Michel Onfray

Trattato di ateologia

COD: f1b6f2857fb6 Categorie: , , Tag:

Collana:
Numero collana:
117
Pagine:
224
Codice ISBN:
9788881128884
Prezzo cartaceo:
€ 9,00
Data pubblicazione:
09-09-2005

Traduzione di Gregorio De Paola

Dio non è affatto morto, o se lo era è ormai nel pieno della sua rinascita, in Occidente come in Oriente. Di qui l’urgenza, secondo Onfray, di un nuovo ateismo argomentato, solido e militante. Un ateismo che non si definisca solo in negativo, ma si proponga come nuovo e positivo atteggiamento nei confronti della mia vita, della storia e del mondo. L’ateologia (il termine è mutuato da Bataille) deve in primo luogo avanzare una critica massiccia e definitiva ai tre principali monoteismi, poi proporre un deciso rifiuto dell’esistenza del trascendente e promuovere finalmente, dopo millenni di trascuratezza, una cura per “il nostro unico vero bene: la vita terrena”, il benessere e l’emancipazione dei corpi e delle menti delle donne e degli uomini.
Ottenibile solamnte attraverso una “decristianizzazione radicale della società”. Un libro di grande potenza e leggibilità, che continuerà a far discutere e ad appassionare migliai di lettori, infastiditi dalla retoricare filoreligiosa e neospiritualista che domina negli ultimi anni il dibattito intelluttuale e politico italiano. Trattato di Ateologia ha ottenuto un successo straordinario in Francia e in Italia ed è stato tradotto finora in diciotto paesi.

TRATTATO DI ATEOLOGIA – RECENSIONI

 

Roberto Carnero, L’UNITÀ
– 15/08/2008

 

Contro la Chiesa una guerra a colpi di “cut up”

 

 

 

Paolo Bianchi, IL GIORNALE
– 27/03/2008

 

ATEISMO

chi è senza Dio scagli il primo libro

 

 

Roberto Carnero, L’UNITÀ
– 18/01/2008

 

Laici e cattolici, provare a dialogare oggi è ancora possibile

 

 

 

Roberto Carnero, GAYNEWS.IT
– 18/01/2007

 

LAICI E CATTOLICI, PROVARE A DIALOGARE OGGI è ANCORA POSSIBILE

 

Gaynews.it

 

 

Esiste la possibilità di un dialogo sereno tra cattolici e laici nel nostro Paese? A giudicare dalla cronaca di questi giorni, la risposta a questa domanda parrebbe negativa. Ma il problema non è nuovo e l’episodio della controversa presenza di papa Ratzinger alla Sapienza di Roma è solo l’ultimo evento di una lunga serie. Si pensi a cosa è successo nel 2005 con i referendum sulla fecondazione assistita o, più di recente, alla questione del riconoscimento giuridico delle coppie di fatto o anche a un episodio, forse più marginale ma certamente molto indicativo, come quello dell’emendamento antiomofobia.

Vere e proprie «guerre di religione», che nascono da una sensazione diffusa nell’opinione pubblica: sembra che le gerarchie ecclesiastiche non siano in grado di cogliere le domande della società e che, a proposito delle questioni più difficili, preferiscano trincerarsi dietro un rassicurante no. Rassicurante per loro, ma decisamente problematico per chi stenta a vedersi riconoscere dei diritti a cui legittimamente aspira o per chi teme, come è avvenuto con i professori della Sapienza, per la libertà della ricerca scientifica.

Se però ci si avvicina alla concreta realtà delle comunità ecclesiali, si respirano sentimenti diversi. A proposito del Gay Pride del 2000, che oltre Tevere si sarebbe preferito vietare nella città del giubileo, quando l’allora ministro degli Interni Amato pronunciò l’infelice frase (a sua detta ironica) «purtroppo c’è la Costituzione», ebbi l’occasione di parlare con una suora benedettina, la quale era molto amareggiata dalla mancanza di carità dei suoi superiori (e dei politici a loro troppo devoti). Qualche giorno fa un parroco milanese, con il quale parlavo di questi temi, mi dice testualmente: «Non è affatto vero che le coppie omosessuali siano “intrinsecamente disordinate” (come recita il magistero papale, n.d.r.). Nella mia esperienza pastorale ho potuto constatare quanto amore fedele e quanta dedizione reciproca ci siano, nelle difficoltà della vita, da parte di queste persone». E anche i preti che operano nelle strutture sanitarie sono in genere molto più possibilisti sull’apertura alla ricerca scientifica. Evidentemente chi vive in mezzo alla gente, e non nelle ovattate stanze, non si rifiuta di aprire gli occhi, esercitando le virtù cristiane dell’ascolto e dell’accoglienza.

Tuttavia la persistente tabuizzazione di situazioni e esperienze esistenti pesa. Soprattutto sui credenti, dando origine a pesanti problemi di coscienza, ma infastidisce anche i laici, che vedono un’autorità religiosa intervenire inopportunamente nel dibattito politico e scientifico, con i suoi «diktat» e i suoi «non expedit». Non stupisce quindi, negli ultimi anni, il fiorire di una vasta pamphlettistica anti-cattolica. Penso a libri come quelli di Piergiorgio Odifreddi, Perché non possiamo essere cristiani (Longanesi) o anche a titoli tradotti dall’estero come Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa (Einaudi) del giornalista inglese Christopher Hitchens, L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere (Mondadori) di Richard Dawkins, professore a Oxford, o il fortunato Trattato di ateologia (Fazi) del francese Michel Onfray. Libri, gli ultimi tre, non dedicati esclusivamente al cristianesimo, ma in cui questa religione (in particolare nella sua declinazione cattolica) riveste un ruolo importante per l’argomentazione accusatoria.

Da parte cattolica si è reagito in maniera stizzita a questi attacchi, che invece possono aiutare i credenti a compiere un esame di coscienza sulle storture a cui può portare la fede, quando si allontani dal centro del messaggio evangelico. Certo, l’impostazione del discorso in questi casi è estremizzata e non si è disposti a concedere che nella religione possa esservi alcunché di buono. Ricordo quando alcuni anni fa feci un’intervista allo scrittore inglese Hanif Kureishi per un settimanale cattolico. A una mia domanda sulla sua visione della religione, Kureishi mi rispose che per lui le religioni producevano solo danni. Insistendo un po’, gli chiesi se non pensava che quando la religione insegna ad amare il prossimo o a essere onesti, si potesse concedere che qualcosa di buono essa in fondo determina. Mi risponde Kureishi: «Vede, io non odio nessuno in maniera particolare e quando me ne andrò da questo hotel pagherò il conto, senza bisogno che me lo dica il Papa». Insomma, anche per lui nulla di buono nel credere.

In ambito cattolico non sono mancati analoghi titoli di difesa e arroccamento sul proprio catechismo: si vedano, per fare un solo esempio, i volumi di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, Catholic Pride. La fede e l’orgoglio o Contro il logorio del laicismo moderno (entrambi pubblicati da Piemme), simpatici nei titoli e nella scrittura brillante, ma nella sostanza decisamente preconciliari e poco concilianti.

Ma a parte i laici e cattolici «arrabbiati», è possibile un confronto tra queste due componenti fondamentali della nostra cultura? In altre parole, è possibile una diversa impostazione del problema? Forse sì, se la Chiesa mostrasse un volto diverso da quello che negli ultimi tempi sembra proporre continuamente. E se manifestasse una volontà sincera di realizzare quanto Paolo VI annunciava in un discorso del luglio 1969: «Avremo un periodo nella vita della Chiesa, e perciò di ogni suo figlio, di maggiore libertà, cioè di minori obbligazioni legali e di minori inibizioni interiori. Sarà ridotta la disciplina formale, abolita ogni arbitraria intolleranza, ogni assolutismo; sarà semplificata la legge positiva, temperato l’esercizio dell’autorità, sarà promosso il senso della libertà che tanto interessò la prima generazione cristiana quando si seppe esonerata dall’osservanza della legge mosaica» (la citazione è tratta dal volume Nel cono di luce del Concilio, Ist. Paolo VI – Ed. Studium). Quanto sarebbe bello se oggi in Vaticano si parlasse questa lingua, e non un’altra che ci suona straniera.

Per fortuna non mancano nella Chiesa di oggi i fermenti positivi. Fermenti che si colgono anche in alcuni libri, come quelli del monaco benedettino tedesco Anselm Grün. L’ultima sua opera è da poco in libreria per le Edizioni San Paolo. Si intitola La fede dei cristiani spiegata ai non cristiani e già in questo enunciato c’è tutta la disposizione al dialogo e al confronto che è propria di questo autore. Un libro che si propone di parlare del contenuto della fede non in modo teorico, ma tenendo conto – scrive l’autore – «del modo in cui affronto la mia vita da cristiano e di quello che “attraversa la mia strada” giorno per giorno». Continua Grün: «Non offro qui un libro di dogmatica, inteso a presentare i contenuti essenziali della fede cristiana o le dottrine principali della Chiesa; cerco piuttosto, a partire dai miei sessantun anni da cristiano, di rendere conto di quello che significano per me Gesù Cristo e la fede cristiana. Nel farlo mi lascio guidare dall’ammonimento di san Pietro: “Pronti sempre a dare una risposta a chi vi chiede il motivo della vostra speranza, con mitezza e rispetto, con una coscienza retta (1Pt 3, 15-16)”». E sullo spinoso problema del rapporto tra etica laica ed etica religiosa scrive: «In quanto cristiani, invece di porci su un piano superiore rispetto agli altri, dovremmo rielaborare insieme con le altre religioni l’ethos di cui l’umanità ha bisogno oggi, nell’epoca della globalizzazione, per poter vivere per sempre nella pace, nella giustizia e nel rispetto del creato». Dunque, fede come sinonimo di libertà, e non di costrizione autoritaria.

 

IDEE
– 01/01/2007

 

M. Onfray

 

 

 

Giuseppe Scaraffia, IO DONNA
– 26/05/2007

 

Se un ateo incontra un dandy

 

 

 

Antonio Carioti, ANTONIO CARIOTI
– 02/12/2006

 

Il ritorno degli atei

 

 

 

Pino Bertelli, LE MONDE DIPLOMATIQUE
– 01/07/2006

 

Iconoclasti

 

 

 

NUOVA SECONDARIA
– 01/05/2006

 

Ateismo, cristianesimo e società

 

 

 

IL REGNO
– 15/03/2006

 

Trattato di ateologia

 

 

 

Fabrizio Coscia, IL MATTINO
– 24/03/2006

 

Onfray, il crociato ateo

 


“LE MONDE” lo ha definito il “filosofo-star crociato dell’ateismo”. E l’accoglienza che ha ricevuto ieri, a Napoli, Michel Onfay, autore del best-seller Trattato di ateologia (Fazi editore) è stata effettivamente di quelle che di riservano di solito ai divi dello spettacolo. Sala stracolma, posti in piedi e tantissimi fan costretti a restare fuori, per motivi di sicurezza, al Pan (Palazzo delle Arti di Napoli), dove il filosofo francese ha inaugurato la II edizione del festival “L’Arte della felicità”, che quest’anno ha come tema “L’esperienza del dolore”. E di dolore ha parlato, nella sua lezione sul cinismo (inteso come scuola filosofica), anche Onfray, che sarà oggi alla Feltrinelli di Piazza dei Martiri (alle 18). Ateo militante, Onfray è uno degli intellettuali francesi più discussi, per la radicalità delle due tesi, che ha sostenuto anche ieri, fin dall’inizio: “Mi fa piacere vedere tanta gente riunita per sentir parlar male del cristianesimo”, ha detto, sorpreso dalla folla accorsa per ascoltarlo, al punto che ha dovuto raggiungere la sala dal retro del Pan.
<B>br> “Il cristianesimo ha sempre visto nel dolore una virtù. Al contrario, partendo da una prospettiva edonistica, io credo che nel dolore non ci sia alcun valore. Per questo sostengo la necessità di una bioetica libertaria e post-cristiana, che arrivi a sopprimere del tutto il dolore. È quello che propongo in un mio saggio intitolato <>Féeries anatomiques, dove sostengo l’ingegneria genetica, la clonazione terapeutica e l’eutanasia. Ho scritto questo libro quando la mia compagna si è ammalata di un tumore al seno. Mi sono accorto che la società occidentale ha ancora un’idea medievale del corpo cristiano, soprattutto rispetto alla donna. Perché mutilare, quando la bioetica potrebbe evitarlo? Di qui la necessità di decrisitanizzare il corpo e di rifiutare la difesa del dolore, in qualsiasi caso”.
Mentre lei sponsorizza laidamente il kit dell’eutanasia, un ministro del governo italiano, esponente di un partito d’ispirazione cattolica, ha contestato le leggi olandesi in materia con parole molto pensanti, equiparando la “dolce morte” al nazismo.
“È assurdo che il cattolicesimo azzardi questo tipo di associazione, visto che è stato complice del nazismo durante il terzo Reich, e considerato che Pio XII non ha fatto nulla per ostacolare le deportazioni degli ebrei, che non ha mai scomunicato Hitler e che il Mein Kampf non è mai stato messo nell’Indice dei libri proibiti, mentre ci trovi Bergson e Simone de Beauvoir. L’eutanasia di cui sono sostenitore presuppone che si conceda la morte a chi ne fa richiesta e non mi risulta che i nazisti facessero lo stesso”
Quale legame c’è tra il cinismo e l’arte della felicità?
“Esistono due tipi di cinismo: il primo è quello relativo ai seguaci della scuola filosofica di Diogene, che rifiuta i beni materiali, il secondo è di chi ostenta indifferenza per i valori morali,. Il vostro Berlusconi, ad esempio, è un cinico del secondo tipo, mentre la bioetica a cui penso è del primo: una bioetica che favorisca la felicità attraverso l’odio della morte e la soppressione del dolore”.
Ha incontrato difficoltà nella promozione del suo libro in Italia?
“Amo molto l’Italia, ma voi avete la disgrazia di avere il Vaticano in casa. Rispetto alla Francia, dove c’è la repubblica, siete un po’ pù indietro e avete una strada più lunga da fare. Così mi è capitato di dover fare una lettura pubblica a Roma, non lontano dal Vaticano, ma alla fine il Comune non mi ha dato il permesso. Con il mio editore stiamo cercando di organizzare una manifestazione meno provocatoria, magari a Campo dei Fiori, luogo tristemente simbolico della cristianità”.
Com’è nata l’idea di scrivere un trattato di “ateologia”?
“L’ho scritto spinto dalla rabbia, e per dimostrare che l’ateo non è semplicemente colui che sostiene l’inesistenza di Dio, ma chi afferma che Dio è una finzione, tanto quanto lo sono Madame Bovary o Babbo Natale. E anche per spiegare che cosa si nasconde dietro questa favola”.
Come spiega il successo del suo libro?
“Viviamo in un mondo dominato dall’ideologia giudaico-crisitana, mentre il terzo grande monoteismo, l’Islam, continua a crescere. Se il mio libro ha avuto successo vuol dire che ci sono molte persone che condividono il mio grido di allarme contro le religioni”.

 

Ilario Galati, COOL CLUB
– 01/04/2006

 

Trattato di ateologia

 

In uno dei periodi più oscuri e difficili per il libero pensiero,ecco un agile libello che rappresenta la classica boccata d’aria fresca. Il filosofo Michel Onfray, fondatore dell’Università Popolare di Caen, è l’autore di questo breviario irreligioso che, senza falsi pudori, punta a decostruire i tre monoteismi partendo dall’unica arma ancora disponibile, la filosofia. Profondamente libertario, lo scritto di Onfray è ricco di spunti e citazioni storiche, senza che questo impedisca all’autore una sana e caustica ironia contro la nevrosi infantile dell’umanità”. Cattolicesimo, Ebraismo e Islam, in barba allo scontro di civiltà, hanno più punti in comune che differenze: la sottomissione, il gusto macabro per la morte, la castità, la necessità di creare un aldilà che giustifichi una vita di privazioni e sacrifici. Così, la costruzione teologica si mostra in tutto il suo traballante concentrato di pensiero antistorico e antifilosofico, a partire da una costruzione della vita che è patimento e rigetto dei piaceri, ma anche obbedienza e abdicazione del pensiero in luogo di una credenza fondata su libri che si contraddicono pagine dopo pagina, che narrano storie palesemente false, cariche di significati ambigui (basti pensare alla sessualizzazione forzata della favola di Adamo e Eva). Ecco come la reiterazione di una somma di errori sia finita per diventare un corpus di verità intoccabili.

 

IL FOGLIO
– 14/04/2006

 

L’ateologo Onfray

 

 

 

IL FOGLIO
– 14/04/2006

 

L’ateologo Onfray

 

 

 

Giulio Gargia, LEFT
– 20/04/2006

 

Diavolo di un Onfray

 

 

 

Ilario Galati, WWW.COOLCLUB.IT
– 05/04/2006

 

Michel Onfray, Trattato di ateologia

 

In uno dei periodi più oscuri e difficili per il libero pensiero, ecco un agile libello che rappresenta la classica boccata d’aria fresca. Il filosofo francese Michel Onfray, fondatore dell’Università Popolare di Caen, è l’autore di questo breviario irreligioso che, senza falsi pudori, punta a decostruire i tre monoteismi partendo dall’unica arma ancora disponibile, la filosofia. Profondamente libertario, lo scritto di Onfray è ricco di spunti e citazioni storiche, senza che questo impedisca all’autore una sana e caustica ironia contro ‘la nevrosi infantile dell’umanità’. Cattolicesimo, Ebraismo e Islam, in barba allo scontro di civiltà, hanno più punti in comune che differenze: la sottomissione, il gusto macabro per la morte, la castità, la necessità di creare un aldilà che giustifichi una vita di privazioni e sacrifici. Così, la costruzione teologica si mostra in tutto il suo traballante concentrato di pensiero antistorico e antifilosofico, a partire da una costruzione della vita che è patimento e rigetto dei piaceri, ma anche obbedienza e abdicazione del pensiero in luogo di una credenza fondata su libri che si contraddicono pagina dopo pagina, che narrano storie palesemente false, cariche di significati ambigui (basti pensare alla sessualizzazione forzata della favola di Adamo e Eva). Ecco come la reiterazione di una somma di errori sia finita per diventare un corpus di verità intoccabili.

 

CITY
– 23/03/2006

 

Qualche lezione su “L’arte della felicità”. Michel Onfray inaugura l’originale festival

 

Onfray, 46 anni, ateo militante, in Francia è un caso culturale: fondatore dell’università Popolare di Caen, è autore di una trentina di libri tradotti in 14 lingue e centrati su idee libertarie ed edoniste ma anche impegnate sul piano etico. Tra gli ospiti internazionali anche il “padre” de “L’arte della felicità”, lo psichiatra americano Howard Cutler, autore dell’omonimo libro scritto insieme al Dalai Lama. Diversi i luoghi della cittàcoinvolti: oltre il Pan, Ville Poignatelli, l’Idstituto per gli Studi filosofici, la Città della scienza, l’Istituto “Grenoble”, la Feltrinelli, il Modernissimo, Palazzo Degas. Sul tema “il dolore delle donne” si confronteranno la scrittrice palestinese Suad Amiry, la regista israeliana Angelica Edna Calò Livnè e la sociologa indiana Renuka Singh. Trai protagonisti della quattro giorni anche lo psicobiologo Jean CLaude Badare, la psicanalista Tonia Cancrini, il teologo Gennaro Matino, il filosofo Sebasiano Maffettone, l’etologo Giorgio Celli, i medici specialisti in terapia del dolore Vincenzo Montone e Francesco Campione. Al Modernissimo sarà proiettare un’intervista a Palden Gyatso, la ma tibetano che ha trascorso 33 anni nelle carceri comuniste cinesi. Il regista Mimmo Calopresti presenterà il suo film “Volevo solo vivere”. Chiuderà la manifestazione la letteratura drammatizzata de “Il cappotto” di Nikolai Gogol, con Roberto De Francesco, a cura di Pappi Corsicato, domenica alle 18, al Duel Beat.

 

Mario Rovinello, ROMA
– 24/03/2006

 

L’ateologia per liberarsi dalle paure

 

 

 

Luigi Mosca, IL CORRIERE DEL MEZZOGIORNO
– 24/03/2006

 

Onfray: “Perché non possiamo dirci cristiani. Né musulmani”

 

 

 

IL DENARO (DENARO.IT)
– 23/03/2006

 

Onfray svela L’Arte della felicità

 

L’autore del best seller “Trattato di Ateologia”, il filosofo francese Michel Onfray, apre oggi al Palazzo delle Arti di Napoli (Pan) la seconda edizione de “L’Arte della felicità” con la lezione magistrale “Per un’estetica cinica”.

Michel Onfray, 46 anni, ateo militante, è un caso culturale in Francia: fondatore dell’Università popolare di Caen che dispensa corsi di filosofia a centinaia di persone di ogni età e ceto sociale, è autore di una trentina di libri tradotti in quattordici lingue e centrati su idee libertarie ed edoniste ma anche fortemente impegnate sul piano etico.
Dopo il successo italiano di “Trattato di Ateologia” l’editore Fazi pubblicherà in autunno anche “Teoria del corpo amoroso”.
Tra gli ospiti internazionali che giungeranno in questo fine settimana a Napoli anche il “padre” de “L’arte della felicità”, lo psichiatra americano Howard Cutler , autore dell’omonimo libro scritto insieme al Dalai Lama (nelle classifiche Usa per 97 settimane) seguito poi da “L’arte della felicità sul lavoro”, entrambi tradotti in 40 lingue.
Howard Cutler, che sta lavorando a “L’Arte della felicità in un mondo difficile”, tiene la sua lezione magistrale a Napoli domenica 26 marzo nella giornata finale della manifestazione.
L’Arte della felicità, dedicata quest’anno al tema del dolore, è una manifestazione ideata da Luciano Stella e Francesca Mauro, organizzata dalle Associazioni Achab e Shiné e dalla Soprintendenza Speciale al Polo Museale di Napoli, con il sostegno di Regione Campania, Comune e Provincia di Napoli, Ente provinciale per il Turismo.
Diversi i luoghi della città coinvolti: oltre il Palazzo delle Arti di Napoli, Villa Pignatelli, l’Istituto per gli Studi Filosofici, la Città della Scienza, l’Istituto di Cultura Francese Grenoble, la Feltrinelli, il Modernissimo, palazzo Degas, che ospiteranno lezioni magistrali, dialoghi, meditazioni all’aperto, spettacoli, proiezioni, ad ingresso libero.

 

Dario Pappalardo, LA REPUBBLICA NAPOLI
– 23/03/2006

 

Michel Onfray, arriva il filosofo del nuovo ateismo

 

 

 

Salvo Vitrano, IL MATTINO
– 22/03/2006

 

Superare il dolore, la lezione del lama

 

 

 

Max Stèfani, IL MUCCHIO SELVAGGIO
– 01/02/2006

 

Senza Dio

 

“Nel momento in cui si profila uno scontro decisivo (forse già perduto…) per difendere i valori dell’Illuminismo contro le affermazioni magiche, bisogna promuovere una laicità postcristiana, ossia atea, militante e radicalmente opposta a quella che ci obbliga a scegliere tra la religione ebraico-cristiana occidentale e l’islam che la combatte. Né Bibbia né Corano”.
Questa la conclusione del saggio di Onfray. Una proposta chiara, senza ambiguità né indecisioni, di ateismo militante, di ritorno alla luce della ragione contro l’oscurantismo della fede. Un invito pressante a mettere in atto una reale cristianizzazione della società. Una cristianizzazione profonda dell’etica e della politica che consenta di proclamare la vera morte di Dio. Bisogna riaffidarsi a un buon uso del proprio intelletto e rispolverare la tradizione razionalistica occidentale. Diventa indispensabile riaccendere i Lumi: in particolare quelli “più vivi, più franchi, nettamente più audaci”. Insomma “l’ala sinistra dei Lumi”. Grazie a loro (dal dimenticato e occultato d’Holbach a Feuerbach, da Nietzsche a Marx e Freud) sarà allora possibile combattere ad armi pari e porre le basi della disciplina ateologica e raggiungere lo scopo che non è la negazione di Dio, ma ‘approdo a quell’etica postcristiana e fondamentalmente laica da cui siamo partiti.
Onfray traccia un cammino che dovrebbe condurre a quest’auspicato esito. Un cammino in tre tappe la prima delle quali è la costruzione dei tre monoteismi. La seconda è la decostruzione del cristianesimo e analisi di come “questa nevrosi” sia riuscita a diventare planetaria (creazione concettuale della figura di Gesù a prescindere dalla sua eventuale esistenza storica, rivestimento del cristianesimo di radicalismo antiedonista da parte di Paolo di Tarso e trasformazione del cristianesimo in religione di Stato, con tutto ciò che ancora oggi questo comporta, da parte dell’imperatore Costantino).
Terza, la decostruzione delle teocrazie. Smontaggio cioè del meccanismo in base al quale il potere proviene direttamente da Dio in nome del quale (si chiami Jahwèh, Dio o Allah) sono stati commessi sulla terra i peggiori e più orrendi crimini (tutti giustificati prelevando dal relativo testo sacro di riferimento).
Abbiamo incontrato Onfay durante la conferenza stampa di metà dicembre alla nuova libreria di Minimum Fax a Trastevere, Roma.

Perché ha scelto questo momento per lanciare il suo Trattato?
Occupandomi di bioetica, sostenevo il bisogno di “scristianizzare”i corpi e ciò ha causato reazioni molto violente. Così ho pensato fosse il caso di precisare il mio pensiero. Il mio editore francese sosteneva che un libro del genere non avrebbe avuto pubblico. Invece solo in Francia ne abbiamo vendute 200.000 copie.

Il pubblico sente l’esigenza di una presa di distanza dalle religioni?
Ho ricevuto moltissime lettere e reazioni sia negative che positive. Ma la maggior parte erano del tipo “finalmente, una boccata d’aria fresca!”. Comunque in Francia sono usciti addirittura tre libri contro il mio Trattato. Negli Stati Uniti ci hanno pensato molto prima che fosse pubblicato.

La religione dunque. Abbiamo a che fare con cosa? Cos’è l’ateismo?
La religione presuppone il sovrannaturale. Un altro mondo. E questo è vero per tutte le religioni, monoteiste o politeiste, buddismo… Per tutte le religioni c’è un altro mondo che giustifica questo mondo. L’ateismo rifiuta il sovrannaturale. Non esistono altri mondi. Dio non c’è. La genealogia di Dio è in realtà l’impotenza dell’uomo. Noi nasciamo, moriamo…. Lui no. Lui c’è sempre. Io non so tutto mentre lui sa tutto. Questa impotenza dell’uomo viene proiettata nella potenza di Dio. Una volta che abbiamo creato questo Dio ci genuflettiamo davanti a Lui. Non è Dio che ha creato l’uomo a sua immagine ma il contrario.

Lei scrive che il monoteismo nasce dalle sabbie del deserto.
Se guardiamo ai luoghi di nascita delle religioni, ci accorgiamo che sono luoghi privi di cibo e di acqua con il sole rovente e nulla intorno. Il Paradiso è esattamente il contrario. Gli altri mondi sono stati inventati da uomini stanchi e sfiniti.

Insomma, miraggi, frutti di colpi di sole?
Beh, direi isterismi. Il temperamento di Paolo di Tarso, la sua conversione sulla via di Damasco, rientra nella patologia isterica: cade mentre è in piedi, sente la voce di Gesù, non vede per tre giorni e dopo l’imposizione delle mani da parte di Anania recupera la vista e si mette in cammino per evangelizzare il mondo. Si compiace delle sofferenze fisiche, esalta la castità, sostiene che Satana gli ha conficcato una “spina nella carne”, ama i problemi e chiede al mondo di mortificare il corpo e trascinarlo in schiavitù. Ha il disprezzo della propria carne, perché non è all’altezza di ciò che può offrirgli. Soffre, semplicemente, di impotenza sessuale. Poveraccio.

Il potere di Dio e il potere dell’uomo finiscono per diventare la stessa cosa?
Apparentemente si oppongono, ma alla fine parlano lo stesso linguaggio, che è fatto di sopraffazione, dominio, volontà di schiacciare chi la pensa diversamente. Dio, nella Bibbia, schiude il mare in due per mostrare la verità. Sono immagini leggendarie che non hanno rapporto con realtà. Sono superstizioni. I monoteismi, in Europa il Cristianesimo, hanno il monopolio della morale. Ma è una morale repressiva, con il gusto per il dolore e la sofferenza, che coltiva la paura del corpo femminile, che promuove l’ignoranza a favore della fede. Si tratta di un’etica che mira alla salvezza in un’altra vita. Mi è concesso di avere un poco più di gioia in questa, di vita?

Allora come è stato possibile fondare Stati su queste favole? C’è qualche miliardo di persone nel mondo che non pensano che Dio sia un personaggio di una fiction.
È stato possibile nel momento in cui i politici si sono impossessati di queste favole. Gesù insegnava, era uno dei tanti profeti che predicava nel deserto, nessuno degli evangelisti lo ha mai conosciuto. L’imperatore Costantino a un certo punto, nel 312, decide che quelle che anche per lui erano favole, dovevano diventare verità. In seguito Teodosio e Giustiniano eliminano i pagani, togliendo loro la cittadinanza, bruciando biblioteche, templi, filosofi. L’avvento del Cristianesimo è stato violentissimo, politico, poliziesco. Molto più delle tanto citate persecuzioni contro i cristiani ma, Dio è un allusione. È compito degli atei spiegare che la morale non ha bisogno di teologia. Che le regole del gioco e i comportamenti della società cambiano nel tempo a prescindere dalla religione. Da noi, oggi, i gay possono sposarsi, in un’epoca non tanto remota venivano condannati a morte.

Si può dire dunque che la figura di Gesù sia stata strumentalizzata?
Gesù è un personaggio costruito nella storia. Probabilmente è esistito al pari di Ulisse. Abbiamo un sepolcro inventato nel 325 da Sant’Elena, madre di Costantino. Donna molto fortunata perché ha scoperto anche il Golgota e il titulus, il pezzo di legno che porta la motivazione della condanna di Gesù. Ma Gesù funziona a meraviglia come “idea” attorno alla quale prende corpo una visione del mondo. Se accettassimo di leggere i libri sacri dando loro lo stesso valore che diamo all’Odissea, se leggessimo la Bibbia con uno sguardo storico, come un’epoca fatta di miti, mitologia che poi troviamo anche nel Corano.

Quale potrebbe essere il metodo da seguire?
Il metodo è quello che pratica lo storico, i tratta di leggere i testi sacri non considerandoli extra settoriali. Bisogna leggerli come si fa con Tacito o Omero. Così ci si rende conto di come sono illogici, contraddittori. Si conosce solo la mitologia cristiana, ma quasi nessuno ha letti i testi. Perché la Chiesa dice “leggete solo questa parte, questo brano”. In Chiesa si sentono solo le epistole di San Paolo. Anche la storia dell’arte ha contribuito a farci conoscere la Bibbia solo nella sua parte mitologica. Il Vaticano ha cercato fino all’ultimo di non far tradurre i testi dei vangeli per mantenere il popoli nell’ignoranza e certo non spinge a leggerli adesso.

Viviamo in una società molto religiosa, anche molto fanatica. È possibile perseguire l’ateologia?
Certo. Occorre che tutti aggiungano le loro competenze: gli storici, gli psicanalisti, i linguisti, i filosofi,. Il cristianesimo, l’ebraismo, l’islamismo non sono sempre esistiti. Occorre lavorare per far sparire le religioni a vantaggio di una filosofia immanente, da applicare. Bisogna promuovere la riflessione e non la fede.

In che modo?
Ad esempio insegnando ai nostri figli che i libri di scienza hanno più valore della Bibbia o del Corano. La scuola dovrebbe insegnare a distinguere tra verità oggettive e miti. Alimentare in loro lo spirito critico e analitico. Insegnare l’ateismo e la filosofia per stimolare le persone ad elaborare un’etica praticabile qui ed ora, non in un’altra vita. Quando diamo lo stesso valore alle parole di uno scienziato e a quelle di un prete, annulliamo i confini tra verità e fiction. L’eliocentrismo di Galileo è una verità scientifica, l’esistenza di Dio è un’illusione. Ai rabbini, ai preti, agli ayatollah, agli imam e ai mullah, io continuo a preferire il filosofo. Certo è una battaglia difficile, perché non è facile parlare, creare un dibattito con chi dice di agire in nome di Dio. Ma è proprio questo il compito del filosofo: continuare a fare delle domande, a ragionare, a remare contro preti come Ratzinger.

Alcune delle affermazioni contenute nel libro, solo 150 anni fa, l’avrebbero portata dritto sul rogo. Come pensa che reagiscano Ruini o Ratzinger all’eventuale lettura del suo libro?
Non accettano il dibattito. Certo se io andasi a dire queste cose in Iran decreterebbero la mia morte e così in altri paesi islamici. Se idcessi che il libro sacro va letto come si legge l’Iliade sarei condannato a morte. Per fortuna vivo in una democrazia europea e posso dire ad alta voce la mia opinione. In Francia e in Italia reagiscono con l’invettiva, l’insulto, con il discredito personale, ma non analizzano e non rispondono con un’analisi. In Francia sono stati scritti tre libri contro di me, ma non contengono analisi. Non possono attaccarmi perché dalla mia parte ho i fatti. Quando sostengono che Hitler non era ateo ma deista, basta leggere il Mein Kampf per verificarlo. Quando dico che l’esercito di Hitler aveva scritto sulla cintura ”Got mit uns”, dio è con noi, è un fatto. Rifiutano il dibattito per mancanza di tesi.

La reazione del Vaticano è sempre molto ponderata. Viene da chiedersi se la loro reazione è dovuta alla troppa intelligenza o a semplice stupidità.
È meglio parlare di psicanalisi. La religione è un fatto di papà e mamma, di Edipo, una reazione viscerale. Quando attacco la religione c’è una reazione da animale ferito. Non c’è intelligenza, raziocinio, ma reazioni viscerali. Si toccano cose fondamentali della persona, la figura paterna, la castrazione. Io con il mio Edipo vado d’accordo.

Perché è passato il concetto che non può esistere un’etica, una morale senza una verità rivelata?
La verità presuppone una religione ma la religione rende possibile più il vizio che la virtù. Dostoevskij diceva che Dio non esiste e tutto è possibile. Io dico il contrario: se dio c’è tutto è possibile. Perché l amoralità, gli atti immorali, si possono compensare grazie a Dio. Per l’ateo quello che conta è immanente, quello che succede qui e dora ed è questo che ci dà una certezza etica. Io credo che è possibile sviluppare una morale atea, post-cristiana che vuol dire che ci sono delle regole del gioco tra contraenti che si basano sul desiderio amoroso (quando sono tra due persone) e politico (se si vuole costruire una comunità). Tutto quello che riguarda la morale è tra me e te, tra noi e voi. Non c’è bisogno di Dio. In questo senso si può parlare di una morale atea.

Quali sono le sue posizioni politiche?
Io mi colloco molto a sinistra, decisamente nella sinistra radicale. Ma sempre nella democrazia. Il liberismo, inteso come dittatura del mercato, non mi soddisfa. Amo un capitalismo che lotta contro il capitale, le sue insite storture. Sembra un paradosso ma non lo è. È come quando nella tradizione marxista è stato messo all’indice Bakunin, il maestro del pensiero anarchico. Bakunin non ha mai flirtato con le dittature, il suo pensiero è oggi integro e utilizzabile. Mi considero un anarchico libertario. L’unica democrazia possibile è quella basata sul concetto di uguaglianza, di derivazione illuminista. Nel contempo sono radicalmente antiliberale: il liberismo impone solo la legge del mercato. Bisogna distinguere liberismo da capitalismo.

 

Antonio Carioti, CORRIERE DELLA SERA
– 27/02/2006

 

Baumier contro Onfray, la fede al contrattacco

 

 

 

PANORAMA
– 08/12/2005

 

Onfray, un colpo in piazza San Pietro

 

In Francia ha venduto 200 mila copie ma in Italia non ha sfondato. Per questo Michel Onfray, autore di quel Trattato di ateologia (Fazi) che ha fatto molto discutere, ha in serbo una sorpresa: una lettura pubblica del libro a metà dicembre a Roma, in via della Conciliazione, che porta in piazza San Pietro. Provocazione? Colpo Pubblicitario? Manca solo il nullaosta del Comune. Dovendo venire in Italia per partecipare alla nuova trasmissione di Paolo Bonolis, Il senso della vita, Onfray è pronto al grande gesto.

 

D – LA REPUBBLICA DELLE DONNE
– 28/01/2006

 

Micheal Onfray: ateo e capricorno coi piedi per terra

 

È rarissimo che il Capricorno, così come tutti i segni di Terra, si lasci andare alla pura astrazione del pensiero fine a se stesso, o al sentimento che poi sconfina nell’irrazionale più o meno confuso e sdolcinato.
La sua filosofia ha sempre un aggancio con la realtà materiale, concreta, fisica: mai a freddezza (apparente) e l’autocontrollo dimenticano la voce dei sensi.
Del Capricorno è il francese Micheal Onfray (Argentan, 1 gennaio 1959), l’autore del fortunato Trattato di Ateologia, pubblicato in Italia da Fazi, che vede nei tre monoteismi la causa principe dell’infelicità umana e della lontananza dell’uomo da una vita sana, priva di quel sottofondo ideologico che fa della sofferenza e del dolore il motore di ogni destino.
Fondatore dell’Università Popolare di Caen, autore di numerosi lavori (Il ventre della filosofia, critica della ragion dietetica. La politica del ribelle. Teoria dei corpi amorosi) Onfray non a caso dedica il suo trattato a un altro autore di un famosissimo trattato, Raul Vaneigem (Trattato di saper vivere ad uso delle giovani generazioni), manifesto della creatività e della ribellione situazionista anni Settanta.
Tutto il tema di Onfray è un trionfo dell’elemento Terra (Luna e Plutone in Vergine, Venere in Capricorno, soprattutto Marte in Toro), a confermare un indirizzo che non vuol prendere la strada dei cieli e delle nuvole, ma piuttosto dell’edonismo radicale, coi piedi per terra (appunto) e la consapevolezza piena, di sé e del mondo circostante.

 

Nicoletta Tiliacos, IL FOGLIO
– 20/01/2006

 

Quando la scienza ha fretta e poi è costretta a stupirsi

 

 

 

Massimiliano Panarari, RESET
– 01/12/2005

 

Il nietzscheanesimo ateo di Michel Onfray

 

 

 

Corrado Augias, LA REPUBBLICA
– 24/12/2005

 

Mi chiedo come si può vivere senza credere

 

 

 

Corrado Ocone, IL MATTINO
– 31/12/2005

 

La guerra del relativismo

 

 

 

Michel Onfray, INSIDE
– 01/12/2005

 

Elogio del laico militante

 

 

 

PANORAMA TRAVEL
– 01/12/2005

 

Né Bibbia né Corano

 

I tre principali monoteismi, animati dal-la stessa pulsione di morte, condividono- identici disprezzi: l’odio per la ragio-ne e l’intelligenza; l’odio della libertà; l’odio di tut-ti i libri in nome di uno solo; l’odio della vita; l’odio della sessualità, delle donne, del piacere; l’odio del femminile; l’odio del corpo, dei desideri, delle pulsioni”. Un saggio di grande at-tualità che rivela l’essen-za di ebraismo, cristiane-simo e islam: crocifissio-ne della vita e celebra-zione del nulla.

 

 

Luca Archibugi, IL MESSAGGERO
– 17/12/2005

 

“Lassù nessuno ci ama”

 

 

 

Daniele Zappalà, AVVENIRE
– 15/12/2005

 

Guanto di sfida all'”ateologo”

 

 

 

AFFARITALIANI
– 08/10/2005

 

Il Rigoletto/ Onfray: abbattere le religioni per difendere il nostro unico, vero bene: la vita terrena

 

Dio non è affatto morto, o se lo era è ormai nel pieno della sua rinascita, in Occidente come in Oriente. Di qui l’urgenza di un nuovo ateismo argomentato, solido e militante. Lo sostiene il francese Michel Onfray – libero pensatore ateo, materialista e libertario, in prima fila contro la rinascita della teocrazia -, di cui esce in Italia l’ultimo libro “Trattato di ateologia” (Fazi Editore, 220 pagine, prezzo 14 euro). Un libro al vetriolo sugli orrori teologici, che ha venduto in Francia già 200mila copie e che non mancherà anche in Italia di far discutere e di appassionare.

Per “ateologia” si intende un ateismo ateo postmoderno che non ha bisogno di nominare Dio. Un termine figlio di Georges Bataille che definì l’ateologia una “disciplina che riguarda il più generale degli interdetti: Dio, di cui la forma più divina è la negazione”, ovvero “la negazione di un Dio perfetto” per porre “l’uomo davanti all’assenza di Dio”. Concetti ripresi e ampliati da Michel Onfray, per il quale l’ateismo non si deve definire solo in negativo, ma proporsi come nuovo e positivo atteggiamento nei confronti della vita, della storia e del mondo.

L’ateologia deve in primo luogo avanzare una critica massiccia e definitiva ai tre principali monoteismi (cristianesimo, ebraismo e islam). Poi proporre un deciso rifiuto dell’esistenza del trascendente e infine promuovere, dopo millenni di trascuratezza, una cura per “il nostro unico vero bene: la vita terrena”, il benessere e l’emancipazione dei corpi e delle menti delle donne e degli uomini. Come è possobile ottenere questo? Solamente attraverso una “decristianizzazione radicale della società”. La religione rimane l’oppio dei popoli, dice il filosofo, “l’incertezza, la paura, la mancanza di alternative fanno la religione. La teologia negativa è una delle forme della teologia”.

“Nonostante nel diciannovesimo secolo sembrasse venuto il tempo per dire che Dio era morto – spiega Onfray -, le energie religiose sono riprese sotto molteplici forme, nell’Islam come nel cristianesimo. Ora la nostra società sembra decristianizzata, ma in realtà viviamo in un mondo pieno di cristianesimo. Dio non è così morto, basta osservare l’attuale pedagogia per vedere come ancora oggi apprendiamo nella punizione, nel dolore. Oppure osservare l’idea di giustizia impregnata di valori cristiani rispetto a una dichiarata impostazione laica. Al fondo c’è sempre un’idea di bene e male per regolare persecuzioni e condanne – continua il filosofo – e il libero arbitrio rimane un’invenzione per giustificare la punizione e la carcerazione. Nella nostra società non c’è nessuna libera scelta. Si potrebbe fare lo stesso ragionamento sulle scuole o sugli ospedali, perché il nostro pensiero è rimasto cristiano nella morale e nella ideologia”.

Nessun compromesso è inoltre pensabile, secondo Michel Onfray, ra religione e materialismo. “Non credo sia possibile convivere con religioni che ci dicono di maltrattare il corpo e mutilare la vita – insiste ‘l’ateologo’ -. L’essenza della religione è dirci che questa vita non conta nulla e credo non ci sia composizione possibile con una visione materialista del mondo, ovvero tra chi crede in una ricompensa altrove e chi crede che questo mondo valga l’ottimismo e la volontà di cambiare le cose. L’antinomia mi sembra totale e bisogna scegliere il proprio campo”.

Come lettura della domenica Affari ha quindi scelto un “assaggio” del libro che non lascerà molto la testa in vacanza. Ma vale senz’altro la pena.

CHI E’ L’AUTORE

Michel Onfray, nato in Francia nel 1959, dopo vent’anni di insegnamento nei licei, ha fondato nel 2002 l’Università Popolare di Caen che dispensa gratuitamente a 20mila persone all’anno corsi di psicanalisi, arte, jazz, filosofia per bambini, studi femministi… Ha scritto una trentina di libri tradotti in 14 lingue. In Italia sono già usciti il suo Cinismo (Rizzoli, 1992) e La politica del ribelle (Ponte alle Grazie, 1998)

 

Gianni Vattimo, L’ESPRESSO
– 01/12/2005

 

Dio che bella favola

 

Era fatale che il cosiddetto ritorno del sacro nella nostra cultura collettiva, fino agli estremi dell’ateismo devoto dei neoconservatori italiani, prontamente adottati dalla destra (soltanto?) cattolica, evocasse anche una rinascita di ateismo illuministico. Uno dei testi più rappresentativi di quest’ultimo è certamente il trattato “ateologico” di Michel Onfray, che secondo la più classica tradizione dei Lumi muove dalla stigmatizzazione delle “bugie dei preti”.
Non si tratta di polemizzare con gli uomini che, raccontandosi favole metafisiche, cercano una consolazione e una promessa di sopravvivenza; ma di mettere alla gogna coloro che, senza crederci affatto e solo per assicurarsi un al di qua più comodo e confortevole, ingannano il prossimo imponendo discipline e rinunce che essi stessi non praticano. Se poi anche tra i preti bugiardi ci sono dei credenti, degli asceti, persino dei mistici e dei martiri, tutto questo si spiega, con la chiarezza cristallina che solo l’ateismo garantisce, mediante il ricorso alla psicoanalisi, la sola capace di fare luce su simili nevrosi. E’infatti questa una delle scienze che, insieme a archeologia, storia, scienze comparate, mitologia, ermeneutica e filologia, estetica, e naturalmente filosofia, Onfray intende mobilitare per la sua campagna di illuminazione della ragione. Il libro così è una summa, scritta con lo stile vivace del libello (in Italia, si pensi a Odifreddi), di tutte le principali tesi illuministiche sulla menzogna religiosa. Uno dei numi ispiratori è ovviamente Nietzsche. Del quale però non si ricorda la critica all’idea stessa di verità come ultimo residuo di fede teologica. Onfray sostiene che il nichilismo si vince solo con l’ateismo; Nietzsche direbbe che l’ateismo stesso si libera dal mito delle verità “razionale” solo con il nichilismo che ne ricostruisce la storia e, forse, l’umana troppo umana legittimità.

 

CARTA
– 27/11/2005

 

Michel Onfray, Trattato di ateologia

 

 

 

WWW.NUOVIMONDIMEDIA.COM
– 22/11/2005

 

Trattato di ateologia

 

Cominciamo dalla fine. “Nel momento in cui si profila uno scontro decisivo – forse già perduto… – per difendere i valori dell’Illuminismo contro le affermazioni magiche, bisogna promuovere una laicità postcristiana, ossia atea, militante e radicalmente opposta a quella che ci obbliga a scegliere tra la religione ebraico-cristiana occidentale e l’islam che la combatte. Né Bibbia né Corano”. Questa la conclusione del saggio di Michel Onfray. Una proposta chiara, senza ambiguità né indecisioni, di ateismo militante, di ritorno alla luce della ragione contro l’imperante oscurantismo della fede. Un invito pressante a mettere in atto una reale scristianizzazione della società. Non come quella apparente fin qui praticata dal pensiero laico moderno che, dice Onfray, “non è un pensiero scristianizzato, ma un pensiero cristiano-immanente”, vale a dire un pensiero nel quale “dietro un linguaggio razionale, spostato sul piano del concetto, persiste la quintessenza dell’etica cristiana” (tanto è vero che Patria Lavoro e Famiglia rappresentano oggi la santa trinità tanto laica quanto cristiana) e che non realizza dunque null’altro che un’operazione di pericoloso relativismo mettendo sullo stesso piano tutte le religioni e la loro negazione. Ma una scristianizzazione profonda dell’etica e della politica che consenta di proclamare la vera morte di Dio.

Ma torniamo al principio. Che cosa persuade Onfray della necessità di condurre una vera e propria battaglia ideologica a favore di un progetto ateologico? La convinzione che la creazione di oltremondi – non grave in sé e per sé – divenga invece un prezzo troppo alto da pagare per l’intero genere umano in quanto origine dell’oblio della realtà e dunque della “colpevole negligenza del solo mondo esistente”. In altre parole, per pensare a come ingraziarsi la divinità che gli permetta di star meglio in un (ipotetico) mondo ultraterreno, gli uomini dimenticano di star bene in questo mondo.

Diventa allora indispensabile, per evitare che “la patologia mentale” dei credenti – i quali accettano il proprio infantilismo mentale pur di ingannarsi con favole e balocchi – contagi tutti gli altri e organizzi il mondo anche per chi non è tra le loro fila, riaffidarsi a un buon uso del proprio intelletto e rispolverare la tradizione razionalistica occidentale. Diventa indispensabile riaccendere i Lumi: in particolare quelli “più vivi, più franchi, nettamente più audaci”. Insomma “l’ala sinistra dei Lumi”. Grazie a loro (dal dimenticato e occultato d’Holbach a Feuerbach, da Nietzsche a Marx e Freud) sarà allora possibile combattere ad armi pari e porre le basi della disciplina ateologica e raggiungere lo scopo che non è la negazione di Dio, ma l’approdo a quell’etica postcristiana e fondamentalmente laica da cui siamo partiti.

Onfray traccia quindi un cammino che dovrebbe condurre a quell’auspicato esito. Un cammino in tre tappe che egli percorre a testa alta e sempre più convinto delle proprie argomentazioni.

Punto primo: decostruzione dei tre monoteismi. Dimostrazione cioè del fatto che, nonostante le differenze storiche e geografiche e nonostante l’odio che da secoli separa i fedeli delle tre principali religioni (ebraismo, cristianesimo e islam), esse si possono in sostanza ridurre a un identico fondo comune: in sintesi, l’esortazione alla rinuncia alla vita e la celebrazione della pulsione di morte (con tutto ciò che ne deriva in termini di odio dell’intelligenza a cui viene preferita l’obbediente sottomissione, odio per questo mondo sempre svalorizzato rispetto al beatifico aldilà, odio per il corpo corruttibile e i piaceri che da esso derivano rispetto all’anima eterna e immortale, odio per le donne origine di tutti i peccati).

Punto secondo: decostruzione del cristianesimo e analisi di come “questa nevrosi” sia riuscita a diventare planetaria (creazione concettuale della figura di Gesù a prescindere dalla sua eventuale esistenza storica, rivestimento del cristianesimo di radicalismo antiedonista da parte di Paolo di Tarso e trasformazione del cristianesimo in religione di Stato, con tutto ciò che ancora oggi questo comporta, da parte dell’imperatore Costantino).

Punto terzo: decostruzione delle teocrazie. Smontaggio cioè del meccanismo in base al quale il potere proviene direttamente da Dio in nome del quale (si chiami Jahwèh, Dio o Allah) sono stati commessi sulla terra i peggiori e più orrendi crimini (tutti giustificati prelevando dal relativo testo sacro di riferimento – Vecchio Testamento, Nuovo Testamento o Corano – la citazione ad hoc che consentisse di legittimare le proprie azioni presentandole come volere divino).

Una volta fatti questi tre passi, dovrebbe risultare naturalmente consequenziale, per chiunque utilizzi la ragione, sottoscrivere il progetto ateologico. Ma, come ben ci insegna Onfray, le deduzioni e i rapporti causa-effetto sono merce rara in quest’epoca di falsi lumi. A ciascuno di voi le decisione da che parte stare.

 

Daniela Carola, IL QUOTIDIANO DI PUGLIA – ED. LECCE
– 07/11/2005

 

Michel Onfray, un filosofo contro le religioni

 

 

 

Flavio Baroncelli, DIARIO
– 04/11/2005

 

Ipotesi su Gesù & Co

 

 

 

Cristina Taglietti, IO DONNA – CORRIERE DELLA SERA
– 08/10/2005

 

Trattato di ateologia

 

“La morte di Dio è stata un gad-get ontologico, un facile colpo a effetto”, simbolo di un ventesimo secolo illuso e ni-chilista, pronto a definire la fine di qualunque cosa. Ma Dio non è morto, perché una finzione non può morire, e l’ immaginario resiste molto più del vero. In questa sorta di irriverente manuale filosofico per diventare perfetti atei Michel On-fray picchia duro contro qualunque forma di re-ligione. Per tornare al “nostro unico vero bene: la vita terrena” bisogna “decostruire Gesù”, cioè affiancare alla negazione di Dio, la negazione dei valori che ne discendono. Per chi crede che si debba non credere.

 

Ernesto Galli Della Loggia, CORRIERE DELLA SERA
– 31/10/2005

 

Religione e scienza: tramonta il “secolo lungo”

 

 

 

LA SICILIA
– 21/10/2005

 

Onfray, un filosofo contro il pensiero magico delle religion

 

 

 

Edoardo Camurri, VANITY FAIR
– 06/10/2005

 

Ratzinger, ci ripensi

 

C’è un detto ebraico che, per descri-vere lo stato di felicità assoluta, dice: i “Mi sento come Dio in Francia”. La Francia è da sempre considerata lapatria degli atei e dei liberi pensato-ri così che Dio, se vuole trovare un mo-mento dI pace e non essere tormentato dalle richieste dei fedeli, si rifugia lì, magari a bere un bicchierino in un bistrot parigino.
Incontro Michel Onfrav (nel tondo) in un albergo torine-se prima di un suo intervento al Festival Torino Spiritua-lità. Onfray è un filosofo francese di 46 anni e ha appe-na pubblicato con successo (200 mila copie vendute in Fancia) un libro che fa l’elogio dell’ateismo e demolisce i tre monoteismi, Ebraismo, Cristianesimo e Islam, Trat-tato di ateologia (in Italia è edito da pochissimo da Fazi). Beve un tè caldo. Si dà un colpo ai capelli. E parte.
“Le racconto un aneddoto: sull’aereo a Parigi, di fian-co a me, sedeva una signora italiana. Prima di partire si è preparata mettendosi a posto i capelli, truccandosi e controllando che il suo aspetto fosse ok. Al momento del decollo si è fatta il segno della croce. Il punto è che poi, quando siamo atterrati, non l’ha rifatto. L’Italia vive il Cristianesimo in modo piuttosto pagano, anche per questioni storiche, per via della cultura greca e romana. È il genio del popolo italiano. Ma è anche il genio che fa sì che il Papa da voi sia più ascoltato che altrove”.

Come spiega il successo del suo libro?
“Credo sia dovuto al fàtto che propone un discorso al-ternativo rispetto a quello religioso. Ed è quello di cui oggi, forse, hanno voglia le persone. In Francia, per esempio, ci sono stati lunghi dibattiti sul velo islamico, se sia lecito portarlo a scuola o in altri luoghi pubblici. A forza di parlarne è cresciuto un rifiuto per questo tipo di discorsi. Ma non si osa dirlo, per timore di essere ac-cusati di xenofobia, di razzismo. Ed è difficile accoglie-re una critica alla religione se chi la fa parte da posizio-ni cristiane o musulmane. La critica atea alla religione, invece, ha il vantaggio di essere più accettabile”.
Molte delle sue analisi sostengono che le religioni si reggono su falsificazioni storiche. Fa un esempio?
“È la riscrittura di alcuni testi di storici romani contem-poranei a Gesù, per esempio quelli di Svetonio e di Fla-vio Giuseppe che, originariamente, non menzionavano la figura di Cristo. Nel sesto, settimo e ottavo secolo do-po Cristo i copisti cristiani li hanno riscritti inserendo, in buona fede, riferimenti alla figura di Gesù che man-cavano del tutto. Quello che è riprovevole è voler dimo-strare l’esistenza di Gesù appoggiandosi su questi testi di cui si sa perfettamente che sono dei falsi”.
Lei scrive che l’Islam prende il peggio di Ebraismo e Cristianesimo. Qual è questo peggio?
“Il concetto della donna, la misoginia, l’intolleranza, il fanatismo li ritroviamo nella Bibbia ebraica. Anche il Cristianesimo considera la donna detestabile. Nega i desideri, le pulsioni. L’Islamismo fa una miscela del peggio che c’è stato nelle due religioni monoteiste, ag-gravato dal fatto che è una religione che sin dalle ori-gini si basa su una logica tribale. Oggi nell’Islam ritro-viamo queste cose, che stanno tutte nel Corano. Quelli che dicono che il Corano insegna la tolleranza mentre l’Islamiismo integralista no, si sbagliano. Non c’è con-traddizione tra il Corano e l’11 settembre”.
Che cosa pensa di Oriana Fallaci?
“Non ho letto nulla di Oriana Fallaci”.
In Italia si parla moltissimo dei cosiddetti atei devo-ti. Sono coloro, Oriana Fallaci potrebbe essere con-siderata una di loro, che si dicono atei ma che, per combattere l’intolleranza islamica, si avvicinano alla Chiesa come baluardo della difesa dell’ Occidente. Come interpreta questo tipo di laicismo?
“Io sono per un ateismo ateo, post-cristiano. Non sono disposto ad accettare il Cristianesimo in opposizione all’Islamismo, come suggerisce George W Bush quan-do parla di lotta tra civiltà. In questo mi considero agli antipodi di Oriana Fallaci. Prendo uguale distanza da tutti e tre i monoteismi. La critica della Fallaci all’Isla-mismo mi sembra che si avvicini all’estrema destra”.
Se, come la Fallaci, dovesse essere ricevuto da Bene-detto XVI, che cosa gli chiederebbe per prima cosa?
“Gli chiederei di fare apostasia, cioè di rinnegare la sua fede” (Ride imbarazzato)
.
Come seconda?
(Continua a ridere, stavolta rumorosamente). “Gli farei pro-mettere di mantenere la posizione di apostata”.
E come terza?
(Onfray si fa serio). “L’incontro non è probabile, anzi è impossibile. Siamo in mondi completamente diversi”.
Perché, secondo lei, molti lo sostengono, si assiste in tutto il mondo a una specie di ritorno alla religione?
“Perché è caduto il muro di Berlino. E il capitalismo non ha fornito alternative al marxismo, cioè all’idea di una rivoluzione che portasse la felicità agli uomini”.
Se lei fosse costretto obbligatoriamente a scegliere una religione, una qualunque, quale sceglierebbe?
“Lo sciamanismo. Perché non ha clero. È la religione più vicina alla natura, alla vita. È la meno alienante”.
Ma l’ateismo non è una forma di fede, di fede nella non esistenza di Dio?
“Esistono molte fedi. Non necessariamente la fede è religiosa. Per quanto mi riguarda, la religione conside-ra la finzione alla stregua della realtà, mentre l’ateismo si basa sull’argomentazione, sulla dimostrazione, sul-la prova. Tutte le religioni credono nell’esistenza di un mondo altro, più importante di quello in cui viviamo. L’ateismo non è comunque una fede cieca nella ragio-ne e non è neppure una religione”.
Che cos’è quindi l’ateismo?
“Filosofia e saggezza”.
Può dimostrare l’inesistenza di Dio?
“Non sono coloro che affermano l’inesistenza di Dio a doverla provare. Sono quelli che ci credono che hanno il dovere di farlo”.
Sfugge al problema con una battuta?
“Non devo provare io che una cosa non esiste”.
Anche se l’umanità da sempre crede in Dio?
“Questo semmai dimostra che esistono le allucinazio-ni collettive”.

 

 

LA NUOVA FERRARA
– 17/10/2005

 

Il Trattato di ateologia di Onfray, nuovo atteggiamento verso la vita

 

 

 

Roberto Carnero, IL SECOLO XIX
– 13/10/2005

 

Il manuale del perfetto ateo

 

 

 

Massimiliano Panarari, IL GIORNALE DI REGGIO
– 15/10/2005

 

IL TRATTATO DI ATEOLOGIA DI MICHEL ONFRAY

 

E dopo Giorello, è la volta di Michel Onfray. I laici, gli atei e, più in generale, coloro che credono alla necessità di una seria separazione tra Stato e Chiesa possono contare ora su un nuovo – permetteteci il bisticcio… – “libro di culto”. Anche in Italia, infatti, campeggia nella classifica dei bestseller di saggistica (dopo aver venduto oltre 200mila copie in Francia ed essere divenuto per i nostri “cugini d’Oltralpe” un autentico fenomeno di costume) il suo Trattato di ateologia (Fazi editore, pp. 224, euro 14).
Onfray (nato nel 1959) è un filosofo controcorrente e antiaccademico che, dopo aver insegnato per oltre un ventennio presso un liceo tecnico di Caen (la città della Bassa Normandia dove vive), nell’ottobre del 2002 ha fondato una Università popolare che sforna corsi a ciclo continuo (su temi che vanno dalle idee politiche al cinema, sino alla bioetica), con un successo di pubblico davvero incredibile. Ha pubblicato oltre 20 opere (con traduzioni in 14 lingue), e con le sue posizioni anima fortemente, nonostante l’ostilità di una parte considerevole del mondo universitario e intellettuale “istituzionale”, il dibattito culturale francese (e, sempre più, europeo)
Il suo pensiero – politicamente di sinistra – ruota intorno al corpo, alla sessualità, al problema della fondazione di un’etica sul terreno dell’estetica e della conciliazione tra edonismo etico e anarchismo politico (la “politica del ribelle”). La sua è una teoria dell’edonismo che mescola etica immanente, materialismo sensistico (e “sensuale”), illuminismo “duro e puro”, nietzscheanesimo di sinistra, individualismo libertario, utilitarismo, “soggettività pagana” e “corpo faustiano”, e trae ispirazione da una visione della filosofia come arte.
Come lo ha definito il famoso mensile culturale Lire, Onfray è un “genio dell’ateismo”, che si dedica incessantemente, nel Trattato pubblicato dall’editore romano Fazi, a “decostruire i monoteismi” (cristianesimo, ebraismo, islam) e a contrastare le teocrazie e la pericolosa ventata di restaurazione religiosa e clericale che da tempo imperversa nel mondo, in Oriente come in Occidente. L’ateologia (parola, quest’ultima, coniata dal pensatore “eretico” e irregolare Georges Bataille) di Onfray punta a costruire un ateismo postmoderno – o “ateismo ateo” – che rileva le contraddizioni, i cedimenti mondani e le compromissioni politiche delle religioni (dall’antisemitismo e alle intese coi nazifascismi del cristianesimo al “fascismo musulmano”, riguardo cui il filosofo non fa sconti neppure a Foucault e alla sua stupefacente fascinazione per Khomeini).
In tempi di atei devoti, un toccasana. Fazi editore ha già annunciato che pubblicherà prossimamente altre due sue opere: Teoria del corpo amoroso e Politica del ribelle.

 

Chiara Ristori, LIBERAZIONE
– 26/03/2005

 

Dio non è morto. Una favola non muore mai

 

Parigi
Nel paese dell’Illuminismo, inventore della laicità, la parola ateo suscita nuovamente il dibattito. Rivendicare e ripensare l’ateismo, in Francia come in un mondo in cui incessantemente si invoca dio per uccidere il prossimo, giustificare la propria identità o legittimare una missione, significa per alcuni intellettuali militare attivamente contro le guerre di religione che non hanno finito di devastare il nostro tempo. Occorre prendere posizione contro “la miseria spirituale che genera la rinuncia a sé, l’evidenza di un’alienazione”. Sono le parole di Michel Onfray, filosofo, fondatore e animatore dal 2002 dell’Università Popolare di Caen. Autore di una trentina di libri nei quali formula un progetto di etica edonista, Onfray ha recentemente pubblicato un Trattato di ateologia, formidabile pamphlet per un ateismo argomentato, costruito e militante. Un libro di un’efficacia straordinaria e di grande coraggio.
Ma quanti sono, gli atei di Francia? E perché “ateologia” e non ateismo? In un sondaggio ufficiale, pubblicato su giornale La Croix nel dicembre 2004, i francesi sono stati interrogati sulle loro pratiche religiose, senza che “ateismo” figurasse come categoria: 27% degli interpellati hanno potuto definirsi “senza religione”, ma non proclamarsi atei. Cioè, etimologicamente e dichiaratamente “senza dio”. Prefisso privativo, definizione negativa, Onfray sottolinea come l’ateo sia percepito dai credenti come un individuo “incompleto, amputato, un’entità a cui manchi dio per esistere veramente”. Da qui la necessità di recuperare, rifondare il concetto per costruire un’ateismo positivo e rivendicato. Occorre riconciliarsi con un termine per farne la cifra di un impegno. Onfray opta allora per l’ “ateologia”, neologismo coniato nel 1950 da Georges Bataille, autore della Somme athéologique. E sceglie di iscriversi in un percorso che ha preso inizio nel 1729, allorché il primo ateo dichiarato, non un filosofo ma… un curato, l’abbate Meslier, scrisse nelle Ardenne Francesi il suo testamento, annunciando “dimostrazioni chiare ed evidenti della vanità e della falsità di tutte le divinità e di tutte le religioni del mondo”. A Onfray il compito di proseguire la lotta contro “tutte le religioni del mondo”, e con esse gli inevitabili integralismi, fondamentalismi, sette, fanatismo, terrorismo.
“I tre monoteismi, animati da una stessa pulsione di morte genealogica, condividono una serie di disprezzi identici: odio della ragione e dell’intelligenza, della libertà, di tutti i libri in nome di uno solo, della vita, della sessualità, delle donne e del piacere, del femminile, del corpo, dei desideri, delle pulsioni. Al posto di tutto ciò, ebraismo, cristianesimo e islam difendono la fede e la credenza, l’ubbidienza e la sottomissione, l’inclinazione per la morte e la passione per l’aldilà, l’angelo assessuato e la castità, la verginità e la monogamia, la sposa e la madre, l’anima e lo spirito. La vita crocefissa ed la celebrazione del non essere…”. Onfray denuncia l’operato di coloro che in nome della propria angoscia esistenziale personale si arrogano il diritto di gestire le anime ed i corpi altrui, coloro che tentano di risolvere la pulsione di morte che li tormenta deviandola sul mondo e contaminando l’universo. Coloro che organizzano il mondo per se stessi e per gli altri in conseguenza di una “patologia mentale personale”, che volendo evitare la negatività, la diffondono e finiscono per generare epidemie mentali. La religione è un sotterfugio, e dio è stato fabbricato dagli uomini per scongiurare la nostra paura della morte, per rendere possibile il nostro quotidiano cammino verso la morte. Ma non si può far morire dio. E’ necessaria un’alternativa.
Se in filosofia, alla fine del XIX° secolo, con l’affermarsi del razionalismo, dei progressi scientifici e della psicoanalisi, ci fu un tempo l’epoca della “morte di dio”, la nostra, secondo Onfray, sarebbe piuttosto quella del suo ritorno. Perché “dio non è né morto né moribondo-contrariamente a quanto pensano Nietszche e Heine.” Dio non è mortale, poiché “una finzione non muore”. Un’illusione non decede mai, una fiaba per bambini non può essere confutata. Al bisogno di favole che riempiano una funzione consolatoria Onfray oppone la filosofia, come già lo fecero Seneca, Marco Aurelio ed Epicuro, sul modello dei grandi saggi del mondo antico: la santità è irragiungibile e genera frustrazioni, il pensiero e la saggezza no. A riprova, L’Università popolare di Caen, dove Onfray anima da tre anni lezioni aperte a tutti, a testimonianza di come ateismo non sia nichilismo, al contrario. Non credere in dio non significa non credere a nulla. “Non sono contro i miti, sono contro il fatto che ci si creda (…) Creiamo dunque dei miti federatori, fabbrichiamo favole, comprese quelle politiche, musicali, letterarie, ma soprattutto, non crediamoci!”.
L’assoluta impossibilità di credere in dio, quando non si creda più alle fiabe, quando si sia veramente adulti, è ribadita anche da Salman Rushdie, uno dei numerosi intellettuali ad intervenire nel dibattito, fra i quali Michel Guerin, autore di un La pitié, Apologie athée de la religion chretienne edito da Actes Sud, e Régis Debray che pubblica per Fayard Les communions humaines, Pour en finir avec la “religion”. Esprimendosi sull’argomento nelle colonne di Libèration con un editoriale dal titolo esplicito “La religione, cattiva consigliera di Stato”, Rushdie lancia una veemente esortazione affinché i singoli rilevino la sfida lanciata dallo “spettro vociferante e oppressivo” della religione, quella stessa “ombra spettrale” che sedici anni fa scatenò la fatwa contro di lui, e che oggi ci minaccia tutti. Se Rushdie non evoca a nessun momento il concetto di ateismo, ma preferisce parlare di “laicità europea”, il suo messaggio resta non di meno esplicito, e la sua posizione inequivocabile. “La verità è che, ovunque la religione sia al potere, è la tirannia che si insedia, l’inquisizione, i talebani”. Oltre questa affermazione perentoria, Rushdie avanza “l’argomento supremo in favore della laicità” (Onfray direbbe dell’ateologia), che in italiano suonerebbe: “Non credo in dio, perché non credo nella fata dai capelli turchini…”.
Ed è precisamente in merito di ateismo e laicità che divergono le posizioni di Rushdie e Onfray. Rushdie ribadisce che sia giunto il momento di mettere in guardia l’opinione pubblica contro la perdita di quei principi di laicità che dovrebbero presidiare ogni democrazia degna di questo nome: “Attualmente in America qualsiasi individuo – uomo o donna, omosessuale, di origine afro-americana, ebrea – può ambire ad accedere ai più alti gradi della funzione pubblica. Ma un ateo dichiarato non avrebbe assolutamente la minima probabilità di essere eletto”. E analizza tale situazione ricordando come, storicamente, il Secolo dei Lumi per gli Stati Uniti non abbia segnato la rottura col pensiero religioso, ma al contrario un momento di slancio verso la fede, l’inizio di fuga verso la libertà di culto del Nuovo Mondo.
In Europa le cose dovrebbero andare diversamente, l’Illuminismo ha segnato un momento fondatore dell’ateismo, facendo della ragione e del pensiero filosofico un’arma contro le “favole consolatorie”. Onfray ci richiama a questa realtà storica, e ci esorta ad andare oltre la laicità, in quanto il pensiero laico non sarebbe un pensiero decristianizzato, ma una cristianità nell’immanenza, in cui la quintessenza dell’etica giudeo-cristiana persisterebbe sotto le false spoglie di un linguaggio razionale. “Lavoro, Famiglia, Patria, santa trinità laica e cristiana…”. Onfray ci invita a combattere il relativismo laico per il quale tutto è equivalente, tutte le religioni le credenze i pensieri si valgono – ma non valgono forse tutti allo stesso modo – invocando un’ateologia che ci riconcili con la vita, il piacere, la gioia, e non neghi nulla della vita, neppure il tragico dell’esistenza. Il filosofo raggiunge allora l’autore dei Versetti satanici che, a sollecitare la responsabilità individuale nella lotta, riporta un’affermazione siderante di James Joyce: “Non ci sono né eresia né filosofia che esasperino la chiesa quanto un essere umano”.

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Armando Torno, IL CORRIERE DELLA SERA
– 09/10/2005

 

Sfidare Dio prima degli atei

 

 

 

Maria Grazia Meda, D LA REPUBBLICA DELLE DONNE
– 17/09/2005

 

Dio? Un’illusione

 

Michel Onfray non crede in Dio. Così come non crede, spiega, ai centauri, agli ippogrifi e a Biancaneve. Non per il gusto di provocare, ma perché ha deciso di affrontare la questione adoperando lo strumento della ragione e non quello della fede. Il risultato è un Trattato di ateologia appena uscito in Italia (Fazi editore) dopo aver venduto in Francia 200 mila copie. Martedì prossimo verrà presentato dall’autore alFestival TorinoSpiritualità.
Il filosofo, che tiene corsi seguitissimi all’Università da lui fondata a Caen, si preoccupa del ritorno di una religiosità radicale nelle nostre società teoricamente laiche. E propone di cambiare prospettiva. Per lui non si tratta di una battaglia fra l’Occidente giudaico-cristiano progressista e l’oscurantismo dell’Islam fondamentalista, ma fra l’ateismo e il soffocante monoteismo di oggi.
Lei dice che dobbiamo liberarci dei riflessi religiosi che ci condizionano.
“I monoteismi, e nella nostra società il cristianesimo, hanno il monopolio della morale. Ma è una morale repressiva, con un gusto per il dolore e la sofferenza, che coltiva la paura del corpo femminile, che promuove l’ignoranza a favore della fede. Si tratta di un’etica che mira alla salvezza in un’altra vita. Io vorrei un poco più di gioia in questa, di vita.”
Nel trattato, propone di “destrutturate” i monoteismi.
“Si tratta di dare una lettura foucoltiana della religione, analizzando il modo in cui viene costruita. All’università, ho dedicato un corso alla figura di Gesù come personaggio di fiction. Gesù è un personaggio costruito nel corso della storia. Se spiegassimo come, se accettassimo di leggere i libri sacri dando loro lo stesso valore che diamo all’Iliade o all’Odissea- se leggessimo la Bibbia con uno sguardo storico, come un’opera fatta di miti, di una mitologia che troviamo anche nel Corano…”
Capito. Ma qualche miliardo di fedeli nel mondo non pensa che Dio sia il personaggio di una fiction: sono tutti preda di un’allucinazione collettiva?
“Dio è un’illusione. E’compito degli atei spiegare che la morale non ha bisogno di teologia. Che le regole del gioco e i comportamenti della società cambiano nel tempo a prescindere dalla religione. Da noi, oggi, i gay possono sposarsi, in un’epoca non remota venivano condannati a morte”.
Lei propone un progetto razionale al quale il credente, per definizione, è impermeabile e ostile.
“Il problema è di natura pedagogica”.
Ovvero?
“Bisogna promuovere la riflessione e non la fede. Le faccio un esempio semplice: a scuola dobbiamo insegnare ai nostri figli che i libri di scienza, di biologia non hanno lo stesso valore della Bibbia o del Corano. Dobbiamo insegnare a distinguere tra verità oggettive e miti.”
E’per questo che lei rifiuta di discutere con i rappresentanti religiosi?
“Accade spesso, anche in Italia: vengo invitato a un dibattito e mi dicono che per motivi di parità dovrò discutere con un prete. Sono secoli che la Chiesa si esprime senza che un ateo possa contraddirla- e in passato l’ateo finiva pure sul rogo! Credo che sia arrivato il momento, per un ateo, di esprimersi liberamente”.
Infatti, lei accusa gli atei di un relativismo che somiglia alla sudditanza.
“Quando diamo lo stesso valore alle parole di uno scienziato e a quelle di un prelato, annulliamo i confini tra verità e fiction. L’eliocentrismo di Galileo è una verità scientifica, l’esistenza di Dio è
un’illusione. Forse dovremmo ricominciare a insegnare la verità scientifica a scuola e a sviluppare lo spirito critico e analitico. Insegnare l’ateismo e la filosofia per stimolare le persone ad elaborare
un’etica praticabile qui e ora, non in un’altra vita”.
Ma lei stesso ammette che è una battaglia persa.
“Non c’è una grande possibilità di dibattito con chi dice di parlare e di agire in nome di Dio. Ma è proprio questo il compito del filosofo: continuare a fare delle domande, a ragionare, a remare contro”.

 

Massimo Sebastiani, GAZZETTA DEL SUD
– 27/09/2005

 

Né Bibbia né Corano, ma soltanto la ragione

 

 

 

Gino Dato, LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
– 26/09/2005

 

Dio non é morto. Egli vive nelle nostre paure

 

 

 

Rossana Campo, DAL BLOG DI ROSSANA CAMPO SUL SITO FELTRINELLI.IT
– 21/04/2005

 

Per una morale post cristiana

 

Tanto per tornare a fare due chiacchere con voi, e giusto perché sono tornata a Roma da qualche giorno e mi è un po’ difficile abituarmi a tutte queste quintalate di papi preti e cardinali, vi consiglio di dare un’occhiata al “Traité d’athéologie” del filosofo francese Michel Onfray. Ah! Che boccata d’aria fresca! L’Onfray non ci va giù piano con la religione e dice chiaro e tondo che le religioni sono uno dei principali strumenti con cui gli uomini e le donne costruiscono la propria infelicità. Propone una morale di vita e un’etica post cristiana (e ovviamente post islamica, e post giudaica, ma anche post nichilista) dove il corpo non sia più visto come negativo, sporco e sbagliato, e la terra una valle di lascrime, la vita una pena da scontare sperando in un qualcosa di meglio dopo, il piacere un peccato, le donne una maledizione e uno strumento del demonio, l’intelligenza una presunzione, il godimento dei sensi una strada verso la dannazione. Ah mon cher Onfray, vieni a fare un salto qui da noi…

 

Michel Onfray, L’UNITÀ
– 20/09/2005

 

Onfray, vi spiego perché hanno costruito Dio

 

 

 

David Fiesoli, IL TIRRENO
– 20/09/2005

 

Elogio dell’ateismo. Il lato piacevole della vita

 

 

 

LA REPUBBLICA ED. TORINO
– 20/09/2005

 

“Spiritualità” Onfray spiega l'”ateologia”

 

 

 

Paolo Febbraro, IL MANIFESTO
– 18/09/2005

 

Grazie a Onfray anche l’ateismo ha il suo pamphlet

 

 

 

Claudio Jampaglia, LIBERAZIONE
– 20/09/2005

 

Ateologia, ovvero decristianizzare il mondo

 

 

 

Daniele Belloni, IL GIORNALE
– 20/09/2005

 

Onfray, il Robespierre dell’ateismo

 

 

 

Mario Baudino, LA STAMPA
– 19/09/2005

 

Padre nostro che non sei nei cieli. Onfray contro tutte le religioni.

 

 

 

Michel Onfray, LA REPUBBLICA
– 08/09/2005

 

Perché Dio non muore mai

 

 

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