Alfred de Musset

La confessione di un figlio del secolo

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Collana:
Numero collana:
78
Pagine:
324
Codice ISBN:
9788881123865
Prezzo cartaceo:
€ 17,00
Codice ISBN ePub:
9788864119670
Prezzo eBook:
€ 4.99
Data pubblicazione:
07-03-2003

A cura di Franco D’Intino
Traduzione di Alessandra Terni

Le esaltazioni e le delusioni, gli slanci e le malinconie: quello che si cela dietro le vicende narrate da Alfred de Musset è lo stato d’animo, anzi la malattia di un intero secolo, come l’autore stesso avverte nelle prime pagine del romanzo. È nella speranza di recare cura e conforto ai molti altri affetti dalla stessa malattia – l’assenza di ogni valore morale, l’incapacità di evitare che la libertà si deteriori e si trasformi in libertinaggio – che il giovane protagonista narra la storia degli ultimi tre anni della sua vita, durante i quali ha di volta in volta affidato la propria felicità a donne che lo hanno indifferentemente amato e ingannato, all’alcol e a ogni genere di dissipazione, e al desiderio di redenzione accompagnato dall’amara constatazione che i suoi mali sono gli stessi di tutta un’epoca. In questo che è unanimemente considerato il suo capolavoro, Alfred de Musset mostra tutta la sua capacità di abbinare l’eleganza classica del suo stile alla forza sentimentale del romanticismo di cui a ragione è considerato uno degli esponenti più significativi. E le confessioni che sotto le spoglie del protagonista rende a noi lettori, potrebbero benissimo essere quelle del giovane “figlio” di ogni secolo, compreso il nostro. “Ci sono certi amori nella vita che sconvolgono la testa, i sensi, lo spirito e il cuore; ce n’è tra tutti uno solo che non turba, che penetra, e quello non muore che con l’essere nel quale ha messo le radici”.

LA CONFESSIONE DEL FIGLIO DI UN SECOLO – RECENSIONI

 

Giuseppe Scaraffia, IL SOLE 24 ORE
– 16/03/2003

 

Passione all’ultimo respiro

 

 

Nella celebre “Confessione” dello scrittore romantico il riflesso della burrascosa relazione con George Sand. Lui era un dandy fragile e femmineo, lei matronale e autoritaria. Tra i due fu un continuo prendersi e lasciarsi.

Un giovanotto nato un secolo dopo e una ragazza nata un secolo prima: Alfred de Musset e George Sand. Lui era un libertino del Settecento sperduto nella Francia di Luigi Filippo. Quello che cent’anni prima sarebbe stato naturale – ubriacarsi, fare orge e frequentare cattive compagnie – veniva ormai bollato come dissipatezza. Quello che ai tempi delle parrucche incipriate sarebbe stato solo un ornamento al suo blasone – le poesie, le commedie e i romanzi – era diventato la cosa più importante.
George Sand invece era in anticipo sul timorato Ottocento. Per questo faceva scalpore la sua abitudine di vestirsi da uomo, di guadagnarsi da vivere, di avere un amore dopo l’altro. Precorrendo i tempi, George, come si faceva chiamare per ribadire la sua mascolinità di donna emancipata, aveva lasciato il marito e fumava grossi sigari.
I due erano diversi anche nel fisico. Alfred era un dandy fragile e bellissimo. Neanche la barba bionda riusciva ad attenuare la grazia femminile dei suoi tratti. George era bruna, matronale, vagamente esotica. Non c’era dubbio, nel loro rapporto, l’uomo era lei e la donna Alfred, isterico, piagnucoloso e geloso. Lei lo chiamava “mio caro bambino”, lui “donna onnisciente”. Disspato e insicuro, Musset era stato attratto dalla bruna bellezza della Sand, “un’andalusa dal seno abbronzato”. Lei si era arresa “più per compassione che per amore” poi si era innamorata a sua volta.
Erano partiti per l’Italia nel 1833, incrociando Stendhal, che li aveva irritati. Era stato lui il primo a intuire la fragilità del loro rapporto. Per questo aveva corteggiato sfacciatamente la Sand.
Benché incrociasse sovente Musset, l’autore della Certosa di Parma, celebre per la minuzua dei suoi ricordi, non nomina mai quello che allora era uno scrittore di successo. Il silenzio dello spregiudicato Stendhal era significativo: per lui Musset era solo un mediocre, un’ombra destinata a svanire rapidamente. E così sarebbe stato se Alfred non si fosse scontrato con George, e se entrambi non fossero capitati nel secolo sbagliato. Il risultato, le Confessioni di Musset, è un piccolo classico della passione, della gelosia e del tradimento. Un addio alla giovinezza e alle sue illusioni lanciato da un eterno adolescente.
A Genova la Sand si prese la febbre e Musset, stanco della sua supremazia nel rapporto, la ingannò con una ballerina. Alfred era irritato dalla mancanza di gelosia di George. Come dallo stoicismo con cui, a Venezia, aveva sopportato una devastante diarrea, riuscendo a lavorare negli intervalli della malattia. Mentre lei scriveva, Alfred visitava le bische e i bordelli. Quando tornava, la punzecchiava sulla sua virtù, finché la porta tra le loro due stanze all’Hotel danieli si chiuse. Non si amavano più. Era stato lui a dirlo, ma lei l’aveva subito seguito, con la sua inalterabile calma. Quando Alfred si ammalò – una febbre tifoidale complicata dall’alcolismo – entrò in scena il terzo personaggio, una comparsa, il dottor Pagello. Era un uomo tradizionale che non capiva bene il rapporto tra i due strambi francesi: per 17 giorni e 17 notti George assisté il malato, che una volta nel delirio tentò perfino di strangolarla. Quando i soldi erano finiti, Pagello l’aveva curato gratis. Era solido, generoso e silenzioso. Il contrario di Alfred. George continuava ad amarlo, ma, dopo tante umiliazioni, aveva bisogno di un risarcimento. Sedusse il povero medico. Lo ubriacò di frasi stile: “Nascondimi la tua anima perché io possa sempre crederla bella”.
A quel punto Musset, malgrado la febbre e la debolezza, cominciò ad avere dei sospetti. Sorvegliava i due sotto le ciglia socchiuse, ascoltava i sussurri, spiava i gesti. La pietra dello scandalo fu la cosa più innocente. Una mattina Alfred aveva visto una sola tazza sul tavolo. “Hai preso il tè ieri notte?”. “Sì, l’ho preso col dottore”. “Allora perché c’è una tazza sola?”. “Probabilmente avranno portato via l’altra”. “Non l’hanno portata via. Avete bevuto nella stessa tazza!”.
Se Freud si fosse incuriosito di quell’eccentrico triangolo, avrebbe subito intuito che il lacerante dolore di Musset era dilatato da un fatto. Nella sua condizione di degente, che assisteva impotente all’idillio degli altri due, lo scrittore riviveva la gelosia primordiale, edipica del bambino che assiste dalla culla alle effusioni dei genitori.
Guarito, Alfred andò a Parigi, dove ritrovò l’amante in compagnia di Pagello. Malgrado la confessione della Sand, i due tornarono insieme, finché la donna non l’abbandonò bruscamente. Due mesi dopo si tagliò i bei capelli e li mandò ad Alfred. In realtà, come avrebbe più tardi confessato a Mérimée, il problema e insieme la spiegazione di tante incoerenze della Sand era un altro. Era preoccupata della sua frigidità e si chiedeva: “come uscire da questo marmo?”.

La Sand, ferita dal libro dell’ex amante, diede la sua versione in Lei e lui solo dopo la morte di Alfred, descritto in tutta la sua fragilità. Il fratello di Alfred, Pâul de Musset, indignato dalla versione di George aveva scritto una terza versione dell’incontro in Lui e lei. Pêr farlo, aveva sposato acriticamente i ricordi e le fantasie del fratello. La scena culminante era quella in cui Alfred pazzo di gelosia chiedeva a George: “Perché non vuoi ammettere di essere una sgualdrina?”. “Sì, sì!”. “Sei una miserabile sgualdrina”. La terza versione, Lui, la diede una tardiva amante di Musset e di Flaubert, Louise Colet, ma le ceneri ormai erano spente.

La confessione di un figlio del secolo - RASSEGNA STAMPA

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