Gore Vidal

Democrazia tradita

COD: 9be40cee5b0e Categoria: Tag:

Discorso sullo stato dell'Unione 2004 e altri saggi

Collana:
Numero collana:
78
Pagine:
185
Codice ISBN:
9788881125203
Prezzo cartaceo:
€ 15,00
Data pubblicazione:
07-05-2004

Traduzioni di Marina Astrologo, Giuseppina Oneto e Stefano Tummolini

Dopo La fine della libertà (2001) e Le menzogne dell’impero (2002), bestseller tradotti in venti paesi, un nuovo contributo di Vidal alla riflessione politica interna ed esterna agli USA. In prima edizione mondiale, Democrazia tradita raccoglie 10 saggi mai pubblicati in Italia, due dei quali inediti anche negli Stati Uniti e dedicati alle elezioni presidenziali americane. Nel saggio principale della raccolta, “Stato dell’Unione 2004”, Vidal riassume la propria visione dell’attuale momento storico della democrazia statunitense, giudicandolo in modo disastroso. Ma quel che l’autore trova ancor più preoccupante è il “salto di qualità” che l’amministrazione Bush ha fatto compiere al Paese e che può subire un’inversione di tendenza solo con la sua sconfitta alle prossime elezioni. Dure le accuse che Vidal rivolge a Bush, proponendo una lunga serie di argomentazioni per cui il Congresso dovrebbe procedere all’impeachment, condannandolo a cinque anni di prigione e multandolo secondo il False Statement Statute, la legge costituzionale che punisce chi mente al popolo e al Congresso nell’esercizio della propria funzione di membro del governo. Entrando poi nel merito delle prossime elezioni, secondo Vidal potrebbe essere in atto una manovra per tentare di falsare i risultati tramite sistemi di voto elettronico che sono stati giudicati assolutamente insicuri da commissioni ufficiali del Congresso americano. Inoltre le tre aziende che gestiscono la commercializzazione di questi sistemi (sui quali per legge nessuno potrà intervenire o controllare, tranne le stesse aziende) non nascondono le proprie simpatie per Bush, tanto che uno dei loro dirigenti ha recentemente sottoscritto un appello al finanziamento della campagna di Bush nell’Ohio, dichiarando «di impegnarsi perché i voti degli elettori dell’Ohio siano a favore del presidente». Per fortuna, nota Vidal, sta nascendo negli Stati Uniti un grande movimento di protesta, per quanto censurato dai media. È a questo movimento e alla possibilità che ne nasca un terzo grande soggetto politico, finalmente alternativo a un sistema bipartitico totalmente manipolato dai grandi poteri economici, che il grande vecchio affida le sue ultime – ma ancora vive – speranze.

DEMOCRAZIA TRADITA – RECENSIONI

 

Mauro Trotta, IL MANIFESTO
– 15/07/2004

 

Presidenti falsi e bugiardi

 

Riferimenti a Thomas Jefferson e alle vicende storiche americane non mancano in Democrazia tradita. Del resto Vidal è l’autore di una serie di romanzi volti a comporre una sorta di controstoria degli Stati Uniti. Il libro appena uscito per Fazi raccoglie interventi usciti tra il 1975 e il 2004. In particolare il Discorso sullo stato dell’Unione 2004 è stato pubblicato in anteprima mondiale, ancor prima che uscisse negli Usa.
I temi affrontati sono quelli che hanno reso famoso l’autore come polemista, la corruzione e l’opacità del potere, le restrizioni alla libertà personale e al welfare, la pesante influenza dell’apparato militare. Vidal identifica anche il momento preciso in cui si è iniziato a consumare il tradimento della democrazia statunitense: l’ascesa di Harry Truman alla Casa Bianca nel 1950. A partire da allora il sistema politico ha subito l’influenza delle lobbies affaristiche fino a trasformarsi in vera e propria oligarchia, che offre al pubblico la farsa del bipartitismo quando in realtà vige il partito unico, e in cui il presidente – “è un dittatore che può solo essere rimpiazzato, ogni quattro anni, da un clone” al servizio delle corporations.
Durissimo con gli oligarchi e i loro rappresentanti alla Casa Bianca, Vidal scaglia i suoi strali più acuminati contro quella che egli stesso ha definito la “junta petrolifera” e in particolare lancia la proposta di dare il via alla procedura di impeachment nei confronti di “Bush l’inetto” per violazione del False Statement Statute, una legge che prevede fino a cinque anni di carcere “per chiunque, soggetto a qualsiasi titolo alla giurisdizione del ramo esecutivo del Governo degli Stati Uniti, scientemente e deliberatamente 1) falsifichi, nasconda o dissimuli, per mezzo di qualsiasi trucco, piano o dispositivo, un fatto concreto; 2) rilasci qualsiasi dichiarazione o affermazione materialmente falsa, fittizia o fraudolenta; 3) rilasci o utilizzi qualsiasi dichiarazione o affermazione falsa, fittizia o fraudolenta; o 4) produca o usi qualsiasi scritto o documento falso sapendo che il medesimo contiene dichiarazioni o notizie materialmente false, fittizie o fraudolente”. Naturalmente non è difficile per Vidal elencare tutta una serie di menzogne pronunciate dall’attuale presidente americano a proposito degli argomenti più diversi: la guerra e le armi di distruzione di massa di Saddam, sicuramente, ma anche gli sgravi fiscali o la difesa dell’ambiente.

 

STILOS
– 06/07/2004

 

Le strategie di Bush

 

Democrazia tradita di Gore Vidal (edito da Fazi, che ne sta pubblicando tutte le opere), nuovo bestseller dello scrittore americano dopo La fine della libertà e Le menzogne dell’impero, è una serie di saggi con un discorso sullo “Stato dell’unione 2004” sino ad oggi inediti in Italici, sull’attuale momento storico della democrazia statunitense. Se l’attuale amministrazione ha compiuto un salto di qualità in negativo nella gestione democratica, Vidal avanza l’inquietante ipotesi che alle prossime elezioni potrebbe esserci un tentativo di falsare i risultati tramite sistemi di voto elettronico, gestito da tre aziende che non nascondono le proprie simpatie per Bush. Per fortuna, nota Vidal, sta nascendo negli Stati Uniti un grande movimento di protesta, per quanto censurato dai media.

 

Andrea Marti, PULP
– 07/08/2004

 

Gore Vidal – Democrazia tradita

 

E’ un autentico profluvio di testi sull’America di Bush, quello attualmente in libreria. Bene. Si tratti di testi più ponderosi, più smilzi, più riflessivi o instant books, l’offensiva ha un senso, a patto che a leggerli non sia solo chi già sa, ma soprattutto chi non sa. Tra i tanti, dunque, ne segnaliamo uno che, alla capacità di analisi, alla facilità e godibilità di lettura unisce l’autorevolezza del suo autore, uno dei Grandi Vecchi degli States: Gore Vidal. Romanziere storico, saggista, polemista e altro ancora, Vidal raccoglie in questo Democrazia tradita alcuni brevi saggi del passato e tre “Discorsi sull’Unione” (1975, 1980 e 2004), nei quali, da buon “presidente ombra”,ribalta e parodizza i discorsi ufficiali dei relativi presidenti in carica fornendo un resoconto vero o almeno (visto che il principio di indeterminazione di Heisenberg esiste) dice lui, più vero. Cifra comune a tutti questi contributi, è triste dirlo, è la loro estrema attualità, anche per quelli risalenti a trent’anni fa: l’America non è cambiata, corruzione, imperialismo, idiozia, spese per l’esercito a scapito di altre voci più sane trovano formidabile continuità da Nìxon a Bush junior, e la sconsolata conclusione è che “noi non impariamo nulla perché non ricordiamo nulla”. Vidal è sempre quello che conosciamo: arguto, indignato, feroce, paradossale, intelligente. Ne esce fuori una galleria di presidenti dai molti gesti, dalle molte parole, ma dall’unica faccia: quella della follia. Bushino, in particolare. è metodicamente massacrato (si dirà: è come sparare sulla Croce Rossa, ma certe cose è comunque bene ribadirle): Vidal, oltre a definirne i discorsi “esercitazioni di surrealismo politico”, difficile da parodiare, si spinge fino all’uso della parola tabù, ignota agli americani ma non a noi, “regime”, e fino a chiederne l’impeachment, per deliberate e ripetute violazioni della Legge sulle False Dichiarazioni. E se poi leggiamo le sue impietose analisi sugli spazi televisivi e sulle campagne elettorali, scopriamo che il senso dell’offensiva editoriale anti-Bush prevede, sullo sfondo e in filigrana, anche noi.

 

Tommaso Debenedetti, L’INDIPENDENTE
– 12/06/2004

 

Il petrolio dell’antiplitica

 

GORE VIDAL si arrabbia molto se qualcuno, in Europa, si azzarda a definirlo “scrittore di sinistra”. “Non c’entro niente con la sinistra come viene intesa nel vostro Paese. Sono uno scrittore che guarda il mondo e pensa con la sua testa”. E’ tornato in Italia, dopo più di un anno passato negli Stati Uniti, per presentare il suo nuovo pamphlet, La democrazia tradita (Fazi editore), feroce analisi sulla strategia dell’amministrazione Bush. “Non mi si chieda qualcosa sulla politica americana. Non saprei cosa rispondere. In America la politica non esiste più, prevale l’antipolitica”. In verità, secondo l’autore di Washington D.C. o L’età dell’oro e dell’autobiografia Palinsesto, negli Usa non si fa più vera politica dai lontani tempi di Roosevelt.

Allora Vidal, visto che si sofferma sempre sulla politica dell’amministrazione Usa, lei parla e scrive di qualcosa che non esiste?
Ne parlo per dire che non esiste. Tutti i presidenti da Truman in poi sono stati marionette, sbiadite figure nelle mani dell’apparato militare e industriale. Altro che spirito dei padri fondatori.

Sono le tesi, le ammetterà, care alla sinistra radicale e antagonista.
Io racconto solo quello che ho visto. E l’amministrazione americana la conosco da vicino. Nessun presidente, dopo Roosevelt, ha potuto elaborare una propria linea politica scissa dagli interessi delle multinazionali, che lo avevano portato al potere. Se poi i comunisti dicono la stessa cosa, non mi interessa.

Qual è il suo giudizio su Reagan?
Un attore che a Hollywood aveva dato una pessima prova del suo talento e che, una volta presidente, ha abbindolato mezzo mondo con la teoria dell’Impero del male. Regalando un misto tra western dozzinale e kolossal dai giganteschi effetti speciali. Reagan doveva fare gli interessi dei produttori di armi, che lo avevano eletto.

Per le prossime presidenziali lei sarà schierato dalla parte di John Kerry?
Neanche per sogno. Il fatto che Bush sia uno dei peggiori presidenti della storia non mi autorizza a dire che Kerry vale qualcosa. E’uno che sulla guerra un giorno prende una posizione, il giorno dopo la smentisce. Nel 2000 non sostenni nemmeno mio cugino Al Gore: una brava persona, ma completamente incapace.

Chi vincerà, Bush o Kerry?
Bush, probabilmente. Il presidente ha in mente un colpo grosso come la cattura di Bin Laden. Vedrete che per magia Osama apparirà in catene poco prima delle elezioni. Forse lo hanno già in mano, ma se lo tengono per il momento giusto.

Da decenni accenna a questo apparato militare e industriale che governerebbe gli Usa e il mondo. Può essere più preciso?
A comandare oggi sono i petrolieri, la cricca che ruota intorno a Bush e Cheney. Decidono tutto. Hanno fatto eleggere Bush a patto che scatenasse la guerra in Iraq e Afghanistan, per impossessarsi del petrolio del centro Asia, certi che i sauditi chiuderanno i rubinetti. L’11 settembre non c’entra nulla, è stata solo un’ottima scusa per agire meglio e in fretta.

Ma sta ripetendo le tesi complottistiche, secondo le quali l’11 settembre sarebbe stato addirittura voluto da Bush!
Non dico questo, non l’ho mai detto. Dico però che gli è tornato utile.

Sia più crudele, elenchi le colpe di Bush.
Ha distrutto quel poco o nulla che restava del sogno americano. Si diceva che l’America fosse la terra delle libertà. Questo non è più vero almeno dal 1948. Però le apparenze venivano salvate. Gli Usa di Bush sono un vero e proprio Stato poliziesco in nome della sicurezza e con la ridicola scusa che, chi dice o fa qualcosa contro l’amministrazione, è amico dei terroristi. La mia America, amata in Occidente, l’hanno distrutta i politici collegati a un apparato di multimiliardari. La tecnostruttura prevale sullo spirito di libertà.

Lei aveva promesso che non sarebbe più andato in America.
Sono tornato per vedere come andavano le cose. Non mi ero sbagliato, anzi, vivendo lontano, sono stato troppo ottimista. Gli Usa sono un tragico e assoluto disastro.

Intanto in Georgia si è chiuso l’ultimo G8.
Un grande spettacolo. Uno splendido momento di verità: tutti i potenti a inchinarsi di fronte a Bush, a pendere dalle sue labbra. E le sue labbra che ripetevano quanto i suoi veri capi, cioè i petrolieri, volevano dicesse, Avrei voluto esserci. Mi sarei divertito follemente.

 

Gabriella Saba, LA NUOVA SARDEGNA
– 28/06/2004

 

“Gli Usa? Tradiscono la democrazia”

 

Lo scrittore americano Gore Vidal sfodera, nell’ultimo saggio (“Democrazia tradita”, Fazi Editore, 15 euro), una vis polemica proporzionata agli atti illeciti e immorali che denuncia, alle menzogne politiche e all’ipocrisia del governo americano. Nel caso specifico quello di Bush, che però non si differenzia granché dai governi democratici, essendo gli uni e gli altri colpevoli di analoghi fatti e omissioni, e di poca attenzione per il “popolo” che rappresentano (solo sulla carta). Vidal li sferza con ironia tagliente e intanto butta sul piatto fatti abbastanza noti (la politica invasiva degli Usa nel corso della storia) e altri che pochi conoscono, abusi semiocculti – quelli che tutti sanno ma fanno finta di non sapere – e poi le truffe: a danno degli elettori, della comunità internazionale, dei principi fondanti della società americana. Dove sono finiti quei principi? Spesso disattesi, covano però nelle coscienze della gente. Intanto lui si lancia nel ruolo consueto (come spiega, è il suo destino o forse la sua funzione): lanciare gli avvertimenti molto prima che i politici e la stampa siano in grado di recepirli. Per le sue preveggenze un po’ cassandriche, ma sempre azzeccate, si è attirato le accuse
di media, opinione pubblica e lobbies israeliane (per esempio quando, nel ’86, annunciò la morte dell’impero americano). Oggi prevede manipolazioni catastrofiche del voto elettorale, e auspica la nascita di un partito che spiazzi gli altri due e rappresenti, finalmente, la gente.
– La sua definizione di democratici e repubblicani – in cui l’unica differenza è che questi ultimi sono più stupidi e dottrinari mentre i primi sono più presentabili e un po’ più corrotti – è realistica ma scoraggiante. Vale anche ora che il presidente Bush ha radicalizzato le posizioni repubblicane?
“Si”.
– Dopo quanto è successo negli ultimi anni, c’è ancora una parte dell’America che crede che l’esercito Usa vada in giro per il mondo a difendere i diritti umani?
“Onestamente non penso esista nessuno nel mio Paese che abbia a cuore i diritti umani dei popoli stranieri. Non hanno a cuore nemmeno i loro per il semplice fatto che non gli sono stati insegnati”.
– I soldati e gli ufficiali che stazionavano nelle basi Nato in Sardegna sembravano molto convinti di quel loro ruolo.
“Immagino sia facile convincersi di una cosa come questa, sdraiati su una spiaggia sarda a prendere il sole”.
– Nel suo discorso allo Stato dell’Unione del ’72 lei aveva proposto di cancellare quelli che chiama i “crimini senza vittime”, che hanno cioè a che vedere con la morale privata. Ma questi ultimi non sono forse l’ossatura della struttura morale dell’America?
“In realtà speravo che la mia fosse una provocazione, ma non è stato così. Pensavo che sostituire quelle leggi fosse la conclusione logica per un Paese civile. Mi sono sbagliato”.
– Nel suo saggio lei si diffonde molto sulla truffa delle schede elettorali in Florida nelle ultime elezioni, e sul fatto che molti aventi diritto di voto vennero esclusi perché falsamente accusati di avere la fedina penale sporca. In gran parte, lei dice, si tratta di neri.
“Sì, in Florida molti afro americani non possono votare perché hanno la fedina penale sporca. Il problema è che gli abitanti di quello Stato non amano che le persone di colore siano rappresentate, e per questo si assiste a fenomeni come la falsificazione delle fedine penali, grazie a un altissimo livello di corruzione”.
– Che Bush abbia raccontato al Paese un sacco di bugie è un fatto accertato, e confermato da prove. Bugie meno gravi hanno rovinato precedenti capi di Stato. Perché a lui si perdona tanto?
“Premettendo che tutti i presidenti hanno mentito, la risposta alla sua domanda è che la Camera dei Rappresentanti è in mano ai repubblicani, che ovviamente non voteranno mai l’impeachment a Bush. L’unica speranza è che 18 Stati mandino al Congresso deputati democratici, e che grazie a questi il presidente venga processato”.
-Per il momento quest’ultimo cavalca ancora bene la “guerra al terrorismo”.
“In realtà molte persone negli Stati Uniti sono contrarie alla guerra, a questa guerra. Guerra al terrorismo non significa niente, è la guerra a un concetto astratto”
– Libri come il suo, o come quelli di Michael Moore e di Chomsky, a cosa servono? Chi li legge, al di fuori della cerchia degli intellettuali liberal?
“Dato che non ci sono molti intellettuali liberal in America, direi che il pubblico è più ampio. Vorrei precisare che la parola liberal non fa parte della terminologia americana, è una parola svuotata di senso e nemmeno in Europa, dove viene molto usata, si sa bene cosa voglia dire. Ha più senso parlare di conservatori, reazionari, progressisti”.
– E’ appena morto Ronald Reagan, a cui lei dedica molto spazio nel suo saggio. Per l’esattezza lo definisce ben diverso da quel fenomeno mondano che sono di solito ì presidenti americani”. La sua visione messianica del ruolo degli Stati Uniti, la sua idea della guerra tra Cristo e anticristo è in qualche modo anticipatrice della cosiddetta “guerra di religioni” di oggi?
“Non ha molto senso esaminare e analizzare le parole di Reagan, il quale non ha mai avuto un piano strategico, ma solo parole vuote e semplici per conquistare il pubblico. Era un musicista che suonava quello che gli veniva in mente e come tale dovrebbe essere giudicato. E, soprattutto, era un attore”.
– Parliamo di neocon. Vanno ancora forte o cominciano a perdere colpi?
“Beh, mi fa piacere che anche gli europei si siano accorti di questo movimento il quale. peraltro, va contro qualunque direttrice, qualunque principio fondante dello Stato americano – per esempio quando teorizzano la guerra preventiva -. E infatti si sta spegnendo, direi che la maggior parte degli americani sono contrari”.
– Lei, per sua stessa ammissione, lancia avvertimenti molto prima che i politici siano in grado di recepirli. Nessuno dì loro ha pensato di utilizzare questa sua dote chiamandola nel proprio staff?
“La questione va posta in un altro modo. Sono io che dovrei includere qualche politico nel mio staff”

 

IL TIRRENO
– 09/06/2004

 

Bush ha mentito agli americani, parola di Gore Vidal

 


“Se a novembre i democratici vinceranno le elezioni dovrebbero votare l’impeachment del presidente Bush per aver mentito al Congresso e per ben sei volte”.Così Gore Vidal, che voterà per il democratico Jhon Kerry nonostante la sua ammirazione per Dennis Kucinich, (l’ultimo democratico in lizza per la nomination) parla delle elezioni presentando il suo ultimo libro “Democrazia tradita”. “Il presidente dovrebbe essere messo sotto accusa e finire in prigione” Vidal lo ribadisce dopo aver dedicato all’argomento il saggio più corposo del suo libro uscito per Fazi (pp.184, 15 euro): “ Non lo sostengo io, ma è quello che prevede la legge americana, il False Statement Statute, la legge costituzionale che punisce chi mente al popolo e al Congresso nell’esrcizio della propria funzione di membro del governo”. Secondo il saggio di Vidal, Bush ha mentito per ben sei volte. La prima è quella alla base dell’intervento in Iraq cioè: il presunto acquisto di uranioin Africa da parte di Saddam Hussein. La seconda menzogna: gli sgravi fiscali promesi da Bush per chiunque paghi l’imposta del reddit, cosa che non è avvenuta. La terza: la promessa di destinare 30000 uomini alla sicurezza aeroportuale, uomini che, secondo lo scrittore, non sono mai stati visti da nessuno. La quarta, ricordalo scrittore: Bush promette un piano per preveniregli incendi. Piano che si traduce nel traduce nel taglio di alberi dal fusto più grosso con soddisfazione degli industriali del legname. La menzogna cinque: un piano globale anti Aids di cui sostiene Vidal non si sa più nulla e, la menzogna sei: Bush aveva assicurato più assistenza medica ai veterani e l’ha tagliata. “Dico che i democratici dovrebbero votare la messa in accusa del presidente quando e se vinceranno le elezioni precisa Vidal ma non è detto che lo faranno”. La precisazione fotografa la sfiducia che oggi Vicdal nutre verso la democrazia americana dove, in ultima analisi, repubblicani e democratici si assomigliano. “Gli Stati Uniti afferma Vidal non sono più il paese delle leggi e della giustizia , perché le leggi si aggirano e la giustizia è addormenttata, quello che oggi comanda il paese è il partito unico della Proprietà Privata, con due ali destre: una che si definisce repubblicana e l’altra che si proclama democratica.
Ma ora osserva gli americani sembra si stiano dividendo consapevolmente tra imperialisti, desiderosi che gli Usa si impadroniscano di tutte le risorse petrolifere del mondo e anti-imperialisti, favorevoli alla pace e alle fonti energetiche naturali. Questo è il nuovo quadro che, secondo Vidal, si sta disegnando negli Stati Uniti.
Nonostante questo Vidal ha una tiepida speranza. “Forse le prossime elezioni (dovessimo sopravvivere a queste) ha affermato avranno al centro la necessità di una nuova Costituzione: idea manifestatamente pericolosa ma inevitabile. E sarà allora che Dennis Kucinich, il più facondo dei candidati presidenziali per questo anno, avrà finalmente ciò che gli spetta. Kucinich secondo Vidal si sta connotando come il leader di un’alleanza progressista che deve ancora nascere. Naturalmente viene tacciato di essere uomo di sinistra, etichetta che dice Vidal viene affibbiata a ogni conservatore pensante. In realtà non abbiamo mai avuto una sinistra, e d’altronde nemmeno una destra, consapevole. Ci dividiamo tra sopra e sotto. E adesso, forse, quelli di sotto stanno salendo sopra.

 

 

Mauro Trotta, IL MANIFESTO
– 15/07/2004

 

Presidenti falsi e bugiardi

 


Gore Vidal e Noam Chomsky svelano le mille menzogne di Bush e il golpe strisciante in atto negli Usa

Il pericolo di un colpo di stato, di un complotto volto a tradire la democrazia è da sempre presente nella storia degli Stati Uniti. Eventi gravissimi come l’uccisione di un presidente in carica, da Lincoln a Kennedy, sono stati spesso ricollegati a cospirazioni in corso. Non solo, i complotti da parte di gruppi di potere o di conventicole segrete, volti a determinare le scelte politiche ed economiche del paese, tenendone all’oscuro la popolazione, rappresentano materiale fertile per la cultura di massa: X-files o il più recente Alias sono solo gli esempi più noti di un filone che attraversa tutta l’industria culturale e dell’intrattenimento. Attualmente, poi, le politiche dell’amministrazione Bush hanno rilanciato le paure nei confronti di una deriva autoritaria, se non proprio tirannica. Così, accanto ai più giovani alfieri dell’opposizione allo stato attuale delle cose (espressione spesso dei nuovi movimenti, da Naomi Klein a Michael Moore), ritrovano ascolto coloro che da tempo rappresentano la coscienza critica della società statunitense. È il caso di due intellettuali come Noam Chomsky e Gore Vidal, i cui libri hanno sempre maggior diffusione anche nel nostro paese. Del primo, solo negli ultimi due anni sono stati pubblicati oltre dieci volumi, mentre per quanto riguarda Vidal, è stata annunciata la pubblicazione di tutte le opere da parte della casa editrice Fazi.
Proprio di Chomsky e Vidal sono usciti di recente, quasi in contemporanea, due testi che fin dai titoli rappresentano un durissimo attacco all’attuale politica del governo americano. Si tratta rispettivamente di Il golpe silenzioso. Segreti, bugie, crimini e democrazia (Piemme, pp. 176, ? 12,50) e di Democrazia tradita. Discorso sullo stato dell’Unione 2004 e altri saggi (Fazi, pp. 186, ? 15).
Entrambi i volumi rappresentano un’utile panoramica delle posizioni assunte dai due autori, poiché raccolgono interventi concepiti in un vasto arco di tempo. In particolare, il testo del celebre linguista – pubblicato negli Usa nel 1994 e arrivato alla nona edizione nel 2002 – è la trascrizione di una serie di interviste radiofoniche realizzate nel corso di un decennio da David Barsamian e arricchite dalle telefonate degli ascoltatori, trasmesse dal circuito dell’Alternative Radio Station. Data la natura degli interventi il tono è colloquiale e si vanno a toccare gli argomenti più diversi, dalla flessibilità (un concetto che secondo Chomsky non significa altro che «andare a dormire senza sapere se al mattino avrai ancora il tuo posto di lavoro»), alla mancata riforma sanitaria, dalle diseguaglianze sociali al rinato fondamentalismo religioso. Il filo che lega tutti questi argomenti è quello, appunto, del «golpe silenzioso». La tesi di Chomsky, infatti, è che la democrazia in America si sia ridotta a mero rito formale, dominata da oligarchi appartenenti all’élite affaristico-finanziaria che l’hanno svuotata di contenuti, riducendo al massimo lo spazio pubblico della politica. Tendenza, questa, che si ritrova in nuce sin dalle origini della repubblica americana: Chomsky ricorda, ad esempio, che Jefferson, poco prima della sua morte, avvenuta nel 1826, «mise in guardia specificatamente contro “le istituzioni bancarie e le incorporazioni monetarie”, quelle che noi oggi chiamaremmo corporations, e aggiunse che se fossero state lasciate fuori controllo […] la Rivoluzione Americana sarebbe stata persa».
Riferimenti a Thomas Jefferson e alle vicende storiche americane non mancano nemmeno in Democrazia tradita. Del resto Vidal è l’autore di una serie di romanzi volti a comporre una sorta di controstoria degli Stati Uniti. Il libro appena uscito per Fazi raccoglie interventi usciti tra il 1975 e il 2004. In particolare il Discorso sullo stato dell’Unione 2004 è stato pubblicato in anteprima mondiale, ancor prima che uscisse negli Usa.
I temi affrontati sono quelli che hanno reso famoso l’autore come polemista: la corruzione e l’opacità del potere, le restrizioni alla libertà personale e al welfare, la pesante influenza dell’apparato militare. Vidal identifica anche il momento preciso in cui si è iniziato a consumare il tradimento della democrazia statunitense: l’ascesa di Harry Truman alla Casa Bianca nel 1950. A partire da allora il sistema politico ha subito l’influenza delle lobbies affaristiche fino a trasformarsi in vera e propria oligarchia, che offre al pubblico la farsa del bipartitismo quando in realtà vige il partito unico, e in cui il presidente – «è un dittatore che può solo essere rimpiazzato, ogni quattro anni, da un clone» al servizio delle corporations.
Durissimo con gli oligarchi e i loro rappresentanti alla Casa Bianca, Vidal scaglia i suoi strali più acuminati contro quella che egli stesso ha definito la «junta petrolifera» e in particolare lancia la proposta di dare il via alla procedura di impeachment nei confronti di «Bush l’inetto» per violazione del False Statement Statute, una legge che prevede fino a cinque anni di carcere «per chiunque, soggetto a qualsiasi titolo alla giurisdizione del ramo esecutivo del Governo degli Stati Uniti, scientemente e deliberatamente 1) falsifichi, nasconda o dissimuli, per mezzo di qualsiasi trucco, piano o dispositivo, un fatto concreto; 2) rilasci qualsiasi dichiarazione o affermazione materialmente falsa, fittizia o fraudolenta; 3) rilasci o utilizzi qualsiasi dichiarazione o affermazione falsa, fittizia o fraudolenta; o 4) produca o usi qualsiasi scritto o documento falso sapendo che il medesimo contiene dichiarazioni o notizie materialmente false, fittizie o fraudolente». Naturalmente non è difficile per Vidal elencare tutta una serie di menzogne pronunciate dall’attuale presidente americano a proposito degli argomenti più diversi: la guerra e le armi di distruzione di massa di Saddam, sicuramente, ma anche gli sgravi fiscali o la difesa dell’ambiente.
Libri interessanti e di facile lettura, sia Democrazia tradita sia Il golpe silenzioso possono rappresentare un’utile introduzione al pensiero dei due autori. Ma se all’interno del testo di Vidal sono fornite notizie sulla data di pubblicazione dei vari articoli, rendendo così possibile cogliere nel corso della lettura l’evoluzione delle posizioni dell’autore, Il golpe silenzioso presenta il limite di non offrire alcuna informazione su quando siano stati pronunciati i diversi interventi né sui criteri con cui sono state «costruite» le interviste che compongono i capitoli.

 

 

Raffaella Angelino, LA RINASCITA
– 18/06/2004

 

bush l’antiamericano

 

La parola più ricorrente nella conversazione con Gore Vidal, fra i maggiori narratori e saggisti degli Stati Uniti, “coscienza critica dell’impero”, è lies,bugie. Le menzogne sono quelle di Bush, e Vidal nel suo ultimo libro, Democrazia tradita una raccolta di saggi, due dei quali dedicati alle presidenziali americane ne elenca alcune di quelle dette tramite i discorsi sullo stato dell’Unione, al Congresso al Congresso e al popolo che rappresenta.
Parlare di democrazia tradita alla vigilia delle presidenziali non è confortante…
I problemi sono iniziati nel novembre del 2000, quando la popolazione americana ha votato a maggioranza Al Gore ma poi la sua presidenza è stata negata dalla Corte Suprema e dallo Stato della Florida ed è noto che il governatore di quello Stato è il fratello di Bush. Li è stato persino impedito agli afro-americani di votare. Quello è stato il primo tradimento.
Come si sta svolgendo la campagna elettorale?Si sente di fare ipotesi?
Ora è in atto il tradimento finale, ovvero l’introduzione di un sistema di votazione elettronico che si presta a facili manipolazioni. Qualsiasi hacker potrebbe introdursi nel sistema e cambiare il risultato delle elezioni. Kerry potrebbe vincere ma con un margine molto ampio ma sarebbe possibile, solamente spingendo un bottone, rivoltare totalmente l’esito delle votazioni e far vincere Bush. Questo si può considerare il tradimento finale della democrazia.
In questo momento Bush rappresenta il popolo americano?
Assolutamente no. Però stranamente ogni volta che dice qualcosa fanno tutti di si con la testa. Per fare un esempio, molti sono ancora convinti che Saddam Hussein sia coinvolto negli attentati dell’11 settembre,anche se tutto il mondo sa che è falso. Di solito la gente lo sa, però poi leggi questi sondaggi secondo i quali il 70% delle persone pensa che fosse giusto andare in Iraq e catturare un cattivo dittatore e andava attaccato perché ha colpito le nostre città. D’altra parte, come fai a gestire un presidente che non fa altro che mentire? Il panorama politico è puramente fittizio, si vive in uno stato di irrealtà in America, quindi la gente è confusa.
I mass media sono una spia di questo tradimento della democrazia?
Si certamente. I media sono corrotti, sono uno strumento puramente commerciale, poco abituati a dire la verità e non sentono neanche il bisogno di farlo. Trattano lo spettatore come un consumatore e non come un cittadino, uno strumento che esiste per venderti una zuppa o per venderti un presidente , allo stesso modo.
Per vendere la guerra, Bush e i suoi sono presentati come i paladini della democrazia…
Non è possibile combattere una guerra contro un nemico inesistente, etereo. Le guerre si combattono contro i Paesi non contro il terrorismo che è un’entità astratta. Contro quello c’è la polizia internazionale. Dopo l’11 settembre avremmo dovuto affidare tutto all’Interpol, invece no, abbiamo distrutto due Paesi, l’ Afghanistan e l’Iraq, li abbiamo fatti a pezzi ,Bush ha detto moltissime bugie per vendere la guerra agli americani e al mondo ed è passibile di impeachment, e questo è quello che andrebbe fatto.
Il regista americano Michael Moore con Fahrenheir9/11 ha vinto la Palma d’oro a Cannes ma ha raccontato delle difficoltà nella distribuzione del suo film negli Usa. Vita dura per le coscienze critiche?
Michael Moore mi piace molto, non ho visto il suo ultimo film ma mi dicono sia molto bello. E non credo che avrà difficoltà nella distribuzione, forse non con la Disney, ma non è un problema. Penso che verrà distribuito, sarà visto da molte persone e avrà un impatto forte sulla società americana . Sta facendo un ottimo lavoro: quando è il New York Times a mentirti c’è bisogno di un film per riequilibrare le cose.
Lei ripone molta fiducia nel movimento spontaneo contro la guerra. Pensa che sia destinato a crescere?
Si, è un movimento che sta crescendo negli Usa, si cominciano a vedere manifestazioni anche in città dove non si manifesta solitamente, come New York, una città sempre troppo concentrata su se stessa per preoccuparsi di pensare alla guerra o alla pace. L’anno scorso, quando ci sono state manifestazioni in tutto il mondo, alla vigilia della guerra, io ho parlato a centomila persone a Los Angeles: non ho mai visto il paese così unito in una causa. Quella in corso è una guerra illegale, pare che riescano a fare tutto ciò che è illegale anche perché i grandi giornali non riescono a vedere oltre la cortina di fumo del presidente.
In Italia la visita di Bush ha fatto discutere. Le dispiace avere un presidente impresentabile?
No forse dovrebbe prendersela Bush…
Tuttavia per i critici della politica di Bush non è facile esprimere dissenso senza correre il rischio di essere considerati antiamericani o poco riconoscenti nei confronti degli Usa
Bush ha fatto molta attenzione a non combattere nessuna delle guerre che gli Stati Uniti hanno combattuto da quando lui è in vita, non è tra gli elementi più coraggiosi o più saggi che l’America abbia creato nel corso della sua storia. Non rappresenta nessuno a parte l’elite petrolifera, la sua famiglia, e trovo incredibile che chi critica Bush in Italia venga definito antiamericano. Secondo me è lui stesso ad essere antiamericano ed è un presidente che non è stato eletto dal popolo, non f gli interessi di nessuno, non rispetta la Costituzione… I veri patrioti sono quelli come me che cercano di difendere la legalità.

 

Marco Romani, AVVENIRE
– 28/06/2004

 

Fermate l’imbroglione.A novembre potrebbe vincere ancora, manottendo il voto

 

Quella di Gore Vidal è una seconda, anzi una terza giovinezza. Settantotto anni e una protesi al titanio al ginocchio che fa impazzire i sistemi di allarme degli aeroporti non gli impediscono di girare il mondo per raccontare cos’è , oggi, la sua America. E l’uscita della sua nuova raccolta di saggi saggi Democrazia tradita(Fazi editore,,pagine 186, 15 euro) è stata l’occasione giusta per riprendere quei “contro-discorsi sullo stato dell’Unione”, con cui lo scrittore, da quasi trent’anni, fa le pulci alla propaganda dei vari presidenti degli Stati Uniti. Con Bush Vidal è impietoso. Con la perizia dello storico rintraccia i vari interventi del presidente e le inchieste, sia governative che giornalistiche, che lo smentiscono punto per punto: con la forza del narratore ci restituisce un quadro vivo della realtà americana: con la violenza del polemista ritrae la lobby petrolifera che si è impossessata della Casa Bianca. Il risultato è la richiesta di impeachment: secondo una legge statunitense chi, ricoprendo incarichi politici, mente ai cittadini può essere arrestato. E allora si proceda con Bush, le cui bugie vengono puntigliosamente elencate da Vidal. Che però lancia anche l’ allarme: con il nuovo sistema di votazione elettronica le prossime presidenziali potrebbero essere le più fasulle della storia. I repubblicani, infatti, hanno inventato un meraviglioso apparato di brogli che potrebbero riconfermarli alla guida del Paese.
Vidal, le torture ai prigionieri iracheni di quale America sono figlie?
Dalla stessa America di sempre.Quando ho visto le foto delle torture ad Abu Ghraib non mi sono stupito molto e anzi mi è sembrato che, in fondo, rappresentavano un tratto di giustizia: in Iraq abbiamo trattato i prigionieri nello stesso identico modo in cui trattiamo i prigionieri americani nelle nostre carceri.
Vuole dire che le torture fanno parte della cultura americana?
Dico solo che torture e maltrattamenti da parte dell’esercito e della polizia hanno caratterizzato da sempre la nostra società e in questo siamo molto pluralisti: non guardiamo molto il colore della pelle o la nazionalità.
Secondo lei la politica statunitense si basa sul bisogno di punire il prossimo?Sarebbe questa l’essenza della vostra democrazia?
Anche questo fa parte della nostra storia patria e attualmente a Washington, con il colpo di mano della falsa elezione, si è insediato un regime che nella sua smania di fare la guerra al mondo non sente nemmeno più la necessità di dover giustificare le proprie azioni.
Non le sembra eccessivo paragonare il Dipartimento della sicurezza nazionale con Gestapo di Hitler?
Una polizia segreta che compila dossier su ogni cittadino è sempre una polizia segreta, c’è poco da girarci intorno. E una forza di polizia canaglia è un pericolo per ognuno di noi perché quelli coordinati dal Dipartimento della sicurezza sono organi che sfuggono a qualunque controllo democratico. Tutto ciò viene giustificato dicendo che siamo in guerra e che in guerra il governo può sostituire le garanzie costituzionali con un apparato d’ emergenza e tentano di convincerci che questo è ciò che la gente vuole. Eppure io ho molti amici che hanno i figli con la doppia cittadinanza, quella americana e quella italiana. Le madri consigliano ai giovani, in caso di problemi all’estero, di non ricorrere mai alle ambasciate statunitensi perché altrimenti si viene arrestati.
Lei sta descrivendo gli Stati Uniti come uno tato di polizia governato da un presidente non eletto. Detta così sembrerebbe una dittatura
Oggi viviamo in un regime, non ci sono altri termini per definirlo. La seconda legge della termodinamica sostiene che i sistemi abbandonati a se stessi tendono a divenire disordinati e corrotti in relazione diretta al trascorrere del tempo e questo è quello che sta succedendo in America in questi anni. Passando dalla fisica alla realtà possiamo dire che in una situazione fuori controllo politico l’energia democratica si sta corrompendo e esaurendo. Un dossier preparato per il vicepresidente Cheney ha dimostrato che nel 2020 le risorse energetiche planetarie arriveranno agli sgoccioli. Per questo siamo andati in Afghanistan, a controllare gli oleodotti, per questo che siamo in Iraq ed è per questo che stiamo installando basi militari in tutte le repubbliche ex-sovietiche.
Quella in Iraq è solo una guerra per il petrolio o non piuttosto una guerra per il controllo politico dell’aria mediorientale?
L’attuale amministrazione è tutt’altro che intelligente e non ha nessun piano a lungo termine. Se fosse intelligente, invece di aspettare lesaurimento delle risorse energetiche, appronterebbe un piano per incrementare e sviluppare nuove fonti alternative, invece sono interessati solamente allo sfruttamento dei giacimenti esistenti.
La prossima tappa sarà la Siria?
Non lo so forse l’Iran.
L’ultima era nata come una guerra veloce, ma il numero dei morti civili iracheni e anche dei caduti tra i soldati americani stanno dimostrando che è più difficile di quanto il Pentagono avva previsto. Crede che la lezione irachena dissuaderà dall’affrontare nuovi conflitti?
Il Vietnam, una delle guerre più catastrofiche della storia anche per l’alto numero di civili morti, non è servita per fermare altre guerre. Almeno oggi c’è una spiegazione per l’intervento in Iraq:è una guerra per il petrolio. In Vietnam invece nessun soldato sapeva perché stava combattendo, quella è stata una pura dimostrazione di forza.
Però dopo lo choc del Vietnam ci fu uno stop alle guerre, almeno a quelle direttamente combattute. Lei pensa che oggi invece si procederà senza freni?
E¢ intervenuto un elemento nuovo nella politica americana di questi anni: l’elemento religioso. Esono proprio le guerre di religione quelle che creano più morti.
Quindi alla guerra del petrolio Bush unisce anche la guerra in nome di Dio?
C’è, come il dannoso professor Hungtinton, chi vuole trasformare quello attuale in uno scontro tra civiltà, fra cristianesimo e islm, così come c’è chi vorrebbe parlare di religione per spiegare la guerra fra israeliani e palestinesi. Io invece credo che l’elemento principale delle guerre attuali è l’accaparramento delle risorse petrolifere ancora esistenti.Se la nuova Europa vuole darsi una fisionomia forte, dovrebbe trovare fonti di energia nuove e alternative. Si può produrre energia dal vento, dal mare, dal nucleo terrestre, ma servono risorse e volontà per saperli sfruttare. Fatto questo, eliminata la causa prima degli attuali conflitti, non dico che cesserà di esistere la guerra: ci saranno sempre motivi per compiere carneficine, ma almeno non saranno motivi stupidi come quelli di oggi.
Bush, ha tanto bisogno dell’esercito per combattere le guerre preventive, in realtà sta tagliando fondi alle strutture dei veterani e compensi ai militari impegnati sul campo. Perché attua una gestione delle forze armate così miope?
Bush, in generale, nutre un profondo disprezzo per il popolo americano. Odia il fatto che esso possa votare e che il suo potere dipende dall’opinione pubblica. Se fosse per lui, al posto dell’esercito arruolerebbe migliaia di mercenari dai paesi del sud del mondo. Ha proposto tagli di 75 dollari al mese per l’indennità di”imminente pericolo” ai soldati, voleva tagliare di 150 dollari al mese l’indennità per la separazione dalla famiglia per chi è in missione e in più si rifiutaa di dotare 40mila militari in servizio in Iraq del giubbotto protettivo dicendo che è compito dei soldati acquistarne uno. Tanto disprezza e teme il potere dei militari che vorrebbe reinserire la leva obbligatoria. A questo punto la rabbia dei militari, a tutti i livelli, potrebbe far scoppiare l’inferno e Bush passerebbe alla storia come il primo presidente che subisce l’ammutinamento delle truppe.
Secondo la legge del “False Statement Statute” contro Bush, per aver detto numerose e manifeste bugie, potrebbe scattare il processo di impeachment. E¢una provocazione o una realtà?
E¢ una possibilità reale, anche se per ottenere l’impeachment bisogna attendere che il congresso cambi maggioranza perché attualmente mi pare improbabile che gli uomini del suo partito inizino l’inchiesta. La legge prevede fino a cinque anni di carcere e un’ ammenda a chi, in funzioni di governo, mente manifestatamente. E Bush l’ha fatto ripetutamente.
Qualche esempio?Dico solo quelli in cui la bugia è stata dimostrata tale dalla stampa e dalle note ufficiali. E¢ una menzogna quando ha affermato di aver ricevuto dai servizi inglesi l’informativa che Saddam si era procurato in Africa quantitativi di uranio. E¢ una menzogna quando ha dichiarato che il taglio delle tasse riguardava tutti i cittadini e non, come è avvenuto, solo i più ricchi. E¢ una menzogna quando ha affermato di aver mandato 50 mila nuovi addetti alla sicurezza negli aeroporti americani. Come quando ha annunciato di aver intrapreso nuove politiche per fermare il dilagare dell’ Aids in Africa quando invece ha tagliato, con furia religiosa, le forniture di profilattici. Ci sono tutti gli elementi per chiedere l’impeachment, aspetteremo novembre e, lo spero,la nuova maggioranza per procedere contro di lui.
Eppure Bush si comporta come se fosse sicuro di vincere
Eppure Bush si comporta come se fosse sicuro di vincere.
Effettivamente, nonostante i tanti errori compiuti sia in politica interna che estera, Bush potrebbe avere un secondo mandato grazie al nuovo sistema di voto elettronico che ha architettato: potrebbe vincere anche se a votarlo sarà una minoranza.
Perché teme così tanto i brogli elettorali?
Le nuove macchine per il voto elettronico contengono una scatola nera che raccoglie i dati per un possibile controllo da parte della commissione elettorale. La truffa sta nel fatto che le ditte hanno preteso che solo loro possono mettere le mani nelle macchine perché, così sostengono, devono proteggere i segreti commerciali. Da inchiesta giornalistiche, effettuate negli stati in cui le macchine sono già in uso, è stato dimostrato come anche nei collegi più solidamente democratici la maggioranza andava ai repubblicani. Va anche ricordato che le tre ditte che producevano le nuove macchine fanno capo a industriali repubblicani e che uno di loro, il direttore della Diebold, è un attivo procacciatore di fondi per il partito di Bush. Alcuni Stati, consapevoli del rischio della frode elettorale, hanno richiesto l’introduzione di una controprova cartacea che dà la possibilità di rintracciare il voto. Se ciò avvenisse potremmo ben sperare, ma la sua entrata in vigore è prevista per il 2005. Su questo c’è una guerra in corso propri perché l’attuale presidente non vuole che esista una possibilità di verifica del risultato.
Kerry sarebbe un buon presidente?E¢ intelligente, è colto e ha una faccia nuova. Sono buoni presupposti

 

Renato Minore, IL MESSAGGERO
– 27/06/2004

 

Vidal: «Non siamo più il Paese delle leggi e della giustizia»

 


SEI volte mentitore di fronte al Congresso. Per questa ragione Bush dovrebbe essere messo sotto accusa, dovrebbe finire in prigione. Gore Vidal nel saggio introduttivo al suo nuovo libro ( Democrazia tradita , Fazi) enumera le “menzogne” che incriminano il Presidente: «Le armi di distruzione di massa in possesso di Saddam, gli sgravi fiscali promessi per chiunque paghi l’imposta del reddito, l’ampliamento della sicurezza aeroportuale,il piano per prevenire gli incendi, il programma globale anti Aids, l’assistenza medica ai veterani». Che debba finire con l’incriminazione «non lo sostengo io, ma è quello che prevede la legge costituzionale che punisce chi mente al popolo e al Congresso nell’esercizio della propria funzione di membro del Governo». Dunque i democratici, se vinceranno le elezioni, dovrebbero avviare il procedimento giudiziario, «ma non è detto che lo faranno», aggiunge Vidal alquanto scettico e perplesso verso la democrazia americana dove «in ultima analisi repubblicani e democratici si assomigliano».
Nel volume Vidal, uomo di teatro di cinema e di televisione, politico e feroce commentatore della politica, uomo di mondo, amico e parente di molti grandi, cosmopolita grande conversatore e uomo di spirito (dotato di un vero “wit” come dicono gli inglesi), analizza i mali antichi del sistema americano. Come la restrizione progressiva della libertà e del welfare, lo svuotamento della dialettica politica, l’eccessivo finanziamento della Difesa che favorisce pochi potenti.
Vidal, da ieri ad oggi , dal discorso sullo stato dell’Unione del 1974 a quello del 2004, il filo della “democrazia tradita” è costante nel suo ragionamento.
«Non siamo più il Paese delle leggi e della giustizia: le leggi si aggirano e la giustizia è addormentata. La maggioranza non conosce la propria costituzione. Negli Usa oggi è al potere il partito unico della proprietà privata, con due ali destre, quella repubblicana e quella democratica».
La democrazia in quanto tale è in difficoltà?
«I nostri padri fondatori erano per la Repubblica, ma avevano poco interesse a che funzionasse in senso democratico. Il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi: siamo un Paese retto da un sistema oligarchico».
Allora la democrazia in quanto tale deve essere riconquistata dai cittadini?
«E’ una storia antica: ogni volta che si è arrivati ad un qualche minimo allargamento democratico, zac è arrivata una guerra ad utilizzare le risorse per far crescere il livello democratico della società. Oggi la nazione più ricca e potente del mondo non copre socialmente i suoi cittadini, non si propone l’educazione per tutti: non abbiamo più soldi, siamo indebitati con tutti. Ma il problema dei disoccupati non si risolve con un esercito di un milione di persone. Gli americani si stanno dividendo con determinazione tra gli imperialisti i quali vogliono che il Paese faccia man bassa di tutte le risorse petrolifere esistenti e gli anti-imperialisti, che desiderano la pace e sono per le fonti energetiche naturali».
Lei sostiene che Bush non è un politico, ma il prodotto di una macchina ideologica.
«Ha voluto per gli Stati Uniti due guerre illegittime combattute solo per il petrolio. Sta al suo posto per difendere gli interessi della Carlyle, la società del paparino, e della Hally Burton del suo vicepresidente, Cheney. La sua politica è solo nell’interesse dei ricchi. Pensa che i soldati siano giocattoli suoi, con cui divertirsi senza freno. Li impegna in guerre illegali, cioè preventive e quando ancora non arriva la vittoria ne comincia un’altra nel più assoluto disprezzo dei suoi giocattoli. Quando toccherà alla Siria, rischia di essere il primo Presidente americano a presiedere un ammutinamento. Circa un anno fa, dopo la guerra in Iraq, dissi che la sua fine era segnata: sarebbe stato il Presidente più odiato della storia americana. Debbo dire che ce la sta mettendo tutta per rendere vera questa mia facile previsione».
E allora che cosa prevede ora per le prossime elezioni?
«Kerry è un uomo colto, ha studiato, Bush non l’ha fatto mai. Ormai per gli americani scegliere tra democratici e repubblicani significa schiacciare un bottone per l’uno o per l’altro, senza sapere davvero le differenze che esistono tra i due schieramenti. Dovrebbe comunque vincere Kerry. Anche se c’è il rischio di un immane broglio elettorale , grazie ai sistemi di votazione elettronica».
Il voto via computer è un grosso rischio, un immane punto interrogativo?
«I proprietari dei sistemi elettronici acquistati dall’amministrazione per le elezioni sono repubblicani. Il direttore della Diebold, una di queste aziende, ha detto che si impegnerà perché i voti degli elettori dell’Ohio siano a favore del presidente. Che tipo di “impegno”? Naturalmente la stampa americana si è guardata bene dal parlare di queste possibili frodi elettorali».
Come giudica la sua attuale posizione politica?
«Quella di sempre. Mi considero un liberal così come si può trovare in ogni vocabolario la definizione. Cioè colui che è dalla parte delle leggi e delle politiche che favoriscono ogni tipo di crescita della democrazia».

 

 

Raffaello Uboldi, IL TEMPO
– 20/06/2004

 

Vidal l’anti Bush consiglia agli Usa di ascoltare l’Europa

 


IN QUESTO «Democrazia tradita» Gore Vidal, grande vecchio della cultura nord-americana, conferma d’essere sempre molto severo nei confronti degli Stati Uniti e della classe che vi regna e governa, con affermazioni accettabili, per esempio là dove ricorda che le redini, e il destino della Casa Bianca sono affidate «ad un sistema bipartitico, nelle mani dei grandi poteri economici», se vogliamo di un ceto di grandi famiglie. Ed è per questo che si augura la nascita di un terzo soggetto politico – del quale a dire il vero non si avvertono nemmeno i vagiti – «finalmente alternativo al sistema». Molto più opinabile è invece un’altra affermazione di Vidal, anche per il tono apodittico col quale viene pronunciata; ed è quando, entrando nel merito delle prossime elezioni presidenziali, egli dice che «potrebbe essere in atto una manovra per tentare di falsare i risultati – a favore di Bush – tramite i sistemi di voto elettronico… giudicati assolutamente insicuri da Commissioni ufficiali del Congresso americano», senza rivelare di quali Commissioni si tratta, né quando mai abbiano pronunciato il loro verdetto negativo. Bush? Vidal ne vorrebbe l’impeachment, e una condanna a cinque anni di prigione, perché colpevole di menzogna sulle armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein. Peccato che egli non spenda una parola sugli altri motivi dell’intervento anglo-americano in Iraq: la protezione garantita dal vecchio governo agli adepti del terrorismo internazionale (quegli stessi che vi commettono attentati quotidiani), le mire espansionistiche sui paesi vicini (concretizzatesi in passato con l’invasione del Kuwait) , una dittatura fra le più sanguinarie, tale da meritarle la condanna di ogni paese civile. Il petrolio (metterci le mani sopra) sarebbe stata la sola ragione delle guerre condotte prima in Afganistan e in seguito nell’Iraq. Il che solleva tuttavia una domanda d’obbligo: e l’11 settembre? Sarebbe stata così decisa e violenta la reazione dell’America se uno sceicco demente non avesse deciso di colpirla al cuore? Più convincente torna infine la lezione di Vidal allorché afferma che il dramma attuale potrebbe avere anche un risvolto positivo. Quello di indurre il Nuovo Continente ad ascoltare di più la voce del Vecchio Continente, quell’Europa che gli affari del mondo li conosce e gestisce da tanto. A condizione ovviamente che questa voce abbia voglia di farsi udire. È un libro comunque stimolante, una bella lezione di democrazia.

 

 

Francesco Neri, IL RIFORMISTA
– 29/05/2004

 

Discorso sopra e contro l’Unione di Vidal, l’antipolitico bipartisan

 

Attento osservatore della politica americana e polemista acuto, spesso acido, con il suo spirito critico e con una certa dose di umorismo attacca e fustiga vizi e difetti della società statunitense. Gore Vidal non è solo uno scrittore di successo ma è anche, a volte, un giudice severo e implacabile: il suo ultimo atto d’accusa è Democrazia tradita, discorso sullo stato dell’Unione 2004 e altri saggi (pag. 184, 15 euro), un agile volumetto pubblicato dall’editore Fazi.

Dopo La fine della libertà del 2001 e Le menzogne dell’Impero del 2002, best sellers tradotti in venti paesi, Vidal torna a riflettere sull’America e sulla sua politica interna ed estera.
Democrazia tradita è una raccolta di saggi, dodici mai pubblicati in Italia e due, Discorso sullo stato dell’Unione 2004 e Senza titolo inediti anche in America. Nel primo Vidal riassume la propria visione dell’attuale momento storico della politica statunitense, giudicandolo in modo disastroso. Nel secondo cerca di spiegare i meccanismi che regolano le elezioni presidenziali americane.
Nel Discorso sullo stato dell’unione 2004 Vidal ricorda un suo intervento del ’72, pronunciato quindici volte e poi anche in un programma televisivo di successo condotto da David Susskind, in cui si soffermava sulla crisi dell’ordine pubblico: “Orbene, per la destra ordine pubblico spesso non è che uno slogan che in soldoni significa <>. Quanto alla sinistra faccio doverosamente notare che negli Stati Uniti abbiamo un unico partito politico, il Partito della Proprietà Privata, con due ali destre, quella repubblicana e quella democratica. Dal momento che il mio uditorio è composto perlopiù dai conservatori, abitanti di civilissime località come Medford nell’Oregon, Parkrsburg nella West Virginia o Longview nello Stato di Washington, molti di essi rimangono col fiato mozzo davanti a questa aperta confutazione delle opinioni correnti. Ispirato dalla loro reazione, decido di strizzare le palle ai bianchi razzisti e proseguo: non di rado i repubblicani sono più stupidi e dottrinari dei democratici, mentre questi sono più presentabili, un po’ più corrotti ma più disposti a fare qualche piccola, piccolissima concessione nei riguardi dei poveri, dei neri, degli antiimperialisti…”.
Vidal fa poi notare come dagli anni Settanta fino ad oggi gli Stati Uniti siano arrivati ad avere pro capite un numero di persone rinchiuse in galera maggiore di qualsiasi altro paese, come l’economia malata sia caduta da un pezzo nel dimenticatoio, come circa l’ottanta per cento del lavoro della polizia riguardi la regolamentazione della morale privata e cioè il controllo di cosa bevono, mangiano, fumano e si iniettano nelle vene gli americani. Sesso e gioco d’azzardo sono altri due aspetti della vita americana che le forze dell’ordine tengono sotto controllo con molta attenzione.
Lo scrittore americano si sofferma poi sulle bugie raccontate dal presidente Bush alla nazione e per questo motivo il Congresso dovrebbe procedere all’impeachment, condannandolo a cinque anni e multandolo secondo il False Statement Statute, la legge costituzionale che punisce chi mente al popolo e al Congresso nell’esercizio della propria funzione di membro del governo. Entrando poi nel merito delle prossime elezioni, Vidal fa notare ai lettori come potrebbe essere in atto una manovra per tentare di falsificare i risultati tramite sistemi di voto elettronico, giudicati assolutamente insicuri da commissioni ufficiali del Congresso americano.
Nel secondo saggio Senza titolo l’autore tenta di spiegare come l’America sia abbarbicata a un sistema bipartitico “come la Roma imperiale era attaccata all’istituto repubblicano dei due consoli concepiti come prestanome al fine di contrassegnare gli anni che restavano in carica congiuntamente. I consoli formalmente regnavano ma non erano loro a fare il bello e il cattivo tempo.” I mezzi di comunicazione di massa possono influenzare l’esito elettorale e condizionare la politica di un paese. In America c’è stato un grande movimento spontaneo contro la guerra in Iraq, ma i media americani non ne hanno dato praticamente notizia. “Io stesso – scrive Vidal – ho parlato a Hollywood Boulevard davanti a centomila persone. La stampa ha preteso che lì, quel giorno, non ci fosse praticamente nessuno, ma un redattore sovversivo ha pubblicato una foto dei centomila manifestanti pacifisti scomparsi dai giornali che sfilavano da La Brea a Vine street occupando tutto il manto stradale…”.
Le prossime elezioni presidenziali saranno un nuovo banco di prova per gli americani, elettori e politici: “sarà allora – scrive ancora Vidal – che Dennis Kucinich, il più facondo dei candidati presidenziali di quest’anno, avrà finalmente ciò che gli spetta. Si sta già connotando come il leader di un’alleanza progressista che deve ancora nascere. Naturalmente viene tacciato di essere uomo di sinistra, etichetta che viene affibbiata a ogni conservatore pensante. In realtà non abbiamo mai avuto una sinistra e d’altronde nemmeno una destra, consapevole. Ci dividiamo tra sopra e sotto. E adesso, forse, quelli di sotto stanno salendo sopra.” Insomma per ogni cittadino americano vale il monito di Michael Douglas, riportato sulla quarta di copertina del libro, al giovane manager rampante nel film Wall Street: “Non sarai mica così ingenuo da credere che viviamo in una democrazia, Buddy?”.

 

 

Jacopo Iacoboni, LA STAMPA
– 20/05/2004

 

Vidal a Bush: hai mentito sei volte

 

Mentiamo per tante ragioni, per raggiungere scopi che non possono essere detti, per nascondere verità altrimenti imbarazzanti, per vanità persino, o a volte per non far soffrire chi amiamo. Ecco, secondo il vecchio Gore Vidal George Bush ha mentito per le prime due. Ragioni di potere e anzi, detto con rispetto, addirittura di “intrallazzo”. Perciò alla sbarra “Dabliu”, ne sia chiesto l’impeachment.

Lo fa il vecchio scrittore americano nel suo ultimo pamphlet-raccolta, pubblicato col titolo di Democrazia tradita (Fazi, pp. 185, euro 15) e scritto molto prima di Abu Ghraib e delle videotorture, unica menzogna che non può quindi essere imputata all‚inquilino della Casa Bianca. Tutte le altre, sì. Come, e con quali argomenti?

Prima di rispondere fate un passo indietro. Non affrettatevi a sorridere, davanti al solito vecchio Vidal più antiamerikano ogni ora che passa del suo Sunset boulevard: al netto di tanta polemica condita (anche) con il luogo comune, lo scrittore sta facendo a modo suo un discorso serio. Impeachment? Serio? A esser sinceri la parola impeachment nella rutilante politica italiana evoca subito storia da prima repubblica, tipo la campagna giornalistica di Camilla Cederna che contribuì alle dimissioni anticipate di Giovanni Leone, o tormentoni inconcludenti come quello sull‚ex presidente Francesco Cossiga a causa del suo autodenunciato coinvolgimento nella vicenda Gladio, con il Pds di Occhetto che si spinge addirittura a ipotizzare un governo istituzionale per “salvare la patria dopo l’impeachment a Cossiga”. E in America?

Il lettore che si facesse tornare in mente storie italiane, accostandole magari a qualche considerazione sulle fisse antigovernative dell‚americano Vidal, farebbe spallucce davanti ad analoga trovata per abbattere Bush. Ma commetterebbe un errore: perché la richiesta di Vidal potrà suonare spropositata o politicamente impraticabile; oppure perché, semplicemente, pensa che Bush non è stato in fondo un pessimo presidente. Il fatto è che anche facendo queste tare, il ragionamento di Vidal si svolge poi in forma quasi „costituzionalistica‰: è in base a una atto costituzionale, il False Statement Statute, che lo scrittore (e in definitiva la politica Usa) può chiedere l’impeachment. Alla sbarra “Dabliu”, George Bush ha mentito.

Menzogna uno, il presunto acquisto di uranio in Africa da parte di Saddam Hussein. Menzogna due, le tasse. Bush ha promesso sgravi fiscali per “chiunque paghi l’imposta sul reddito”, ma non è successo. E Vidal cita dati e ricerche. Menzogna tre, la promessa di destinare cinquantamila uomini alla sicurezza aeroportuale, uomini che a detta dello scrittore non sono mai stati visti da nessuno. Menzogna quattro, promettere e non mantenere iniziative ambientaliste “per la salute delle foreste”. Menzogna cinque, un piano globale anti Aids, “dov‚è finito?”. Menzogna sei, il presidente aveva assicurato più assistenza medica ai veterani e invece l’ha tagliata.

Come reagiranno gli americani?, domanda Vidal nelle strette finali del suo ragionamento. E la risposta per paradosso è quasi ottimistica: “tanto per cominciare metà dell’elettorato non va a votare per il presidente”, l‚Iraq sembra sempre più “un costoso errore”, Rumsfeld e Cheney paiono sempre più i due della barzelletta, uno ha spianato il paese così l”altro potrà ricostruirlo. E insomma, ironia della storia proprio “Bush l‚inetto non solo ha dato un senso nuovo all‚inetto partito democratico”, ma ha persino ridato un senso “al nostro sistema politico corrotto”, risvegliando l’altra America dei diritti e delle battaglie civili. Neanche Clinton c‚era riuscito, forse perché mentì molto meno, forse perché lo fece su peccati veniali.

 

Roberto Bertinetti, IL MESSAGGERO
– 08/05/2004

 

Ma i nuovi progressisti sfideranno la lobby petrolifera

 

Negli Stati Uniti, garantisce Gore Vidal, non sono mai esistite differenze davvero significative tra i repubblicani e i democratici. Perché a Washington, precisa nel saggio che apre La democrazia tradita, “al comando c’è sempre un unico partito, il Partito della Proprietà Privata, con due ali destre: una che si definisce repubblicana e l’altra che si proclama democratica”. Nel volume, in uscita da Fazi (pagine 186, euro 15), di cui pubblichiamo un brano tratto dal Discorso sullo stato dell’Unione 2004, lo scrittore raccoglie dieci interventi nei quali analizza la soria americana dell’ultimo mezzo secolo. Che, a suo giudizio, appare condizionata dallo stretto rapporto tra l’establishment politico e le grandi imprese. L’unica differenza tra il passato e il presente, aggiunge Vidal, è costituita dalla scomparsa di un’aristocrazia intellettuale che un tempo riusciva ad essere protagonista della vita pubblica, sostituita ai vertici delle istituzioni da una classe dirigente espressa, senza più mediazioni di alcun tipo, dalle multinazionali del settore energetico. “Ormai siamo guidati da una vera e propria junta petrolifera, visto che Bush viene dall’Harken, Cheeney dell’Halliburton, Condoleeza Rice dalla Chevron e Rumsfeld dall’Occidental”, accusa.
Non c’è, dunque, alcuna speranza che questo rapporto tra le multinazionali e la Casa Bianca possa un giorno spezzarsi? Vidal lascia spazio ad un moderato ottimismo. Sia pure lentamente, testimonia, gli Usa stanno cambiando. I primi segnali sono venuti dalle manifestazioni contro l’intervento militare in Iraq e dai campus studenteschi. Un’America progressista sta dunque alzando la voce ed è impegnata a formare i futuri leader in grado, tra qualche anno, di competere con i candidati al Congresso e alla Casa Bianca espressi dai repubblicani e dai democratici. Quando saranno pronti, assicura Vidal, cambierà anche il corso della politica internazionale. Che, almeno per ora, appare immutato rispetto al 1991, l’anno in cui, spiega con sulfurea ironia, “i russi ci hanno colpito alle spalle, abbandonando il loro impero e lasciandoci con molte idee errate su di noi e, quel che è peggio, sul resto del mondo”.

 

 

Antonio Monda, LA REPUBBLICA
– 24/04/2004

 

Questa America avida e violenta

 

L’America di Gore Vidal è una nazione arrogante, violenta e decadente in cui la democrazia è stata tradita, e forse non è mai esistita. E’ un paese sconfinato quanto la sua ignoranza, che ha nell’imperialismo il suo unico credo e nell’avidità la condizione dominante della propria esistenza. Ma anche una realtà sociale e culturale che ha rappresentato un momento glorioso di libertà per l’intera umanità. La violenza che esprime oggi sia al suo interno che nei confronti degli altri paesi nasce secondo Vidal dalla disperazione etica di chi ha perso la propria anima, ed è sintomatico che Democrazia tradita, pubblicato in anteprima mondiale da Fazi (pagg. 220, euro 14,50), uscirà in America con il titolo Imperial America. United States of Amnesia. Lo scrittore utilizza il consueto sarcasmo per manifestare la propria indignazione, convinto che questa amnesia sia il frutto di un lavaggio del cervello messo in atto dalle lobby più potenti e da politici di ogni colore che ne asserviscono regolarmente gli interessi. I due saggi più recenti della raccolta evidenziano una rabbia crescente per l’appiattimento sostanziale dei due schieramenti politici, e si caratterizzano per la mescolanza tra battute a effetto ed una enumerazione puntigliosa di dati a supporto delle proprie tesi. Lo scrittore smantella ogni passaggio del discorso dell’unione, chiamando in causa il “primo criminale” e la sua “banda” di accoliti, tra cui emergono il “principe delle tenebre” Antonin Scalia (è il giudice della Corte Suprema che ha decretato la sua nomina a presidente) ed il vice Dick Cheney, tirato in ballo per gli interessi della società Halliburton nella ricostruzione dell’Iraq.
Vidal appare sgomento per l’inconsistenza dell’aiuto promesso in favore degli ammalati di AIDS in Africa, e ancor di più per il finanziamento per nuovi macchinari per le elezioni, controllabili molto più facilmente che in passato. Ma ciò che lo inorridisce maggiormente è che un “presidente inetto” abbia l’arroganza di mettere in pratica quello che i romani codificavano in “si vis pacem para bellum”, anche se ricorda bene che fu Teddy Roosevelt ad utilizzare per primo quella espressione in America. Dall’interno di quella che chiama “prigione Enron-Pentagono”, definisce l’idea di guerra al terrorismo assurda come la “guerra alla forfora” e conclude che è dai tempi “dall’attacco del 1846 al Messico per conquistare la California che il governo Americano non è stato così spudoratamente predatorio”.

Democrazia tradita - RASSEGNA STAMPA

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