Neil Jordan

Ombre

COD: 8e6b42f1644e Categoria: Tag:

Collana:
Numero collana:
98
Pagine:
340
Codice ISBN:
9788881126613
Prezzo cartaceo:
€ 14,00
Data pubblicazione:
06-10-2005

Traduzione di Lucia Olivieri

«Mi ricordo benissimo il giorno che sono morta». Queste sono le prime parole di Nina, la protagonista senza corpo di Ombre, il nuovo, straordinario romanzo del poliedrico scrittore e regista Neil Jordan. È stato il suo amico d’infanzia George a decapitarla e poi a buttarla nella fossa settica dietro la casa della donna, nella campagna irlandese, dove nessuno la troverà mai. Privata di un letto di morte e di una degna sepoltura, lo spirito di Nina è relegato nei confini della sua casa, costretto a osservare il mondo dalle finestre della dimora ormai abbandonata dai vivi, incapace di spiccare il volo verso altri mondi. Se è imprigionata nello spazio delle sue quattro mura, Nina è però libera di correre avanti e indietro nel tempo a suo piacimento, al di là delle categorie di passato, presente e futuro della sua memoria. Inizia così il suo spettacolare e irresistibile viaggio a ritroso nella sua infanzia, alla scoperta delle ragioni della sua morte.

OMBRE – RECENSIONI

 

DIVA E DONNA
– 08/08/2006

 

Libri

 

 

 

Dario Cella, L’OPINIONE
– 20/07/2006

 

L’ultimo meraviglioso romanzo di Neil Jordan

 

 

 

Dario Cella, L’OPINIONE
– 20/07/2006

 

L’ultimo, meraviglioso romanzo di Neil Jordan

 

 

 

GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
– 10/06/2006

 

Un romanzo gotico fra Ombre irlandesi

 

 

 

ALIAS – IL MANIFESTO
– 04/03/2006

 

Neil Jordan. Morta che parla

 

 

 

Vanessa Caputo, GIOIA
– 29/11/2005

 

Ricordi d’infanzia

 


“So con precisione quando sono morta. Erano le tre e venti del 14 gennaio 1950”. Sono le prime parole di Nina, l’io narrante che si muove tra presente e passato per aiutare il lettore a far luce sui motivi del suo tragico omicidio. I suoi ricordi di bambina solitaria dalla fervente immaginazione, sempre alla ricerca d’affetto e di attenzioni, si uniscono a quelli degli altri protagonisti: Gregory, il fratellastro ritrovato e troppo amato, i due amici, i fratelli, Janie e George, il suo carnefice. Nell’Irlanda degli scontri religiosi e delle leggende, le voci narranti si inseguono intessendo una trama incalzante in cui la malinconia per l’infanzia perduta e l’illusione di una vita piena di sorprese si mescolano al cinismo dell’età adulta e alla fine dei sogni e delle speranze. L’autore è il regista di “La moglie del soldato” e “Michael Collins”.

 

Neil Jordan, D- LA REPUBBLICA DELLE DONNE
– 07/01/2006

 

IL SAX CHE NON C’E’

 

Camminavo sulla spiaggia e, a un tratto, vedevo sulla battigia pesci e alghe, molluschi e crostacei usciti dall’acqua. Più avanzavo più i pesci diventavano grandi, quasi dei cetacei, e casi a poco a poco realizzavo che la marea si era ritratta per chilometri. Poi, all’orizzonte, vedevo una linea bianca e sentivo un boato terrificante. Era l’onda che tornava con tutta la sua violenza. Allora tentavo di raggiungere la casa sulle dune, ma non ci riuscivo mai. Qualche anno fa, mi capitò di trovarmi nella location irlandese di The Last September, un film diretto dalla regista teatrale Deborah Warner, del quale mi era stata commissionata la sceneggiatura e che avevo anche coprodotto. C’era una vecchia casa del XVIII secolo vicino al fiume Boyne, proprio dove passavo le mie vacanze estive. Quando ho scoperto quella casa, la storia del mio ultimo romanzo, Ombre, è nata da sé. Ho visto Nina Hardy, una ragazzina che dondola su un’altalena vicino al fiume e guarda qualcuno, forse l’amica immaginaria Hester, forse gli spettri che abitano in quei paraggi. Ha una governante che odia e desidera fortemente che muoia. Quando ciò accade davvero, si domanda se sia stato il suo sogno a creare quella realtà. Nina è figlia unica e soffre molto di solitudine. Inventa Hester affinché le faccia compagnia, e via via dà vita a tutta una serie di figure femminili che diventano i suoi angeli custodi.
Quando una delle mie figlie aveva nove o dieci anni, anche lei aveva un universo fantastico e privato. Seduta in una stanza aveva qualcosa come venticinque amiche immaginarie. A ciascuna di loro aveva dato un nome e non potevi camminare per la stanza senza inciampare nei piedi di Jane o travolgere Mary. Ho sempre rispettato questa dimensione: chi ci dice che la cosiddetta realtà non sia pura apparenza? Il sogno è un elemento che mi appartiene, e che compare anche nel mio immaginario cinematografico. Il mio secondo film, The Company of Wolves, del 1984, è una rivisitazione gotica e psicoanalitica della favola di Cappuccetto rosso attraverso il sogno di una bambina. Dreams, del 1999, è la storia di una donna che fa sogni terrificanti e incomprensibili. Ho scritto anche un romanzo, The Dream of the Beast. Credo che un film somigli molto a un sogno. Scrivere una sceneggiatura vuol dire chiudere gli occhi ed entrare nella dimensione del dormiveglia, del sogno a occhi aperti. Le immagini arrivano, tu le catturi e le butti sulla carta. Come con i sogni: li insegui, cerchi di afferrarli e li stringi finché non riesci a cavarne un significato. Il cinema è un mezzo che ha molto a che fare con il sogno: entrambi si basano sulle immagini. Spesso quando sono dietro la macchina da presa e sto costruendo un’inquadratura ho la netta impressione che sto ricreando qualcosa che ho già visto, forse nella mia attività onirica.
Non sogno molto (credo che ciò dipenda proprio dallo stato di continuo dormiveglia cui mi costringe il cinema) ma più o meno ogni quattro anni ho un sogno ricorrente. Me ne ricordo uno di qualche anno fa. Un tempo desideravo da morire un sax soprano. Così, nel sogno, andavo a cercarne uno nella zona di Dublino dove sono concentrati i negozi di strumenti musicali di seconda mano. Camminando per Caple Street vidi una traversa a destra che non avevo mai notato prima. C’era una bottega apparentemente piccola ma enorme all’interno e nel bel mezzo di tanti strumenti un sax soprano d’oro scintillante, bellissimo. Sembrava stesse aspettando me. Non sono mai stato un gran musicista, ma accostando la bocca a quello strumento producevo una musica celestiale. Così chiesi il prezzo al rivenditore, ma era molto più di quanto mi potessi permettere. Gli chiesi allora di tenermi lo strumento per un giorno, ma lui rispose di non poterlo fare. Alla fine stabilimmo che avrebbe aspettato fino alla fine della giornata. Mi precipitai fuori per trovare i soldi, chiedevo prestiti a chiunque, e alla fine tornai in Caple Street ma la piccola traversa a destra non c’era più.
A volte, mentre scrivevo Ombre, mi è venuto in mente che la nostra vita potrebbe essere il sogno di qualcuno che dorme, o di una persona morta o di qualche essere alieno che vive su un altro pianeta. Posso spiegarlo meglio con le parole di Nina: “Ho sognato a volte quell’abate, che dormiva nel frutteto all’interno delle mura di quel monastero che non ho mai visto, oltre il campo d’orzo che invece ho visto, un uomo corpulento su una sedia a sdraio sotto un ciliegio ammantato di fiori tardivi, con qualche petalo che cadeva di tanto in tanto sulla sua testa pelata addormentata, poiché il cappuccio gli era scivolato giù e gli penzolava sulle spalle, nella calda aria estiva in cui ronzavano le api. Era il depositario di un sogno nel cerchio finale dei sogni, ma lui stesso dormiva e dunque non poteva saperlo, e se mi assaliva quel malessere, quel disagio che conoscevo sin troppo bene, quel senso di vacuità, mi consolavo con la possibilità che dopo tutto io non ero altro che il sogno di quell’abate sconosciuto e la mia vacuità era sua”.
Credo sia una fantasia infantile piuttosto diffusa. Anche la letteratura e il teatro l’hanno esplorata a volontà, basti pensare a La vita è sogno di Calderon de la Barca o a certi romanzi di Philip Dick. C’è di mezzo l’illusione dell’umanità sul suo libero arbitrio. Crediamo che le nostre azioni dipendano dalle nostre decisioni. Ma se così non fosse? Non sono per niente convinto dell’esistenza del mondo reale. Credo che anche la morte sarà molto diversa da ciò che ci aspettiamo. Quando Nina viene uccisa all’età di cinquant’anni, riesce a vedere se stessa senza i limiti imposti dallo spazio e dal tempo, come in un gioco di specchi o in un girotondo dell’eterno ritorno. Sopravvive per sempre nella mente delle persone che l’hanno conosciuta e nei suoi ricordi del luoghi che l’hanno vista vivere. Il suo è uno sguardo perenne, senza fine. Non c’è paradiso né inferno. Non c’è aldilà, dopo la morte. Solo un eterno peregrinare a occhi aperti nei luoghi della vita e della memoria.

 

 

Lisa Oppici, GAZZETTA DI PARMA
– 21/01/2006

 

Io sono morta

 

 

 

NEWS
– 02/11/2005

 

Cinque novità in colonna

 


L’autore, regista di La moglie del soldato e Michael Collins, propone ancora una volta una storia ambientata in Irlanda. La voce narrante è quella di una ragazza, Nina, decapitata da un amico che ne ha occultato il cadavere. Incapace di trovare pace, lo spirito di Nina va in cerca della verità.

 

 

TRENTINO
– 05/12/2005

 

Misteri d’Irlanda

 

 

 

Renzo S. Crivelli, IL SOLE 24 ORE
– 27/11/2005

 

Le ombre evocate dal regista

 

 

 

Marilia Piccone, CAFÉ LETTERARIO-LIBRIALICE
– 21/10/2005

 

Neil Jordan – Ombre

 

“Hester. Il nome stesso suggerisce storie più incalzanti, come pagine di un libro illustrato che scorrono rapide. Era annegata attraversando il fiume Boyne gelato, mentre una ragnatela di crepe si apriva nel ghiaccio sotto i suoi stivaletti col tacco. Era morta dando alla luce un figlio illegittimo, era stata seppellita nella fossa dei poveri, si era murata viva nello scantinato tra i mucchi di carbone…”

“So con precisione quando sono morta. Erano le tre e venti del quattordici gennaio millenovecentocinquanta…”: inizia così il romanzo Ombre di Neil Jordan, il primo dopo i dieci anni in cui lo scrittore regista si è dedicato al cinema. E, se vi viene in mente Amabili resti di Alice Sebald, in cui la voce narrante è una ragazzina che era stata assassinata, accantonate l’idea, perché la somiglianza tra i due libri si ferma qui. Nina aveva 53 anni quando è stata uccisa e sappiamo subito che il colpevole è George, l’amico d’infanzia che lavora a giornata da lei come giardiniere, per rientrare la sera in un istituto psichiatrico. “Sono il narratore ideale, che abita l’ora e l’allora, danzando dall’una all’altro”, dice Nina, ed è questa la sensazione che abbiamo leggendo, di librarci lievi in una danza tra il passato e il presente, più sfumato nell’alone dei ricordi il passato, nella magia di un tempo dell’innocenza che non torna più, più carico di tristezza il presente che ha conosciuto perdite e delusioni. Ma non ascoltiamo solo il racconto in prima persona di Nina, alla sua voce si alterna una narrativa in terza persona, come uno sguardo dall’esterno sui fatti del presente e del passato, in cui si inseriscono- a tratti- le voci di Gregory e Jane, gli altri due protagonisti del romanzo. Sono più o meno tutti coetanei, i fratelli George e Jane e i fratellastri Nina e Gregory, cresciuti insieme in Irlanda, condividendo giochi e scoperte nella grande casa dei genitori di Nina, sulle rive del Boyne.
Terra di leggende, di elfi e di fate, l’Irlanda, dove l’ombra di Nina si può identificare con la mitica Boinn, la fanciulla ghermita dal fiume che ha trasformato i suoi capelli in alghe e ha preso il nome da lei, lo stesso fiume in cui si era tuffata Nina bambina per recuperare la sua bambola (un segno premonitore?) e in cui era annegata la sua istitutrice (un altro segno?). E le ombre con cui parla Nina, la bambina ammalata di solitudine prima che Gregory e George e Jane facessero irruzione nella sua vita, acquistano un nome, si chiamano Emily o Hester, vivono di vita propria, diventano presenze reali anche per gli altri. Tanto che George, povero, confuso George, sfigurato dalle ustioni riportate in guerra, racconta di aver ucciso Hester. Invece ha ucciso Nina.
Nina in prima persona può rievocare il calore dell’amicizia, il legame con il padre (c’è uno scambio di battute tra di loro, mutuate da Grandi speranze di Dickens, che diventa un refrain carico di allusioni di complicità: “che risate Pip”/ “che risate Joe”), il sorgere di un affetto più che fraterno per quel fratellastro che è come il suo doppio, il tentativo di amare George al posto di Gregory.
È il racconto in terza persona che colloca gli eventi in una prospettiva più obiettiva, ampliando la scena agli orrori della guerra a Gallipoli, portandola sotto le luci dei riflettori quando Nina diventa un’attrice.

Bellissimo romanzo sullo sfondo dell’Irlanda prima dei Troubles, ricco di poesia, di echi, di luci e di ombre, un romanzo che parla di solitudine e di amicizia, di diversi tipi di amore e di morte nello scenario famigliare e del mondo.

 

Monia Cappuccini, LIBERAZIONE
– 05/11/2005

 

Neil Jordan: “Amo l’horror, è la fantasia che supera la realtà”

 

 

 

Chiara Simonetti, TTL – LA STAMPA
– 05/11/2005

 

Se morir sgozzata è il male minore

 

 

 

Michele De Mieri, L’UNITÀ
– 29/10/2005

 

Neil Jordan: “Anche i fantasmi ricordano. I miei amabili resti raccontano la propria storia”

 

 

 

Fulvia Caprara, LA STAMPA
– 29/10/2005

 

Jordan: “Scrivo romanzi per salvarmi dal cinema”

 

 

 

Cristina Piccino, IL MANIFESTO
– 29/10/2005

 

L’Irlanda gotica dei bambini

 

 

 

LA REPUBBLICA
– 15/10/2005

 

L’Incipit

 

 

 

Irene Bignardi, IL VENERDÌ
– 07/10/2005

 

Io, il padre del vampiro, ho scritto una storia d’amore. E di spettri.

 

DALKEY (Irlanda). Neil Jordan è irlandese, assolutamente irlandese. Eppure, per essere completamente, tradizionalmente irlandese, gli manca una caratteristica tipica degli irlandesi, la cordialità affabulatoria. Neil Jordan è timido. E se gli si pone direttamente la domanda, si ha la rinfrescante esperienza di vedere un signore di cinquant’anni arrossire e ammettere che sì, così è, e lo si vede soffrire un po’a rispondere, a raccontarsi. E quindi si scusa per il fatto di parlare con voce soave e bassissima, lentamente, guardando lontano, al Mare d’Irlanda che infuria sotto le finestre della sua bella casa, in quella che, con qualche ottimismo climatico, viene chiamata la Sorrento Bay, a venti chilometri da Dublino.
Neil Jordan, il regista di Mona Lisa, di Intervista col vampiro e di Fine di una storia, il premio Oscar per La moglie del soldato, il Leone d’oro di Venezia per Michael Collins, oggi parla in veste di scrittore.
Quello che è stato fin dall’inizio della sua carriera, cominciata proprio come narratore. E non c’è da stupirsi: “Gli irlandesi, che sono stati un popolo molto povero, hanno sempre avuto la lingua come unica risorsa, hanno sempre avuto un grande gusto e un grande amore per la lingua, sono fieri della loro tradizione letteraria”. Ed è così che ha cominciato anche lui trent’anni fa: scrivendo racconti, quelli di Night in Tunisia, nel 1976, e poi tre romanzi, The past, The dream of the beast, Sunrise with Sea Monster. Ed è così che continua a fare oggi, tra un film e l’altro, in questo caso approfittando di una lunga pausa in attesa di una produzione da settanta milioni di dollari che non si trovano e che dunque si farà più tardi, il film che la Dreamworks gli ha chiesto di scrivere e che sarà dedicato ai Borgia, e, com’è ovvio, soprattutto a Lucrezia.
Il suo romanzo, uscito da poco nei Paesi di lingua inglese, dopo un silenzio “letterario”di dieci anni, e ora pubblicato in Italia da Fazi, si intitola Ombre, ed è- quasi- una storia di fantasmi.
Neil Jordan preferisce chiamarla “una storia di premonizione”. Ma è vero, dice, che discende dalla tradizione irlandese di Yeats, il cui play Purgatorioè stato una fonte di ispirazione, è vero che ha guardato ai fantasmi di Sheridan Le Fanu e di Bram Stoker, al romanticismo di Elizabeth bowen, e che gli “è piaciuto molto scrivere un libro che nasce dalla letteratura popolare, che appartiene alla tradizione”.
E’anche un libro, questo, che lega Neil Jordan al suo passato e ai suoi ricordi. Il padre era un insegnante, molto versato soprattutto in cose matematiche, molto severo ed austero (in casa non c’era televisione), e mai avrebbe immaginato o sognato che suo figlio – “un pessimo studente”, concede Neil Jordan – diventasse un “artista”. Forse l’assenza di televisione ha contribuito a sviluppare la sua fantasia? Forse. “Quello che è sicuro è che in casa c’era una grande biblioteca, e che ho letto tanto, tantissimo, da Yeats e Shaw a Proust e alle mie amate storie di fantasmi, e che a quell’età sono esperienze che restano”.
Sua madre, invece, era una pittrice, veniva da una famiglia di artisti ed era cresciuta nel paesaggio di un fiume, il Boyne, che con le sue maree e il suo mondo di pescatori e di reti è lo sfondo fisico su cui si muove, in Ombre, la protagonista Nina.
Nina (siamo agli inizi del secolo) vive quindi in una grande casa sul Boyne, figlia di un industriale della pesca (in cui si può ritrovare, dice Neil Jordan, molto del suo nonno materno). Bella ed eccentrica, nutre un profondo, inquietante affetto tanto per il fratellastro quanto per una bambina ed un bambino, e poi ragazzi e poi adulti, che vivono poveramente dall’altra parte del fiume e con i quali forma un gruppo intricato e legatissimo, che attraversa cinquant’anni di vita, di amori, di storia – tra cui, a saldare le vite dei due ragazzi per sempre, l’orrore della battaglia di Gallipoli.
Ma Neil Jordan racconta la sua storia cominciando dalla fine, da una morte violenta che fa incontrare la protagonista con il proprio fantasma, o con la premonizione del proprio futuro, intrecciando in un complesso tessuto di tempi, di punti di vista e di linguaggio le vicende dei diversi personaggi. “Mi piaceva l’idea di una ragazza che vive in una grande casa, che ha tutto, e che un giorno si imbatte in una se stessa più vecchia,che guarda il suo se stessa più giovane, uno spettro che guarda l’immagine della sua giovinezza che guarda il suo futuro”.
Molto letterario, si direbbe, se non fosse una storia avvincente. Sicuramente un libro difficile da tradurre in cinema (“Prometto che non lo faccio, ma se dovessi cedere alla tentazione, Nina sarebbe Julianne Moore”). Apparentemente molto costruito. E invece no, dice Neil Jordan. “Non ho un piano, quando comincio a scrivere. Ho iniziato con il primo capitolo e con un’immagine, quella delle ombre che popolano la nostra fantasia su noi stessi, con un paesaggio, con l’idea della bambina solitaria che trova il fratello quando è troppo tardi. E mi tengo un sacco di tempo per scrivere e per riscrivere e per limare, perché mi piace stare con i miei personaggi, anche se a volte nel mettere in azione la fantasia, mi capita di sentirmi un intruso nelle loro vite, un indiscreto”.
Con questo romanzo Neil Jordan torna, anche, al tema che gli sta a cuore, che gli è stato a cuore in Mona Lisa,in La moglie del soldato,in In intervista col vampiro,nel bellissimo e poco noto Un amore, forse due(traduzione balzana di The Miracle): il tema, come lo definisce lui, delle misplaced affections, dell’amore che va a un oggetto proibito, difficile, doloroso, che sia la call girl di Mona Lisa, il transessuale di La moglie del soldato, la madre a lungo desiderata in The Miracle. Un tema che ritorna anche nel suo nuovo film, di prossima uscita, Breakfast on Pluto, dove, in forma di commedia ironica e tragica, racconta ancora una volta, sulla base di un libro di Patrick McCabe, la disperata ricerca della madre da parte di un ragazzo figlio di un prete, abbandonato, e diventato una splendida signorina transessuale che affronta la vita “come Candide”.
In Ombre, questo singolare romanzo gotico moderno, gli amori misplacedsono tanti e strettamente interconnessi. E la griglia letteraria di riferimento che Neil Jordan si è scelto, assieme a una prosa ricca, sontuosa, immaginifica, è As you like itdi Shakespeare, e la sua Nina, bella, anticonformista e ribelle, è apparentata alla Rosalind dello stesso Come vi piace, “la prima donna moderna, la prima coscienza femminile indipendente”, dice Jordan, che quel playama immensamente.
Ed è percorrendo il tema degli amori misplaced che Neil Jordan si concede e mi concede l’unica battuta del pomeriggio: “Forse il più toccante amore malriposto è quello di Gene Wilder per la pecora armena con gli occhi cerchiati di nero in Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso…”. Verissimo. E, eccezionalmente, Neil Jordan sorride.

 

MONIA GIANNETTI, IL TEMPO
– 17/10/2005

 

Quattro bambini

 

Una casa. Un fiume nella campagna irlandese, che cela tra le sue onde segreti inenarrabili. È il nuovo libro di Neil Jordan “Ombre” (Fazi, 300 pagine, 13.50 euro), che torna a scrivere dopo dieci anni dedicati al cinema e a film indimenticati e indimenticabili come “Michael Collins”, “Intervista col vampiro” ma soprattutto “La moglie del soldato”, per il quale ha vinto un Oscar. E l’incipit di quest’ultimo libro è uno di quelli che non si possono disperdere nell’oblio.
“Mi ricordo benissimo il giorno che sono morta”, sospira Nina Hardy, perché i defunti non proferiscono parole umane, sussurrano. E il racconto di Nina ha i caratteri della tragicità più disperata. E cosa c’è di più tragico se non morire per mano di un amico di infanzia?
Così inizia il libro e, poi, prosegue, anzi, va a ritroso negli anni raccontando la storia di Nina bambina solitaria e della sua amica invisibile, Hester. Sarà l’incontro con i due bambini al di là del fiume, Janie e George, a sottrarla ad un mondo fatto di fantasie e a sancire la morte di quella bambola di stoffa che sarà dispersa nel fiume. Ai tre si unisce presto il fratellastro di Nina, Gregory, ma dopo quel primo incontro per loro non sarà più niente come prima.

Tra i quattro bambini si instaura una relazione morbosa fatta di amicizia e sensualità, ma è soprattutto tra la piccola Nina e Gregory che il rapporto si sublima e si spinge su un terreno dove nulla è più lecito. Lo specchio di questo esclusivo rapporto a due è George, che si innamora perdutamente di Nina e finisce in un baratro da cui non si risolleverà mai più.
Un equilibrio delicatissimo che solo la guerra riuscirà a stravolgere. Janie, destinata a muoversi nell’ombra degli altri tre personaggi, diventerà insegnante. Nina, nonostante il disappunto dei genitori, calcherà le scene dei teatri inglesi ed irlandesi. George e Gregory partiranno per il fronte, un’esperienza che segnerà per sempre le loro vite. Romanzo sui “se” e su ciò che avrebbe potuto essere ma non è stato.
Racconto di un destino disperato e inevitabile, dove la morte è catartica e diventa conditio sine qua non per capire i perché della vita. E se nel suo film, forse il più bello, “La moglie del soldato”, il regista Jordan immagina le possibilità ambigue dell’amore, dove il protagonista in un percorso lacerante mette in discussione la propria identità politica, razziale e sessuale, qui lo scrittore ci aiuta a comprendere le ragioni di un omicidio. Come nel film, anche questa volta vittima e carnefice si confondono, non si tradiscono. E, se solo avesse potuto, Nina forse avrebbe stretto a se il suo carnefice, avrebbe pianto con lui, come avrebbe voluto fare con quel figlio mai nato.

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