Léo Malet
Il boulevard delle ossa
Traduzione di Federica Angelini
È primavera, e all’agenzia d’investigazione Fiat Lux è un gran giorno: Nestor Burma e la sua assistente Hélène hanno appena vinto due milioni alla lotteria. Bisogna festeggiare, pipa in bocca e bicchiere in mano. Ma non si può mai stare tranquilli. Suona il campanello e i festeggiamenti vengono interrotti da un uomo trafelato: è Goldy, un mercante di diamanti ebreo, e ha bisogno del loro aiuto. Le informazioni che fornisce sul caso sono piuttosto fumose, ma a quanto pare ci sono di mezzo la malavita cinese e un giro di prostituzione russa d’alto bordo. Abbastanza per incuriosire Burma, che si mette subito all’opera. Questa volta l’indagine si svolgerà su strade del tutto nuove: da un bordello di Shanghai, a una Casa d’aste di rue Drouot, fino al tesoro della Corona imperiale russa, mentre si apriranno scenari sempre più inquietanti e spunteranno elementi sempre più strani, come uno scheletro con una gamba sola che sembra appartenere a un generale scomparso nel 1939 e un cadavere che forse non è tale fino in fondo.
L’investigatore privato sciupafemmine dalla lingua tagliente è tornato, in questa nuova avventura inedita confezionata con maestria da uno dei padri del noir francese.
«Malet è, giustamente, ritenuto fra le voci più alte del noir francese».
Giancarlo De Cataldo
«Maestro del noir, Malet è giudicato, non a torto, migliore di Simenon».
Corrado Augias
«Lo stile di Malet è quello dell’unico vero maestro del polar».
Gianni Mura, «la Repubblica»
«Uno dei detective più riusciti del noir novecentesco. Un classico. E basta».
Fabrizio d’Esposito, «Il Fatto Quotidiano»
«Malet ha ceduto al suo alter ego Burma molto di sé, non soltanto l’amore per le pipe taurine: la predilezione del vizio sulla virtù, l’indipendenza non negoziabile, la scorrettezza politica».
Roberto Iasoni, «Corriere della Sera»
«Anarchico nello stile di vita, irregolare nella scrittura, ha mandato in libreria noir che hanno fatto scuola, al punto che autori come Jean-Claude Izzo e Fred Vargas possono essere considerati suoi eredi».
Benedetto Vecchi, «il manifesto»