Lawrence Durrell

Il labirinto oscuro

COD: 9fc3d7152ba9 Categoria: Tag:

Collana:
Numero collana:
46
Pagine:
324
Codice ISBN:
9788881121038
Prezzo cartaceo:
€ 15,00
Data pubblicazione:
01-12-1999

Traduzione di Martina Rinaldi

Il labirinto oscuro, uno dei capolavori del grande scrittore inglese, è un romanzo che fonde avventura e introspezione nella cornice storica del secondo dopoguerra. Una crociera nel Mediterraneo ha come tappa l’isola di Creta, dove è recente la scoperta di un labirinto sotterraneo. Invano gli isolani tentano di dissuadere i turisti dall’escursione; e c’è anche chi sostiene che il Minotauro sia ancora in vita… È l’inizio di una vicenda appassionante e drammatica, dove l’azione ha come teatro l’animo stesso dei personaggi, e il loro procedere significa addentrarsi nei meandri della conoscenza verso la verità ultima della loro vita. «Assillato da questi pensieri, udì all’estremità di quel passaggio un lieve rumore… Poi gli arrivò un soffio di aria tiepida, come se un grosso corpo si fosse spostato dalla profondità della galleria per andargli incontro. Urlò e sentì addosso l’impuro alito fetido della Cosa. Si muoveva lentamente, proprio verso di lui, così lentamente che la sua angoscia divenne insopportabile».

«Un libro assai bello che merita davvero una riscoperta».
Claudio Gorlier, «Panorama»

«Siamo grati all’editore romano, che lo ha nuovamente tradotto, di avere strappato all’oblio del pubblico italiano questo romanzo bellissimo, – il nostro preferito dello scrittore inglese».
Mario Fortunato, «L’Espresso»

IL LABIRINTO OSCURO – RECENSIONI

 

Claudio Gorlier, PANORAMA

Le recensioni

Il labirinto oscuro

 

Nel 1947 alcuni turisti inglesi in crociera nel Mediterraneo sostano a Creta. Tra di loro un esperto d’arte, lord Graecen (nel nome un gioco di parole su “grace”, grazia), il quale ha saputo dal medico che gli restano pochi mesi di vita; un brillante pittore, Campion (nome ancora più trasparente); una gioviale coppia, i Truman (ancora una volta il nome del marito è a chiave, “vero uomo”, per la sua disinibita sessualità); un artista dilettante divenuto soldato e viaggiatore, Baird; un’impiegata londinese; un medium deluso. Benché sconsigliati, i gitanti decidono di visitare il mitico labirinto del Minotauro, mentre Baird si impegna nella ricerca della tomba di un soldato tedesco da lui ucciso durante la guerra. Mentre Graecen completa positivamente le sue ricerche sulle sculture sotterranee e trova una via di uscita, l’avventura degli altri sarà drammatica o perfino tragica. In un libro dalla chiara impronta simbolica, con un elaborato impianto di linguaggio, onde George Steiner ha scorto in Durrell l’anti Hemingway per eccellenza, la discesa nel labirinto equivale all’esplorazione dei recessi misteriosi e inconfessati del proprio Io. Nato nel 1912, morto nel 1990, l’angloirlandese Durrell rimane un punto fermo nella narrativa novecentesca, specie con il “Quartetto di Alessandria”, e questo libro assai bello merita davvero una riscoperta.

 

Giorgio Montefoschi, IO DONNA – CORRIERE DELLA SERA

 

Il labirinto oscuro

 

L’ignoto. E’ il romanzo che Durrell scrisse prima di porre mano al “Quartetto d’Alessandria”: uno dei libri più belli del Novecento inglese. Durrell all’epoca (come potrà verificare chiunque nella sterminata biografia di Ian McNivon) aveva in mente un’opera che, in qualche modo, trovasse una sua risonanza in un passato antichissimo. Leggeva e rileggeva un antico testo egizio, “Il libro dei morti”. Ma, pur vivendo ad Alessandria (dopo il periodo di Corfù, Atene e Creta), non aveva idea della tumultuosa folla di memoria che il distacco da Alessandria e il ritorno in Grecia gli avrebbero ingorgato nel petto. Il “Quartetto” è il grande romanzo della memoria e del tempo: per il quale occorreva la distanza (insieme alla nostalgia legata alla distanza). “Il labirinto oscuro” è il romanzo nel quale è possibile cogliere gli embrioni narrativi del libro futuro. Però è anche un romanzo intrigante che si può leggere in sé e per sé. Racconta di un gruppo di inglesi che alla fine della guerra, nel 1947, rimangono imprigionati a Creta in un labirinto scoperto di recente. La storia comincia un momento dopo la disgrazia; quindi va a ritroso; finalmente si ricongiunge all’entrata nel labirinto; se davvero quel muggito che di tanto in tanto si ode appartiene a un minotauro. A ritroso. L’andare a ritroso, cioè la parte intermedia del romanzo, è importantissima. Serve a delineare le vicende psicologiche dei vari personaggi che noi, “da turisti”, incontreremo sulla motonave Europa. Ecco Campion, il pittore cinico; Baird, l’intellettuale perseguitato dal senso di colpa, perché in guerra ha ucciso un soldato tedesco; Virginia, la ragazza pura; Lord Graecen, in prossimità della morte; la signorina Dombey, in attesa della fine del mondo; i Truman, coniugi di mezza età desiderosi di vivere e sciocchi. Il labirinto, profondo come il subconscio di ciascuno di loro, offrirà ciascuno esiti differenti per le rispettive vicende: chi sfuggirà alla morte, chi incontrerà l’amore, chi una valle dell’Eden, chi rimarrà prigioniero.

 

IL MESSAGGERO
– 07/02/1999

 

Viaggio negli inferi con il Minotauro Per fuggire la realtà

 

Un viaggio, un’escursione, un sopralluogo, una discesa agli inferi. Sono queste alcune fra le categorie, o, se preferite, i luoghi narrativi prediletti da una certa razza di scrittori. La letteratura, insomma, come forma di indagine. Sia intorno al reale concreto, sia intorno al misterioso mitologico. Proprio così. E’ il caso del Lawrence Durrell de Il labirinto oscuro, un romanzo che prende le mosse dalla solarità del viaggio, appunto. Nel teatro del Mediterraneo. L’incipit è terso, telegrafico e non lascia presagire affatto l’incubo, le trappole dell’inquietudine interiore. Protagonista una comitiva di turisti britannici rimasti prigionieri di un labirinto nell’isola di Creta. Nell’anno di grazia 1947. Un dopoguerra ancora neonato, ma pur sempre un dopoguerra dove si è già persa traccia della tragedia bellica. Pubblicato nel 1947, inizialmente con il titolo di Cefalù, il racconto, ben tradotto da Martina Rinaldi, mostra in sé tutti gli elementi cari allo scrittore, ossia l’avventura intesa come autentica fuga dall’asfittica atmosfera formale del Regno Unito. Così fino alla rivelazione di un vecchio Minotauro. Sì, proprio il Minotauro, quasi che l’unica consolazione possibile alla banalità del quotidiano borghese possa giungere soltanto dal più oscuro e terrifico degli esseri mitologici. In filigrana, leggendo queste pagine ci ritroviamo ad affastellare in un unico luogo la memoria dell’Aleph di Borges, ma anche il ricordo, ben più prosaico, dei predatori dell’arca perduta di fattura hollywoodiana.

 

Simone P. Barillari, IL MANIFESTO

Il “Labirinto oscuro” di Lawrence Durrell

Foto di gruppo con Minotauro

 

Chi sono scrittori che per decenni si sono consacrati alla ricerca di una grande opera potenziale -intuita e non ancora concepita – le si sono avvicinati, ora inseguendo lo stile migliore, altrove delineando situazioni destinate a schiudersi in qualcosa di più compiuto. Alcuni di loro – il Salinger del Giovane Holden, per esempio – trovano quell’opera, altri no. A 23 anni, Lawrence Durrell stese un Libro dei morti, influenzato dalla suggestione teologiche della cultura indiana, in cui era nato e che non smise mai di approfondire. Passarono oltre vent’anni di buoni romanzi, saggistica e diari di viaggio. Poi, in pochi mesi sparsi tra il ’57 e il ’60, Durrell trovò la sua opera: The Alexandria Quartet, e la tetralogia riprendeva alcuni spunti che erano già in quell’ingenuo testo giovanile: in fondo quasi tutto ciò che Durrell aveva scritto prima di allora apparve, retrospettivamente, come una lunga palestra d’autore di cui Il labirinto oscuro (Fazi, pp.313, L. 30.000) è la prova finale: non il capolavoro, quindi, ma certo il punto da cui lo si può vedere, finalmente. Il romanzo fu pubblicato infatti per la prima volta nel ’47 con il titolo Cefalù, ma Durrell lo riprese proprio mentre scriveva l’Alexandria Quartet, tanto che la sua stesura definitiva uscì nel ’58, insieme alla tetralogia. Durrell non apportò però modifiche sostanziali, e forse avrebbe dovuto riscriverlo interamente per poterlo rendere perfetto, ma stava ormai prendendo la forma la sua tetralogia. Il labirinto oscuro è un reticolo di cunicoli nel sottosuolo di Creta, e un giorno d’estate del ’47 inghiotte misteriosamente un incauto gruppetto di turisti inglesi: c’è chi dice che il minotauro sia ancora vivo. L’unico superstite sembra essere il compassato lord Graecen, mediocre poeta, in cui Durrell riassume con cinica ironia la sua visione del grigiore britannico, quella “morte inglese” dalla quale egli si sentì sempre in fuga. Nel labirinto restano invece intrappolati l’ambiguo Fearmax, un medium abbandonato dal suo spirito guida, e Campion, il pittore dal genio luciferino che in crociera ha sedotto Elsie Truman, briosa casalinga in vacanza con il marito. Per due terzi del romanzo, Durrell interseca le parabole esistenziali di almeno otto personaggi che, spesso, fin dai nomi (Truman – uomo vero, Fearmax – culmine di paura, Dale – valletta, Campion) sottendono metafore di destini quasi archetipici e vivono nel labirinto la loro catabasi finale, una discesa infernale verso i loro demoni privati. L’ambizione artistica di Durrell fu sempre quella di fondare in un romanzo «la cosmologia del ventesimo secolo», che egli riteneva dovesse nascere dalla fusione tra la fisica occidentale e metafisica orientale: perché come Einstein aveva scardinato l’assioma delle misurazioni discrete, sostituendo al concetto di particella quello di onda, così il misticismo asiatico aspira all’annullamento nell’unità universale – e insieme avevano mostrato che la realtà ha la natura di un continuum. Il tentativo di raggiungere un equilibrio narrativo tra questi due poli (“un reame dove le relazioni tra le idee siano simpatetiche e affettive, piuttosto che casuali e oggettive”), animò tutta la sua attività di scrittore, e il Labirinto oscuro non fa eccezione. Da una parte, Durrell traduce qui in una dimensione letteraria i principi einsteiniani sulla relatività: il tempo del racconto sembra perdere spesso compattezza direzionale, con accelerazioni e improvvisi rallentamenti, riavvolgimenti e incursioni nel futuro. Parlando dell’Alexandria Quartet, dove questa tecnica giunse a maturazione, Durrell disse che i quattro volumi dovevano in teoria essere letti simultaneamente»: è un’idea stereoscopica della narrazione applicabile anche alle storie di Labirinto Oscuro – un’idea cui non deve essere estranea la vocazione di Durrell per la pittura. L’altro polo di attrazione fu per Durrell la religiosità orientale. Nel Labirinto oscuro il personaggio cui lo scrittore sembra prestare la sua voce è una saggia vecchina capace di una vi autodidatta al nirvana: «Io non impedisco e non scelgo. Io includo. È il senso puramente scientifico della parola ‘amore’». Durrell stesso definì «un’indagine sull’amore moderno» la sua tetralogia, e di nuovo è una formula che calza anche per questo romanzo: l’amore, dunque, come un’amnesia di sé di fronte al mondo. Significativamente, i tre protagonisti che Durrell condanna allo scacco esistenziale nel labirinto sono quelli che hanno tentato di imporre la propria volontà e, viceversa, per i due che conquistano una loro salvezza privata «la scoperta di se stessi era abbastanza completa: non avevano più nulla da desiderare, o in cui sperare, niente contro cui lottare». Perché «in realtà non è “cercate e troverete”, come dice la Bibbia, ma “preparatevi, e sarete trovati”». Anche per questo, avrebbe forse detto Durrell, Il Labirinto oscuro è l’ultima reincarnazione letteraria di quello che sarebbe diventato l’Alexandria Quartet.

 

Mario Fortunato, L’ESPRESSO

Lawrence Durrell

Il labirinto oscuro

 

Siamo grati all’editore romano e a Martina Rinaldi, che lo ha nuovamnete tradotto, di avere strappato all’oblio del pubblico italiano questo romanzo bellissimo – il nostro preferito – dello scrittore inglese. Uscito da noi alla fine degli anni Sessanta, il libro era infatti ormai introvabile. Un gruppo di turisti britannici, al culmine di una crociera nel Mediterraneo, si avventura a Creta a visitare un labirinto appena scoperto su cui circolano oscure leggende. l’innocente escursione si tinge subito di mistero. Alcuni periranno nelle viscere della terra, ma per altri si aprirà la strada a una nuova, inattesa consapevolezza…

 

Elena Stancanelli, L’UNITÀ

Narrativa. Lawrence Durrell

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Ritorno a Creta, cercando l’anima del mondo

La prima volta che lessi il «Quartetto di Alessandria» ero poco più che una bambina. Me lo aveva prestato un’amica, assai più smaliziata di me. Dall’autore, Durrell, sapevo solo quello che imparai rigirandomi quel libro tra le mani con sospetto: che era inglese, ama era nato in India, nel 1912, e che era fratello di Gerald, famoso antropologo. Cadere in quei quattro romanzi, divorati uno dopo l’altro con l’affanno delle cose proibite, è stata la mia prima grande storia d’amore. Andavo fiera dell’incontro con i protagonisti di quelle storia, perché nello spasimo dell’adolescenza che si guarda intorno e non si riconosce, quel loro modo di essere adulti mi sembrava possibile, più esatto. Mi toglieva il fiato quel loro sentimento di arrendersi alla vita, la sensualità piegata dal dolore, dal doversi trascinare in quella luce abbagliante d’Oriente, in quelle ombre marcite. «Alessandria era il più grande torchio dell’amore; tutti quelli che riuscivano a emergerne erano i malati, i solitari, i profeti, tutti quelli che sono stati profondamente feriti nella loro sessualità». Poi li ho riletti e riletti ancora. E anche quando li ho raggiunti, quando ho iniziato anch’io a desiderare di avere delle tele sulle quali dipingere come Clea, oppure gli stessi amori nei quali Justine si stordiva, non mi sono mai stancati di quell’isola profumata d’arancio della cui lontananza lo scrittore esiliato, come un tappezziere, rammendava i fili della trama strappata, che davanti ai suoi occhi non era stata come u lampo. E in quel suo nuovo silenzio scopriva continuamente angolazione inedite, punti di vista che ribaltavano così tanto il senso delle vicende di cui era stato protagonista, da trasformare tutto quanto era accaduto in quegli anni ad Alessandria in una complicata recita. Qualcuno mi ha sussurrato all’orecchio, secondo i modi in po’ loschi e clandestini degli adoratori di Durrell, che l’Einaudi sta per ripubblicare il «Quartetto di Alessandria» in edizione economica. Non perdetevelo. Intanto in questi giorni, la casa editrice Fazi, dopo essersi occupata di alcuni suoi racconti di viaggi, pubblica «Il labirinto oscuro», un romanzo che Durrell scrisse circa dieci anni prima del quartetto. «All’inizio del mese di giugno del 1947, nell’isola di Creta, una piccola comitiva rimase imprigionata nel labirinto di Cefalù». I sette passeggeri inglesi sbarcati dalla nave Europa convergono a quella gita fatale portati ognuno dal proprio debito esistenziale. Tra questi il medium svuotato dall’abbandono del suo spirito guida, l’anziano poeta di scarso talento in fuga da una diagnosi di morte, una stenodattilografa convalescente, un pittore di fama riconosciuta ma assediato da un’ansia autodistruttiva, e soprattutto l’aristocratico Capitano John Baird, tornato a Creta per rimuovere la pietra depositata sulla sua anima dal giorno in cui dovette giustiziare e seppellire sommariamente, mentre difendeva l’isola greca combattendo per l’esercito inglese, un prigioniero tedesco. Fu in quella occasione che il soldato insegnò a Baird quella parola che indica la palude sta al di là di quella balaustra dalla quale tutti i personaggi di questo libro si sporgono pericolosamente: Gelichgultigkeit, passività, terribile insensibilità morale, alienazione. Questa affezione del pensiero è la condizione di accesso la labirinto, alla sue grotte e suoi corridoi. Lo stato d’animo che spinge ad abbandonare la luce per gettarsi nell’imprevisto dell’oscurità. «Mi sembra che quando si è esaurita l’azione (che è sempre distruttrice) e la gente e le cose non contano più, si apre davanti a noi un gran vuoto… allora viene l’illuminazione». Non tragga in inganno quindi quell’incipit da nuda notizia che somigli ala celebre avvio del “Ponte di San Luis Rey” di Wilder («Il venerdì 20 luglio 1714, a mezzogiorno, il più bel ponte di tutto il Perù si spezzò, precipitando cinque viaggiatori nell’abisso»). Il labirinto oscuro è solo apparentemente un teorema a messo in piedi per negare il principio della casualità. E anche se l’autore, come aveva fatto Wilder, scopre pian piano, con sublime abilità, gli imprevedibili canali sotterranei che collegano le vite dei suoi personaggi, la logica incontrovertibile, che guida i loro passi verso l’ignoto, verso la tana del minotauro, la storia dei sette turisti inglesi ha un’energia emotiva che forza i limiti della statistica. Lì dentro insomma, ben travestita da intelligenza, si dibatte quella deriva sensuale che esploderà nel quartetto.

Il labirinto oscuro - RASSEGNA STAMPA

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