In occasione dell’uscita del romanzo Un’estate fa, pubblichiamo in esclusiva per il nostro blog l’intervista all’autore: Stefano Tummolini, scrittore e regista, oltre che traduttore di capolavori come Stoner e House of Cards, che in quest’ultimo lavoro riesce a mescolare gelosie, intrighi, giochi di potere, intrecciandoli in un mistero capace di rivelare il lato oscuro dei personaggi nelle languide giornate di agosto. Il libro è il sequel del film L’estate sta finendo, dalla regia dello stesso Tummolini, a luglio nelle sale.
1. Dove è nata l’ispirazione per scrivere Un’estate fa?
L’idea di scrivere un romanzo legato a L’estate sta finendo l’ha avuta per primo Elido Fazi. Inizialmente ero un po’ scettico, perché mi sembrava di non avere molto da aggiungere rispetto alle vicende raccontate nel film. Poi però ho pensato che avrei potuto immaginare il seguito della storia. Ero molto legato ai personaggi – che avevo ideato insieme a Michele Alberico e Mattia Betti, co-autori della sceneggiatura – e mi divertiva pensare a come si sarebbero comportati al loro rientro a Roma, dopo quel terribile fine settimana. Sviluppare un seguito, inoltre, mi permetteva di esplorare più a fondo il tema della colpa – e della sua rimozione – declinandolo in sette modi diversi, uno per ogni personaggio. Nel film, poi, restava da svelare un enigma: il ruolo che avrebbe giocato Vittorio, il misterioso custode della villa, unico depositario del segreto dei ragazzi. Insomma, c’era un bel po’ di materiale. Mentre riflettevo su questi elementi, mi è tornato in mente un classico che avevo tradotto per voi: La donna in bianco di Wilkie Collins. Si tratta di uno dei primi romanzi “gialli” della letteratura inglese, forse il primo in assoluto ad adottare la tecnica della testimonianza multipla. La storia è raccontata in prima persona da più personaggi, ognuno dei quali fornisce la sua versione dei fatti, spesso entrando in contraddizione con gli altri. Un po’ come accade in Rashomon di Kurosawa, che è tratto a sua volta da un racconto di Ryūnosuke Akutagawa. Lo stratagemma della narrazione a più voci mi permetteva di giocare con la scrittura, variando di volta in volta lo stile, e di comporre un quadro d’insieme molto controverso – inducendo il lettore ad interrogarsi continuamente sulla realtà dei fatti e sulla morale dei personaggi.
2. Dovendo riassumere in poche righe il romanzo, cosa diresti?
È il resoconto di un’indagine condotta in seguito alla misteriosa scomparsa di un ragazzo. Attraverso verbali della polizia, intercettazioni, deposizioni spontanee e interrogatori, si cerca di ricostruire che fine abbia fatto il giovane, dopo aver trascorso un fine settimana al mare in compagnia di alcuni amici.
3. Cosa ti auguri che il libro lasci ai suoi lettori?
Mi piacerebbe che il lettore fosse rapito dal senso di mistero che aleggia nel romanzo, e che i personaggi entrassero per un momento nella sua vita, come dei conoscenti occasionali – più o meno simpatici. Ma vorrei anche che la sua simpatia andasse in particolare ad uno di loro, quello che resta vittima dell’egoismo degli altri, e che rappresenta l’innocenza perduta.
4. Qual è il romanzo che ha “rivoluzionato” la tua vita conducendoti alla scrittura?
Delitto e castigo, per la sua umanità.
5. In che modo essere traduttore e regista ha influenzato il processo di scrittura del romanzo?
Il lavoro del traduttore mi ha insegnato a vagliare le parole, a smontare e a ricostruire le frasi, in vista di un unico scopo: cogliere l’essenza delle cose, la loro verità più nascosta, e cercare di restituirla nel modo più semplice ed efficace. L’esperienza come regista, invece, m’induce a cercare delle immagini che esprimano in modo immediato e sensibile una determinata atmosfera psicologica.
6. Cos’è più difficile: girare un film, scrivere un romanzo, o tradurre un libro?
Senza dubbio girare un film. È un’esperienza più faticosa e complessa, non solo perché più articolata (scrittura, preparazione, riprese e montaggio sono fasi molto diverse l’una dall’altra e tutte ugualmente importanti) ma anche perché comporta l’interazione con tante persone e la gestione di fattori estremamente vincolanti, come il tempo, il denaro, eccetera. Proprio per questo, però, è anche fonte di un’immensa soddisfazione – quando si riesce a portarla a termine.
7. Quali sono le tue tempistiche e la tua metodologia nella scrittura?
In genere parto dalla scrittura di una pagina – non necessariamente la prima, o la più importante – che però mi serve come chiave per fissare un’atmosfera, un concetto, o per individuare un personaggio. E soprattutto per mettermi alla prova – e capire se quello che ho in mente vale la pena di essere scritto. Poi imposto la struttura, attraverso una scaletta più o meno dettagliata. Dopo di che, cerco di essere metodico nella scrittura. Almeno una frase, almeno una correzione al giorno, anche quando tutto sembra perduto.
8. Da traduttore di Stoner e in generale di John Williams, cosa ne pensi del fatto che Matteo Renzi e Gianluigi Buffon hanno dichiarato di aver letto Stoner?
In generale mi fa piacere che Stoner abbia avuto così tanto successo. È un libro talmente anomalo, è confortante che susciti interesse. Buffon è un grande giocatore, non ho idea di che persona sia. Se l’ha letto, buon per lui. Quanto a Renzi, mi auguro che possa suggerirgli che si può dare un senso alla propria vita anche restando nell’ombra.
Stefano Tummolini in una foto di scena dal set del film L’estate sta finendo.