
Notte insonne
“Lei é sterile. Da sempre”: un brutto colpo per un uomo che vuole avere un figlio, ma ancora di più per Armin, che un figlio ce l’ha. Cocepito – o così si credeva – con moglie ormai defunta.
Da dove partire per ricomporre l’enigma? E poi: cosa raccontare a quell’adolescente che si specchia in lui? Tra foto e vecchie lettere inizia un viaggio a ritroso nella storia di un amore che va interamente riscritta, senza la certezza che la verità debba essere sempre conosciuta per intero