Anaïs Nin
Scale di fuoco
Introduzione di Viola Papetti
Traduzione di Monica Pavani
Con una nota di Gunther Stuhlmann
Nella Montparnasse degli anni Trenta, Lillian e Jay si incontrano e intessono una tormentata e ardente storia d’amore. Jay, pittore versatile e dissacrante, rappresenta per Lillian la liberazione dai pregiudizi e dalle convenzioni borghesi di cui è prigioniera. Quindi l’entrata in scena dell’enigmatica Djuna, e di Helen e Sabina la costringono a confrontarsi con l’immagine riflessa di altre donne e a scoprire dentro di sé possibilità d’amore fino ad allora inespresse. Scale di fuoco, qui alla sua prima edizione italiana, rappresenta uno dei vertici narrativi dell’opera di Anaïs Nin.
«Aveva due voci, una profonda come quella di un uomo, e l’altra lieve e innocente. Due donne combattevano dentro di lei».
«Un tourbillon di emozioni, seduzioni e incontri».
«la Repubblica»
Un romanzo degli Anni 40
Anaïs, l’erotismo come un’algebra delle sensazioni
Anaïs Nin è forse più nota per la sua biografia – in particolare per il suo sodalizio erotico-letterario con Henry Miller – che per la sua produzione narrativa. Il pubblico ne conosce soprattutto “Il delta di Venere” recentemente trasposto in versione cinematografica e che comunque non credo debba essere considerata la sua opera migliore. Più che mai opportuna è da considerarsi l’uscita di “Scale di fuoco” (Fazi Editore), finora inedito in Italia e certamente uno dei suoi più riusciti romanzi. Fu pubblicato per la prima volta a New York negli Anni Quaranta; divenne poi la prima parte di un “roman fleuve”dal titolo “Cities of the Interior”. Inizialmente l’accoglienza da parte della critica non fu incoraggiante: il New York Times definì il romanzo “una soap opera surrealistica”. Giudizio certamente attendibile se si focalizza l’attenzione esclusivamente sulla trama e sulla caratterizzazione dei personaggi, che senza esitazione da valutarsi “eterodossa”. Non è su questi aspetti che deve orientarsi la lettura del testo, ma su quella che la stesa Nin definì “algebra delle emozioni”. E’ la stessa autrice a guidarci in questo percorso, non solo attraverso la struttura formale dell’opera, ma anche con annotazioni chiarificatrici presenti in varie prefazioni. Per citare alcuni esempi: “Si deve vedere la trasformazione della realtà, non la realtà stessa”, oppure “io non scrivo della realtà oggettiva, che è fotografica, ma come le persone vedono e sentono la realtà, la loro realtà”. La vicenda si impernia sul personaggio di Liliana e di altre tre donne, sarebbe tuttavia fuorviante cercare l’identificazione dell’autrice di una di esse. Come nota giustamente Gunter Stuhlmann nella nota di testo: “Nei quattro personaggi femminili…sic celano altrettanti aspetti di un io disgregato”. Abbiamo anche una figura maschile di un certo rilievo, Jay, chiaramente ispirato a Henry Miller, ma in questo contesto essa viene proposta o comunque subordinata al tema della ricerca di un’identità femminile e della sua necessaria evoluzione. Queste risultano essere inscindibili dalla presa di coscienza della propria sessualità, che per Lilion ha il sapore di una vera e propria scoperta. L'”itinerario” è per così dire tortuoso e variegato: non sono esclusi rapporti saffici – peraltro descritti soprattutto tramite allusioni -, così come non è escluso il contraddittorio confronto con la figura maschile e specificamente con la sessualità maschile. Parlavo prima dell’opportunità dell’uscita di questo volume: cade proprio a pennello in un momento in cui si sprecano i dibatti su questi temi. Abbiamo infatti spesso assistito a lunghe dissertazioni televisive e letto, sui giornali, argomentazioni sull’efficacia del “Viagra”, sull’anorgasmia femminile, sul”mitico punto G”, tra fautori e detrattori della medicalizzazione dell’amore. Questi temi sono indubbiamente degni della massima attenzione, ma portante è il modo in cui vengono trattati. Al riguardo voglio citare, tra gli altri, due testi che ritengo fondamentali per l’argomento in questione: la sessualità. La Nin si muove tra i meandri intricati di queste problematiche con finezza, coraggio e spietatezza, non lasciandosi tentare da banali semplificazioni né tanto meno da forzose cerebralizzazioni. Non si può non rilevare la sua abilità nell’uso della metafora, come quando raffigura con mirabile efficacia il rapporto uomo-donna- e non soltanto -nell’immagine del ragno e della mosca, col paradosso beffardo della collaborazione della mosca “alla tessitura della ragnatela”. Questa metafora è contenuta a sua volta in quella più vasta di prigione, una prigione che, oltre all’ovvio riferimento di limitazione della libertà individuale, ha anche un preciso rimando all’idea di stasi, di immobilità, in contrapposizione a quella di dinamismo, di evoluzione appunto, che consentono di uscire dalle pastoie di ruoli prestabiliti da etichette codificate. La ricerca del piacere può essere sì stimolante e accattivante, ma in egual misura risulta ostico il suo conseguimento; come afferma la narratrice: “Il piacere era da considerarsi come un prezioso, una sorta di gioiello rubato per il quale si devono pagare cifre esorbitanti in termini di sofferenza e sensi di colpa”. Ma non è solo a posteriori che…va pagato il conto: viene presentato molto prima, a causa delle inibizioni, delle repressioni, dei sensi di insicurezza. A proposito di Lilion leggiamo: “Sembrava perfino che una pesante cintura di castità argentata costringesse le sue carni morbide e formose”. La conquista del piacere sessuale sembra restare una chimera; il perseguirlo può avere il sapore di una beffa in cui all’allettamento ammiccante segue l’impossibilità dell’appagamento totale. Ho fatto cenno all’inizio alla “storia sull’evoluzione della donna”, per usare le parole dell’autrice: se questa evoluzione deve essere disincantata, consapevole, coraggiosa, lontana da assolutizzazioni assiomatiche, deve anche rifuggire da facili e risibili generalizzazioni, riconducibili a semplicismi fuorvianti basati su contrapposizioni “uomo-donna”, “carnefice-vittima”, “male-bene”. Anaïs Nin è troppo intelligente per cadere in luoghi comuni di questo tipo: lascia intendere al lettore che così come le donne non sono uguali fra loro, lo stesso discorso vale per gli uomini. Nessun commento può essere più eloquente delle sue considerazioni sul “talento amoroso”: “E’ questo un mestiere, un’arte e una professione che non si può imparare, ma richiede la divinazione delle punte delle dita, l’attenta decodifica dei segnali a partire da un battito di ciglia, un occhio come un microscopio che colga l’approvazione di uno sguardo, un sismografo che registri le vibrazioni dei piccoli nervi azzurrini sottocutanei, la capacità di pronosticare cosa accadrà a partire dal verso della peluria…”. Mme De Staël sosteneva che non esistono donne frigide, ma solo uomini maldestri ; che avesse ragione? A giudicare dalla precedente citazione sembrerebbe proprio di sì! Ritornando al discorso iniziale si può dire che”Viagra” e affini hanno ben poca efficacia se è assente “l’attenta decodifica dei segnali” che è possibile solo in un trasporto amoroso basato sì sulla pulsione erotica – pur se diversa tra maschio e femmina -, ma anche su una spontanea, “naturale” attenzione alle risposte dell’altro/a. L’episodio finale dell’opera incentrato sul party onirico, ispirato da un balletto di Martha Graham, è altamente simbolico e pregno di significati: la danza è vista come liberazione e nel gioco finale la figura mitico-simbolica del “Giocatore di scacchi” ha la funzione di creare un’atmosfera surreale dalle cui pieghe traspaiono e trasudano i risvolti più crudi di una realtà spesso elusa o rimossa. L’impronta di “scrittura femminile” caratterizza indubbiamente questa accattivante opera di Anaïs Nin, che vuole essere però al contempo pungolo di riflessione anche per il mondo maschile, il quale può trarne proficuo spunto di autoconsapevolezza e di inevitabile necessità di confronto. La chiave di lettura più idonea di “Scale di fuoco” – e più estesamente di tutta l’opera di Anaïs Nin – ci viene fornita da un passaggio dell’acuta introduzione di Viola Papetti, che ce la suggerisce in questi termini: “Con gratitudine e tenerezza per tutti i suoi spostamenti aerei, non solo da marito a marito ma anche per quelli ben più pericolosi dalla confessione alla “fiction”, dal sogno al terrore della vita”.
IN LIBRERIA UN VERO E PROPRIO BOOM DI ROMANZI EROTICI PER TUTTI I GUSTI
E’ il fenomeno editoriale dell’anno: la letteratura erotica. In queste settimane tra gli scaffali delle librerie assistiamo ad un vero e proprio boom di romanzi (pochi) e romanzetti (moltissimi) che sin dalle copertine promettono momenti di “piacevole” lettura. Un filone, quello erotico, molto sfruttato, poco conosciuto e abbastanza ambiguo: difficile districarsi tra tanti titoli, la maggior parte dei quali più vicini alla pornografia che alla sensualità e all’erotismo che la parola scritta può evocare. Capita, ad esempio, di rimanere catturati dalle prime pagine di “Sette vizi per signora” di Marina Rebonato (Sperling Paperback, 161 pagine, 15mila lire) ed essere poi traditi a metà lettura. L’inizio è indubbiamente intrigante: una donna organizza una festa hard per fornire degli spunti ad un famoso scrittore rimasto senza ispirazione. Dopo le prime godibilissime pagine ha però inizio una caduta di stile e di ritmo narrativo che sconsola. UN’ODISSEA FETICISTA CHE DIVENTA NOIRNel complicato panorama dell’editoria erotica può accadere però anche il contrario. E’ il caso de “L’uragano” di Regine Deforges (Marco Tropea, 90 pagine, 10mila lire): una quarta di copertina sospetta (“La versione contemporanea di Tristano e Isotta”) e un profilo biografico della scrittrice quantomeno allarmante (“Autrice eclettica, ha composto tra l’altro manuali di punto croce e di cucina”) allontanano anche il lettore più sprovveduto. Ed invece “L’uragano” che in Francia ha venduto 150mila copie si dimostra una lettura piacevole: certo, in molti passaggi si oltrepassano i confini della pornografia e del grottesco, ma alla fine la storia della protagonista – una giovane vedova che cerca di comunicare con il marito, oltre la morte, attraverso il sesso – risulta piuttosto intrigante. Come intrigante, a dir poco, si rivela il finale. Lontano dalla banalità è anche “Sesso Alieno” (Es, 158 pagine, 15mila lire), un’antologia di racconti erotico – fantascientifici che nasce da un esperimento: selezionare una decina di scrittori italiani e farli esprimere, in forma di breve racconto, su ciò che molti pensano “che in tempi di rapporti umani grotteschi quello sessuale, rapporto intimo e totale per eccellenza, rischia di diventare il momento della massima alienazione”. Potrebbe essere una via di fuga, quindi, pensare al sesso in altri mondi, in altri spazi. Si passa così dalle “Vulve stellari” di Elena Soprano agli “Stimosimulatori di sesso virtuale” di Carlo Lucarelli, alle macchine – che permettono di fare sesso con i divi di Hollywood – protagoniste del racconto di Nico Maccentelli “Gli uomini preferiscono le onde”. Ben scritti ma inquietanti sono invece i racconti di Evelyn Lau raccolti in “Ragazze” (Marco Troppa, 102 pagine, 18mila lire): dieci storie che, in apparenza, sono intrise di sesso estremo, di perversioni sadomasochistiche. In realtà la Lau dipinge con estrema freddezza la rabbia e la passione di ragazze in fuga dalla normalità dell’esistenza: ragazze che pur di inseguire i propri sogni accettano di venire trasformate in “maschere erotiche, Barbie e Lolite dei maschi”. Sempre i tipi di Marco Troppa hanno appena pubblicato “Le estremità dell’amore” (202 pagine, 27mila lire) di Geoff Nicholson: un romanzo, dedicato al feticismo del piede femminile, che ha già riscosso un notevole successo di critica e di pubblico. E’ la storia di un manager inglese che nel tempo libero girovaga per le affollate vie di Londra fotografando i piedi e le calzature delle donne. Un’odissea feticista che termina quando il protagonista incontra Catherine, la donna dai piedi della sua vita. Sviluppato come un romanzo erotico lentamente “Le estremità dell’amore” si trasforma dapprima in un appassionante noir e poi in un vero e proprio romanzo d’amore. Tra l’erotico e il filosofico è invece “Le ossessioni di Margharet”, l’ultimo romanzo di Cathleen Schine pubblicato da Adelphi (310 pagine, 27mila lire). La protagonista è Margharet Nathan, storica paradossalmente smemorata, sposata ad un professore universitario. Un rapporto matrimoniale che inizia ad incrinarsi quando Margharet scopre in una biblioteca un inedito ed anonimo manoscritto del Settecento intitolato “La nipote di Rameu” (il titolo è la parodia di “Il nipote di Rameu”, di Diderot) intriso di sensualità: un inno al libertinaggio nel quale si intrecciano temi filosofici a temi erotici. Un testo che innesca nella protagonista un desiderio di carnalità e trasgressione: “Voglio dimenticarmi di essere sposata ed abbandonarmi ad una storia con uno sconosciuto. No, neanche questo. Voglio dimenticare questo sconosciuto e abbandonarmi al matrimonio. No, neanche questo. Non voglio abbandonarmi: voglio osservare, sperimentare e conoscere! Io sono alla ricerca di verità e bellezza. Sono una studiosa. Ecco perché voglio scopare col francese”. ”SCALE DI FUOCO” PER UN AMORE ESTREMO Intriso di erotismo è anche “Scale di fuoco” di Anais Nin, appena pubblicato – per la prima volta in Italia – da Fazi (171 pagine, 25mila lire). Ambientato nella Montparnasse parigina degli Anni Trenta “Scale di fuoco” è l’ardente storia d’amore tra Jay, artista maledetto, e Lillian, una donna che vuole allontanarsi dalle convenzioni borghesi tra le quali ha sempre vissuto. La Nin – per anni compagna di Henry Miller e amante della moglie, Jane Miller – rappresenta, come scrive Viola Papetti nella bella introduzione – la protesta virile della donna. I suoi personaggi, i suoi amanti di carta, si rincorrono come pattinatori impennati sui loro falsi ego, accecati dalla polvere di vecchie memorie. L’elemento folgorante di “Scale di fuoco”, romanzo ricco di seduzioni, incontri e confessioni, è la straordinaria capacità della Nin di passare dalla confessione autobiografica alla fiction, dal sogno al terrore della vita. “Scale di fuoco” è, come i precedenti della trasgressiva Nin, non un romanzo, ma un “utero di carta”: per l’autrice come per il lettore. Lettore che rimane fatalmente intrappolato da una scrittrice e da una donna sempre eternamente in bilico: “Io sono la donna che dà illusioni, la puttana dà solo realtà.”
– 02/01/1999
Tre donne allo specchio
Il primo volume di “Cities of Interior”
“Se solo riuscissi a inventarmi degli altri personaggi! Vorrei produrre un lavoro ‘oggettivo’, che non contempli un mio eccessivo coinvolgimento . ho provato spesso a creare dei personaggi fittizi, ispirandomi magari a qualcuno che conoscevo ma ogni volta mi sono sentita come con le mani legate, relegata in una forma troppo stretta, e ho ripreso ad attingere dalla mia esperienza personale, trasponendo stralci della mia esistenza personale trasponendo stralci della mia esistenza nella vita di altre donne” (Diario III). La scrittura di Anaïs Nin è scrittura della specularità. Poco importa che esista una diffidenza nominale tra diario e fiction.La Nin scriveva solo esclusivamente ‘intorno’ a se stessa. Se stessa e le sue continue metamorfosi.Si badi, però, parliamo di specularità, non di autobiografia. E nelle sue mani lo specchio è l’arteficio alla massima potenza. Di fronte al suo specchio a tre ante la Nin costruisce un’immagine iper-sofisticata, ma anche la propria scrittura: “scrivo di fronte al mio specchio a tre ante, e ad ogni parola alzo lo sguardo stupita e mi osservo con curiosità” specchio e scrittura arte e vita convivono in un legame simbiotico che crea di fatto un terzo universo un mondo luminare dove si muovono creature fantasmatiche, dai contorni sfumati, che esistono, come gli attori fin tanto che recitano la propria parte. È il mondo della ‘Città interiori’, la serie di cinque romanzi che la Nin pubblica tra il1946-1961. concepita sulla scia di ‘Alla ricerca del tempo perduto’ di Proust, l’opera voleva essere l’equivalente verbale del ‘Nudo che scende le scale’ di Duchamp: il ritratto – o, meglio, i molteplici ritratti – della donna moderna: frammentata, insicura, alla ricerca di se stessa. L’impresa si risolve in un macroscopico autoritratto cumulativo – “Io sono tutte le donne dei miei romanzi, più una” (Diario V) – che se da un punto di vista estetico lascia perplessi affascina per i continui rimandi a un altro universo interiore quello del ‘Diario?. Anzi, è proprio nella fiction, ammette l’autrice, che si può osare di più: “Qui (nella fiction) sono protetta da uno schermo di simboli, da un alone di mistero che mi permette di svelarmi senza espormi totalmente al mondo ” (Diario IV). Nel prologo all’edizione originale di ‘Scale di fuoco’ ,il proprio di questi cinque volumi, la Nin chiarisce le motivazioni del suo percorso: ‘Cities of the Interior’ è un tentativo di comprendere la natura della donna, che penalizzata dalla mancanza di consapevolezza – “she lacked the eye of consciousness” – non è stata in grado di plasmare autonomamente la propria identità. La donna era natura e in quanto tale priva della capacità di parlare per se stessa. L’intento,qui, è quello di trascendete i limiti connaturati al proprio sesso, di reagire all’autismo che risale alla confusione delle origini: “l’angoscia era una donna senza voce che urla in un incubo”. E tra tutte le donne – tutte le donne più una – che si muovono nel suo specchio a tre ante, la Nin ne scegli tre: tre donne a cui affidare la propria voce, tre figure femminili destinate a salire le scale di fuoco. Il fuoco è, inevitabilmente e in prima istanza, il fuoco dell’arte. Le protagoniste sono tutte artiste: Lillian una pianista, Djuna una ballerina che aspira a diventare scrittrice, e Sabina un’attrice. Significativamente, uno degli ostacoli che si frappongono tra la donna e la propria realizzazione come artista è il mondo maschile: Lillian rinuncia alle proprie aspirazioni prima per dedicarsi alla famiglia, e successivamente, lasciati marito e figli, per provvedere al mantenimento del suo amante, il pittore Jay. Lillian rientra, nonostante i tentativi di ribellione, nello stereotipo del femminile: sacrifica la sua passione per la musica in mone di un altro fuoco quello dell’amore, che si spegne in seguito di fronte all’insensibilità dell’uomo: “Lillian aveva pensato che Jay avrebbe saputo crearla perché lui era un artista, e che sarebbe stato in grado di vedere la donna che in lei, ma la sua inconsistenza la lasciò stupefatta”. Lillian crede di riconoscere in Jay una guida, “il maestro da tenere tutto per sé” ma turbata e smarrita – “Jay non aveva fatto di lei una donna, bensì un merito e la madre della sua debolezza” – si rivolge prima a Sabina il doppio/complementare, “la donna che aveva sempre desiderato conoscere”, e poi a Djuna il prototipo della vera donna-artista, severa e controllata. Nell’immaginario dell’autrice ognuna di queste donne è rappresentata da un colore dominante. Lillian è il candore della sua pelle, del suo smarrimento ingenuo e della sua ribellione negata. Sabina è il rosso del suo abito, della sua accesa sensualità e della sua passione per la vita. Djuna è il verde dei suoi occhi, della sua tranquillità interiore e della sua salda consapevolezza. Sabina è, se vogliamo, il personaggio più vicino a quello della Nin: è un misto di segreti e rivelazioni; racconta di sé proiettandosi in una miriade di situazioni diverse cambiando uomo o donna volto e personalità con la facilità con cui un narratore traccia a matita il profilo di un personaggio e poi lo cancella con la gomma. È la donna libera “affrancata”, che porta su di sé i segni delle proprie scelte e delle proprie esperienze : le piccole macchie viola che Lillian scorge, una notte, esplorando il suo corpo, e che le invidia tanto, perché vi legge il racconto delle sue passioni sfrenate. Djuna è il personaggio più astratto; è una figura remota, riflessiva, per certi versi idealizzata. In ottica freudiana, se Sabina è l’es, anarchica, impulsiva e perversa, e Lillian è l’io, l’essere umano segnato da incertezze, debolezze, e sensi di colpa, Djuna è sicuramente il super-io. È la donna consapevole e indipendente, che possiede quell’eye of consciousness” di cui l’autrice lamentava la mancanza nel prologo del romanzo. Non a caso è la sua voce che prospetta un cambiamento decisivo: “la propria immagine da plasmare la creazione di sé non si dovrebbe affidare a nessuno. Le donne si stanno movendo da un cerchio all’altro, sollevandosi per raggiungere l’indipendenza e riuscire a crearsi da sé”. Il fuoco è anche quello rituale delle iniziazioni: per avvicinarsi all’arte la donna compie un percorso segnato dal dolore e dalla sofferenza:” la libertà si paga a caro prezzo”. Per Lillian è un percorso votato allo scacco: “non sono mai riuscita a realizzare la vita che aveva cercato di conquistarmi. La mia fuga non mi ha reso più libera”. Per tutto il romanzo alla ricerca di una fusione mistica, nell’arte come nell’amore; nel rapporto sessuale come nella musica, la donna si arrende alle costrizioni del passato – l’unica vera fusione era quella avvenuta con i suoi figli – divorata da altri due fuochi, quello della colpa e quello della paura , che la conducono all’auto distruzione: “Il Giocatore di Scacchi vide una donna accasciarsi sul divano come se la sua ossatura si fosse sgretolata,e rise della sua sbornia senza accorgersi del suicidio avvenuto dentro di lei”. Anche Djuna non riesce ad affrancarsi completamente, nonostante sia, per molti versi, al centro della narrazione. Non solo Lillian, ma anche Jay riconosce nella donna la propria guida: “Prima ero una ruota senza perno”. Djuna è il perno della vita di Jay ,così come funge da perno dell’intera narrazione; e tuttavia nel mondo dello specchio- che è quello della narrazione- la sua esistenza corre il rischio di sbiadire, come un acquerello. Una sera, confrontando l’immagine reale di Djuna con il suo doppio riflesso nello specchio, Jay assegna statuto di realtà alla sua gemella speculare: “Qui sei quasi trasparente, come l’essenza con cui ti stai profumando. Mettine di più, come un fissatore sopra un acquerello, così non svanirai”. L’artificio è l’unica vera realtà: le luci della sera, calde e tremolanti colorano la stanza e il giardino di tinte dorate come se tutto fosse ricoperto da un’impalpabile polvere d’oro. Anche i neri capelli di Djuna rilucono di tracce preziose, accentuando la sua somiglianza con l’immagine di un quadro bizantino. Nella scena finale del romanzo, Djuna, soffocata dalla strana lucidità allucinata del party, chiede soccorso a “un uomo che sappia che il sogno senza corpo, senza risveglio, è il corridoio per il mondo dei morti”. Ma chi le si avvicina è un uomo ubriaco con una sedia dorata:”Tra tutte quelle che c’erano in giro ne aveva scelta una dorata ricoperta di broccato rosso. Scegliere Djuna fra tutte le donne per questa offerta privilegiata significava condannarla”. La donna partecipa dello stesso dramma degli altri personaggi; ma la sua città interiore con i suoi “bastioni di vetro”,la caratterizza come figura centrale della serie, con un ruolo, se vogliamo, autoriale. Nelle battute centrali del romanzo Djuna denuncia, come la Nin, la necessità degli specchi, dell’artificio, del sogno: “qualcuno aveva piazzato tre grandi specchi ,in mezzo ai cespugli (…) gli occhi degli invitati non potevano sopportare la nudità del giardino , la sua esposizione. Gli occhi della gente avevano bisogno degli specchi si deliziavano della fragilità dei riflessi. Tutta la verità del giardino,l’umidità ,e i vermi , gli insetti e le radici, la linfa che scorreva e il tronco che marciva,tutto doveva essere riprodotto da superfici riflettenti (…) L’arte e l’artificio avevano soffiato sul giardino e il giardino aveva soffiato sullo specchio, e il pericolo di rivelare la verità era stato esorcizzato”. Djuna diventa, simbolicamente “the eye of consciousness” dell’autrice.
– 09/01/1998
Anaïs Nin, Scale di fuoco
“La vita individuale vissuta profondamente si espande sempre in verità che la trascendono” è il motto spesso citato da Anaïs Nin (Parigi 1903 – Los Angeles 1977), interessante ed irrequieta protagonista della vita letteraria del nostro secolo. La Nin fu autrice di un monumentale diario intimo, iniziato a soli undici anni e tenuto per tutta la sua lunga ed intensissima vita. Secondo l’autrice, ‘Scale di fuoco’ era l’inizio di “una storia sull’evoluzione della donna”, dello sforzo continuo faticoso e lento di comprensione della propria natura. Secondo la Nin l’imitazione dell’uomo preso a modello unico ed inarrivabile ha fatto perdere alla donna il contatto con la propria essenza e la capacità stessa di relazionarsi razionalmente con l’uomo. ‘Scale di fuoco’ fu pubblicato per la prima volta a New York negli anni Quaranta diventando poi la prima parte di un romanzo fiume in cinque volumi ai quali l’autrice diede il titolo di ‘Cities of the Interior’. Lillina e Jay, i due protagonisti di ‘Scale di fuoco’ entrambi con un matrimonio fallito alle spalle si innamorano e vivono una tormentatissima storia d’amore in una melanconica Parigi tra le due guerre. Lui è un pittore pieno di talento ma com’è tipico per l’artista di genio è anche alquanto discontinuo. Agli occhi di Lillian, Jay incarna la liberazione delle strette regole borghesi e puritane che l’hanno da sempre tenuta legata. La storia d’amore con Jay sarà per la giovane dona una evoluzione pseudo-artistica più che sentimentale. Sarà Jay a perdersi in numerose avventure erotiche che permetteranno alla sua fidanzata di riflettersi negli “specchi” che sono le altre donne e a ri-costruirsi un’immagine di donna completa e matura. Finale a sorpresa con l’arrivo (poteva mancare nei romanzi della Nin?) di un secondo ed importante personaggio femminile.
GIOCHI D’AMORE A MONTPARNASSE
Un romanzo inedito di Anais Nin, diventata famosa in Italia con i suoi racconti erotici, i più conturbanti forse mai scritti da una donna. Qui siamo nella Parigi degli anni Trenta, luogo e tempo tra i più narrati del mondo, in quella Montparnasse che era stata la culla di ogni avanguardia artistica e di ogni trasgressione. Jai (ispirato a Henry Miller) è un pittore; Lillian lo ama e lo segue perchè vede in lui l’uomo che può liberarla dalla rete di convenzioni che la fa prigioniera. Poi l’incastro si fa più complicato e pesante, arrivano altre donne e i giochi d’amore, e tutto il resto, si confondono in una sofferta evoluzione.
– 09/10/1998
Scale di fuoco
Se è vero che l’attuale produzione letteraria italiana al femminile si rivela di alto livello, per la capacità di penetrare nei territori della psicanalisi e del dolore, allora è proprio il caso di (ri)leggere chi – tra le grandi figure femminili che hanno inciso profondamente nella storia della letteratura, è stata la pioniera dell’inconscio e la smascheratrice dei falsi modelli imposti dalla società moderna. Mi riferisco ad Anaïs Nin di cui Fazi a pubblicato “Mistica del sesso”, una bella raccolta di saggi e racconti inediti che vanno dai primi anni Trenta fino agli anni Settanta. Tuttora attuale e moderna, dotata di una forte carica rivoluzionaria e di una freschezza di stile che solo i grandi scrittori riescono a mantenere inalterate nel tempo, questa raccolta è ripartita in tre sezioni: la prima (“La donna del futuro”) è una riflessione sul ruolo della donna nella cultura e sulle peculiarità caratteriali che in questo settore la differenziano (in termini di qualità e intuizione) dall’uomo. Curiose le pagine dedicate a “Le donne di New York”, simboli dell’elite intellettuale femminile americana; molto intenso e vivace il profilo dedicato a “Lou Andreas Salomé: la prima donna moderna”. La seconda sezione (“Lo scrittore e i suoi simboli”) comprende una serie di saggi brevi e molto chiari, che contengono preziosi suggerimenti di carattere tecnico – pratico sulla scrittura, sulla sua capacità di emozionare il lettore diventando veicolo di esperienze emotive autentiche. L’ultima sezione (“La bambina in giallo”) raccoglie soprattutto frammenti del monumentale diario, dove l’autrice tocca il tema della maternità, che sembra vivere come un desiderio mancato.
– 08/01/1998
Anaïs Nin – Scale di fuoco
“La vita individuale vissuta profondamente si espande sempre in verità che trascendono” è il motto spesso citato da Anaïs Nin (Parigi 1903 – Los Angeles 1977), interessante ed irrequieta protagonista della vita letteraria del nostro secolo. La Nin fu autrice di un monumentale diario intimo, iniziato a soli undici anni e tenuto per tutta la sua lunga ed intensissima vita. Secondo l’autrice, “Scale di fuoco” era l’inizio di “una storia sull’evoluzione della donna”, dello sforzo continuo, faticoso e lento di comprensione della propria natura. Secondo la Nin, l’imitazione dell’uomo, preso a modello unico ed inarrivabile, ha fatto perdere alla donna il contatto con la propria essenza e la capacità stessa di relazionarsi razionalmente con l’uomo. “Scale di fuoco” fu pubblicato per la prima volta a New York negli anni Quaranta diventando poi la prima parte di un romanzo fiume in cinque volumi ai quali l’autrice diede il titolo di “Cities of the Interior”. Lillian e Jay, i due protagonisti di “Scale di fuoco”, entrambi con un matrimonio fallito alle spalle, si innamorano e vivono una tormentatissima storia d’amore in una melanconica Parigi tra le due guerre. Lui è un pittore pieno di talento ma, com’è tipico per l’artista di genio, è anche alquanto discontinuo. Agli occhi di Lillian, Jay incarna la liberazione dalle strette regole borghesi e puritane che l’ hanno da sempre tenuta legata. La storia d’amore con Jay sarà per la giovane donna una evoluzione pseudo – artistica, più che sentimentale. Sarà Jay a perdersi in numerose avventure erotiche che permetteranno alla sua fidanzata di riflettersi negli “specchi” che sono le altre donne e a ri – costruirsi un’immagine di donna completa e matura. Finale a sorpresa con l’arrivo (poteva mancare nei romanzi della Nin?) di un secondo ed importante personaggio femminile.
– 08/08/1998
Scale di fuoco
Una donna in costante stato febbrile. con occhi che non si limitano a vedere, ma squarciano l’aria. Con grandi denti bramosi di assaporare la vita. Così Anais Nin descrive Lilian, la protagonista del romanzo, che ricorda molto da vicino l’irrequieta autrice e la sua voglia di conoscere il mondo attraverso i sensi. Non a caso nel personaggio maschile della storia, il pittore Jay, si può facilmente riconoscere lo scrittore Henry Miller, con cui Anais Nin visse un intenso e spregiudicato rapporto.Il libro é tutto percorso dalle inquietudini di questa donna confusa, curiosa, inibita e disinibita al tempo stesso. Che si pone domande sulla propria identità e sulla passione. Con una forza stilistica quasi esasperata. Ma è proprio questa forza ad avvincere.
– 08/08/1998
Anais Nin, Scale di fuoco
Jay e Lilian. Pittore irriverente lui, vera e propria forza della natura lei, si incontrano nella Montparnasse degli artisti negli anni Trenta. Intorno a loro Djuna, Helen e Sabina, volti di donna che si riflettono in quello di Lilian, che si incontrano e rincorrono nel labirinto della città interiore. Inedito in Italia e ora tradotto da Monica Pavani, con una bella introduzione di Viola Papetti, Scale di fuoco è del 1946. Un romanzo onirico e “uterino”, fra i migliori dell’autrice del Delta di Venere, magistralmente in grado di attirare nel tourbillon di emozioni e situazioni in continuo rimando tra sogno e realtà.
Giochi d’amore a Monparnasse
Un romanzo inedito di Anais Nin, diventata famosa in Italia con i suoi racconti erotici, i più conturbanti forse mai scritti da una donna. Qui siamo nella Parigi degli anni Trenta, luogo e tempo tra i più narrati del mondo, in quella Montparnasse che era stata la culla di ogni avanguardia artistica e di ogni trasgressione. Jai (ispirato a Henry Miller) é un pittore; Lilian lo ama e lo segue perché vede in lui l’uomo che può liberarla dalla rete di convenzioni che la fa prigioniera. Poi l’incastro si fa più complicato e pesante, arrivano altre donne e i giochi d’amore, e tutto il resto, si confondono in una sofferta evoluzione.
Anais Nin, Scale di fuoco
Nella Montparnasse scoppiettante e folcloristrica degli anni Trenta un uomo e una donna – Jay e Lilian – s’incontrano e intrecciano una storia d’amore. Lui é un pittore, non grande, comunque versatile; lei vuole liberarsi dai pregiudizi di una educazione borghese. Entrano nella vicenda altre due donne e Lilian si confronta con loro scoprendo possibilità d’amore fino allora sconosciute. Un tourbillon di emozioni, seduzioni e incontri in questo romanzo finora inedito in Italia.