Gore Vidal
Duluth
Con uno scritto di Italo Calvino
Traduzione di Alberto Cellotto
Duluth è una città degli Stati Uniti, un serial televisivo, un luogo in cui vengono meno le coordinate narrative del tempo e dello spazio. A Duluth si incrociano, fra gli altri, una donna tenente bionda e procace, un terrorista azteco, un sindaco corrotto, un giornalista che fa da ghost writer alla donna più mondana della città, un redivivo Napoleone “flagello d’Europa” e persino un manipolo di extraterrestri: personaggi che si ritrovano catapultati dentro a serial televisivi o a romanzi d’appendice, e che infine si scopriranno provenienti da un’originale banca dati che contiene tutte le trame della letteratura mondiale.
Duluth è un esilarante iper-romanzo sull’American way of life nell’era di Reagan, una satira sulla dittatura della finzione in tutti gli aspetti della vita contemporanea.
Capolavoro neobarocco, opera tra le predilette dall’autore, questo Truman Show ante litteram trovò un precoce estimatore in Italo Calvino, che negli anni Ottanta lo proclamò un capolavoro del burlesque.
Il più satirico e surreale dei romanzi di Vidal. Una straordinaria e attualissima parodia della dipendenza televisiva in Occidente.
«Vidal è un maestro, Duluth un capolavoro».
Italo Calvino
«A metà strada fra Henry Adams e i Monty Python, Gore Vidal è un profeta e insieme un fustigatore, e soprattutto un intrattenitore di altissimo livello».
Jay McInerney
«Duluth: una delle opere più geniali, radicali, sovversive della letteratura americana».
«New Statesman»
– 25/10/2007
Gore Vidal – Duluth
This is real, not fiction, cantavano qualche anno fa i misconosciuti Girls Against Boys. Così è “Duluth” di Gore Vidal, romanzo della sit-com delle nostre esistenze, originariamente edito nel 1983. Venticinque anni e non sentirli affatto; giocando piuttosto sul delirio della società postindustriale postmoderna, l’ultima o una delle ultime derivate dall’errore dello Stato Moderno: negazione dell’essenza, dell’identità, delle interazioni sociali d’antan. E allora, a voler essere onesti, rivendichiamo le distanze; Franchi che scrive di Gore Vidal è quasi un ossimoro: io sono un letterato molto minore di nemmeno trenta anni, Vidal è un punto di riferimento ineludibile per decifrare dinamiche occidentali – in senso lato – ed essenza statunitense (l’unica possibile: quella catodica, la nuova propaganda). Calvino idolatra la sua capacità, e ripeto, siamo nel 1983: niente web, ad esempio, riuscite a immaginarlo?, ma dicevo: Calvino ammira la sua scissione; vive in Italia, e tuttavia sa ogni cosa degli Stati Uniti. Vidal aveva acquisito la chiarezza perfetta di chi se ne è andato, e vede everything in its right place, con una definizione almeno adeguata.
E per raccontare la decadenza precipita e sprofonda nel balocco televisivo, in quel non è che segna la congiuntura tra real e fiction, assimilando la menzogna letteraria al codice unico – assoluto – per descrivere (e non per decifrare: questo è appassionante, questo è determinante) la contemporaneità. La copertina di Maurizio Ceccato è un balocco che nessuna immagine d’anteprima potrà restituirvi: va aperta, richiusa, riaperta, richiusa; c’è un codice, in quel disegno, e una lastra dell’interno di quel televisore demodè che spiega più di quanto possiate pensare. Attinge all’essenza di Vidal: mostrare marionetta, fili della marionetta, non nascondere il master of puppets e tuttavia riuscire a incantare. Come se all’egida della fiction non esistesse limite, e non ci fosse termine.
Il termine è tutto quel che domandiamo.
Il termine è un privilegio.
La resurrezione diventa il pretesto per cambiare acconciatura dei capelli, nello spazio di una o due scene. La donna-poliziotto malata di sesso vale il delirio dell’astronave accettata come niente fosse. L’esistenza come involontario slogan pubblicitario; siamo intervalli tra una menzogna e una finzione, debordiamo nella palude del reale lobotomizzandoci di opportunità e ogni migliore auspicio. Va da sé che qui un senso si ritrova, in clausola, borgesiano romanzo dei romanzi: ma l’ondata di kitsch, interiorizzata, è una sassata che stordisce, e finiamo là. Dimenticando, magari, che siamo noi i pupazzi kitsch, è la vita che certe volte non può essere niente di diverso.
Proviamo a normalizzare questo articolo. Pizzico Stade sul New York Times: “The city of Duluth in ‘Duluth’ is bounded on one side by picturesque Mexico. On a clear day you can see the Pacific Ocean, 20 miles to the north. On a clear night you can see the “lights of the aurora borealis fill the entire southern sky like the long cold finger of some metaphor.” By the palm trees lining the shore of Lake Erie, near the mouth of the Colorado River, is the black ghetto. Along ‘ethnic Kennedy Avenue,’ at the edge of the desert, is Little Yucat·n, a barrio populated by illegal aliens from Mexico. In the Duluth Woods swamp there is a cerise spaceship populated by illegal aliens form outer space. ‘Welcome to Duluth! The Venice of Minnesota,’ says Mayor Mayor Herridge (yes, the first name of Duluth’s mayor is “Mayor”) as he boards the spaceship.”
La Venezia del Minnesota, terroristi aztechi. Disorder. Ancora il Professor Stade, per orientarvi a dovere in quel che da europei non potremmo decifrare: “at least, ‘Duluth’ is not true to life. Besides slaps at television series such as ‘Dallas’, at historical romances, science fiction, Redbook (‘a magazine for the romantic career woman’), nonfiction novels, gossip columns, creative journalism whether hot or cold, and thrillers with ‘mucho macho’ terrorists or black super-studs, there are sideswipes at William Gass, James A. Michener, Ernest Hemingway, Norman Mailer, Thomas Pynchon, Jerzy Kosinski, Roland Barthes and the ‘boola-boola Yale’ critics”.
La morale della favola del letterato Stade è: Vidal si sta levando qualche sassolino. Le vittime e gli obbiettivi sono riconoscibili; non solo il serial tv “Dallas”, ma tutta una serie di protagonisti della vita pubblica di quegli States che aveva abbandonato. (quindi, pensa Calvino: come diavolo…).
La morale della favola del letterato di lingua italiana del 2007 è svincolata dalla pretesa di riconoscere, individuare e segmentare i nemici e gli obbiettivi dello scrittore di West Point. Mi stuzzica il gioco della confusione tra real e fiction, tra fiction catodica e letteraria che in realtà è più vera e credibile di certe vite: della menzogna e della stupidità che tutto inquina, del gioco delle apparenze che tanti e a fondo illude. Non nascondo che, decifrato il meccanismo, la scrittura stanca, e sembra annacquarsi per andare incontro a non so quali logiche: ma importanza adesso non ne ha. Ha importanza ricordare e ribadire che nel 1983 c’era chi si prendeva gioco di quella che sembrava la nuova cultura pop, e non badava a darle dignità e senso; piuttosto, badava a mostrarne la nulla sostanza, l’apparenza plastica, la coincidenza con la stupidità di certi nostri dialoghi: con l’inutilità di certe nostre interazioni. Col non senso che io non ho: io non è, niente.
Maurizio Ceccato e Gore Vidal mi hanno invitato ad aprire quelle vecchie televisioni che io non guardo più da un po’. Non credevo di ritrovare, tra documenti falsi e qualche luccicante lustrino, ritagli di giornale e memorie rimosse, qualche goccia del mio sangue. A loro due mi dichiaro debitore.
This is real, not fiction. This is one chance, in a lifetime.
Sempre i Girls Against Boys. Il pezzo si chiama “One Dose of Truth”. To whom it may concern. Lascio a Calvino il privilegio e l’opportunità di raccontare un libro che un ragazzotto letterato ha saputo interiorizzare, lontano da tutto e lontano da sé, vivendo in una tela di De Chirico. Altrove, come altrove siamo tutti quando la patria non più esiste, è solo una fiction rubata alla realtà da una delle televisioni o dei periodici che ci informano: che niente io sono, e niente accade, sin quando non pretendiamo una dose di verità. Di quelle che ti ammazzano
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Eugene Luther Gore Vidal (West Point, New York, USA 1925), saggista, sceneggiatore e romanziere americano. Vive a Hollywood Hills. Debuttò pubblicando “Williwaw” nel 1946.
Gore Vidal, “Duluth”, Fazi, Roma 2007.
Traduzione di Alberto Cellotto. Con uno scritto di Italo Calvino (“Vidal e il suo doppio”, 1983). Introduzione dell’autore. Progetto grafico e illustrazione di copertina di Maurizio Ceccato.
Prima edizione: “Duluth”, 1983.
Approfondimento in rete: Wiki it / The Gore Vidal Index / NY Times / Time / La nota del traduttore
In Lankelot: “Palinsesto”.
Gianfranco Franchi, “Lankelot”. Ottobre 2007
– 08/10/2007
Duluth
N.d.T. – La Nota del Traduttore
Duluth
di: Gore Vidal / editore: Fazi, 2007
traduttore: Alberto Cellotto – Traduzione dall’Inglese
Circa un anno dopo. Leggo un articolo su Gore Vidal su «Domenica» de «Il Sole – 24 Ore». Conosco già la sua produzione di polemista, saggista e soprattutto i suoi romanzi storici che Fazi sta riproponendo in nuove traduzioni. Nel fiume grosso delle sue opere vedo scorrere il nome Duluth. Ricavo solo un’informazione di ordine cronologico: opera del 1983. Mi procuro la traduzione italiana, non senza difficoltà, e nel frattempo mi documento un po’: la città che ho visto io alle prese con una popolare maratona sui pattini c’entra assai poco con la trama del libro. Mi appassiono, forse proprio in virtù della parola “Duluth”, che sembra essere l’unica cosa in comune tra la città che ho visitato e questo curiosissimo romanzo, tutto scoppiettante nelle invenzioni linguistiche e nel plot. La mia personale vicenda con Duluth-Duluth sembra finire qui.
Da tempo volevo provare a propormi per una traduzione. Mi veniva difficile trovare una chiave di avvicinamento alle case editrici. E poi – si sa – senza referenze si fa poca strada. Scrivo alla redazione di Fazi per sapere se c’è l’intenzione di pubblicare a breve Duluth, ormai irreperibile dal momento che la traduzione di Pier Francesco Paolini per Garzanti data 1984. Quasi per scherzo, e comunque senza troppa convinzione, mi propongo come traduttore del romanzo stesso. Dopo qualche settimana mi rispondono che il libro è in programmazione e mi chiedono se mi va di spedire una quindicina di cartelle di prova.
Mi tuffo nella lettura del testo nell’edizione Penguin e capisco subito che tradurre Vidal è tanto divertente quanto pericoloso. La cifra distintiva di Duluth è il pun e le costellazioni di puns disseminate da Vidal si apprezzano quasi esclusivamente nella lettura del testo originale. Ce ne sono tanti e sono tutti sottilissimi. Riuscirò a farne passare una buona parte? Mando la prova alla redazione di Fazi, che a loro volta la inoltra al maestro. La sua riposta, tramite il suo assistente, è lapidaria: “it seems he understands all the puns”. Naturalmente intende tutti quelli presenti in quelle prime quindici pagine, neanche tanti se paragonati al resto del libro. Test passato, anche alla Fazi si convincono.
Sono il traduttore di Duluth. Non male per iniziare. La mia gioiosa incredulità è bilanciata da un ragionamento molto semplice: le case editrici, come tutte le aziende, puntano a contenere i costi. Evidentemente quello del traduttore è visto sempre più come un costo sul quale limare e la traduzione come una basic commodity da acquistare in un mercato con ampia offerta. La scelta di Fazi di affidarsi a un signor nessuno della traduzione mi risulta abbastanza leggibile dal punto di vista del (loro) conto economico. In parte, mi sembra pure una scelta coraggiosa: se mai nessuno dà la possibilità a qualcuno di iniziare… ma chiudiamo qui questo ragionamento di gestione delle imprese editoriali, anche se a me è servito come ulteriore sprone.
Di sicuro iniziare con Vidal è un bel cimento. Per fortuna, come ho già scritto, il libro è uno spasso, occuparsi della traduzione diventa divertente. Le continue sovrapposizioni temporali e i mutamenti di scenario frequenti, dettati dall’alternarsi di paragrafi brevi e succosi dove i protagonisti s’avvicendano rapidamente per poi far ritorno poco più in là (o in un’altra epoca, sotto altre spoglie!), hanno richiesto uno sforzo particolare nel trarre il massimo dai dialoghi e dalla caratterizzazione dei personaggi, così marcata che per taluni caratteri non è esagerato parlare di caricatura.
Il comico, il burlesco (c’è chi definito Duluth un capolavoro di questo genere, che estende la propria parodia a letteratura e fiction televisiva), le surreali ambientazioni e le caratterizzazioni di un manipolo di personaggi a dir poco esilaranti costituiscono un pungolo costante per il traduttore, che ha quindi il compito di operare le proprie scelte senza perdere mai di vista un obbiettivo fondamentale: trasmettere il debole di Vidal per la confusione controllata e finalizzata allo spiazzamento del lettore, per la promiscuità di registri e lessici e per i già citati puns. Sembra di vederlo quando scrive, mentre traducevo avevo davanti la sua faccia soddisfatta. Un bel monito a non abbassare mai la guardia per un traduttore alla prima esperienza importante.
– 30/08/2007
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