Tim Winton

Cloudstreet

COD: 36660e59856b Categoria: Tag:

Collana:
Numero collana:
63
Pagine:
360
Codice ISBN:
9788881123926
Prezzo cartaceo:
€ 11,00
Data pubblicazione:
31-01-2003

Traduzione di Maurizio Bartocci

Un’antica casa in preda agli spiriti. Due famiglie, i Pickles e i Lamb, si trasferiscono nella malandata abitazione di Cloudstreet, ne condividono spazi e ombre, brividi e memorie, e iniziano così una nuova vita. Sam Pickles è uno scommettitore incallito e squattrinato, che si vede costretto ad affittare metà della casa. Gli unici a rispondere all’annuncio sono i laboriosi Lamb, famiglia in attesa del Dio dei Miracoli che sembra averli abbandonati da quando il loro figlio Fish è caduto in acqua ed è annegato, per poi miracolosamente tornare alla vita. Da parte sua la moglie di Sam, la bella e inquieta Dolly, preferisce rimorchiare uomini al bar piuttosto che star dietro alle alterne fortune del marito, mentre i loro tre figli sembrano aver ereditato dal padre l’incredibile tendenza a cacciarsi nei guai

Le due famiglie condividono l’incredibile tendenza a cacciarsi nei guai. Le due famiglie condividono gioie e dolori nella grande dimora di Cloudstreet che, se dapprima è solo un tetto sotto cui ripararsi, diventa con il tempo – in un’eterna altalena di buoni e cattivi giorni – un vero e proprio luogo d’amore.

Opera suggestiva di uno dei più significativi scrittori contemporanei, tradotto in tutto il mondo e ormai considerato un classico della letteratura australiana, Cloudstreet celebra l’essere umano nella sua magica, bizzarra quotidianità.

«Il capolavoro di uno dei maggiori scrittori australiani».
Corrado Augias, «la Repubblica»

«Cloudstreet è un libro talismanico e ipnotico. Ma bisogna afferrarne la chiave, e stare al gioco, perché la bravura di Winton lussureggia. Come scrisse in un verso famoso W.H. Auden di Paul Claudel, perdonatelo perché scrive bene. Forse troppo.»
Claudio Gorlieri, «TTL – La Stampa»

«Per Winton, che rivela l’arguzia d’un appassionato annotatore di trattipsicologici, ciò che conta è la progressiva scoperta dei valori della solidarietà e della tolleranza in un contesto esistenziale duro e spietato».
Renzo Crivelli, «Il Sole 24 Ore»

CLOUDSTREET – RECENSIONI

 

Alessandra Orsi, MARIE CLAIRE
– 01/02/2004

 

Storie d’Australia

 

Sognano e credono nel destino i personaggi di Tim Winton, ma né i sogni né il destino sembrano premiarli per questa ingenua fiducia. E ci si potrebbe anche scoraggiare dopo la prima sequenza di disgrazie che si abbatte sulle famiglie Pickles e Lamb. Eppure, quando le due famiglie si ritrovano nella casa di Couldstreet che dà il titolo al libro (tra i più belli del grande scrittore australiano, qui nell’ottima traduzione di Maurizio Bartocci), ci si appassiona alla vita di due tribù che, prima con diffidenza e poi con tenerezza, condividono senza rassegnazione una vita in trincea. Perché la sfortuna sarà pure un marchio congenito, ma ognuno ha un metodo per avvistarla, che sia il radar dell’infelicità del piccolo Quick Lamb o la lucidità della giovane Rose che deve sostituirsi a una madre perennemente ubriaca e sopprotare gli uomini di casa (“Sapeva che senza di lei non avrebbero mangiato e sapeva anche che non potevano fare a meno di essere cretini: erano maschi!”).
Aprendo continui squarci nella vita interiore di persone apparentemene banali, Winton riesce a far diventare ciascuno di loro un protagonista. Il mondo esterno è solo un’eco, che manda i suoi riverberi con la notizia della fine della guerra in Europa, o col passare delle stagioni che cambia l’umore e i passatempi dei bambini. Dalla loro, i più piccoli hanno la possibilità di crescere e lasciarsi alle spalle l’inferno, che è “la vista del volto di tuo padre segnato dal viaggio per arrivarci, la sua espressione contratta, la precezione dei fatti”. Più che un romanzo, una lunghissima poesia sulla vita. Da leggere ascoltando tutto Nick Cave, ma soprattutto People Ain’t No Good.

 

Franca Cavagnoli, DIARIO
– 29/08/2003

 

Aspettando il miracolo. Una casa racconta la storia che passa

 

Pochi autori mantengono ciò che promettono quando si apre un loro libro. Tim Winton è uno di questi. Il mistero, che subito aleggia nelle prime pagine di Cloudstreet, è destinato a farsi più fitto via via che si procede nella lettura; il senso di magia, l’occhio visionario con cui Winton guarda alla sua terra natale, l’Australia, rimane una realtà per quasi cinquecento pagine. D’altronde la perseveranza è ciò che più accomuna lo scrittore australiano ai protagonisti dei suoi libri. Anche quando il protagonista non è un essere umano, come accade qui.
Al centro di questo romanzo c’è infatti una casa di Cloudstreet, una via di Perth, Australia Occidentale, “la città più isolata del mondo”, ci ricorda Tim Winton non solo perché downunder, ma anche e soprattutto perché è la più lontana dalla capitale stessa dell’Australia. La bella casa di Cloudstreet, ormai fatiscente , come un personaggio che si rispetti ha un’aria vissuta e una lunga storia dietro di sé. Innanzi tutto è una vetusta magione nella quale un tempo un’anziana signora istruiva giovani aborigene e dunque nei suoi antichi mattoni porta impresso il marchio dell’Australia coloniale.
Adesso invece accoglie due famiglie, i Pickles e i Lamb, che, giunte con i loro molti figli e molti dolori, in queste stanze ricominciano a vivere. Soprattutto i Lamb, che il destino ha voluto mettere più di tutti alla prova quando gli ha strappato il figlioletto Fish, facendolo quasi annegare, per poi renderglielo capricciosamente all’ultimo momento: vivo, sì, ma con gravi lesioni cerebrali che ne faranno un minorato per tutta la vita. Giustamente la madre si lamenta e vuole con tutta se stessa che “il miracolo sia compiuto”. Ma il destino ha segnato non poco anche i Pickles: il capofamiglia, che per vivere spalava guano, ha subito un grave infortunio sul lavoro che lo ha lasciato privo delle dita di una mano e ora si trascina senza soldi da una scommessa di cavalli all’altra, mentre la moglie, alcolista, ama andare al pub per rimorchiare i clienti. Di tutti Winton ci racconta la vita a partire dalla Seconda guerra mondiale fino all’età degli anni Sessanta, sullo sfondo di un’Australia che cambia, non sempre come i suoi abitanti vorrebbero.
Gli echi dei bombardamenti giapponesi al largo di Darwin in Cloudstreet arrivano smorzati, con tutti quei chilometri di bush e di deserto percorsi da presenze misteriose, e così pure quelli della guerra di Corea, sottolineando una volta di più la sindrome di lontananza che affligge gli australiani, costretti, come già a Gallipoli, a combattere guerre non loro pur di sentirsi parte di qualcosa.
Intanto, però, nel ventre caldo della casa di Cloudstreet i Pickles e i Lamb impareranno nel corso degli anni a passare da una coabitazione forzata, per mere esigenze economiche, a una convivenza voluta, come consapevole scelta di vita. Perché – sembra dirci Tim Winton, scrittore cattolico ma soprattutto morale, bravo a indagare la dimensione spirituale della gente qualsiasi – per un miracolo che non si compie se ne compie un altro: se si fa posto, dentro di sé, ai valori dell’amicizia e della solidarietà.

 

Claudio Gorlier, TTL
– 26/04/2003

 

Metamorfosi d’Australia, tra pesci, agnelli, stelle

 

La più famosa e amata ballata popolare australiana si chiama Waltzing Matilda, in gergo “portare a spalle la bisaccia”. Narra di un povero nomade che, incalzato dalla polizia in quanto si è nutrito di una pecora da lui uccisa, si getta in uno stagno e vi annega. Ma da allora, periodicamente, la sua ombra riappare. Non vi stupisca il preambolo sul nuovo romanzo dell’ormai affermato scrittore australiano Tim Winton, Cloudstreet, perché il senso della immensa spazialità del suo paese-continente, e, accanto, una dimensione quasi fantastica lo pervadono, con frequenti ricadute letterarie.
In Cloudstreet, nome di una piccola località dell’Australia occidentale, il quarantatreenne Winton, nato proprio a Perth, l’estremo Ovest australiano, colloca la sua storia, inquietante e insieme vitalistica, picaresca. Fin dal titolo, che suggerisce il frequente, rapido passaggio delle nubi, si percepisce l’intenzione simbolica, l’atmosfera magica che si diffonderà quasi irresistibilmente. Anche i nomi dei personaggi sono a chiave. Sam Pickles – salamoia o sottaceto di Sam, come spiega opportunamente in nota l’eccellente traduttore Maurizio Bartocchi – , sfaccendato, giocatore e quindi perdente, è costretto ad affittare metà della propria casa. Unici a farsi vivi, sopravvengono i Lamb – altro nome emblematico, agnello – una numerosa e vivace, attivissima famiglia. I Lamb mettono su un negozio di generi alimentari con successo, ma non per questo la vita delle due famiglie procede tranquillamente. Si noti che la vicenda si svolge durante la seconda guerra mondiale, presente eppure assai remota, con un Giappone minaccioso ma incombente soltanto a livello mentale, salvo qualche bombardamento nel lontano Nord. I Lamb hanno alcuni figli, maschi e femmine, pieni di vita e di invenzioni: non a caso un maschio si chiama Quick, “svelto”. Dal canto suo, la moglie di Sam, affascinante e tormentata, Dolly, si dà alla bella vita, trascura i tre figli che ne passano di tutti i colori. La guerra è finita: l’abbiamo scampata bella, pensa Quick. E Quick, nella famiglia Lamb che si trova in un intreccio di realtà e di favola, soffre di una misteriosa malattia, emettendo una strana luminescenza. Gli paserà, in una sorta di metamorfosi che scandisce il libro, ma non è lui il personaggio chiave, se dobbiamo sceglierne uno. E’ il fratello Fish, “pesce”, caduto in acqua e apparentemente annegato, poi miracolosamente tornato alla vita ma non completamente, fisicamente e mentalmente menomato. E’ lui al centro dell’universo magico del libro. Alla fine sarà proprio un tuffo nell’acqua a ucciderlo, apparentemente, ma probabilmente a trasferirlo, immortale, nell’universo, “nella luna, nel sole, nelle stelle” come dice egli stesso nelle ultime righe parlando della sua trasfigurazione.
Ecco perché ho iniziato con Waltzing Matilda che Winton sono convinto avesse bene in mente. Cloudstreet è un libro malioso, talismanico, ipnotico. Ma bisogna afferrarne la chiave, e stare al gioco, perché la bravura di Winton lussureggia. Come scrisse in un verso famoso W.H. Auden di Paul Claudel, perdonatelo perché scrive bene. Forse troppo.

 

Renzo S. Crivelli, IL SOLE 24 ORE
– 08/06/2003

 

Cloudstreet, un crocevia per vite disperse

 

Venticinque anni di vita in Australia, dallo scoppio della seconda guerra mondiale fino a metà degli anni Sessanta, attraversano due famiglie, i Pickles e i Lamb, asserragliate nella grande, vetusta casa di Cloudstreet: una via per lo più tranquilla, ricca di personaggi della quotidianità, aggrovigliata nel tessuto popolare d’una grande città come Perth. A narrarli, in un romanzo intitolato per l’appunto Cloudstreet, è Tim Winton, classe 1960, tra i migliori scrittori australiani, autore di opere pregevoli come Quell’occhio, il cielo (tradotto per Fazi nel 1997), al cui centro sta un’altra casa, quella del piccolo Ort Flack, che diviene la misura del suo apprendistato esistenziale.
In Cloudstreet Winton ci fornisce la ricostruzione d’una società minuta e fragile, incapsulata nelle sterminate e incolte distese naturali della West Coast, che affonda le radici nell’inconsapevole “epicità” d’un gruppo di persone accomunate da un inconscio “senso di lontananza” compresso nell’estremo lembo occidentale del continente australe; una lontananza dalla cultura e dallo stile di vita britannici che è solo momentaneamente attenuata dalla partecipazione al conflitto (così come era accaduto nel 1915-18, quando l’amaro tributo di vite dell’Anzac, l’Australian and New Zealand Army Corp, a Gallipoli aveva segnato il punto di massima convergenza emotiva con l’Europa), i cui echi spaventosi giungono a ondate sulle spiagge dorate di Geraldton, dove Sam Pickles, scommettitore ai cavalli senza speranza, alcolista e spiantato, riceve la notizia di una eredità immobiliare a Perth.
Pickles ha tre figli, tra cui spicca la fragile Rose, e una moglie disperata, Dolly, che colma la propria solitudine agganciando gli avventori dell’Eurythmic Pub. La sua storia si trasferisce, con un tragitto di 400 chilometri verso sud, da Geraldton a Perth, e si intreccia con quella di Lester e Oriel Lamb, cha hanno ben sei figli. Il luogo del loro incontro, che sfocerà in una coabitazione decennale, è proprio la casa di Cloudstreet – circondata dall’intenso profumo degli alberi di jacaranda, con un incolto giardino in cui il tempo ha fatto il nido – che i Pickles subaffittano per sbarcare il lunario. Lì, tra quelle mura che sanno di stantio, tra i cigolii delle travi del pavimento, le crepe sui muri, le tappezzerie scrostate, risiede una porzione di storia australiana fatta di fasti imperialisti e di colonialismo (apparteneva a una anziana signora che istruiva, con scarso successo, giovani aborigene alle buone maniere britanniche), ma per Winton, che rivela l’arguzia d’un appassionato annotatore di tratti psicologici, ciò che conta è la progressiva scoperta dei valori della solidarietà e della tolleranza in un contesto esistenziale duro e spietato come quello di Perth, chiamata, non a caso, “la città più isolata del mondo” (basti pensare che la capitale Canberra è a soli 4.000 chilometri di distanza).
Cloudstreet è il romanzo di due generazioni in un momento cruciale per l’Australia, caratterizzato da una tenera fierezza partecipativa, in cui passato e presente si fondono per produrre nuove aspettative. E in esso, infatti, tutti i personaggi – da Sam che, prima di ereditare la casa, sopravviveva spalando il guano degli uccelli, a Lester Lamb, che trasforma il pian terreno in un avviato negozio di alimentari, dal piccolo Fish annegato in mare e “risorto” con una lesione al cervello, a Rose Pickles, che si innamora di Quick Lamb e lo sposa, legando saldamente fra loro le due famiglie – si muovono entro spazi mentali che, resi più vividi dall’incalzante struttura a flash narrativi, giocano un accattivante ruolo contrappuntistico.

 

Monica Capuani, D LA REPUBBLICA
– 03/05/2003

 

Romanzi agli antipodi

 

C’è un paese sconfinato, dall’altra parte del globo, dove l’estate è inverno, e l’inverno estate. Un “mondo alla rovescia” autentico, non la sofisticata invenzione della fantasia di Swift. E lì può accadere che un dodicenne di nome Morton Flack, protagonista di Quell’occhio, il cielo di Tim Winton, invece di crescere secondo i sacrosanti dettami della religione cattolica, reagire alle sue costrizioni e trovare la libertà in una filosofia di vita stile “figli dei fiori”, proceda esattamente all’inverso: figlio di genitori hippy, che l’allevano strimpellando sulla chitarra Blowing in the wind, s’imbatte in uno stralunato vagabondo che lo converte ai principi di un approssimativo Bignami della dottrina cristiana. Tim Winton, scrittore australiano di Pert, classe ’60, è speciale come il suo Paese. E’ un hippy abbronzato, ha tre figli tra i 19 e i 12 anni, vive su una spiaggia scrivendo e facendo surf, ma questa vita spensierata all’aria aperta non gli ha impedito di affinare una sorprendente maestria nel rappresentare il perturbante e nel costruire plot dove il parossismo dell’incomprensibile cresce fino a diventare incubo. Come in I cavalieri, dove Scully sta per costruire per la sua famiglia una vita nuova di zecca in Irlanda. Qualcosa, però, s’inceppa negli arcani ingranaggi della felicità: sua moglie scompare e l’aereo dall’Australia gli riporta la figlia afasica e traumatizzata. Comincia così una ricerca tra Inghilterra, Italia, Francia, Olanda, mentre un’ossessiva visione di cavalieri medioevali sembra suggerirgli che la realtà è più complessa dell’apparenza. “Il pessimismo”, spiega Winton, “è una tradizione per gli australiani, che erano la feccia delle galere vittoriane, inviata a colonizzare il Nuovo Mondo e cresciuta nell’odio per questa terra indomabile, che per loro fu un gulag. S’illusero di tradformarla nella nuova Europa. La delusione si vede nei nomi dati al paesaggio. Altrimenti perché battezzare una montagna Mount Misery?”. In questi giorni Fazi, che ha il merito di pubblicare Winton in Italia, fa uscire Cloudstreet, considerato il suo capolavoro, una saga tra due famoglie della working class costrette a coabitare per vent’anni nella stessa casa, dove risiede il fantasma di un’aborigena. La Company B Belvoir – il gruppo teatrale di Sidney con il quale recitano Geoffrey Rush e Cate Blanchett – ha trasformato il romanzo in una pièce che ha stregato il pubblico dei teatri inglesi. “L’Australia sta vivendo un periodo di elettrizzante fiducia, come l’America negli anni ‘20”, continua Winton. “Il vecchio mondo sta cominciando a soffrire di una sana forma di claustrofobia, che lo costringe ad allargare gli orizzonti. E noi, agli antipodi, siamo proprio il mondo più vasto sul quale il loro sguardo comincia a spaziare”.

 

Maura Murizzi, MUCCHIO SELVAGGIO
– 29/04/2003

 

Tim Winton. Artigianato letterario

 

Quarantatré anni e quindici libri all’attivo non sono pochi per nessuno, soprattutto se sei nato in Australia e la tradizione letteraria del tuo paese è tutt’altro che consolidata; soprattutto se non hai frequentato corsi di scrittura e non sei capace di scrivere un’opera tanto per fare, fosse pure “senza sangue”; soprattutto se hai una moglie e tre figli che ti lasciano davvero poche energie per l’arte e la riflessione. A Tim Winton l’impresa di pubblicare sei bellissimi romanzi e più di altrettante raccolte di racconti e libri per bambini è riuscita egregiamente, ed è frutto di costanza e modestia più che di genio o fortuna: la costanza di scrivere, fin dall’età di ventun’anni, tutti i giorni per almeno otto ore e la modestia di intendere il proprio lavoro più vicino all’artigianato che all’arte, più bisognoso di applicazione e concentrazione che di estro e illuminazioni. A leggere le sue dichiarazioni in merito, il mestiere della scrittura sembra fatto di continui aggiustamenti, di tanto dolorosi tagli a sottrazione e di altrettanti operazioni di recuperi, compensazioni, limature. Insomma, un’occupazione ben poco incantevole ed essenzialmente tediosa, capace però di catturare emozioni, mondi e angosce come solo l’arte sa fare. Il risultato, almeno per quanto abbiamo finora potuto constatare nelle opere già tradotte in italiano, con grande merito di Fazi, è a dir poco strabiliante, sospeso a metà strada tra la grandezza di disegno dei naturalisti dell’800 (Zola, Verga, Balzac), fini osservatori di un mondo in velocissimo cambiamento, e le inquietudini tutte post-moderne di un McEwan o di una Woolf. A paradigma di questa doppia natura di Winton, che corrisponde poi alle due anime della sua terra (una fortemente conservatrice, legata all’antica spiritualità aborigena, e una decisamente moderna, ormai dominante nelle metropoli di Sidney e Melbourne) potremmo prendere i suoi due romanzi più significativi, I cavalieri e Cloudstreet. Di Cloudstreet avrete già letto su queste pagine, in termini entusiastici, come di una saga familiare dai toni epici e vagamente magici, vicina per un verso alla mitizzazione di braccianti e gente semplice tanto cara a Steinbeck e, per un altro verso, all’atmosfera senza tempo, quasi maledettamente mitica, di Cent’anni di solitudine e della stirpe infinita di Aureliano Buendìa. Per chi ha già letto o leggerà il romanzo, i termini di paragone con Steinbeck, Verga o Garcia Marquez risulteranno magari impropri o forzati, dal momento che Winton ha uno stile personalissimo e che la storia è meno fiabesca e dolente di quanto non lasciano intendere i modelli appena citati. Certo è che qualche riferimento letterario è d’obbligo per orientare i curiosi e che l’idea di un destino capriccioso e spietato accompagna tutti i tentativi di fuga dalla famiglia e da Cloudstreet, che ne rappresenta le radici, povere ma forti, la memoria e in definitiva la fortuna. Su ben altre atmosfere, meno reazionarie (forse), più inquietanti, più vicine al McEwan di Bambini nel tempo, si sviluppa I cavalieri, una storia di fuga e di libertà, di amore e di responsabilità, che accosta elementi ultramoderni e ultraoccidentali (nel senso più consumistico e global della parola) a paure e figure ancestrali. Differentemente da Cloudstreet, The Riders nasce dai viaggi in Europa di Winton, e dall’esperienza, forse non particolarmente fortunata, con aeroporti, carte d’imbarco e carte di credito. Poiché lo scrittore (o meglio il suo alter ego Scully) rimane sempre per metà un nativo australiano, a Parigi come nelle isole greche, in Irlanda come in Italia non riesce a “limitarsi” alla dimensione del turista, e inevitabilmente, assieme ai bagagli di viaggio, porta con sé fantasmi e chimere mute e senza volto, che sono appunto i cavalieri del titolo e una misteriosissima donna di nome Jennifer. Scrittura piana, dialoghi serrati e una precisione quasi maniacale nelle descrizioni non impediscono la presenza e il definitivo sopravvento di questi fantasmi inconsistenti e tormentosi, che non sapremo mai se interpretare come sogno, un’ossessione o un oscuro presagio, e che soprattutto non ci svelano il perché, con chi, da cosa (oltre che dalle responsabilità di moglie e madre) Jennifer sia scappata all’improvviso, senza lasciare un biglietto, una giustificazione o un addio. Proprio come per la bambina di McEwan sparita al supermercato, non ne conosceremo la fine, non la incontreremo mai, nonostante una fugace apparizione delle sue lunghissime gambe e della sua chioma scura, nonostante l’inarrestabile peregrinare del marito e della figlia sui suoi passi attraverso i quartieri bohèmiens di Grecia, Italia, Francia e Inghilterra. Da questa storia; come da un racconto mitico costellato solo per caso di elementi moderni e attuali, il lettore uscirà più debole, più incerto, più sofferente che mai… Quanti altri romanzi sono in grado di colpire al cuore così tanto, al giorno d’oggi? Quanti hanno il potere di emozionare con la sola forza evocativa delle parole, di incantare con la dolcezza dei personaggi e di scuotere con la potenza degli assenti? I libri di Winton hanno questo dono raro e straordinario. Una qualità più unica che rara.

 

Patrizia Tagliamonte, TV RADIOCORRIERE
– 18/03/2003

 

Cloudstreet

 

Da uno dei migliori scrittori australiani una storia bella e potente, al tempo stesso romantica e avventurosa. Al centro dell’intreccio, un’antica casa posseduta dagli spiriti, la dimora, appunto, di Cloudstreet; qui si ritrovano due famiglie, quella dell’incallito scommettitore Sam Pickles e quella di Lester Lamb, poliziotto timorato di Dio. Mai vite potevano essere più diverse, separate da educazione, intenti e desideri. Eppure il vivere sotto lo stesso, strano tetto, farà miracoli: in una continua alternanza di gioie e dolori, speranze e inquietudini, si stringerà tra i coinquilini un legame che andrà oltre a semplice convivenza.

 

 

Alessandra Masu, GRAZIA
– 18/03/2003

 

Cloudstreet

 

Sono due le famiglie che si dividono gli spazi e l’anima di una vecchia casa di Cloudstreet, in Australia. I maledetti Pickles capeggiati da Sam, giocatore d’azzardo, e dall’inquieta Dolly. E i virtuosi Lamb (un nome, un destino), segnati dalla disgrazia del figlio Fish. Saga familiare “doppia”, il quinto titolo di Winton tradotto da Fazi è già un classico della narrativa aussie.

 

 

Biagio Oppi, WWW.STRADANOVE.IT
– 24/03/2003

 

Due famiglie e una casa in Australia

 

PRIMA ERA IL NOME DI UNA STRADA, CLOUD STREET, POI ERA DIVENTATO IL NOME di una casa, anzi di “casa”, luogo di nodi famigliari da cui ci si allontana con furia e rancore ma a cui si può ritornare per cercare affetto e rifugio. Due famiglie abitano a Cloudstreet, vicino a Perth in Australia. I Pickle l’hanno ereditata da un cugino ed è stato l’unico colpo di fortuna nella vita di Sam Pickle, giocatore incallito nonostante che perda quasi sempre. I Lamb hanno preso in affitto una parte di questa enorme casa e, con la vitalità e lo spirito di iniziativa che sarà sempre la loro caratteristica, trasformano una stanza in un negozio di generi vari.
Una disgrazia in ogni famiglia: Sam Pickle ha perso le dita della mano in un incidente, uno dei ragazzini Lamb è rimasto ritardato dopo essere stato miracolosamente salvato mentre stava per annegare. Tre figli nella famiglia Pickle, sei in quella Lamb. Sono le figure femminili le più potenti in questo romanzo, quelle che emergono dolorosamente con il loro fardello di traumi infantili a cui si aggiunge il carico di una vita che non risparmia colpi a nessuno. Dolly, la moglie di Sam, ha avuto un padre che era anche suo nonno, adesso è una donna belloccia a cui piacciono gli uomini e l’alcool. Oriel Lamb è sopravvissuta ad un drammatico incendio; la sua energia instancabile nasconde un nodo di infelicità che la porta a rifugiarsi nella solitudine di una tenda piantata in giardino. Quanto alla giovane Rose Pickle che si trova a sostituire la madre alcolizzata e indolente, rifiuta di mangiare nel desiderio inconscio di attirare l’attenzione su di sé nel suo bisogno di affetto. Vent’anni di storie di tutti i giorni, gioie (poche), difficoltà (molte), sofferenze e lotte quotidiane. Una vita semplice, si lavora, si pesca, si caccia il canguro.
All’inizio giungono gli echi della guerra, ma l’Europa è lontana e la guerra tocca da vicino solo i famigliari di chi non è tornato, poi ci si rallegra quando le campane ne annunciano la fine. Un romanzo corale in cui ogni voce ha il suo linguaggio, da quello elementare di Fish, l’eterno bambino di cui si prenderà cura Rose dopo aver sposato Quick Lamb, a quello sboccato e volgare di Dolly la beona, a quello spiccio ed essenziale di Oriel, in capitoli a volte lunghi sull’onda della narrazione e a volte brevissimi, fatti di lampi di intuizione, come delle visioni. E c’è un personaggio estraneo, un aborigeno nero che appare periodicamente come in un sogno, senza interagire con i protagonisti, lo scheletro nell’armadio degli australiani.

Presenza costante, centro focale di tutte le storie, la casa che vive, respira e parla con voci e singhiozzi notturni. Odiata perchè claustrofobica e soffocante, amata perché luogo di certezze.
Il romanzo di Tim Winton finisce quando le due famiglie decidono di non vendere la casa, ma è una fine che potrebbe segnare un altro inizio, come la vita che va avanti con il figlio di Rose e Quick, dalle gioie e i dolori di una generazione a quelli della generazione seguente.

 

Mariella Radaelli, IL GIORNO
– 22/02/2003

 

L’Australia dei perdenti

 

 

I romanzi di Tim Winton sono anche dei Baedecker, valide guide per quelli che vogliono compiere un viaggio mentale in Australia. E Cloudstreet, appena tradotto in Italia da Fazi editore (ma scritto nel 1991, è già considerato un classico della letteratura australiana) conferma questa regola che sembra muovere la cifra narrativa dell’autore di Perth.
Cloudstreet rielabora il mito australiano del perdente (del “beautiful loser” cantato nella più poplare folk song australiana, “Waltzing Matilda”), che in questo romanzo diventa anche un lottatore. Perché qui quasi tutti i personaggi vogliono affrancarsi da quel carico di sbagliato che c’è nella loro vita, e ricercano strenuamente un futuro migliore, agitati da una trama struggente di sogni. Vogliono ricominciare da capo, e la vecchia enorme abitazione di Cloud Street numero 1 dove i Pickles e i Lamb si trasferiscono, rappresenta il luogo della possibile trasformazione del loro mondo vago e incerto, pieno di ansie non solo economiche. Sam Pickles è uno scommettitore incallito perennemente squattrinato, un disoccupato con una mano monca, senza sussidio di disoccupazione. Sua moglie Dolly è una donna bellissima che ha un debole per gli altri uomini, soprattutto quelli inetti, che rimorchia al bar. Sam e Dolly hanno una masnada di figli capitanati dalla primogenita, Rose, una ragazza carina con la passione per la lettura, che conclude il suo fidanzamento con un giornalista di cronaca mondana per un ragazzo dei Lamb, che alla fine sposerà. Lester e Oriel Lamb sono invece una coppia “timorata di Dio”, che crede nei miracoli. E uno dei loro sei figli, Fish, ha sperimentato l’esistenza del prodigioso, quando il fiume ha restituito il suo corpo senza vita, e poi improvvisamente “dalla morte Fish Lamb è tornato! Lode al Signore”. Il fiume, che diventa teatro di altre avventure vissute dai personaggi, si fa luogo della memoria e simbolo delle forze contrastanti che sono alla base di questa commedia umana australiana rappresentata da Winton con forte realismo descrittivo e soluzioni felicemente allegoriche.

 

Rossella Martina, IL RESTO DEL CARLINO
– 04/03/2003

 

Cloudstreet

 

L’autore ha poco più di quarant’anni ma questo suo romanzo è considerato un ‘classico della letteratura australiana’. Naturalmente è un vantaggio non da poco non avere alle spalle un paio di millenni e più di letteratura, tuttavia Cloudsteet è una saga bifamiliare che non si può dimenticare: i Pickles e i Lamb convivono in una grande casa malridotta, le due coppie e la loro masnada di ragazzini diventano presto figure vive, drammatiche, ora patetiche ora feroci. Winton ha la grande capacità di far provare al lettore forti sentimenti nei confronti dei propri personaggi: ci si arrabbia con loro, li si ama, li si disprezza, si vorrebbe consolarli. Tra questi resta indelebile il commovente Fish, filo rosso dell’intero romanzo.

 

IL RESTO DEL CARLINO
– 04/03/2002

 

Cloudstreet

 


L’autore ha poco più di 40 anni ma questo suo romanzo è considerato un ‘classico della letteratura australiana’. Naturalmente è un vantaggio non da poco non avere alle spalle un paio di millenni e più di letteratura, tuttavia ‘Cloudstreet’ è una saga bifamiliare che non si può dimenticare: i Pikles e i Lamb convivono in una grande casa malridotta, le due coppie e la loro masnada di ragazzini diventano presto figure vive, drammatiche, ora patetiche, ora feroci. Winton ha la grande capacità di far provare al lettore forti sentimenti nei confronti dei propri personaggi: ci si arrabbia con loro, li si ama, li si disprezza, si vorrebbe consolarli. Tra questi resta indelebile il commovente Fish, filo rosso dell’intero romanzo.

 

 

Giulia Borgese, CORRIERE DELLA SERA
– 23/02/2003

 

Saga nella terra dei boomerang

 

“Quella sera nel pub i discorsi andarono a finire sulla famiglia Pickles e la sfilza di sfortune che si erano abbattute su di loro… Lester e Oriel Lamb sono persone timorate di Dio. E’ gente di campagna anche se Lester Lamb si è messo a fare il poliziotto e lo fa allo stesso modo in cui fa il contadino: non riesce mai a cogliere l’attimo”. Uno dei sette figli dei Lamb affoga durante la pesca dei gamberi. Ma risuscita. Per un caso strano le due famiglie si trovano a vivere insieme in un immenso edificio abbandonato a Cloudstreet. Ed è l’inizio di una saga australiana che travolge e appassione per gli intrecci di amori e bizzarrie, gioie e dolori.

 

Corrado Augias, IL VENERDI/LA REPUBBLICA
– 14/02/2003

 

Cloudstreet

 

Forse il capolavoro di uno dei maggiori scrittori australiani (nat nel 1960). Il destino spinge due famiglie molto dissimili ad abitare in appartamenti contigui. Una famiglia di sbandati, un’altra di creature laboriose e sfortunate. Ci sono tutte le premesse per attriti senza fine, invece, lentamente, la miscela funziona e l’accettazione reciproca avrà il sapore del miracolo

 

Luigi La Rosa, WWW.LETTERA.COM
– 11/02/2003

 

Cloudstreet

 


Un giorno due famiglie, quella dei Pickles e dei Lamb, segnate dalle loro rispettive storie, decidono di condividere gli spazi della grande casa di Cloudstreet, luogo di dolorose memorie ma pure di nuove, appassionanti promesse. Sam Pickles appartiene al mondo delle scommesse e delle corse di cavalli, è un uomo viziato e impenitente che ha trascinato moglie e figli sulla strada del lastrico. I Lamb, invece, sono segnati da una vicenda alquanto insolita: il ritorno alla vita del loro figlio Fish, strappato alla morte dopo un annegamento nel fiume ma vittima di un’alienazione che lo rende incapace di capire e di partecipare alla normalità delle cose.

Delle volte l’esistere somiglia a una immensa quinta teatrale dentro cui si muovono personaggi e caratteri, che hanno un’anima, un’impronta irripetibile. Il sipario si tramuta allora in immaginazione, mentre illusione e realtà si danno il cambio, in una circolarità sconfinata che restituisce sogni e ossessioni, ipotesi e interrogativi, magie e crudeltà.
La stessa cosa accade nelle pagine di Tim Winton, dove anche il più piccolo dei personaggi rivela una capacità sconcertante di mettere a nudo la fibra intima della propria sensibilità, trascinandoci nel gorgo della sua anima, nel nero del suo dolore, in quel vento gelido che è abisso, viscere, inquietudine, ma che al tempo stesso non nega la speranza che qualcosa di grande e di risolutivo stia per compiersi nell’algebra complessiva della narrazione.
Cloudstreet è una storia complessa, già acclamata nel mondo, che racchiude al suo interno esperienze di uomini e donne apparentemente comuni, ordinari, e forse proprio in virtù di questo segretamente eccezionali, silenziosamente grandi.
Due famiglie, due storie differenti e parallele, due maniere poeticissime di narrare il dolore, il dramma, il desiderio di riscatto. L’autore trascina il lettore in quattrocento pagine di felice invenzione, accumulando fatti e situazioni, riunendo vicende, pensieri e punti di vista, dando alla scrittura traiettorie impensate, sottomettendola continuamente all’esigenza della resa interiore. E si rivela un maestro senza pari quando mette in atto la capacità di imbastire le fila del racconto, distribuendo gli eventi all’interno di una trama poliedrica, variopinta, tuttavia mai superficiale o imprecisa.
Winton conosce bene i tempi della vita e sa tramutarli in ritmi di scrittura, rivestendo l’impalcatura dei contenuti di una vitalità sognante, di una prosa semplice e vivace, fedele alla dimensione di un realismo magico, e dotata di quella capacità di sintesi che è al tempo stesso voglia di emozionare e attenzione all’essenziale.
Storia, storia pura, e parole che raccontano i fatti del cuore. Non c’è un solo rigo fuori posto, né una sola parola in eccesso. Cloudstreet colpisce soprattutto per la precisione del suo costrutto geometrico. Un romanzo in cui tutto è misurato, compatto, metricamente esatto (il merito va anche all’eccellente qualità della traduzione), e che lascia in chi lo legge la consapevolezza di non aver sprecato il proprio tempo.

 

Cristina Missiroli, IL GIORNALE
– 09/02/2003

 

Il miracolo inatteso della saga australiana di “Cloudstreet”

 

 

“Sam Pickles era stato uno sciocco ad alzarsi dal letto quella mattina, e l’aveva capito subito. (…) Sam lo sapeva stramaledettamente bene che, quando l’ombra imprevedibile di Dio sta per avvicinarsi, è meglio rollarsi una sigaretta e rintanarsi sotto le lenzuola, zitti e buoni, in attesa di vedere cosa succederà”. Se Sam avesse seguito il suo istinto, se fosse rimasto a letto, quella mattina, la saga non sarebbe neppure iniziata. Ma a dirigere i giochi in “Cloudstreet”, è l’Infida Mano del Destino, o – come la chiama Sam – la Mano Pelosa di Dio. E’ il fato che, quella mattina, fa alzare Sam e lo manda al suo lavoro di estrattore di guano. Per poi farlo tornare a casa con le dita della mano mozzate da un macchinario difettoso. Ed è di nuovo la fortuna che, quasi per compensarlo, gli fa ereditare una vecchia, enorme casa fatiscente, infestata dai fantasmi, negli squallidi sobborghi di Perth alla fine degli anni 40.
La casa è quella “Cloudstreet” e dà il nome al romanzo dell’australiano Tim Winton che esce in libreria in questi giorni per i tipi di Fazi. L’enorme dimora è il palcoscenico dal quale – in un racconto stregato e divertito, lungo 400 pagine – Winton descrive la ventennale saga di due famiglie, i Pickles (Sottaceti) e i Lambs (Agnelli), costrette da diverse sfortune a convivere. Sam ha il vizio del gioco e, ora che non ha una mano, ha bisogno di soldi per mantenere la sua famiglia. Decide così di affittare metà della vecchia casa. L’annuncio è raccolto dai Lambs, una famiglia di poveri contadini che migrano in città in seguito ad alcune sfortune e ad un miracolo riuscito solo a metà. Il loro figlio diletto, Fish si è salvato per il rotto della cuffia da un incidente nel quale ha rischiato di affogare. Ora è ritardato per i danni cerebrali causati dalla mancanza di ossigeno, ma è ancora pericolosamente attratto dall’acqua. Tanto che, in occasione dei pic nic familiari, occorre legarlo per garantirgli l’incolumità. Se i Pickles si affidano alla dea fortuna, i Lambs, con una fede ormai vacillante, continuano ad aspettare che il miracolo si compia del tutto.
Costrette a convivere dalle diverse sventure, le due famiglie incrociano i loro destini. Seguendo le vite degli improbabili protagonisti, Winton esplora la casualità dell’esistenza umana con una scrittura brillante che mette in luce la meraviglia e l’assurdità della vita. Winton ama i suoi personaggi e fa in modo che anche il lettore vi si affezioni. Oltre a Sam che continua a perdere soldi alle corse dei cavalli, c’è la sbandata moglie Dolly, regina del pub dove annega i dolori nell’alcool. C’è la loro figlia Rose, ogni giorni più magra e agguerrita, donna di casa per forza data l’assenza della madre. Dall’altra parte della magione, divisi da un corridoio in comune, ci sono Oriel e Lester: i quadrati e coscienziosi Lamb, che aprendo un piccolo negozio sul frontestrada, mantengono i loro sei figli. Tra i quali il surreale personaggio di Fish attorno al quale ruota il romanzo. Tutti sono raccontati con lirismo e, a tratti, con poesia. Commoventi, a volte. Sempre molto buffi. Tra colpi di scena e passaggi lirici, a turno quasi ogni membro dei Pickles e dei Lambs prova a scappare. Via dalla casa, via dalla famiglia. Ma alla fine tutti tornano ad affrontare i parenti e i fantasmi di Cloudstreet che da residenza forzata si trasforma in caldo focolare per tutti..
Questa insolita saga australiana è immersa in un’atmosfera cruda ma surreale, costellata di strane magie, benevoli fantasmi e piccoli miracoli. Come quello del maiale che, quando è di buon umore, parla con Fish. Ma si tratta sempre – come fa notare senza pietà uno dei protagonisti – di quel genere di “miracoli di cui non si ha bisogno”.
Tim Winton è già da tempo una celebrità in Australia. Cloudstreet (uscito in Australia nel 1991) gli ha regalato fama negli Stati Uniti dove al momento anche il suo ultimo romanzo (“Dirt Music”, di cui Fazi promette una prossima traduzione) è stato candidato al Booker price. A meno di un intervento perverso della Mano Pelosa di Dio, nei prossimi mesi dovrebbe conquistare anche gli italiani.

 

Christopher Wordsworth, THE GUARDIAN
– 23/05/1991

 

Neighbours e la Mano pelosa di Dio

 

Saga familiare australiana, incrocio tra la serie Neighbours e Pian della Tortilla con qualche spettro e fantasma, allegoria sulle rive dello Swan – Cloudstreet è tutto questo e molto di più, e lascia il lettore con l’unica certezza di essere stato stregato ed enormemente divertito per oltre 400 pagine da un autore la cui statura va ben oltre gli Antipodi.
Un maiale e un bambino ritardato che chiacchierano insieme, una visione che fa risplendere un pescatore come una lampadina per giorni, un galoppino alcolista che definisce la fortuna del giocatore “la Mano Pelosa di Dio”, un aborigeno silenzioso con un abito ed un enorme orologio; il signor Winton è poeta e salmista, troppo onesto e con troppo talento perché il suo romanzo possa peccare di mieloso misticismo. Egli ha anche un profondo senso dell’umorismo, un umorismo organico quanto il fango dell’estuario del fiume Swan, di Perth, o come il suo incantevole uso del dialetto australiano nei dialoghi.
Un capitolo di incidenti, più o meno sanguinosi, porta due famiglie dai pub e le fattorie di campagna a condividere una grande casa pericolante a Perth, alla fine della seconda guerra mondiale, gli scapestrati Pickles, Sam giocatore d’azzardo e la sua errabonda moglie, principessa del bar, e gli industriosi Lamb, tenuti in riga dalla austera matriarca, Oriel. Un allegoria delle due Australie, forse. Sam Pickles ha perso la mano estraendo guano e con essa la sua autostima, sempre inseguito dagli allibratori, sua figlia è anoressica e arrabbiata col mondo, il più vivace dei Lamb è diventato quasi imbecille dopo essere quasi morto per annegamento, con tragiche ripercussioni e un terribile senso di colpa per la famiglia. La prognosi non è molto positiva per la sopravvivenza della tribù dei Pickles, sotto il peso della disapprovazione morale, per non parlare dell’armonia tra le due famiglie, ma l’autore combina vite e occasioni in una sorta di grezza guarigione.
La scrittura è brillante ed efficace, tesa a mettere in luce la meraviglia e l’assurdità della vita e della gente. Le colleghe di Rose al centralino “parlavano tutte con la medesima inflessione chioccia e nasale, come se avessero ricevuto una palata in mezzo alle costole. E sboccate e fastidiose come tante vacche imbellettate… Erano delle ragazzette rozze e stolte, e lei le trovava simpatiche”.

 

PUBLISHER’S WEEKLY – STARRED REVIEW
– 27/01/2003

 

Cloudstreet by Tim Winton

 

“La fortuna non cambia, tesoro”, dice Sam Pickles alla figlia Rose. “Si sposta”. Considerazioni sul fato e sull’amore sono alla base dell’ironico romanzo di Tim Winton, ambientato nella Western Australia, su due famiglie che si ritrovano insieme negli anni dopo la seconda guerra mondiale; Sam Pickles si guadagna da vivere estraendo il guano per il nitrato finché non perde la mano in un incidente. Fortunatamente, la sua famiglia eredita una vecchia, enorme casa – la Cloudstreet del titolo – in cui possono almeno vivere, anche se sono sempre a corto di soldi. Il dilemma viene risolto dall’arrivo improvviso della famiglia Lamb, rigida e timorata di Dio, che i Pickles prendono in casa come affittuari. Seguendo gli strani membri delle due famiglie, che forgiano legami e superano tragedie, Winton esplora la casualità dell’esistenza umana con una capacità di osservazione che è tanto posata quanto feroce. Caratterizzata da passaggi lirici e colpi di scena, da un dialogo di punteggiatura minima, questa ironica e tenera saga familiare è tragica e comica, e spesso le due cose vanno insieme. Winton si dimostra essere un valido successore del suo compatriota Martin Boyd, che ha ritratto la società anglo-australiana delle precedenti generazioni.

 

 

Candice Rodd, THE INDEPENDENT
– 26/05/1991

 

I miracoli di cui non si ha bisogno

 

Il nuovo romanzo di Tim Winton, una saga tragi-comica su due famiglie della classe operaia nella Western Australia del dopoguerra, è lungo, esuberante e disarmante. A dirigere i giochi è l’Infida Ombra del Destino, meglio nota come la Mano Pelosa di Dio, che una mattina manda Sam Pickles al suo lavoro di estrattore di guano per ritrovarsi con cinque dita mozzate da un macchinario difettoso. Quando le dita di Sam cadono al suolo “come mezzo chilo di gamberi vivi”, la sua vivacità lo abbandona insieme a loro. In un colpo di generosità compensatoria, l’Infida Ombra fa sì che Sam erediti una grande casa pericolante negli squallidi sobborghi di Perth. Il Numero Uno di Cloud Street è il palcoscenico di una seducente celebrazione della bizzarria, della forza e dell’amore umani.
Bisognoso di soldi per mantenere la sua famiglia e il suo vizio per le scommesse, Sam affitta metà della casa a una famiglia di poveri contadini attratti dalla città per le loro sfortune. Tenuti insieme dall’avversità, i Pickles, irresponsabili, e i Lamb, diligenti e timorati di Dio, passano i successivi vent’anni dovendo convivere gli uni con gli altri e ciascuno con i vessanti fantasmi del proprio passato.
Dolly, la sciatta moglie di Sam, beve per affogare i suoi oscuri dolori. La loro figlia, Rose, relegata controvoglia al ruolo di donna di casa, diviene più agguerrita e più magra di giorno in giorno. Sam continua a perdere soldi alle corse dei cavalli. Dall’altra parte del corridoio, la piccola, quadrata, Oriel Lamb e suo marito Lester, riescono a mantenere i loro sei figli trasformando la stanza prospiciente la strada in un negozio di articoli generali improvvisato ma prosperoso.
Al centro del romanzo c’è Fish, un tempo l’irrefrenabile figlio preferito dei Lamb, rimasto danneggiato cerebralmente in seguito a un incidente in cui quasi annegò. Fish, centro dell’amore e dei sensi di colpa della sua famiglia, della silenziosa adorazione di Rose e delle riflessioni dell’autore stesso sulla natura dell’immortalità, brama a tal punto l’acqua che lo ha quasi ucciso, che durante i picnic di famiglia in riva al fiume, deve essere legato per la sua stessa incolumità. A casa, Fish idealizza suo fratello Quick, pesta su un vecchio pianoforte senza produrre neanche l’ombra di una melodia e chiacchiera con il suo maiale che, se dell’umore giusto, parla – “sempre”, come fa notare il flemmatico Lester, “i miracoli di cui non si ha bisogno”.
In effetti, la fitta narrazione di Cloudstreet è costellata di miracoli e magie – non solo il Maiale Pentecostale, ma anche fantasmi nel solaio, apparizioni nel bush e un uomo nero taciturno e visionario che si materializza dal nulla.
Periodicamente, uno dei Pickles o uno dei Fish ci prova a scappare verso la libertà. Dolly, ubriaca come sempre, barcolla fino alle rotaie della ferrovia; Rose viene sedotta da un ragazzo di città; Quick, tormentato dal senso di colpa verso Fish e verso le sofferenze del mondo intero, scappa nel bush e diventa un cacciatore di canguri. L’arcigna Oriel si confina piantando una tenda in giardino, nella quale si ritira, senza nessuna spiegazione, ogni notte per anni. Alla fine tutti, comunque, ritornano ad affrontare i fantasmi di Cloudstreet e a scaldarsi al tepore di questa bizzarra famiglia.
L’affetto di Winton per i suoi personaggi e per il paesaggio caldo, d’acqua, è trasparente e contagioso. Egli ci manipola senza ritegno (come nel caso del piccolo Wogga McBride, così orgoglioso da fingere di mangiare i panini che sua madre non può comprargli per il pranzo), ma è difficile obiettargli alcunché. […] Ci sono anche momenti di intenso e commovente lirismo, come il finale in cui Fish riesce a trovare il modo per “liberarsi dalla rete una volta per tutte”.
Con quattro romanzi alle spalle, Tim Winton è già una celebrità nella sua Australia. Salvo un intervento perverso dell’Imprevedibile Ombra, Cloudstreet dovrebbe guadagnargli una pari stima qui.

Cloudstreet - RASSEGNA STAMPA

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