Dorothy Baker
La leggenda del trombettista bianco
Traduzione di Stefano Tummolini
New York, anni Venti. Tra i club dalle insegne luminose e gli ampere degli studi di registrazione, quello di Rick Martin è un nome che viene pronunciato con rispetto, quasi sottovoce. Degli altri musicisti si dice che sì, sono bravi, ma non sono certo lui, come se il suo talento fosse il metro di paragone per quello degli altri. Sul suo conto girano tante storie: fin da giovanissimo ha sempre frequentato i neri, anche se è bianco, per questo è così indisciplinato; per imparare a suonare marinava la scuola e andava a esercitarsi in una chiesa abbandonata; è stato nientemeno che il grande Art Hazard a insegnargli i segreti della tromba. Voci, dicerie, leggende. Ma chi è davvero Rick Martin?
In quest’affascinante romanzo dalle atmosfere notturne e fumose, ambientato nell’epoca del proibizionismo e dei jazz club e ispirato alla leggendaria figura di Bix Beiderbecke, Dorothy Baker – qui al suo fulminante esordio – accompagna il lettore nel cuore e nella mente di un ragazzino nato nei bassifondi della provincia americana, tra le case fatiscenti di periferia e le backroad che portano verso il nulla, con un dono che è anche un fardello: quello di un talento soverchiante, che ti spinge a non dormire la notte pur di inseguire la perfezione, così schiacciante da lasciarti fuori dalle fila di quelli che la società ha educato, che sanno controllarsi e recitare la loro parte. Una routine in cui rintanarsi, un lavoro regolare, una vita tranquilla – niente di tutto questo interessa Rick, solo la musica. Ma c’è un’altra qualità che sempre dovrebbe accompagnare un’anima con un dono simile, e che Rick non possiede: la capacità di tenere il corpo sotto controllo, mentre lo spirito segue la sua ossessione e le notti passano insonni alla ricerca della melodia definitiva, lanciati verso quell’ultima nota che non può essere raggiunta, soli, affamati, alla deriva, in attesa dell’inevitabile schianto finale.
«La leggenda del trombettista bianco è praticamente perfetto».
«The New Yorker»
«Lo studio lucido, preciso, freddamente razionale di un drogato di jazz. Un grande libro».
«The New York Times»
«Libro meraviglioso».
«London Review of Books»