Juli Zeh
Aquile e angeli
Traduzione di Robin Benatti
Noir politico, storia d’amore, road-movie e trip tossico, questo romanzo è considerato uno dei più sorprendenti esordi degli ultimi anni in Germania. Tradotto in sedici lingue.
Max lavora a Vienna, nell’Olimpo del diritto internazionale. Mentre parla al telefono con Jessie, lei si spara alla testa. Disperato, Max abbandona il lavoro, si trasferisce a Lipsia e conta i giorni che gli rimangono sniffando cocaina. Grazie a Clara, una giornalista radiofonica senza scrupoli, il giurista fallito intraprende un viaggio nel passato. Da questo punto in poi il romanzo prosegue per frammenti e schegge di memoria. Poco alla volta, si comprende che la “ballata” di Max e Jessie fa parte del cinico e crudele scenario della guerra civile, è il tassello di una tragedia molto più grande dell’amore: infatti Jessie era coinvolta nel mercato internazionale della droga, con cui veniva finanziato il conflitto nei Balcani.
«Così tanta disillusione, dolore e volontà d’autodistruzione nella più giovane letteratura tedesca non si erano mai visti».
«Der Spiegel»
«Le immagini poetiche di Juli Zeh sono veloci come un film di Quentin Tarantino».
«Abendzeitung»
– 28/04/2005
Giurista in crisi “redento” dalla giornalista dura e pura
U
– 30/04/2005
Sfondo bosniaco per le metafore di Juli Zeh
Secondo una delle regole non scritte, ma non per questo meno rigide, che governano l’elaborazione dei testi in quarta di copertina (testi assai impegnativi, perché da essi in larga parte dipende se la mano del distratto lettore intenta a sfogliare il libro sul banco della libreria correrà poi, al portafoglio), è opportuno, nei casi in cui l’autore del volume sua poco conosciuto, esaltarne l’originalità, ma al tempo stesso accomunare il suo nome a quello di scrittori consolidati, possibilmente inserendo questo confronto all’interno di una citazione, in modo da sottolinearne l’autorevolezza. Accade così che – grazie ai buoni uffici di un anonimo redattore del quotidiano tedesco Neue Deutschland – Juli Zeh, autrice del romanzo Aquile e angeli, appena pubblicato da Fazi (traduzione di Robin Benfatti, pp. 392, euro 15), venga descritta come “la risposta europea a Thomas Wolfe, Bret Easton Elllis e Jonathan Franzen”.
Paragoni ingombranti che la giovane scrittrice – nei giorni scorsi a Roma per una presentazione del suo libro al Goiethe-Institut – ridimensiona saggiamente: riferimenti come questi, o come altri che sono fatti, ai romanzi di Michel Houellebecq o al cinema di Quentin Tarantino, “derivano dalla constatazione che gli scrittori, e in genere gli artisti contemporanei, utilizzano procedimenti analoghi, come le citazioni dai film e dalla musica, e che esiste una coscienza comune in cui tutti almeno in una certa misura si riconoscono. Insomma, è come se attingessimo a un unico contenitore, una sorta di ‘pentola comune’ di materiali e di idee che vengono poi rielaborati da ciascuno in modo diverso e autonomo a seconda della inclinazione e della sensibilità individuali”.
Un fenomeno, aggiunge Juli Zeh, che non deriva soltanto, come tendono a pensare in molti, dalla globalizzazione: “Gli scambi culturali fra autori della stessa generazione sono sempre esistiti, basti pensare a quello che è avvenuto con la diffusione del romanticismo in tutti i paesi europei all’inizio dell’Ottocento. La situazione, oggi, si è però accentuata: la rapidità nelle comunicazioni consente un contatto quasi immediato, che ah poi conseguenze sul ritmo narrativo e sulla scelta dei tempi, in particolare quel crollo dei sistemi politici o di fede che è avvenuto alla fine del ventesimo secolo e che, modificando profondamente i nostri sistemi di riferimento, fa da sfondo, in modo più o meno evidente, a moltissimi romanzi contemporanei”.
E Aquile e angeli, libro di grande successo in Germania e subito tradotto in moltissime lingue (nel mondo anglosassone, a pubblicarlo è stata la casa editrice Granta, nota per la sua attenzione ai giovani scrittori emergenti) non fa eccezione, anzi. Costruito con uno stile rapido e sincopato, scopertamente cinematografico, basato su diversi piani narrativi in cui il presente si intreccia a una serie di flashback e l’azione si sposta su e giù per l’Europa, il romanzo ruota intorno a un eroe “bruciato”, il giovane e brillante Max, cocainomane, ex ragazzino grasso e malinconico, ex esperto di diritto internazionale per le Nazioni unite, che ritrova immerso nella melma di una vicenda in cui si intrecciano il traffico internazionale di droga, la guerra nei Balcani (e in particolare la figura di Zelino Raznjatovic “Arkan”, famigerato capo paramilitare delle Tigri serbe) e l’amore di due strane dark ladies: Jessie, che fin dall’inizio appare destinata al ruolo di vittima sacrificale, e Clara, manipolatrice e manipolata al tempo stesso.
Commenta Juli Zeh: “Per il mio romanzo ho cercato un tema di portata europea o addirittura globale. Mi interessava parlare di un contesto politico che coinvolgesse tutto i l mondo occidentale e da questo punto di vista a me sembra che la guerra nell’ex Jugoslavia rappresenti un vero e proprio momento di svolta perché, dopo il crollo del Muro di Berlino e la fine della cosiddetta guerra fredda, siamo stati costretti per la prima volta a riflettere sulla possibilità di un nuovo ordine mondiale, e sulle responsabilità che i vari paesi hanno avuto nella preparazione e nello svolgimento del conflitto”.
Del resto, la scrittrice – che ha compiuto trent’anni nel 2004, e, come il protagonista del suo libro, è specializzata in diritto internazionale e ha lavorato per l’Onu è convinta che la situazione che si è determinata negli anni ’90 nei Balcani sia anche qualcosa di più, “una metafora per i cambiamenti ideologici, politici e morali della fine del secolo”. “Per Aquile e angeli” – spiega – ho fatto molte ricerche sulle guerre e, anche se nel libro non l’ ho scritto, sono arrivata alla conclusione che esista un parallelismo fra quello che è accaduto in questi anni e gli avvenimenti di un secolo fa, quando proprio i Balcani sono stati il luogo della crisi da cui è scaturita la guerra. Con una differenza, non trascurabile: a quel tempo prevaleva ancora l’idea che le situazioni conflittuali si potessero risolvere con la violenza, mentre oggi siamo consapevoli delle catastrofi immani che questa logica ha portato nel corso del ‘900″. Ancora giovanissima ai tempi della caduta del Muro, Juli Zeh, che è nata a Bonn, ha scelto da qualche anno di vivere a Lipsia, in quella che fino al 1989 era la Germania dell’est: – “era la metà di me che mi mancava, e anche se all’inizio mi sentivo una estranea, ho vissuto questa diversità non come un conflitto negativo, ma come un’occasione di creatività”. E a Lipsia sta lavorando adesso al suo secondo romanzo – un giallo grottesco, in cui ha un ruolo importante il conflitto fra fisica e filosofia, e in particolare il concetto di tempo –e, contemporaneamente, alla sua tesi di dottorato in diritto internazionale. Che, non a caso, ha come oggetto il nation building in paesi come la Bosnia, la Cambogia, il Kosovo o l’Iraq e che – preannuncia l’autrice – sarà “estremamente critica nei confronti della democrazia di esportazione”.
– 12/06/2005
Angeli e demoni intossicati
Juli Zeh, 30 anni, tedesca, con il romanzo Aquile e angeli vende due storie al prezzo di una. Max racconta la sua vita con Jessie, morta suicida, a Clara, conduttrice radiofonica, che ne registra i ricordi su nastro; e la scatola del racconto genera il racconto. Per la scrittrice, un doppio sforzo. Manca una effettiva fecondità di piani, in uno scenario omogeneamente intossicati dai personaggi. Fra cocainomani, il noir si agita in uno spazio dilatato, percepito nei dettagli, che la Zeh rilegge in accostamenti allucinati.
La droga cattura le sensazioni, unica azione, ossessiva, del romanzo: il prurito provocato da un indice sul segno lasciato dall’elastico di un calzino, o la brace di una sigaretta, unico punto naturale e organico in una stanza piena di computer. E i particolari diventano visioni: la scrittura su un foglio, “le linee si muovono verso l’alto, è un verme che avanza”; il padre di Jessie ha dita “grandi e carnose come polletti arrosto”. Il tempo è passivo, Max lascia il lavoro; e quello che generalmente resta ai margini, nella non esistenza in cui finisce l’universo a cui non si fa caso, conquista un primo piano. E’ qui la vera forza di Juli Zeh, che sa perseguitare gli angoli della materia e della percezione, aggrappandosi poi in modo meno brillante a una cornice socio-politica che resta abbozzata, un’ambizione, meno di uno sfondo.
“Non c’è nulla che abbia un effetto peggiore della disinvoltura malriuscita”, dichiara l’autrice. E questo è anche un suo problema: il dialogo è spregiudicato quando non vuole esserlo a tutti i costi; e nel corso di una lettura tutto sommato stimolante, molte intuizioni si bruciano in un andamento sentenzioso, su cui manca una messa a fuoco da lontano.
– 09/06/2005
Juli Zeh
un esordio eccezionale,
moltissime traduzioni all’estero
e un consenso critico ininterrotto
che ha persino avvicinato il nome
della giovane autrice tedesca
a Robert Musil e Thomas Mann
una scrittura tagliente e incisiva
come la lama di un coltello:
una fantasia mai fiacca
e la capacità di gestire
le fila di una vicenda intricata
tra diritto internazionale
e traffico di stupefacenti
Il giorno in cui il postino mi consegna la copia di “Aquile e angeli” di Juli Zeh (Fazi, pp. 384, 15 euro), inviatomi in lettura dalla casa editrice, la prima impressione che ne ricavo è quella di un romanzo particolarmente moderno.
Una modernità di strutture, ma pure una estrema originalità lessicale. Forme e architetture irrorate dall’ironia amara della giovane scrittrice, capace di tingersi di grottesco, e corrodere il filo sinuoso del racconto.
M’immergo nella lettura, in vista dell’incontro con l’autrice, in arrivo in capitale. E scopro un mondo che non soltanto non conoscevo, ma che neppure ipotizzavo potesse mai esistere.
Il mondo del diritto internazionale e delle sue imponenti ipocrisie, un labirinto in fondo al quale, accanto agli apparenti buoni propositi, convivono i meccanismi di una giustizia malata, legata al crimine, allo spaccio della droga, alla violazione sistematica dei diritti umani, allo sfruttamento dei paesi in via di sviluppo.
Ad accompagnarmi in questa abissale discesa agli inferi della contemporaneità, Max, il protagonista maschile del romanzo, la cui ragazza muore per un colpo di pistola che qualcuno ha sparato mentre è al telefono con lui. E al suo fianco, Clara, la spregiudicata giornalista radiofonica che lo aiuterà nel tentativo di ridare un profilo esatto ai drammatici eventi vissuti.
Le vicende parrebbero affondare nel mistero, se la giovane amica morta non avesse lasciato una testimonianza su dei nastri che adesso toccherà sbobinare e per mezzo dei quali si potrà risalire alla verità.
Inizia un itinerario stralunato e alquanto picaresco, all’interno di un’Europa che fatica a riconoscersi continente unitario – lacerata da crisi antichissime e dalle più recenti intestinali contraddizioni. Un percorso che è anche una maturazione personale, un modo per comprendere la realtà, e un viaggio alla ricerca di sé stessi. Un cammino sorretto da uno stile veloce, arguto, reso incalzante dal registro espressivo asciutto e immaginifico della scrittrice tedesca.
Giungo al Goethe Institut nel primo pomeriggio, dopo aver attraversato un bel pezzo di città a piedi, nel primo tepore primaverile.
Juli Zeh, giovanissima (appena trentuno anni) e molto semplice nei modi, siede al tavolo accanto all’ottima Monica Capuani, dialogando con un pubblico desideroso di conoscere i retroscena del romanzo.
La voce – estremamente pacata ma decisa e intelligente – s’insinua nei perché del racconto, lungo gli stadi temporali che ne hanno accompagnato la stesura.
Non le sembra ancora vero di aver raccolto tutto questo successo: sorride dei tanti paragoni eccellenti che i critici hanno fatto tra il suo nome fino a qualche anno fa ancora sconosciuto e quello dei maggiori scrittori del suo paese.
Quel che le interessa realmente è raccontare storie. Le piace seguire il tema di una narrazione, poter scendere nell’ade dei suoi personaggi, vivere attraverso la fantasia e l’incantesimo della parola.
Cosa rappresenta il tuo romanzo in questo preciso momento storico?
Il mio libro rappresenta in qualche misura la difficoltà dei rapporti tra gli uomini nel mondo contemporaneo. I personaggi del romanzo sono tutti legati dal lavoro, e devono comunque relazionarsi, creare dei possibili scambi, ma la verità è che sono sostanzialmente soli, legati dal principio alla fine alle loro ossessioni e ai loro malesseri. Si avverte perciò una sorta di incolmabile incomunicabilità, accresciuta dalla volontà di raccontare questa storia per schegge, sui tanti frammenti di registrazione che Max deve cercare di rimettere insieme.
Che pensi del fatto che la stampa internazionale abbia paragonato il tuo lavoro a quello dei maggiori narratori della tua terra?
Mi ha colpito e insieme mi ha fatto sorridere. Hanno fatto nomi che non avevo mai neppure letto, che messi insieme mi farebbero diventare schizofrenica. Nomi diversi, con stili completamente contrastanti, che poco hanno a che fare con me e con la mia voglia di raccontare storie. Comunque, tutto questo fa piacere, indica che la mia scrittura ha colpito la loro attenzione, e devo essere sincera: è sempre stupendo sentire che i lettori sono dalla tua parte, siano essi persone comuni, siano grandi critici e intellettuali.
Il tuo è anche un libro sulla giustizia, o piuttosto sull’assenza di giustizia. Qual è il tuo pensiero in proposito?
Io parto da esperienze dirette. Pure io come Max ho compiuto la mia carriera nell’ambito della giurisprudenza. Ma poi ho vissuto delle delusioni grandissime: partivo da ideali come lotta alla fame del mondo, diritti dei più sfortunati, ma ben presto dovevo entrare in contatto con una realtà che era fatta semplicemente di arrivismi, di motivi di carriera, di intrighi a volte al limite del lecito. Tutto questo mi ha fatto riflettere molto, spingendomi verso un’altra direzione. Non quella della pratica forense, ma quella dello studio teorico, della scrittura di testi giuridici nei quali posso ancora ritrovare intatti i miei ideali e la mia voglia di cambiare il mondo.
Il rapporto con la droga… quanto è letterario e quanto invece è realistico e documentato?
Credo si tratti di un fenomeno vero, reale, problematico, che ho avuto modo di sperimentare con mano. Ci sono carrieristi che per sorreggere lo stress di 24 ore al giorno di lavoro sono costretti a far uso di cocaina. Ma si tratta soprattutto di uno stile di vita. Nel romanzo la droga aiuta Max ad annientarsi in modo chimico e a vincere il suo dolore. D’altro canto, se analizziamo la situazione dei Balcani, non possiamo non porci seriamente il problema del traffico degli stupefacenti.
Le città principali del tuo romanzo sono fondamentalmente Lipsia e Vienna. Come percepisci queste due differenti dimensioni della storia?
Io cerco sempre di collocare l’azione dei miei romanzi all’interno di città nelle quali ho vissuto e che conosco bene. Sono particolarmente pigra e mi annoio a fare ricerche. Una città è come un essere umano: sviluppa atmosfere, simpatie e antipatie. Il presente del libro è ambientato tutto a Lipsia mentre il passato ci riporta a Vienna. Le due città costituiscono anche le due incarnazioni di un modo diverso di pensare: la prima è lo slancio verso la trasformazione e il futuro. La seconda è invece un punto di legame col mondo dal quale veniamo e le sue tradizioni.
Tu hai vissuto un vero e proprio colpo di fulmine nei confronti della Bosnia. Che mi dici di questo sentimento d’amore?
La Bosnia è veramente un luogo speciale. Ci andai inizialmente per motivi di lavoro e spinta dal mio studio. Desideravo vederla, capirne la vita, i costumi. Ci sono arrivata da sola, in compagnia del mio cane. Nessuno voleva seguirmi in un viaggio che consideravano folle e particolarmente pericoloso. Arrivare in Bosnia è come arrivare in un paese dell’avventura, isolato dal resto del mondo, con ritmi e suggestioni indimenticabili. Ma fin dal mio arrivo è stato amore: ho conosciuto delle persone davvero indimenticabili: mi hanno ospitato, riverito, continuano ad essere i miei più cari amici. Lì ho capito il pericolo che viviamo: la capacità che hanno i media di mettere al bando un intero paese e il suo popolo. E’ qualcosa di tremendo, su cui dovremmo riflettere maggiormente.
Della tua stagione americana, invece, cosa ricordi?
Sono arrivata a New York per il mio praticantato, con la testa piena di immagini pericolose. Sognavo una vita metropolitana ai limiti della sopravvivenza e uno stile esistenziale selvaggio. Invece mi sono annoiata a morte. Le mie esperienze americane sono state profondamente deludenti. Non è la mia cultura, non è la cultura nella quale sono nata e di cui mi sento figlia. E’ un mondo che imita le architetture e gli stili europei, senza riuscire ad essere mai originale. Ricordo che dentro un bar francese mi sono detta, con rammarico: ma perché invece di stare qui non sono davvero a Parigi?
Il tuo romanzo è costantemente attraversato dalla musica… Citazioni di band, di gruppi rock, di star della canzone… Scrivere è anche, in qualche modo, abbandonarsi alla propria musica interiore?
La musica è fondamentale tanto nella scrittura quanto nella mia vita. Una buona parte della giornata la trascorro ascoltando musica. Quando scrivo voglio che la mia frase sia musicale, e la riformulo anche decine di volte finché non sento un principio di andamento ritmico. Finché non sento la sua armonia, che so già diventerà anche l’armonia del mio lettore.
Prima di salutarci, qualcosa sul tuo prossimo libro?
Il mio prossimo libro si occuperà di un argomento simile a quello di “Aquile e angeli”, pure se lo stile di scrittura sarà completamente diverso. Il mio secondo romanzo si svolge in un microcosmo e segue uno schema aristotelico diacronico: è un lungo racconto che parte da un principio e raggiunge, cronologicamente, la sua fine. Mi sono chiesta: può esistere un metro di giudizio morale per tutti? E il diritto ha il potere e la capacità di trasmetterlo e renderlo comune? Ci troviamo tra la fine di un’epoca conflittuale e l’embrione di una nuova stagione ancora sconosciuta. I personaggi del romanzo avranno la sensazione di esser caduti dentro un buco. Mi chiedo come potrebbero comportarsi davanti a una situazione-limite. Cosa potrebbe muovere la loro azione. Fondamentalmente, la prossima storia si occuperà di farci entrare nel loro mondo misterioso.
– 19/04/2005
“Aquile e angeli”, la pista noir del crimine globale
Fino a un attimo prima della disgrazia la vita di Max – un giovane giurista alle dipendenze di un affermato studio di diritto internazionale – sembra destinata a una carriera fulminante. A cambiargli l’ esistenza è l’evento luttuoso, devastante con cui s’apre Aquile e angeli, il romanzo d’esordio della scrittrice tedesca Juli Zeh – formazione giuridica alle spalle – appena pubblicato i Italia (Fazi Editore, pp. 384, euro 15,00).
Proprio mentre Max, protagonista di una frammentaria vicenda noir, è al telefono con Jessie, lei si spara alla testa. Lui, disperato, sprofonda nella cocaina, in preda a una pulsione autodistruttiva, rinchiuso nella prigionia di un corpo dolorante. Si trasferisce a Lipsia e abbandona il lavoro, se non che s’imbatte in una giornalista radiofonica senza scrupoli, ambiziosa, disposta a tutto pur di trovare materiale per la sua ricerca sulla patologia del crimine organizzato. Con lei, a partire da questo momento, Max inizia un viaggio frammentario nel passato. Un tassello alla volta, emerge uno sfondo inquietante dietro la morte di Jessie, una rete internazionale di traffici di droga con i quali veniva finanziato il conflitto nei Balcani.
Max si muove in un mondo malato. Intorno a lui tutto è merce e la democrazia una copertura per i traffici del crimine organizzato. C’è una via d’uscita per questi personaggi che sembrano votati all’autodistruzione?
il protagonista ha sicuramente una visione nera, negativa del mondo. Ma il romanzo è in parte realistico e in parte grottesco. I personaggi si muovono in una situazione particolare, di vuoto, in u momento di rivolgimento del nostro sistema sociale, culturale, economico e politico, e di transizione un esito incerto. E’ una situazione in cui crollano tutte le regole. Nella scena finale, sotto una pioggia fitta, Max vive una sorta di catarsi rispetto a questa situazione negativa. Ma non si tratta di un romanzo apocalittico, escatologico, non c’è alcun tempo della fine. Soltanto un tempo della trasformazione e del cambiamento.
L’instabilità della nostra epoca si riflette ne grandi eventi – crisi economiche, guerre – ma anche nelle vite individuali. Esiste un diritto che posa salvarci o l’idea di regolare questo mondo precario con artefici è pura illusione?
Di fatto questa era l’intenzione del romanzo. I personaggi si trovano, dal punto di vista morale, in un vuoto di valori. Molte persone oggi credono che il diritto internazionale e i diritti umani siano la strada per realizzare la pace nel mondo. Sperano in un nuovo ordine del sistema globale. Ma il diritto internazionale acquista tratti ideologici, i diritti sono considerati acriticamente, come una sorta di nuova Bibbia. In Aquile e angeli cerco di mostrare un volto più realistico della nozione di diritto. Si tratta anche di un problema politico perché qui s’infrangono la buona volontà e le speranze che ognuno coltiva nella propria sfera privata. La questione morale s’imbatte in questo disincanto.
il vero attore globale è il crimine organizzato. Di fronte a questa verità e i discorsi sull’argomento dell’Unione Europea e della democrazia a Est non finiscono per essere ideologici?
L’idea di poter agire per il bene assoluto è un’idea assurda. Ognuno sa come la politica di allargamento dell’Ue a Est persegua interessi diversi, alcuni buoni, altri cattivi. Il problema è che se ne parla acriticamente. Le discussioni sullo spazio europeo o sull’esportazione della democrazia – ne abbiamo visto un esempio in Afghanistan e in Iraq – tradiscono un chiaro impianto ideologico. Politica e crimine vanno spesso a braccetto, non è una scoperta.
Perché un romanzo noir e non un saggio sul diritto i internazionale?
In realtà ho scritto molti saggi su questi temi. Non considero il romanzo un semplice strumento per esporre il proprio punto di vista politico. Può esserci un contenuto politico ma non più di quanto non vi sia uno stile, una ricerca psicologica, storica, fantastica. La politica è solo uno degli aspetti.
In “Aquile e angeli” la scrittura aderisce alle percezioni corporee del protagonista. Si può scrivere con il corpo? C’è stata una ricerca linguistica?
I processi di scrittura sono organici, intuitivi. Quando scrivo mi concentro sulle percezioni fisiche. Non c’ è alcuna decisione che preceda il romanzo. Non c’è stata una ricerca particolare, né una decisione consapevole, ho solo lasciato correre la fantasia. Si è trattato di un procedimento intuitivo. So, tuttavia, che in molta letteratura postmoderna la nozione di corpo è centrale, quasi un campo di guerra per esprimere conflitti, sensazioni, stati simbolici e linguistici. Ma non era questo il mio intento.
– 05/04/2005
Dura vita tra aquile e angeli
E’ difficile, servendosi di frammenti, di brevi fotogrammi, di infinitesimali immagini, ricostruire la storia di un amore che è sempre andato avanti sull’equilibrio precario tra due persone e due personalità diversissime, quasi in antitesi. Ed è ancora più difficile farlo se le due parti di questo sentimento non combaciano, anzi non hanno punti di contatto reali perché il meccanismo del loro essere coppia non corre sul binario della coerenza, condizionato come appare da mille contraddizioni. Jessie e Max sono i protagonisti di “Aquile e angeli”, primo romanzo di Juli Zeh, giovane scrittrice tedesca, che ha registrato un grosso interesse in patria e che è stato tradotto in molte lingue. Un amore vissuto in modo totale in cui la morte, spettacolarizzata, di Jessie non è la fine, ma un capitolo. Jessie si uccide, sparandosi alla testa, mentre è al telefono con Max. Per lui comincia una rapida parabola discendente, che lo porta dapprima ad abbandonare il suo lavoro (lavora a Vienna nel campo del diritto internazionale ed ha davanti a s0 una grande carriera) e poi a farsi travolgere dal vortice della disperazione, in cui cade lasciandosi prendere nella mortale spirale della droga. Un romanzo non facile, per la durezza con cui viene definito il profilo di Max, che sa amare come tutti gli uomini, ma che non riesce a soffrire come gli altri.
– 18/04/2005
Libri/ Arriva in Italia Juli Zeh, la Tarantino dei best-seller
Ha 31 anni, Juli Zeh, ma è già un caso editoriale.Nata a Bonn nel 1974, residente a Lipsia, ha appena pubblicato in Italia il suo primo romanzo Aquile e angeli (Fazi Editore, 384 pp., 15 euro), e ha da poco terminato il secondo libro, Spieltrieb, appena uscito e già in testa alle classifiche tedesche.
Ma non è tutto: la giovane tedesca ha scritto anche un resoconto di viaggio in Bosnia (Die Stille ist ein Geräusch) e curato Un’antologia di racconti di giovani autori bosniaci (Ein Hund läuft durch die Republik). Ciliegina sulla torta, ha ricevuto nel 2002 il prestigioso Deutscher Bücherpreis per il debutto di maggior successo.
Basta dare un occhio ai commenti apparsi sulle più note tesate tedesche, per avere un’idea della portata del fenomeno Zeh. Il Der Spiegel si spinge a scrivere: “Così tanta disillusione, dolore e volontà d’autodistruzione nella più giovane letteratura tedesca non si erano mai visti”.
L’Abendzeitung suggerisce un confronto con il grande registra Tarantino: “Le immagini poetiche di Juli Zeh sono veloci come un film di Quentin Tarantino”. E il Neues Deutschland la definisce addirittura la risposta europea a Thomas Wolfe.
E veniamo ad Aquile e angeli.
Noir politico, storia d’amore, road movie e trip tossico, questo romanzo, considerato appunto uno dei più sorprendenti esordi degli ultimi anni in Germania, è stato tradotto in ben sedici lingue.
Protagonisti di Aquile e angeli sono Jessie e Max. Il libro racconta di un amore totalizzante, in cui la morte di Jessie non è la fine, bensì solo un capitolo. Jessie si uccide, sparandosi alla testa, mentre è al telefono con Max. Per lui comincia una rapida parabola discendente: prima abbandona il lavoro, nonostante gli si prospetti una grande carriera (lavora a Vienna nel campo del diritto internazionale), poi si fa travolgere dal vortice della disperazione, lasciandosi prendere nella spirale della droga. E, attenzione, si rifugia nella cocaina non tanto per cercare piacere, quanto per annientarsi del tutto. Ma per dimenticare veramente non gli basta lasciare la sua attività, cambiare città, aspettare – nell’ oblio della polvere bianca- che arrivi anche per lui la morte.
La svolta arriva quando la sua disperazione si confronta con l’ ambizione di una giornalista, Clara, che con le sue continue provocazioni lo costringe a un lungo viaggio nel passato, ad una profonda introspezione fino a scoprire le radici del suo dolore in un segreto che coinvolgeva Jessie e che gliela fa scoprire sotto un’altra luce. L’ex fidanzata era coinvolta nel mercato internazionale della droga, con cui veniva finanziato il conflitto nei Balcani.
Chi è Juli Zeh?
Una trentenne, laureata in legge, con un dottorato in diritto internazionale el apassione per la letteratura.
Come vivi?
Faccio la scrittrice a tempo pieno. Scrivere un romanzo è un impegno pesante: sono rimasta in ballo 3 anni con Aquile e angeli.
Al momento di cosa ti occupi?
Sto scrivendo un romanzo poliziesco
C’è qualche motivo per cui Aquile e angeli si svolge tra Lipsia e Vienna?
A Lipsia vivo da oltre 10 anni, mentre a Vienna sono stata di frequente quando ero fidanzata con un ragazzo viennese.
Il romanzo ha una trama molto articolata. Credi possa essere trasportato in una pellicola cinematografica?
Assolutamente sì. In effetti ho venduto i diritti, ma non posso dire a chi. Per il monumento non c’è niente di certo.
Cosa ti piace leggere?
Un po’ di tutto, ma soprattutto letteratura europea. Non ho un genere preferito.
Come ti senti a essere definita la risposta europea a Thomas Wolfe?
Non mi riconosco nel paragone. Gli scrittori americani sono diversi da noi europei. Troppo per azzardare comparazioni.
Nicole Cavazzuti
– 01/04/2005
Aquile e angeli
Se n’è accorto, l’ha capito, ma non avrebbe comunque potuto fermare la mano che premeva il grilletto. E così Jessie non c’è più e lui, Max, è rimasto come un fesso al telefono, appeso a una voce scomparsa, la voce della ragazza che amava. Con queste premesse, è superfluo aggiungere che il romanzo dell’esordiente trentenne Juli Zeh ha i toni del dramma. Non è tutto però. Qualcosa di misterioso affiora dietro il suicidio di Jessie. E anche se a Max non interessa il tassello mancante, ma solo distruggere di cocaina e silenzio se stesso e la sua vita da giurista di successo, un’altra donna lo costringerà a farlo. E allora il dramma diventerà un thriller – con tanto di sfondo storico sui recenti drammi bosniaci – oltre che un incubo cupo.
– 19/03/2005
Il mistero degli amanti alla deriva
E’ un esordio complesso, Aquile e angeli. Fa lo slalom tra il thriller legal-politico senza finale consolatorio, la narrazione di ispirazione tossica priva però di un giudizio morale, la storia d’amore sado-masochista. L’autrice trentenne Juli Zeh, attualmente in testa alle classifiche tedesche con il nuovo romanzo Spieltreib, con il primo libro si è aggiudicata prestigiosi premi, è stat tradotta in 19 Paesi, ha già venduto i diritti cinematografici e scomodato i paragoni più vari: da Garcia Marquez a Houellebecq, da Easton Ellis a Carter, da Böll a Grass, da Zadie Smith a Quentin Tarantino.
Aquile e angeli è la storia, narrata per dolenti schegge di memoria, di Max, 33 anni, ex sfigato a scuola che si è preso la sua rivincita diventando un brillante esperto di diritto internazionale. La vittoria più grande è la storia con Jessie, che però si spara un colpo in testa mentre è al telefono con lui. Distrutto dalla disperazione, Max si chiude a casa, e solo Clara, cronista di una trasmissione notturna, riuscirà a stanarlo e a ricondurlo indietro nel passato per ricostruire un mistero che passa attraverso le maglie del traffico internazionale di armi e di droga, legato alle sorti della guerra nella ex jugoslavia. In uno stile crudo, acido, tagliente.
Come è nato Aquile e angeli?
In qualche modo ho cominciato a scrivere “romanzi” quand’ero in seconda elementare a Bonn. Anche oggi scrivo sull’onda di una vivida immaginazione infantile. Aquile e angeli La storia sarebbe diversa se Max non facesse uso di cocaina?
Non riesco a vederlo come uno giudizioso che va in palestra. Ha una forte inclinazione autodistruttiva.
Perché Clara e max sviluppano una relazione così violenta?
La morte di Jessie lascia Max in uno stato che definirei post-moderno: inerme, incapace di credere in alcunché, in uno stato di autoanalisi esasperata fino allo spasimo, disorientato, privo di obiettivi, senza fede. Gli manca tutto ciò che serve per intraprendere una relazione normale. Può solo sviluppare una dipendenza. Clara è nella stessa situazione, per quanto diverso sia il suo punto di partenza: è una giovane e potente donna in carriera. Ma dentro di sé ha lo stesso buco nero.
Tra gli uomini ai quali la critica l’ha paragonata, chi sente vicino?
Nessuno. Le mie fonti d’ispirazione sono altre: Vladimir Nabokov mi ha insegnato le varie possibilità della prospettiva letteraria; Arno Schmidt mi ha insegnato a distruggere la lingua per costruire un tono letterario; Robert Musil mi ha indicato la via per inventare un modo “reale” (società, politica, quello che i tedeschi chiamano Zeitgeist) tra le pagine di un unico libro.