Jarett Kobek
Io odio Internet
Un romanzo utile
Traduzione di Enrica Budetta
«Internet era un’invenzione meravigliosa. Era una rete informatica che gli esseri umani usavano per ricordare ai loro simili che erano degli schifosi pezzi di merda».
Adeline è una quarantacinquenne semifamosa per aver pubblicato un fumetto di successo negli anni Novanta. Vive a San Francisco. Invitata a parlare in un’università, finisce sotto attacco sui social network per aver «commesso l’unico peccato imperdonabile del ventunesimo secolo», ossia non rendersi conto che qualcuno la riprendeva mentre esprimeva quello che pensava. Bisogna tenere conto che Adeline 1) è una donna in una cultura che odia le donne, 2) è semifamosa e 3) ha espresso un’opinione poco popolare. E vive nell’era Internet. Adeline diventa così un trend su Twitter, e quindi se ne occupa la stampa, incapace di svolgere un lavoro più serio. Adeline diventa il bersaglio degli hater. E dagli insulti sessisti e razzisti, gli unici a guadagnarci sono Google, Facebook e Twitter, che vivono della pubblicità e dei contenuti creati dagli utenti, delle loro opinioni inutili, spesso ipocrite e compiaciute, sfruttate appieno per le inserzioni pubblicitarie che fruttano patrimoni enormi a degli «antisociali privi di eumelanina nello strato basale dell’epidermide» (ossia bianchi) come Mark Zuckerberg, Steve Jobs e pochi altri, signori feudali per i quali «le parole sono il grasso che olia gli ingranaggi del capitalismo»…
Io odio Internet è un romanzo esilarante concepito da una mente geniale, un bestseller controcorrente che fa a pezzi tutti i grandi paradossi dell’era Internet.
«Un’invettiva politica e culturale, un grido prolungato sul potere e sulla moralità nell’era globale. Uno sguardo dentro una mente vivace, in ebollizione. Questo libro ha un’anima, ma ha anche le palle… Il mio consiglio? Sconnettetevi da Twitter per un giorno. E leggete questo».
«The New York Times»
«Un’anatomia eccitante, spassosa e crudele della cultura tecnologica e, in generale, del mondo moderno. Ricorda molto Kurt Vonnegut».
«The Guardian»
«Questo libro succinto, sorprendente, infinitamente consapevole è l’Infinite Jest dell’era di Twitter. Oh, ma è anche il Kurt Vonnegut, lo Swift e il Voltaire dell’era di Twitter. Uno spasso».
«The Times»
«Potrebbe esistere un Houellebecq americano? Jarett Kobek ci si avvicina, nel fervore dei suoi attacchi alle vacche sacre di questa nostra era segretamente vittoriana. Un libro che ho divorato».
Jonathan Lethem