Colm Tóibín

The Master

COD: 4f4adcbf8c6f Categoria: Tag:

Collana:
Numero collana:
86
Pagine:
350
Codice ISBN:
9788881125807
Prezzo cartaceo:
€ 15,00
Data pubblicazione:
18-11-2004

Traduzione di Maurizio Bartocci

The Master, affascinante biografia romanzata dedicata a Henry James, è il più ambizioso dei romanzi che hanno consacrato Tóibín tra i più apprezzati scrittori degli ultimi anni.

Basato su un ricco materiale biografico, il libro «è frutto di una ricerca minuziosa» in cui Tóibín realizza un ritratto completo e «ambivalente del grande romanziere: all’ammirazione per l’arte di colui che considera il padre del romanzo psicologico contrappone una rappresentazione severa di un uomo che ha avuto paura della propria sessualità e ha condannato all’infelicità se stesso e gran parte delle persone che gli sono vissute a fianco» («la Repubblica», giugno 2004).
Osannato dalla stampa inglese e americana, The Master è un romanzo di grande impatto emotivo che per l’accattivante approccio scelto dall’autore («una finzione che segue fedelmente i fatti», ha scritto sul «New Yorker» John Updike) è stato accostato a The Hours, il romanzo di Michael Cunningham sulla vita di Virginia Woolf.

I fatti da cui Tóibín prende le mosse accadono a Londra nel gennaio 1895. Henry James, al tempo già autore di capolavori come Ritratto di signora e I bostoniani, giunge al St James Theatre poco prima che il sipario cali su Guy Domville, il dramma che ha appena composto e con il quale spera di ottenere successo come autore teatrale. Nascosto dietro le quinte, assiste invece ai fischi del pubblico. È il fallimento del suo esordio nella drammaturgia e la sconfitta delle speranze che l’avevano sostenuto.
Tóibín ricrea i quattro anni più bui e drammatici della vita di Henry James, dall’umiliante fallimento teatrale a quando decide di ritirarsi a Rye, lontano da amici e parenti. In quei quattro anni James si reca in viaggio in Irlanda e in Italia, manifesta il suo sdegno per il processo contro Oscar Wilde, si innamora del giovane scultore Hendrik C. Andersen, fa finalmente pace con il fratello, il filosofo William.

Tóibín scrive la storia della solitudine, dei desideri e della disperazione di un uomo misterioso mai venuto a patti con il mondo che lo circonda. Al centro, la vicenda di un artista il cui dramma non è più cosa scrivere, ma come ritrovare la forza di farlo proprio mentre, mettendo in cantiere opere come Il giro di vite, Gli ambasciatori, Le ali della colomba e La coppa d’oro, sta per diventare “il maestro” della letteratura universale.

THE MASTER – RECENSIONI

 

Mario Turello, MESSAGGERO VENETO
– 16/10/2007

 

Fiction, e il dottor Freud analizzò Henry James

 

 

 

Paola Splendore, L’INDICE
– 01/03/2005

 

La travolgente presenza della morte

 

Protagonista del quinto romanzo dell’irlandese Colm Tóibín pubblicato, come i precedenti, da Fazi, è Henry Ja-mes, “il maestro” per antonomasia del grande romanzo del Novecento. Americano – nasce a New York nel 1846 -, viaggiatore inquieto e appassionato fin dagli anni giovanili James visita Parigi, Bonn, Londra, Firenze, Venezia, come tappe di un suo personale pellegrinaggio verso la formazione estetica e intellettuale. Dopo un lungo soggiorno a Parigi si stabilisce a Londra, città molto amata che non lascerà più fino alla morte, tranne che per brevi ritorni in patria. Ed è a Londra, tra l’ap-partamento di Kensington e la casa di Rye, nel Sussex, che Tóibín colloca gran parte della vicenda di The Master. Numerosi sono tuttavia i luoghi della memoria evocati nel romanzo che, a partire dai ricordi dell’infanzia e della gioventù, racconta la vita di un uomo solitario e malinconico, acuto osservatore della realtà, capace di portare sulla pagina emozioni e passioni mai vissute in prima persona, ma osservate dall’esterno o immaginate con straordinaria intensità.
Gli anni sui quali si concentra Tóibín – gli ultimi cinque del secolo XIX – sono quelli che nella famosa e monumentale biografia di Henry James scritta da Leon Edel vanno sotto il nome di treacherous years, anni di delusione e di profondo malessere spirituale in cui Janes tenta di liberarsi dei propri demoni scrivendone. Anni in cui scrive, tra 1’altro, racconti di spettri e bambini, come II giro di vite e Quel che sapeva Maisie, e romanzi raffinati e rarefatti come L’eredita Poynton e La fonte sacra, affinando una sua tecnica di scrittura che lo allontana in maniera definitiva dal romanzo ottocentesco. II flusso di coscienza (non a caso oggetto degli studi pionieristici del fratello William), la visione circoscritta, l’ambiguità della comunicazione sono solo alcune delle “innovazioni” jamesiane, caratteristiche di una scrittura dell’impersonalità, scevra di giudizi morali, che sarà molto cara ai modernisti inglesi e in particolare a Virginia Woolf.
Nel romanzo James ha da poco passato i cinquant’anni e ha già scritto alcuni dei suoi capolavori, come Ritratto di signora, Washington Square, Le bostoniane e II carteggio Aspern. É molto ricercato in società e frequenta volentieri i salotti delle nobildonne. Ma non é tanto sul successo di James che Tóibín sceglie di soffermarsi, quanto sul suo senso di fallimento, efficacemente rappresentato dal fíasco clamoroso – nel gennaio del 1895 – della sua prima opera per il teatro, Guy Domville, quando James aveva pensato di poter migliorare la propria situazione finanziaria, facendosi spazio nel teatro e competere con il successo indiscusso del più giovane Oscar Wilde. Guy Domville debutta mentre m un teatro vicino va in scena Un marito ideale di Wilde. Ed è nella sala dell’Haymarket, in cui si rappresenta la commedia di Wilde, che James trova rifugio nell’attesa che cali il sipario sul suo dramma e lui possa ritornare in sala a raccogliere gli applausi. Ma quando si presenta sul palcoscenico, invece del trionfo che si aspetta, ci sono solo sberleffi e schiamazzi. E peggio di una pugnalata. E come avrebbe potuto un tema cosi austero, incentrato su un problema morale – il conflitto tra la vita materiale e la vita di pura contemplazione -, competere con una piéce superficiale e brillante come Un marito ideale?. Umiliato e depresso, James scappa via da Londra, da un pubblico che non ha saputo apprezzarlo, verso l’Irlanda, dove sarà ospite di suoi aristocratici amici, Lord e Lady Wolseley.

Il fiasco teatrale su cui apre brillantemente il romanzo di Tóibín non solo ricostruisce un evento che minò profondamente nello scrittore la sicurezza del va-lore del proprio lavoro, ma serve a porre in primo piano il confronto tra James e Wilde, due intelligenze, due talenti artistici, due stili di vita in totale opposizione. Wilde non rinuncia a vivere esibendo le proprie private predilezioni e debolezze, esponendosi sempre e fino in fondo in prima persona, mentre James si nega l’esperienza e forse anche la comprensione delle proprie pulsioni, sia nei confronti degli uomini di cui ripetutamente si invaghisce sia nei confronti delle donne. II motivo omoerotico, trattato con discrezione da Tóibín, è affidato soprattutto ai ricordi e alle fantasie di James intorno alle “occasioni mancate”, come la notte trascorsa con l’amico di gioventù William Dean Howells e la fascinazione per il giovane scultore Hendrick Andersen, conosciuto a Roma.
Ma le pagine più belle e toccanti del romanzo sono forse quelle dedicate alle donne importanti nella vita dello scrittore. Tra i fantasmi del passato che più assiduamente lo visitano so no la sorella Alice, morta nel 1892 durante un soggiorno a Londra, la cugina Minny Temple e la scrittrice Constance Fenimore Cooper, figure di grande impatto sulla sua vita emotiva.
Sono ombre spesso evocate dal mondo dei morti, con cui James si intrattiene volentieri, anche se sente più acuta la solitudine e il rammarico di non essere stato capace di dare più di se stesso: la sorella amata, come lui indifesa e impreparata alla vita; la cugina “preferita morta anziché viva”, perché tanto carica di fascino da costituire una minaccia, temendo che avrebbe finito per guardare la vita con gli occhi di lei; e l’amica morta suicida a Venezia, quando si era forse aspettata una svolta al loro rapporto.
Colm Tóibín fa della malinconia il tratto dominante della personalità dello scrittore e intorno a questo colora ogni evento della sua vita. Quando James visita Lamb House per la prima volta, la casa di campagna in cui andrà a vivere, è un pensiero di morte che l’attraversa. Sarebbe morto in quella casa, tra mura che avevano visto donne e uomini andare e venire per quasi trecento anni: “L’idea gli gelava il sangue e lo consolava al medesimo tempo. Aveva viaggiato senza esitazione per andare incontro al luogo della propria morte, per rimuoverne il mistero (…) aveva trovato la sua casa, lui che aveva vagato inquieto, che ne aveva anelato la travolgente presenza, la familiarità, la bellezza”. Si avverte un grande investimento personale da parte di Colm Tóibin nella costruzione del suo personaggio nella chiave della malinconia e della delusione, che gli fa tacere di altri aspetti della personalità di James, amante della vita in società e della conversazione brillante.

Eppure, il distacco emotivo, la freddezza del protagonista di The Master non sono che la maschera di una grande passione: quella per la scrittura, una passione divorante che gli fece sacrificare tutto sull’altare dell’arte. Nell’amata Lamb House, James riuscì a vivere secondo una disciplina che l’intensa vita sociale di Londra non gli permetteva. Molte pagine del romanzo sono dedicare al piacere della solitudine, al gusto dell’invenzione e alla scrittura, che proprio in quegli anni un crampo alla mano gli impediva di realizzare da sé, costringendolo ad affidarsi a uno stenografo, mentre la sua mano veniva “relegata in una permanente e inutile oscurità”: “Adorava andare su e giù per la stanza, iniziando una frase nuova, lasciare che si snodasse e andasse avanti, interrompendola per un momento, interrompendone un’altra, una breve pausa, e poi permettere alla frase di ripartire al galoppo verso una conclusione elegante e confacente”.
Ma sono solo la bellezza e l’eleganza il fine del lavoro dello scrittore? Fedele fino in fondo al suo personaggio, Tóibín affida la risposta a un impacciato James, facendogli dichiarare il primato dell’arte sulla vita. E’ capodanno a Lamb House, ospiti il fratello William, con moglie e figlia, ed Edmund Gosse; e quando Gosse lo interroga sui programmi futuri, lo scrittore sente di dovere “spiegare” il senso del suo lavoro: “Io sono un povero narratore (…) un autore di opere romanzesche, interessato alle sottigliezze drammatiche. Mentre mio fratello dà un senso al mondo, io posso solo brevemen-te tentare di dargli vita, o renderlo ancora più strano”. E qual è la morale di queste storie, incalza William. “’La morale?’. Henry ci rifletté un istante. ‘La morale è la più pragmatica che possiamo immaginare: che la vita è un mistero e che solo le frasi sono belle’ ”.

 

 

Livia Manera, CORRIERE DELLA SERA
– 21/11/2004

 

Henry James, quella vita dietro la maschera

 

«II tuo erotismo sfacciato mi dispiac tanto quanto l’esibizione di lenzuola asciugamani sporchi» scriveva Henry Js mes in una lettera al romanziere frances Paul Bourget. «Tutto questo non ha nuli a che vedere con la vita come io la sente la vedo, la conosco, desidero conosce! la». Come «sentisse» la vita quello che 1 successive generazioni di romanzieri ame ricani hanno chiamato «il Maestro», no: è un mistero: tutta l’opera di James da Ritratto di signora a La coppa d’oro è un monumento alla capacità di comprendere le infinite sfumature dell’umano sentire.
Ma come l’abbia realmente vissuta nell’intimo, James, la sua esi stenza di cristallo, ma sfiorata da un legami amoroso o da un atti mo di felicità erotica non sono bastate a de cifrarlo le migliaia d pagine biografiche ; lui dedicate, né le inter prelazioni critiche, carteggi e i taccuin pubblicati negli ultim vent’anni. Tanto che i qualcuno è sorto ur dubbio: e se invece toccasse alla fiction rivelare ciò a cui la biografie non può accedere?
Quel qualcuno è le scrittore irlandese Colm Tóibìn, autore del romanzo The Master appena uscito in Italia da Fazi, che narrando dalla prospettiva interiore di Henry James gli anni di mezzo della sua vita, cerca di illuminare quella vasta zona grigia che è stata la sua incapacità a provare passioni. «Non sono proprio d’accordo con il modo in cui insegnano James nelle università americane, come un omosessuale che usava i suoi libri per rivelare e nascondere la propria sessualità», dice Tóibin con la stessa esuberanza con cui ha dedicato i suoi quattro precedenti romanzi a personaggi tagliati fuori dai propri sentimenti o legami familiari. «Vedere i suoi libri come mera espressione di nevrosi è sbagliato. Dobbiamo concedere all’Arte la possibilità di andare oltre».
Ed è per dimostrare la superiorità dell’Arte, in James, sulla presunta energia creativa della sua omosessualità repressa, che Tóibìn ha scelto di raccontare in The Master gli anni dal 1895 al 1899 — i cosiddetti «anni traditori», nella definizione del maggior biografo di Jajnes Leon Edel — in cui lo scrittore americano che si era trasferito in Inghilterra sentiva di essere «caduto vittima di un tempo avverso, in cui i segnali di essere bramato da qualunque editore stavano diminuendo e una nuova generazione di scrittori che non conosceva e non stimava stava universalmente dilagando».
Quale grande scrittore maturo non ha conosciuto questa sensazione di pericolo? Henry James reagì cercando il successo commerciale nel teatro, e ne ricavò nel gennaio del 1895, a Londra, un umiliantissimo fiasco, con i loggionisti che lo seppellirono di insulti nell’imbarazzo dei suoi amici aristocratici in platea. Ed è proprio tra la drammatica uscita dal teatro di Henry, quella notte, che tornò a casa «con la testa bassa, come un uomo che ha commesso un crimine e sente imminente la minaccia dell’arresto» e, quattro anni dopo, la partenza dalla sua casa nel Sussex di suo fratello William, il filosofo, venuto a trovarlo dall’America con la famiglia, che si articola il romanzo di Tóibin. Il quale, dimostrando di aver fatta propria la lezione del Maestro, mette in primo piano la coscienza del protagonista con i suoi sogni e riflessioni e ricordi, e la esalta sullo sfondo della realtà della Guerra civile americana e del suo scempio di giovani, della morte delle amiche e muse Minnie Temple e Constance Fenimore Woolson, e dei processi per omosessualità che travolsero in quegli anni il rivale Oscar Wilde. «James detestava Wilde con tutto il cuore» racconta Tóibin godendosi il sole d’autunno nel giardino di un club anglosassone di fine Ottocento. «Lo giudicava maleducato e chiassoso. E detestava la sua omosessualità così esibita, perché era, naturalmente, l’opposto: un uomo reticente, puritano, seno. Ma le cose cambiarono a Londra durante i processi a Wilde. Tutti cominciarono a guardare gli scapoli in un certo modo. E James era uno scapolo».
Pur tenendo a mente le interpretazioni freudiane delle biografie, Leon Edel, che ha messo l’accento sulla rivalità tra i fratelli William e Henry, e di Fred Kaplan che si è concentrato sulla tesi dell’omosessualità sublimata, Tóibm ha dato credito alla lettura femminista di Lyndall Gor-don che ha rappresentato James, metaforicamente parlando, come l’assassino della cugina malata Minnie Temple e dell’amica suicida Constance Fenimore Wo-olson, le cui erida di aiuto avrebbe scelto di ignorare. E ha raccontato un James inedito dietro la maschera della socievolezza mondana, un uomo malinconico espaventato — senza negarsi un’incursione nei suoi turbamenti giovanili (la scena di una notte trascorsa nello stesso letto con un amico è del resto ampiamente documentata), ma senza nemmeno arrischiarsi a rispondere alla domanda se James abbia mai, almeno una volta, conosciuto i piaceri della carne.
Dal punto di vista letterario, un romanzo come The Master, che prende a prestito il «metodo» di James ma non io stile («Ho solo allungato le frasi e usato più aggettivi, come una voce che passa da soprano a mezzo soprano»), è un operazione letteraria che può essere letta o come romanzo storico tradizionale o come esperimento narrativo postmoderno. La critica americana su questo punto si è divisa, mentre quella inglese si è schierata compatta per la qualità del risultato. Il pubblico, come sempre, sceglierà per sé. Come dice il protagonista del Maestro, rispondendo al fratello che gli chiede quale sia la morale di una storia che ha appena raccontato, «La morale è più pragmatica di quello che riusciamo a immaginare, ed è che la vita è un mistero e solo le frasi sono belle».

 

Roberto Bertinetti, IL MESSAGGERO
– 19/11/2004

 

Quel narratore rivoluzionario prigioniero della morale vittoriana

 

Un innovatore, coraggioso, uno sperimentatore audace con una insuperabile capacità di catturare, grazie a uno stile diventato inconfondibile, ogni sobbalzo della coscienza. Ma anche un uomo freddo, deciso a pagare un prezzo altissimo pur di reprimere la propria sessualità. Lo scrittore irlandese Colin Toibin soltolinea con forza la distanza che in Henry James separa l”immortale bellezza dell”arte dalla tragica realtà della dimensione privata in The Master, splendido romanzo biografico, tradotto da Maurizio Bartocci, in libreria da oggi per Fazi a pochi mesi di distanza dall”uscita in Gran Bretagna e negli Slati Uniti, dove i critici lo hanno giudicato in maniera unanime un capolavoro. Per mettere a fuoco la contraddittoria personalità di James – nato a New York nel 1843 e morto a Londra nel 1916 – Toibin sceglie gli anni più difficili della camera dell”artista cui spetta il merito di aver aperto la strada all”indagine psicologica in ambito narrativo. Il raccontosi apre, infatti, nel gennaio del 1895, la sera del debutto in teatro di Guy Domville, la commedia che doveva imporlo all”attenzione del pubblico britannico come il più accreditato rivale di Oscar Wilde. Fu, invece, un fiasco colossale e James – che all”epoca era già noto per Ritratto dì signora e I bostoniani – si vide imprigionato nel labirinto di una profonda crisi. Nel ritrailo del “Maestro”, Toibin offre spazio alle sue riflessioni sulla letteratura e all”analisi dei difficili rapporti sia con la famiglia (la sorella Alice, invalida, spentasi a 34 anni, il fratello William, filosofo e psicologo che non apprezzava i suoi romanzi) come con le donne che occuparono un ruolo importante nella sua vita. James, infatti, si sottrasse alle attenzioni di Minnie Temple (il modello di tutte le sue protagonisle. secondo Toibin) e, soprattutto, dì Constance Fenimore Woolson, che scelse di togliersi la vita quando lo scrittore si rifiutò di raggiungerla a Venezia. Se avesse ammesso la propria omosessualità, lascia intendere Toibin, l”esistenza di James sarebbe stata meno infelice. Ma si trattava di una scelta troppo coraggiosa per un narratore rivoluzionario, che non ebbe la forza di violare la morale dell”epoca.

 

Tonino Bucci, LIBERAZIONE
– 26/11/2004

 

Quel che accade nella mente di uno scrittore

 

Uno scrittore irlandese contemporaneo si cala nelle vesti di uno scrittore di fine ottocento, nato a New York, ma appartenente a una famiglia di origini irlandesi. Lo scrittore di oggi, Colm Tóibin, accompagna lo scrittore del passato, Henry James, nei percorsi della sua immaginazione, nei ricordi della vita personale. Si fa testimone di quel che accade – o potrebbe essere accaduto – nella sua mente mentre creava opere letterarie. TtieMaster-l’ultimo romanzo che Colm Tóibin presenta in questi giorni in Italia – non è una biografia. Non lo è almeno nel senso in cui per tale si intenda una rico-struzione nozionistica di documenti storici.

 

Luigi Sampietro, IL SOLE 24 ORE
– 28/11/2004

 

James, ritratto di signore

 

Colm Tóibin è venuto a Milano per la presentazione del suo ultimo libro. Un grande successo di critica e di pubblico in Gran Brctagna e in America, The Master (il titolo inglese è opportunamente lo slesso anche nella versione italiana) ha come protagonista Henry James. Ma non è un saggio e non è un profilo psicologico. È invece un vero e proprio romanzo, con personaggi reali, fatti davvero accaduti, passi di lettere e pagine autentiche, in cui però dialoghi, emozioni e pensieri sono inseriti dal narratore con una scaltrezza, peraltro molto rispettosa, che è pari alla sua verve. Insomma. un libro in cui l’autore non ha inventato nulla se non quello che conta in un’opera d’arte. Tóibin ha messo insieme tutto ciò che biografi e critici avevano già svelato e raccontato, e. attraverso una impeccabile falsificazione dei dati, ha fatto di James un personaggio vivo fuori dal tempo. 11 ritratto di un signore dotato di una sovraumana capacità di osservazione è l’artefice a sua volta di un mondo più vero di quello vero.
Quello di Tóibin è un James emblematicamente circoscritto ai quattro anni che vanno dal 1895 al 1899. Dalla sera del drammatico fallimento della sua opera teatrale Guy Domvìlle. a Londra, al giorno della partenza per l’America del fratello William (professore ad Howard e inventore dell’espressione siream of thought o stream of consciousness che tanta fortuna avrebbe avuto tra critici e conferenzieri del secolo a venire). In quei quattro anni, i fatti a cui il romanzo da risalto sono il viaggio in Manda, la terra degli, antenati di James; il traumatico processo a Oscar Wilde, un protagonista della vita mondana, famoso per essere famoso, che qui è posto in un illuminante contrasto con il nostro riservatissimo e pudicissimo scrittore; l’acquisto della tenuta di campagna di Rye («Lanib House») dove James si ritirerà a scrivere o, meglio, a dettare gli ultimi capolavori; e il ritomo in Italia dopo cinque anni di assenza. Qui James, racconta Tóibin, incontra il giovane scultore danese Hendrik Andersen e — come dire? — se ne invaghisce. Forse se ne innamora. Ma è difficile definire un sentimento che lo stesso James avrebbe imbozzolato in chissà quanti strati di aggettivi e di avverbi. E non per nascondersi ma, al contrario, per arrivare al dunque. Per fornire una rappresentazione comprensibile delle infinite e cangianti trame della nostra — della sua! — coscienza.
Ma la domanda è: James era consapevole della propria omosessualità? Viveva in tempi diversi dai nostri, è la risposta che ha dato Tóibin nel corso di una stimolante serata al British Council di via Manzoni. James era un uomo distaccato in tutti i sensi. Era un grande conversatore ed era molto apprezzato in società perché sapeva ascoltare. Quasi certamente non ebbe alcuna vita sessuale fino alla fine dei suoi giorni. La sublimò. Ma questo è un modo di esprimersi che viene da Freud, ed è proprio Freud con il suo linguaggio tecnico lo spartiacque tra il nostro mondo e quello di James. Tra la nostra nudità esibita e la sua gentitity. Tra le nostre etichette semplificatone e quel suo modo sfumato e complesso di apprendere e di rappresentare le cose della vita e le dinamiche della mente.

 

Fabrizio Coscia, IL MATTINO
– 25/11/2004

 

Credete a me l’opera di Henry James è come la musica punk

 

In uno dei suoi racconti, intitolato La vita privata, Henry Jamnes narra la singolare vicenda di un grande scrittori- che- lascia il proprio simulacro aggirarsi noi salotti mondani, mentre lui, indisturbato e solo, continua a scrivere nella sua stanza. In questo sdoppiamento, in questo «io diviso» tra l’intensa vita sociale e il deserto emotivo della vita privata, sta il t’ascino e la desolazione della biografia di un artista che Borges ha definito “il più sventurato degli nomini». Una biografia chi; lo scrittore irlandese Colui Toibin ha raccontato nel suo ultimo e affascinante romanzo, The master, finalista al Booker’s l’rize, uscito a pochi mesi di distanza da un altro romanzo tratto dalla vita di James [Dura, la vita dello scrittore).
Partendo da un ricco materiale biografico, Toibin indaga gli anni cruciali che videro, tra il 1895 e il 1899, lo scrittore americano, confinato nella sua casa del Sussex dopo il traumatico fallimento delle sue aspirazioni teatrali, trasformarsi da romanziere realista dell’Ottocento a padre del Novecento, il secolo delle ambiguità e dell’angoscia esistenziale. Sono gli anni in cui James apprende a «maneggiare i tanti fili della vita», come egli stesso scrisse, e a districarne la loro maglia complessa come nessun altro, prima di lui, era riuscito a fare. Il personaggio che viene fuori dalle pagine del romanzo è intenso e ricco di chiaroscuri. «James aveva una personalità ambivalente e complessa», spiega Toibin. «era un tipo gelido ma aveva tanti amici che cercavano la sua compagnia, frequentava la vita di società ma amava la solitudine, era nato in America ma viveva in Inghilterra, s’innamorava delle donne, ma anche degli uomini. Era un uomo di cui si può dire qualsiasi cosa e anche il suo opposto».
Nel romanzo emerge con forza anche il prezzo che in termini umani ha dovuto pagare lo scrittore per diventare «il Maestro», condannando all’infelicità le persone che gli sono state accanto, come la cugina Minnie Temple o la scrittrice Comstance Penimore Woolson. «Senza dubbio James era attratto dal lato oscuro della vita, ma nella quotidianità ha avuto anche momenti felici. Scrivere della vita di una persona significa esplorarla in tutti i suoi aspetti, liberarla dalle cristallizzazioni.
È quello che ho cercato di fare nel mio libro. In fin dei conti la sua vita non è stata poi così drammatica. Lavorava freneticamente, viaggiava, si divertiva». Tra i temi esplorati da Toibin, quello dell’omosessualità repressa di James attraversa in maniera sotterranea tutto il romanzo, soprattutto nelle pagine dedicate al rapporto di amicizia con lo scultore Hendrik Andersen, l’«amato ragazzo» conosciuto a Roma. «James sapeva che nella sua opera era nascosto un grande segreto che se fosse venuto fuori sarebbe stato esplosivo. Paradossalmente, proprio la repressione della sua omosessualità gli ha dato una grande libertà. In libertà d’immaginare ciò che non poteva vivere e quella di esplorare il suo lato femminile, che gli ha offerto la possibilità di creare degli indimenticabili ritratti di donna nei quali si identificava».
Forse lo scrittore più ammirato dagli scrittori, James non è mai sceso a compromessi con le leggi di mercato. In una delle ultime pagine di The Master, William James, fratello del romanziere, gli dice: «In quest’epoca di letture movimentate e affrettate nessuno ti leggerà se continuerai ad abbandonarti a questo stile e a questi soggetti. Le previsioni di William si sono avverate solo in parte» commenta Toibin. «In fondo la sua opera è come un certo tipo di musica garage o punk, con un selezionato gruppo di affezionati che durano nel tempo».

 

Francesco Mannoni, SECOLO D’ITALIA
– 31/12/2004

 

Sedotto da Henry James

 

Biografia e romanzo procedono di pari passo in The master lo splendido libro finalista al prestigioso BookerPrize,die lo scrittore irlandese Colm ioibìn ha dedicato a Henry James. Della vita die Virginia Woolf definì «un altare di servizi e sacrili-i», Tòibin racconta uno spaccato significativo, cinque anni che vanno dal gennaio 1895 al Natale del 1899. Furono anni dolenti, solitali e malinconici, nonostante frequentasse la nobiltà inglese e scrisse illuni dei suoi libri più importanti, a cominciare da Giro dì vite, che segnò il suo ritorno al grande romanzo dopo un periodo fiacco e negativa Sicuramente una delle voci più alte della letteratura inglese. Henry James, autore di numerosi romanzi (1 Bostoniani, La fonte sacra. Le di deità Colomba, La Coppa d’oro e altri), saggi e racconti di grande spessore psicologico, nonostante provenisse da una famiglia benestante, ebbe una vita dura, angustiata dai suoi problemi intimi e da una perenne insoddisfazione che sconfinava nei dubbio e nell’assillo morale.
Sull’insuccesso del suo primo dramma, GuyDom-ville. che gli causò una sorta di tracollo, tanto die a cinquantadue anni si scniiva un uomo finito, Tòibin apre un percorso esistenziale costellato da molle paure e ne tratteggia i sintomi perversi, nei quali, soffocando le passioni. Henry James umiliava lo spirito rifiutando la sua vera personalità.
Incontriamo Colm Tòibin a Milano, e gli chiediamo perché ha preso uno dei maggiori scrittori tra l’Ottocento e il Novecento, e della sua personalità totalmente schiva ha rivelato i lati più accanitamente celati. «Ho letto Ritratto di signora quando avevo 18 anni – spiega – e da allora non mi sono più slaccato da Henry James, acquisendo sempre nuove informazioni su di lui Alla fine ho scritto la sua biografia perché è un grande scrittore, ma soprattutto perché è un personaggio ambiguo e difficile. Se avessi scelto Byron o Conrad, che hanno avuto una vita avventurosa, avrei potuto scrivere un romanzo più ovvio. Ho voluto invece puntare alla parte privata della vita di un ‘” molto discreto, forzare la sua intimità proprio perché l’ha sempre protetta Con un romanzo è possibile entrare nello spirito silenzioso dell’uomo e in quello chiuso del personaggio che ha fatto della sua vita una specie d’alloggio segreto, impedendo l’accesso a tutti Allo stesso tempo, scrivendo un romanzo, bisogna inserire la giusta dose di drammatitita, altrimenti, raccontando la vita blindata di Henry James, si poteva rischiare di scrivere un libro noioso».

 

Stefano Lecchini, GAZZETTA DI PARMA
– 22/12/2004

 

Le tenebre nel cuore

 

Lontano dall’America – fra i Lords e le Ladies d’irlanda. a Rye in Inghilterra o in una delle città o cittadine italiane che pur tanto amava -, per un certo periodo della sua vita Henry James provò l’impressione di vivere fra gli spettri. Non sapeva se considerare più reali le persone che lo circondavano, o quelle che abitavano nei suoi libri, o quelle che lo avevano lasciato per sempre e tornavano a visitarlo con immedicabile strazio nei pensieri e nei sogni.
Gli anni che il narratore irlandese Colm Tòibìn racconta nella bella biografia romanzata (o romanzo tout court) appena uscita da Fazi («The Master»), v:nno dal 1895 alle soglie del 1900. James è in Europa: ad apertura di libro: lo vediamo assistere al fiasco clamoroso della sua prima opera drammaturgica, men-t re il suo nemico, lo «sguaiato» Oscar Wilde, trionfa in un altro teatro della città. James avverte che qualcosa sta definitivamente per cambiare. Sogna torme di giovani che lo spingono via. Sogna i suoi famigliar! che lo implorano, chiedendogli qualcosa – ma cosa? -, che .soltanto da’lu^ potrebbero realisticamente ottenere. Quando si volta a guardare i suoi grandi romanzi e racconti («Ritratto di signora», «La Musa tragica», «I bostoniani», «Gli Europei», «Daisy Miller», «II carteggio Aspern»), quelle montagne di carta finiscono probabilmente per apparirgli un inservibile cumulo di macerie.
James è umbratile, e solo: fugge la società, che pure lo attrae e lo blandisce; fugge i parenti (mentre il ricordo della morte della sorella continua a trafiggerlo con una punta di dolore lancinante); mantiene un rapporto difficile con il fratello William, il filosofo del «pragmatismo» rimasto a vivere di là dall’Atlantico…
A parte tutto ciò, e Tòibìn ce lo ricorda fin dal titolo, James resta un Master, anzi «il» Master. Cosa significa?
Troppo semplice, quasi banale, intendere il termine nella sua ovvia accezione di «Maestro». James fu certamente un Maestro; e le cose che da quegli anni in poi andò scrivendo sono non solo capolavori della letteratura del «mi-storo», mix perturbanti di panico e cerimonia («Giro di vite». «La terza persona», «L’angolo allegro», la stessa «Bestia nella giungla»…): ma anche forse ineguagliati prototipi di quel romanzo psicologico (non si dirà «analitico»), che tanta fortuna ebbe nel secolo inaugurato dall’ «Interpretazione dei sogni» (e qui bisognerà fare almeno i nomi de «Le ali della colomba», «La coppa d’oro», «Gli ambasciatori» e «II senso del passato»). Però sembra lecito leggere «Master» in un’altra accezione. James – quest’uomo e scrittore sovranamente elusivo, il fondo della cui letteratura capace di torturante finezza resta avvolto nella più invincibile tenebra – si impose di essere assolutamente «Master», cioè «Padrone», «Signore», della propria vita. Come il maggiordomo Stevens di Ishiguro, non si concesse abbandono – perché abbandonarsi alle proprie pulsioni significava abbandonarsi a ciò che non si voleva né doveva vedere.
Così, ripercorrendo e reinventando da dentro questi cinque anni cruciali (ma il libro è sciabolato da continui flashback, tra Europa e America, indietro fino al periodo della Guerra di Secessione), Tòibìn ci fa capire come, per James, tutto questo proverbiale «scrivere al buio», per imperscrutabili «figure nel tappeto », sia anche, almeno in parte, fondato su un’immensa omissione – o su un immenso rifiuto. Il rifiuto, profondo, di vedere. Quanto è appunto è sconveniente vedere: la propria omosessualità, che non a caso si traduce in un gioco di sguardi obliqui e sfuggenti (ancora: disperatamente elusivi) con gli uomini, e la propria inadeguatezza – a volte drammaticamente comica, o comicamente drammatica – con le donne (che pure erano attratte da lui).
La qual cosa servirà forse almeno in parte a spiegare, come si è detto, il cono d’ombra in cui l’opera di James è incapsulata. Ma non – e Tòibìn ne è ben consapevole -la sua peculiare grandezza.

 

Masolino d’Amico, LA STAMPA
– 08/01/2005

 

Master James, l’europeo

 

Secondo un famoso paradosso di Oscar Wilde, il critico è superiore all’artista perché mentre l’artista lavora con materiale grezzo, attingendo alla Natura, il critico ha come campo di azione appunto l’Arte, ossia interviene su oggetti già raffinati e provvisti di armonia: ha insomma il vantaggio di venire per ultimo, e dare il tocco definitivo. Ma se l’artista arriva ancora dopo, e agisce a sua volta sull’opera del critico? Potrà perfezionarla ulteriormente? A giudicare da* libro odierno, sì.
Su Henry Jarnes critici e biografi hanno svolto finora un’attività capillare di estrema vastità e utilità. Oltre ai cinque tomi della puntigliosa biografia dì Leon Edel e all’edizione, curata dàr-Hfètìesimo, dello1 sterminato1 epistolario e’dei taccuini, esisto-‘ no’fónù’merevoìi’studTpar’ziàli;” dedicati sia al sommo romanziere sia a vari membri della sua notevolissima famiglia – il padre Henry James senior, il fratello William celebre filosofo, la sorella Alìce, e anche i fratelli meno illustri Wilkie e Bob.
Ecco: tirando le fila di tutto questo repertorio, che mentre gli ha consentito di non inventare quasi nulla gli ha dato le basi per interpretare parecchio, un romanziere di oggi dedica a Henry James un ritratto che sarebbe difficile immaginare più umano e convincente: e lo fa alla sua maniera, ossia raccontando e non chiosando’, a in particolare cercando di ricostruire dall’interno il processo secondo il quale; una vicenda nasce « prende forma nella testa di uno scrittore. Per far questo un Collega del soggetto in questione è senz’altro più affidabile di feritici professionisti, magari del tipo di quelli che a suo tempo congetturarono che Shakespeare doveva essere geloso quando creò Otello, o che aveva litigato con le figlie quando diede voce a Re Lear. Con ben altra sottigliezza Toibìn mostra come le situazioni inventate da James girino intorno a certi personaggi fondamentali detta sua giovinezza, per esempio la surricordata sorella Alice e un’altra amica, Minny Tempio, che gli fu brevemente attribuita come flirt: modelli di ragazze americane intelligenti, ingenue, rette, estrose ma con dei limiti (a qualcuno che gli chiede come mai la protagonista di Ritratto di signora, ohe con un colpo di testa ha sposato un csteta nullatenente, non lo lasci quando scopre le magagne di costui, il James di Toibìn risponde memorabilmente che Isabel Archer aveva, sì, l’energia per gettarsi in un avventura, ma non più di una volta nella vita). .
Toibìn segue colui che sarebbe rimasto nella letteratura come The Master per eccellenza in un periodo di quattro anni tutti trascorsi in Europa, a partire da quell’infausta serata, la più amara della sua esistenza, ih cui la commedia in costume «Guy Domville» con cui sperava di affermarsi nel teatro, di cui era appassionato, cadde clamorosamente in una sala londinese, dove poco tempo dopo fu sostituita proprio da una pièce del summenzionato Oscar Wilde, che James detestava.
Durante questi anni James supera, sia pure a fatica, la delusione, si rimette a lavorare, trova una dimora di suo gusto nella campagna inglese e la arreda, non senza diventare per un po’ la vittima di due servitori arroganti che la sua timidezza gli impedisce di licenziare; va a ; Venezia a meditare sul suicidio • di un’amica, la romanziera Con- ] stanco Fenimore Woolson, che lo colpisce profondamente; fa amicizia a Roma col giovane e bellissimo scultore americano di origini svedesi Henrik Ander-sen, e lo vagheggia senza sbilanciarsi più che tanto; e’scrive, o meglio detta – la mano destra è ‘ ormai in preda al crampo dello scrittore – buona parte dei suoi , capolavori.
, Con un abile, prezioso gioco di incastri Toibìn inserisce inoltre flashback con vari momenti del passato, quel passato peraltro sempre presente alla mente del suo protagonista, che non rinuncia a sforzarsi di dargli un senso, talvolta riuscendoci a distanza di decenni. Contemporaneamente presente e assente, mondano e schivo, indeciso e caparbio, questo Henry James sì lascia colpire, talvolta, da momenti e situazioni, e li rimugina fino a quando si accorge che stanno diventando in qualche modo storie che gli viene voglia di raccontare. Mentre ha una particolare facilità per sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda delle donne, perlomeno dir certe donne – salvo essere preso ‘dal panico quando gli sembra che la familiarità con loro rischia di diventare eccessiva -prova pulsioni omosessuali alle quali allo stesso modo evita di abbandonarsi fino in fondo. Spe-. cialista in materia, non per nulla ha dedicato un libro a gay famosi come Almodóvar, Toibìn tratta questo aspetto con particolare delicatezza e penetrazione, qualità che peraltro permeano tutto il suo libro, facendone un omaggio davvero adeguato al più sottile seziona-tore di capelli della narrativa moderna.

 

IL CENTRO
– 03/12/2004

 

Il mistero Henry James

 

Una finissima biografia raccontata davvero come un romanzo (e del resto romanzata, anche se solo per certi particolari e personaggi minori) dedicata a alcuni anni cruciali nella vita di James, in fondo è un racconto sulla creazione letteraria, la scrittura, la necessità dell’artii sta di esprimersi e il suo desiderio frustrato di successo. Quindi, assume rilievo la repressione continua che lo scrittore, nato in America e poi trasferitosi a Londra, fa della propria sessualità (e tendenze, omosessuali) che forse vive un transfert nel bisogno creativo. «Non credo», dice Toibin, «che una repressione, sessuale o altro, sia in genere un possi bile fattore di espressione artistica. Penso sia una cosa molto personale. Non riguarda per esempio me, ma, direi, nemmeno dante o Shakespeare. o forse Shakespeare sì. Per James mi pare che questo lo avesse portato a una sorta di persona le neutralità che gli permetteva una sorta di transfert su altri personaggi, quelli dei suoi romanzi. L’essere soli aiuta, in questo senso, mente chi si sveglia la mattina con accanto l’amico o la moglie vive una realtà diversa, ha più presenza a se stesso e bisogno di dimostrare all’altro la propria identità concreta».
Un certo rilievo e senso ha anche la figura della madre di James? «Certamente, per il suo modo protettivo e dolce di assediarlo, una dolcezza che da sola bastava per farlo fuggire oltre Atalantico e restarvi tutta la vita. Una figura di madre molto meno ingombrante di quella dei miei altri romanzi, legati alla realtà irlandese, a storie rurali e tradizionali. Questa volta volevo cambiare, prescindendo dalle mie origini, per quel che è possibile. A una certa età non si è nativi solo del proprio paese, ma anche delle letture fatte che diventano un’altra patria, dalla bandiera anche più bella».
Una parte centrale del libro riguarda poi i viaggi in Italia di James. «Il clima di Roma era perfetto; l’aria riluceva di colori deliziosi», recita Toibin una frase del suo libro, aggiungendo: «E’ James, ma sono anche io che parlo, e Roma è una città meravigliosa come l’Italia e tutte le rive del Mediterraneo. James che in Italia era stato portato da piccolo dal padre, a Roma va per la prima volta da grande, da solo. Vi arriva negli anni che vanno dal 1860 al 1870, anni di fermenti intellettuali e politici per l’Italia in via di unificazione e poi a Roma (dove faceva lunghe cavalcate per l’agro romano), a Firenze e Venezia c’erano grandi colonie di americani che lo facevano sentire protetto. L’Italia e Roma sono così in molti romanzi di James, da “Roderick Hudson” a “Daisy Miller” e “Ritratto di signora”».

 

Mario Fortunato, L’ESPRESSO
– 07/01/2005

 

Caro maestro Henry

 

Può, la vita di un artista, illuminare di senso ancne i’opera prodotta? O le cue sfere sono separate, essendo l’opera un universo conchiuso? È un’antica a vexata quaestio. Su cui sembra ritornare l’ultimo libro di Colm Toibin. scrittore irlandese di talento, uno dei miglior: narratori in lingua inglese oggi :n-circolazione. “The Master”
(traduzione di Maurizio Bartccci. Fan, pp. 367, 15 auro) racconta un pezzo di vita del grande Henry James: precisamente gli anni compresi fra l’inizio dei 1895 e la fine del 1899. Già pubblicati capolavori come “Daisy Miller” (il suo unico successo di pubblico) e “Ritratto di Signora”, James compare nel libro al momento del suo fiasco teatrale, “Guy Domville”, e viene lasciato alla vigilia delle opere più complesse della piena maturità. Ma quale è il punto su cui Toibin costruisce il suo testo, perfettamente in bilico fra romanzo e biografia? Roland Barthes. a prooosito della fotografia, diceva che in ogni foto è possibile rintracciare un “Gunctum” e che questo “punctum” è per lo spettatore ‘come una ountura. qualcosa erte coloiscs Io-sguardo a lo fa dolorare. Toibin trova il “punctum” dell’opera di James nella sua omosessualità: una omosessualità non a caso espressa, taciuta perfino nel segreto del proprio io, e su cui legioni di critici si sono esercitati” per generazioni. Toibin non vuole dimostrare che James era un omosessuale. Non espone il proprio lavoro ai ridicolo ai una ricerca mutile e impossibile, lo scrittore entra nell’opera del Maestro come una lama nel buio: ne assume la scrittura, il respiro, l’andamento. In una parola, reinventa Henry James e come tale lo racconta: come si trattasse a tutti gli effetti di un proprio personaggio. Il lettore potrebbe pensare a questa punto al libro “Le ore”, in cui Micnael Cunningnam “usava” la vita di Virginia Woolf come materia narrativa. Mi permetto di dire che il testo di Toibin possiede un altro spessore.

The Master - RASSEGNA STAMPA

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