Gore Vidal
L’invenzione degli Stati Uniti
I padri: Washington, Adams, Jefferson
Traduzione di Marina Astrologo
Gore Vidal torna a parlare di storia americana. Stavolta non si tratta di un romanzo ma di un saggio, che negli USA ha ricevuto recensioni entusiastiche ed è stato tra i libri storici di maggior successo degli ultimi anni, con oltre 200.000 copie vendute. Ovviamente, trattandosi di Gore Vidal, questo volume sui padri fondatori non assomiglia a nessun altro che gli americani o gli italiani abbiano letto. Non solo per l’incomparabile eleganza della scrittura; non solo per l’ironia, o persino l’aperto umorismo, con cui Vidal descrive fobie, idiosincrasie e difetti (umani, politici) dei Tre Grandi Padri. Ma anche perché – sono parole di Vidal – «le tante storie delle origini della Repubblica sembrano fissare con aria ebete l’aspetto luminoso di una storia che, più ne sappiamo, più diviene oscura», e ignorano la profezia di Benjamin Franklin (siamo nel 1787) secondo cui la Repubblica americana si sarebbe prima o poi trasformata in tirannia. Per l’autore, questo tempo è quasi arrivato: e attraverso la genesi politica della Costituzione repubblicana – che, come Vidal non si stanca di sottolineare, non è mai stata democratica, ma spiccatamente oligarchica – molti aspetti della cronaca odierna ricevono da questo libro una nuova e sconvolgente luce.
«Dalla pungente penna di Gore Vidal un affresco storico che ripercorre, attraverso i retroscena politici, e le vicende personali dei tre padri fondatori degli USA, la genesi della Costituzione repubblicana».
Brunella Schisa, «il Venerdì di Repubblica»
«Parlando dei tre Grandi Padri degli Stati Uniti, l’autore colpisce la mediocrità di chi oggi è ai vertici della politica americana».
Igor Fiatti, «L’Indice»
«Dissacra impietosamente, con pennellate d’autore e rigorose citazioni dai documenti, i primi tre presidenti, i più universalmente “riveriti”. Eppure il succo che si ricava dalla lettura è l’opposto di quel che potrebbe sembrare a prima vista: erano dei giganti rispetto ai loro successori».
Siegmund Ginzberg, «L’Unità»
– 19/12/2014
Invenzioni e distrazione made in Usa
– 07/02/2008
C’era una volta l’America dei grandi Padri Fondatori
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Gli americani? Privi di empatia e di pietà
– 19/10/2005
News Pagelle
Vidal, sempre pungente, narra episodi di comicità involontaria che hanno come protagonisti alcuni tra i Padri della nazione americana. Per esempio, Thomas Jefferson non si formalizzava affatto ad andare a letto con la sua schiava, ma si guardava be-ne dal renderla libera. “Visto che tut-ti gli uomini sono creati uguali, se vo-lete fare sul serio, signor Jefferson, li-berate i vostri schiavi”.
– 01/10/2005
Salotto
Gore Vidal
scrittore
Perché nel suo ultimo libro ha deciso di occuparsi degli Stati Uniti e delle figure dei padri fondatori Washington, Adams, Jefferson?
Perché le tante storie delle origini della Repubblica sembrano fissare con aria ebete l’aspetto luminoso di una storia che, più ne sappiamo, più diviene oscura.
– 07/11/2005
USA viaggio a due identità
– 07/10/2005
Il presidente Washington: un ragazzo sempre sincero
Adams? “Il più insigne dei dotti”. Jefferson? “La personalità più complessa. Dotato di talento come scrittore, architetto, agricoltore”. Washington? “Il ragazzo che non sapeva dire bugie”.
Dalla pungente penna di Gore Vidal un affresco storico che ripercorre, attraverso i retroscena politici, e le vicende personali dei tre padri fondatori degli Usa, la genesi della Costituzione repubblicana.
– 13/10/2005
L’ultimo atto di accusa di Gore Vidal
– 05/10/2005
Gore Vidal, Abbasso l’Impero
– 05/10/2005
“Contro l’America”
– 06/10/2005
America, le radici tradite
– 03/10/2005
Vidal e i padri traditi dell’America
– 16/09/2005
Da Ravello con furore
Gore Vidal non è allegro. Dopo 32 anni lascia Ravello e La Rondinaia, la sua celebre villa a strapiombo sulla Costiera amalfitana: è in vendita da tempo (vedi box), e i suoi 8 mila libri stanno partendo per la California. E’un addio all’Italia, oltre che a un capitolo appagante della sua vita. La gamba sinistra soffre, gli occhi chiari tradiscono l’affanno, la elegante giacca estiva color tabacco è sgualcita. Ma la memoria è lucida, la voglia di graffiare intatta, e viva la passione per la politica, la storia, l’identità americana. “L’Espresso” ha intervistato il vecchio gentiluomo provocatore: è in uscita da Fazi un saggio acuto e pettegolo, “L’invenzione degli Stati Uniti” (184 pagine, 13 euro), sull’idea di Repubblica presso i padri fondatori Washington, Adams e Jefferson, con molti rimandi all’America di oggi. E il 23 settembre seguirà “La Trilogia dell’Impero”, che riunisce i suoi recenti pamphlet politici.
Mister Vidal, partiamo dalla “profezia di Franklin” lei cara? La Repubblica americana destinata a degenerare nella “corruzione” e nel “governo dispotico”di oggi, il governo Bush, la lobby neocon, i petrolieri?
“Benjamin Franklin era un saggio. Comprendeva la natura dei governi. I padri fondatori temevano due cose: la democrazia, e citavano volentieri la fine della democrazia ateniese, e la tirannia. Volevano la repubblica. Guardarono soprattutto a Roma, con un imperatore eletto: George Washington fu una sorta di Augusto americano. Inclinavano al liberalismo nella definizione nostra: favorire le riforme politiche verso un’estensione dei diritti democratici . Franklin, conscio del fallimento dell’idea democratica in Atene e Roma, fu uno spirito anticipatore”.
Anticipatore e creativo.
“Inventò le banconote essendo uno stampatore: un conflitto d’interessi diremmo oggi”.
La profezia di Franklin preannuncerebbe persino lo scandalo Enron…
“Ho scritto così? Gli scandali sono ricorrenti nella nostra storia. Oggi abbiamo un governo dei Ricchi e Indifferenti. Avremo altri casi Enron anche in futuro. Prendiamo Alexander Hamilton: fu un agente al servizio della Corona inglese e figura come un padre fondatore degli Stati Uniti. La sua dottrina? Nessuno farà nulla di buono per lo Stato e per il popolo se non in base all’interesse personale: il governare è legale al “self interest”, questa è la vera radice della prosperità. Si è visto a vari livelli che non aveva torto. Oggi la questione energetica ha dato la scusa al governo Usa di attaccare il Medio Oriente, puntare alle riserve petrolifere di altre nazioni”.
Gli americani, lei scrive, non sanno la differenza tra Repubblica e democrazia.
“Non la sanno. Perché non gli è stata insegnata la storia. E da quando abbiamo scoperto come si rubano le elezioni presidenziali, è accaduto nelle ultime due occasioni, in Ohio e Florida, non abbiamo più nemmeno una democrazia formale. Le denunce, dentro e fuori il Congresso, sono state ignorate. Se la proprietà dei media è collusa con la proprietà del paese, forget it, lasciamo perdere! Ci sono 75 mila voti in Florida che sono ancora in qualche magazzino, dal 2000, mai contati”.
I media, altro suo cavallo di battaglia.
“Hanno un ruolo venefico. Come il sistema educativo: il modo in cui si insegna la storia americana è privo di realismo, al contrario, è del tutto fantastico. Gli americani non hanno media affidabili né un’educazione di qualità né leader alternativi. L’America, oggi, è come colpita da paralisi”.
A quando daterebbero i primi sintomi?
“Al 1950. Quando Harry Truman inventò il National Security State, militarizzando il paese. Da allora abbiamo ripreso a far politica con le guerre. Eppure, tranne la fase del riarmo atomico, della crisi dei missili, Kennedy, Cuba, l’Urss non fu mai un pericolo reale per il territorio degli Usa”.
Nel 1789 non appariva urgente la politica estera. C’era il partito inglese, Adams e Hamilton, e il partito francese, Jefferson. Ma covava già l’idea dell’unilaterismo?
“Gli americani non partirono per conquistare il Messico o sconfiggere la Spagna, ma per riempire il Continente nordamericano, per poi dedicarsi al commercio, all’industria, alla finanza. Fummo coinvolti dal lungo conflitto tra Gran Bretagna e Francia, invademmo due volte il Canada. Bonaparte ci svendette la Lousiana, del cotone e degli schiavi non gli fregava nulla, noi ne tirammo quattordici stati. La maggior parte degli americani forse avrebbe voluto rimanere britannica, ma insieme chiedevano la “representation” parlamentare. E’una lunga storia…”.
La dottrina di Bush e dei neocon rilancia da alcuni anni un’idea di isolazionismo americano. Quanto potrà durare?
“Poco. Siamo prossimi alla bancarotta. Viviamo sui nostri debiti. Anche in passato si finanziarono avventure militari con denaro prestato. Per organizzare un esercito di un milione di uomini e invadere qualche paese petrolifero stampiamo buoni del tesoro. Ma oggi non arrivano più entrate fiscali: solo la middle class ancora paga, senza ricevere servizi; pagano i ricchi e le grandi corporation non pagano quasi più tasse sui loro profitti. Ma un Impero per espandersi va nutrito, altrimenti rischia l’entropia. Paul Kennedy, lo storico, ha paragonato la fine dell’impero britannico con la prossima fine del nostro”.
Lei insiste col termine impero, non si sarà fatto nuovi amici a Washington…
“Non m’interessano quegli amici. I neocon hanno contribuito a distruggere la nazione. Vede, io conosco la storia. I neocon sono tutti recensori di libri. Non uno che sia diventato un buon autore, un economista, un banchiere. Macchè: recensori. Gruppuscoli, tipo il Cato Institute, che predicano l’imperialismo a politici corrotti. E molti erano trotzkisti, da giovani. Passarono ai conservatori perché c’era più denaro da spillare. Portare ordine e democrazia al Medio Oriente! Con un gruppo di recensori finiti all’estrema destra!”.
Non è bizzarro che il governo Usa all’improvviso chieda aiuto all’Europa dopo New Orleans? Alla vecchia debole pavida Europa?
“Bizzarro, forse. Ma prima di questo: non abbiamo i mezzi, le infrastrutture per assistere la Lousiana. E le vittime sono di nuovo gli afro-americani”.
Una tragedia di minoranza, dei poveri e dei neri, può indebolire il governo?
“In un Paese normale il governo cadrebbe. Ma noi non siamo un Paese normale. Il primo potere sono i media, che manipolano tutto. I pamphlet ottocenteschi cambiavano la realtà, ma lentamente; nell’era televisiva sono processi rapidissimi”.
E’sempre convinto che non vi sia opposizione, negli Stati Uniti? E che i democratici come partito siano inesistenti?
“Il sistema “checks and balances” è in crisi profonda. Ma io dato la crisi del partito democratico a Lyndon Johnson. Non è bastata la brillantezza di Bill Clinton a recuperare la base storica dei democratici”.
Non dà una chance nemmeno a Hillary?
“Non credo proprio. Lei è per la guerra. Non puoi essere perla guerra e rappresentare il vecchio partito democratico. Sulla guerra lei parla come un repubblicano. Il Paese reale è contro la guerra e anti-imperiale dai tempi di Wilson, di Roosvelt. L’80 per cento del popolo americano era contrario all’intervento in Europa, durante la Seconda guerra mondiale. Me lo ricordo bene, ero a scuola a New England, mio nonno era un leader dei democratici isolazionisti”.
Dal punto di vista dell’Europa fu un bene che prevalesse Roosvelt…
“Indubbiamente”.
Ma oggi? Esportare la democrazia è uno slogan affascinante…
“E’un’assudità. Ci hanno provato britannici e francesi quando erano Imperi coloniali. Ma oggi in Asia, in Medio oriente no. Non funziona. Non ci credo”
– 28/09/2005
La tirannia di George Bush
– 27/09/2005
Non chiamatela democrazia
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Un fallimento l’invenzione dell’impero Usa
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Eppure io ve l’avevo detto
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Il veleno di Vidal sull’America delle menzogne
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“L’invenzione degli Stati Uniti” nelle pagine ironiche di Vidal
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“Ve la spiego io l’America”
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Gore Vidal: “Democrazia negli Usa? Un parolone!”
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Ma quale democrazia! L’America è tiranna!
– 21/09/2005
Vidal: l’America è cloroformizzata, preferisco l’Italia
– 21/09/2005
Quando l’America smarrì se stessa
Dopo aver raccontato e denunciato, con un’attenta analisi, la realtà anche politica degli Stati Uniti negli ultimi anni, Gore Vidal torna al racconto storico, con un saggio sui padri fondatori, dal titolo “L’invenzione degli Stati Uniti. I Padri: Washington, Adams, Jefferson” (Fazi Editore, euro 13,00).
Un libro sulla storia americana che mette in luce anche i retroscena degli ambienti politici, aspetti intimi dei fondatori della Costituzione americana, idiosincrasie, piccole fobie, ma, soprattutto, la grandezza dei loro valori, in tempi in cui il popolo americano sembra aver perso il senso della propria identità costruita, negli anni, a fatica. Da qui l’esigenza di Vidal di guardare al passato per capire ancora una volta il presente.
“Le Istituzioni americane stanno vivendo un brutto periodo – spiega – ho pensato per questo che fosse giusto tornare alle radici per vedere come è iniziato tutto e cosa abbiamo perso”. E così attraverso la storia della formazione degli Stati Uniti, si scoprono anche i problemi quotidiani di Hamilton, di Jefferson, le trame politiche e le grandi virtù di uomini impegnati a costruire un paese nuovo e libero. Tra un passo storico e un altro, con ironia si apprende, ad esempio, dei problemi di George Washington con la madre che richiedeva sempre più denari al figlio per il suo sostegno, piccoli screzi che dimostrano come “tutti i grandi uomini, litigavano con la madre”, commenta Vidal. Grandi uomini del passato di fronte ai quali, gli uomini politici americani di oggi sono “dei nani di fronte a dei giganti”.
Attraverso la genesi politica della Costituzione, Vidal sottolinea come in realtà, questa non sia stata mai democratica ma oligarchica. È vero anche che gli uomini politici di allora non dissimulavano il loro interesse per il potere e racconta Vidal: “Gli interessi personali hanno sempre forgiato il Governo, ma a proposito Hamilton disse, perché non usare questo interesse trasformandolo in energia positiva per il paese?”. Dalle parole di questi grandi uomini un messaggio per il presente: “È molto facile perdere la Repubblica – afferma l’autore – volevo spiegare come è stata inventata, costruita, per farne capire anche le debolezze intrinseche che potrebbero ogni giorno portare alla sua distruzione”. Soprattutto di questi tempi, in cui l’America è sconvolta dalla tragedia dell’uragano Katrina: “La tragedia ha dimostrato chiaramente l’indifferenza del governo americano verso il proprio popolo – commenta – e la gente è arrabbiata, se ne sta rendendo conto”.
E a chi parla di tragedia in qualche modo voluta risponde: “non credo alla teoria della cospirazione. Non c’è abbastanza materia grigia nel Governo per poter cospirare, contro niente e nessuno”. Confrontando ancora passato e presente sottolinea: “questi eroi del passato al tempo erano superiori alla media, gli uomini politici di oggi non solo sono inferiori a loro, ma anche alla media nazionale”. Il vero problema comunque per Gore Vidal è nell’informazione: “I media in America sono veramente corrotti, è per questo che l’informazione è carente, basti pensare che il 70% degli americani pensa che sia Saddam Hussein il responsabile dell’11 settembre, che poi è la motivazione che Bush ha usato per andare illegalmente in guerra”.