La scrittrice ritrovata: Elizabeth Jane Howard

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Siamo orgogliosi di presentare al pubblico italiano, con la pubblicazione di Il lungo sguardo, la grande scrittrice inglese Elizabeth Jane Howard. Di lei Martin Amis ha detto: «è la scrittrice donna più interessante della sua generazione». In occasione dell’uscita di uno dei suoi capolavori, pubblichiamo l’articolo di Giuliana Manganelli apparso il 26 giugno 2014 sul «Secolo XIX».

 

Tre matrimoni, un funerale, quello dell’ex marito e celeberrimo scrittore Kingsley Amis, in mezzo una moltitudine di amanti, tutti artisti e intellettuali più o meno famosi, uno sventato quarto matrimonio in tarda età con un mascalzone che mirava solo al suo patrimonio e alla splendida casa del ‘700 nel Suffolk con isoletta dei cigni annessa dove si era ritirata in solitudine vent’anni fa. Elizabeth Jane Howard nei suoi 90 anni di vita ha messo insieme tante e tante vite da riempire decine di libri. E in parte l’ha fatto davvero pubblicando 15 romanzi, sceneggiature per il cinema e la televisione, perfino un libro di cucina, e incamerando riconoscimenti progressivi e il vero, pieno successo in tutto il mondo con oltre sette milioni di copie vendute, appena doppiata la sessantina. Ma la pazienza è anche una virtù da conquistare duramente se si ha una biografia che definire movimentata sarebbe riduttivo. Ora che le acque tempestose della sua esistenza si sono placate – la Howard è morta il 2 gennaio di quest’anno – e ora che perfino il figliastro Martin Amis, umorale e ironico romanziere, ha reso omaggio a colei che da ragazzino considerava la perfida matrigna delle favole, è tempo di dare distanza, allontanare un poco la macchina da presa e allargare lo sguardo su una delle scrittrici britanniche più interessanti e originali del XX secolo, creatrice di uno stile diretto, onesto, preciso come una miniatura ma sostenuto da una passione e una tensione emotiva palpabili in ogni pagina. E forse smettere di considerarla una scrittrice per donne e valutare la sua caratura nella grande letteratura tout court.
L’occasione per conoscere più da vicino Jane Howard, come preferiva essere chiamata, è l’uscita in Italia del suo secondo romanzo, scritto nel 1956 e da alcuni ritenuto il suo capolavoro, intitolato Il lungo sguardo che Fazi manda in libreria nella traduzione di Manuela Francescon, preannunciando anche la pubblicazione della saga familiare The Cazalet Chronicles a partire dalla fine del 2014, cinque romanzi che l’hanno resa popolarissima e che la Bbc ha messo in onda a puntate. Tema del Lungo sguardo è il matrimonio, un nodo gordiano che la Howard considera cruciale per la forza e la violenza che questa legame comporta e che lei ha sperimentato sulla sua pelle. Colpisce lo stile narrativo e la tecnica del flash back per raccontare la storia di una famiglia inglese molto upper class, i cui membri sono belli, colti, intelligenti, campioni di buone maniere a tavola e nei salotti dove si susseguono eleganti dinner party e feste di fidanzamento, tra week end nella campagna inglese, gite all’estero e fughe nei club esclusivi, circondati da amici di pari grado. La Howard getta uno sguardo competente, e autobiografico, nel cuore segreto di una classe privilegiata, di cui fu volente o nolente protagonista, in cui si combatte la noia con infinita grazia e perfidia tra sesso, tradimenti subiti e inflitti, strenua difesa delle apparenze, rapporti angoscianti con madri dominatrici che riversano sui figli disillusioni e rimpianti, creando figlie, pure bellissime, che si credono brutte, inadeguate e fallite.
“Io conosco le persone. Le persone sono il mio pane quotidiano”, dice June al fidanzato Julian Fleming, rampollo la cui famiglia è al centro del romanzo che inizia nel 1950 e si srotola a ritroso fino al 1926, quando i genitori Antonia e Conrad si incontrano e inizia la loro storia familiare. Una frase, quella di June, che rispecchia la straordinaria capacità di Howard di mettersi in ascolto della gente, l’innegabile disposizione femminile a rendere la sua scrittura vivida e sensuale, soprattutto quando analizza amore e desiderio, ma anche semplicemente quando parla di paesaggi, atmosfere, cibo, bevande, fiori.
Howard, tra le donne più belle della Swinging London, alta, bionda, zigomi in paradiso, riusciva a sentirsi perfino bruttina grazie alle premure della madre che dopo il matrimonio e la maternità dovette rinunciare a fare la ballerina nei Balletti Russi. L’unico consiglio che diede a Jane fu “Non rifiutarti mai a tuo marito e non frignare ai dolori del parto. La gente come noi non lo fa”. Il padre, un eroe della prima guerra mondiale, era un donnaiolo seriale e non mancò di molestare sessualmente la figlia. Appena diciannovenne Jane sposò il primo signore gentile con lei, Peter Scott, di 16 anni più vecchio, figlio dell’esploratore polare Robert Falcon Scott, morto in Antartide nel 1912. Nacque una figlia, Nicola, ma Jane che aveva incominciato a fare teatro – fu Caterina in una  Bisbetica domata in cui Paul Scofield era Petruccio – e posava come modella, si sentiva prigioniera e oppressa da una suocera-padrona e da un marito che le diceva come vestire, come truccarsi, cosa dire in società. Lasciò lui e la figlia e, senza una lira, riprese a scrivere romanzi. Ci fu un secondo breve matrimonio, molti amanti, alcuni mariti di care amiche, il poeta Cecil Day-Lewis, Cyril Connolly, Arthur Koestlerche la costrinse ad abortire, il critico teatrale Kenneth Tynian. Finché fu amore a prima vista dopo una lunghissima chiacchierata notturna e alcolica con la star Kingsley Amis a un festival letterario in cui lei era l’organizzatrice e lui uno degli ospiti. Per lei lui lasciò la moglie e i tre figli e i primi tempi del loro matrimonio celebrato nel l965 furono di passione, allegria e condivisione. Scrivevano entrambi con entusiasmo ma Amis incominciò a bere come una spugna, le responsabilità della conduzione di una casa di trenta stanze piena di ospiti pesava solo su di lei. “Io guadagno più di te” le diceva, “tu, come tutte le donne sei buona solo in cucina e a letto”. L’amore era finito in rancore. Lei aveva praticamente smesso di scrivere. Dopo 18 anni un giorno Jane uscì di casa. Sarebbe tornata solo se lui avesse smesso di bere. Lui rifiutò. Erano gli anni ’80 e Jane, finalmente libera, imparò a diventare una grande scrittrice in proprio. Amis non la perdonò mai e rifiutò perfino di vederla in punto di morte. Chissà se qualcuno, prima o poi, vorrà raccontare la loro storia.

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