Tim Winton

Nel buio dell’inverno

COD: 5f93f983524d Categoria: Tag:

Collana:
Numero collana:
23
Pagine:
120
Codice ISBN:
9788881121021
Prezzo cartaceo:
€ 11,00
Data pubblicazione:
01-04-1999

Traduzione di Maurizio Bartocci

In una landa desolata ai margini del bush australiano, quattro personaggi di età e provenienze diversissime si trovano coinvolti in una vicenda misteriosa. Il racconto in prima persona di Maurice si intreccia a un resoconto dei fatti più distaccato e oggettivo, mescolando una confessione incandescente a una cronaca spietata. Winton alimenta, pagina dopo pagina, una strategia di crescente tensione e disegna uno straordinario sfondo psicologico: i protagonisti, senza accorgersene, si inoltrano nei meandri più nascosti della mente umana fino a un epilogo sconvolgente e inaspettato.

«Libro scritto da chi conosce bene quanto la natura possa schiacciare ogni cosa, anche i pensieri, Nel buio dell’inverno è un esempio di quanto la letteratura possa vincere la sua battaglia con il cinema… un libro che non si dimentica facilmente, tenetelo d’occhio questo Winton».
Roberto Cotroneo, «L’Espresso»

«Un thriller dell’anima… Se cercate consolazione, lasciate perdere. Ma se non avete paura della paura, e avete voglia di aprire una porta sulla notte più nera, divorerete questo romanzo in una serata».
Mariacristina Guarinelli, «Marie Claire»

NEL BUIO DELL’INVERNO – RECENSIONI

 

R. Guacci – B. Miorelli, ALIAS SUPPL. IL MANIFESTO
– 05/01/1999

 

Tim Winton – Nel buio dell’inferno

 

Una giovane hippy, un’anziana coppia e un vecchio solo nella sterminata campagna australiana. Cullata dal buio e da un silenzio ancora saturo di minacce, la voce narrante li riporta in vita, sciorinandone i pensieri di prima: prima della tragedia, prima che qualcosa di feroce e sconosciuto facesse strage di cani, pecore e capre, scatenando pulsioni mai sopite. Ricordi che affiorano come lame nel buio in cui – introspettiva e immaginifica – la narrazione vibra e prende corpo, tra respiri affannosi e guizzi di rancore.

 

Maria Serena Palieri, ECOLOGIA DEL TERRITORIO – SUPPL. L’UNITÀ
– 02/04/1999

 

Quando la natura è una thriller

 

C’era solo bush, solo terra, solo cielo. Non c’era nulla di cui avere paura”: ecco il pensiero che attraversa la mente di Ida Stubbs mentre attraversa correndo la boscaglia australiana. A esseri del primo mondo, istruiti e civilizzati, la natura di per sé non può inoculare l’antico veleno del dio Pan: può incutere paure razionali, non il panico di cui la donna è preda. Ma fatto è che in quell’angolo sperduto d’Australia la natura ha assunto le forme di un’entità malefica che decapita e squarta gli animali domestici – cani, anatre, capre – e, forse, punta ai proprietari delle solitarie fattorie: alla vecchia Ida e suo marito Maurice, al loro vicino Faccob e alla giovane Ronnie. Dietro ogni tronco di jarrah, dietro ogni cima di maleleuca, i quattro vedono un mostro ignoto ma pronto a uccidere. “Nel buio dell’inverno”, romanzo di Tim Winton da poco uscito per Fazi, viene da quell’Australia che negli ultimi decenni ci ha regalato fiabe in cui la flora – sia una foresta o un giardino o un orto – la fa da padrone. Fiabe, però, misteriche o horror: dal vecchio film “Picnic a Hanging Rock” di Weir al recente romanzo “La pietra di paragone” di Horsfall. C’è un legame con le culture aborigene? Oppure sono semplicemente sentimenti che la natura ispira quand’è immensa e poderosa, quando è “in maggioranza”? Qui, a propiziare l’incubo, i quattro personaggi si appoggiano anche a qualche strumento più classico: vino e birra per gli anziani, valium e una pasticca di acido lisergico per la ventenne Ronnie. Sono droghe che facilitano la caduta delle inibizioni e del controllo e che, nell’inconscio di ognuno dei quattro, fanno riemergere sensi di colpa e memorie cupe. Ricordi slabbrati, chissà se personali o provenienti da qualche infanzia dell’umanità. Di un thriller non si svela il final. Diciamo solo che “Nel buio dell’inverno” gioca bene sullo scambio tra paesaggio esteriore e paesaggio interiore. E che fino all’ultimo ci tiene sulla corda dell’interrogativo: il “mostro” è dentro la natura o nell’essere umano che la abita?

 

Maria Serena Palieri, L’UNITÀ
– 02/04/1999

 

Quando la natura è un thriller

 

“C’era solo un bush, solo terra solo cielo. Non c’era nulla di cui avere paura”: ecco il pensiero che attraversa la mente di Ida Stubbs mentre attraversa correndo la boscaglia australiana. A esseri del primo mondo, istruiti e civilizzati, la natura di per sé non può inoculare l’antico veleno del dio Pan: può incutere paure razionali, non il panico di cui la donna è preda. Ma fatto è che in quell’angolo sperduto dell’Australia la natura ha assunto le forme di un’entità malefica che decapita e squarta gli animali domestici – cani, anatre, capre – e, forse, punta ai proprietari delle solitarie fattorie: alla vecchia Ida e suo marito Maurice, al loro vicino e alla giovane Ronnie. Dietro ogni tronco di jarrah, dietro ogni cima di maleleuca, i quattro vedono un mostro ignoto ma pronto ad uccidere. “Nel buio dell’inverno”, romanzo di Tim Winton da poco uscito per Fazi, viene da quell’Australia che negli ultimi decenni ci ha regalato fiabe in cui la flora – sia una foresta o un giardino o un orto – la fa da padrone. Fiabe, però, misteriche o horror: dal vecchio film “Picnic a Hanging Rock” di Wier al recente romanzo “La pietra do paragone” di Horsfall. C’è un legame con le culture aborigene? Oppure sono semplicemente sentimenti che la natura ispira quand’è immensa e poderosa, quando è “in maggioranza”? Qui, a propiziare l’incubo, i quattro personaggi si appoggiano anche a qualche strumento più classico: vino e birra per gli anziani, valium e una pasticca di acido lisergico per la ventenne Ronnie. Sono droghe che facilitano la caduta delle inibizioni e del controllo e che, nell’inconscio di ognuno dei quattro, fanno riemergere sensi di colpa e memorie cupe. Ricordi slabbrati, chissà se personali o provenienti da qualche infanzia dell’umanità. Di un thriller non si svela il finale. Diciamo solo che “nel buio dell’inverno” gioca bene sullo scambio tra paesaggio esteriore e paesaggio interiore. E che fino all’ultimo ci tiene sulla corda dell’interrogativo: il “mostro” è dentro la natura o nell’essere umano che lo abita?

 

Roberto Cotroneo, L’ESPRESSO
– 02/04/1999

 

Dall’Australia con angoscia innominabile

 

Questo Tim Winton ha scritto un libro di quelli che non si dimenticano facilmente. Che ti senti addosso con tutto il suo carico di orrore. Quattro persone. Una terra desolata in Australia. E una vicenda misteriosa: un’entità occulta che fa strage di bestie, e lascia tutt’attorno segni di sé. Così un’escalation di follia prende i quattro personaggi che non riescono più a controllare quello che accade attorno a loro. E poi ciò che accade dentro la loro mente. Fino al trionfo ella furia omicida, nient’altro che il cedimento alla parte più oscura che ognuno dei personaggi porta con sé. Un romanzo atroce questo di Winton. Che ha 39 anni. E’ australiano. E vive in una delle zone meno popolate dell’Australia. Un romanzo atroce perché man mano che si procede nelle pagine non capisci più quale differenza ci sia tra quella entità innominabile e oscura e le entità inconsce, profonde, di persone che fino a poco prima avevano condotto esistenze normali, e d’un tratto si ritrovano inghiottite da se stesse, come se i fantasmi della mente potessero uscire e imprigionarle. Libro scritto da chi conosce bene quanto la natura possa schiacciare ogni cosa, anche i pensieri, questo “Nel buio dell’inverno” è un esempio di quanto la letteratura possa vincere la sua battaglia con il cinema. Nessun film può restituire la sensazione di innominabile angoscia che dà un romanzo come questo. Ha ragione la “Washington Post” a definirlo un prodigio. Un incubo di parole, un incubo mentale, che non riesci a rappresentarti in alcun modo. E’ il caso di dire: tenetelo d’occhio questo Winton (“Blueback” e “Quell’occhio, il cielo” gli altri suoi libri tradotti in italiano, sempre da Fazi).

 

MARIE CLAIRE
– 02/04/1999

 

Nel buio dell’inverno

 

Se cercate consolazioni lasciate perdere. Ma se non avete paura della paura, e avete voglia di aprire una porta sulla notte più nera, divorerete questo romanzo in una serata. Siamo in Australia, in una landa desolata ai confini del bush. I veterani del luogo sono i coniugi Stubbs, una vita spesa per venire a patti con quella natura, allevare le figlie, rimpiangere un maschio mai avuto. poi ci sono i loro nuovi vicini: il solitario Murray in fuga da un ricordo impossibile e la giovane Ronnie, scaltra, scriteriata, incinta di un ragazzo che l’ha appena mollata. Si spiano a distanza, in comune non avrebbero niente. Fin quando qualcosa li costringe a trovarsi. chi ha ucciso le loro bestie? Che cosa c’è in agguato, là fuori nel bush? Un thriller dell’anima che fa pensare a Conrad e a quello che ha scritto in “Cuore di tenebre”: “Noi viviamo così come sognamo, soli”. I più coraggiosi guardano in faccia il buio della notte. I più fortunati riescono a far brillare la loro fiaccola nell’oscurità

 

Carmen Concilio, L’INDICE DEI LIBRI DEL MESE
– 03/03/2000

 

Nel buio dell’inverno

 

C’è una vena di violenza e qualcosa di atroce nella letteratura australiana. Lo si notava già nella raccolta dei racconti “Il cielo a rovescio”. Basti pensare poi ai libri di Patrick White, premio Nobel nel 1973, o al romanzo di Peter Carey “L’ispettrice delle tasse” (1991). Follia, depravazione e morte quando si manifestano lo fanno in modo dirompente, con immagini che non si cancellano. Tim Winton non tradisce la sua terra, il suo romanzo è una sorta è una sorta di danza macabra dei demoni interiori del protagonista, Maurice Stubbs. Un senso di colpa mai espiato produce fantasmi nelle nebbie delle colline dove tre fattorie si ergono spettrali. “Qualcosa, là fuori” uccide tutti gli animali, squartandoli atrocemente. “Qualcosa, là fuori” è un incubo di tutti i coloni: dal romanzo di I.M. Coetzee “Aspettando i barbari” (1980), a quello dell’australiano David Malouf “Ritorno a Babilonia” (1993). Qualcosa, là fuori, animale feroce o essere umano, indigeno o aborigeno, setta satanica o altro ancora, non è che la proiezione di qualcosa che si ha dentro, che Maurice nasconde sin dall’infanzia. Ma la ridda di incubi di cui non ci si libera mai finisce per coinvolgere i due vicini, una ragazza incinta abbandonata dal suo compagno , e un vecchio solitario. Ancora una volta, come nell’altro romanzo apparso in Italia di Tim Winton, “Quell’occhio, il cielo” (1986, Fazi, 1997; cfr. “L’Indice”, 1997, n. 10), l’Australia si presenta quale terra ostile verso le donne e i bambini. I due uomini si ritroveranno infatti a seppellire i loro morti, umani e animali, senza poter seppellire i loro incubi, i loro demoni.

 

Miska Ruggeri, IL GIORNALE
– 03/06/2000

 

Caccia al gatto in Australia

Avvincente psyco-thriller per Tim Winton

Tim Winton, giovane scrittore di Perth, ha il tocco di Stephen King, ha assorbito l’atmosfera di Lovecraft e conosce bene la vita ritirata. Non per nulla abita con moglie e tre figli in una villa sulla spiaggia di Fremantle, in una delle zone meno popolate dell’Australia. Il suo stile spezzato riesce a dilatare l’angoscia e la tensione, e “Nel buio dell’inverno”, breve romanzo scritto tra il 1984 e il 1987, si rivela un piccolo gioiello. dalla trama apparentemente fragile, ma tenuta su fino all’ultima parola. “Ascoltami”. Ascoltiamo allora la vicenda dei quattro personaggi, Maurice e la moglie Ida, la giovane Ronnie, lasciata dal ragazzo chitarrista e incinta, e il pensionato Jaccob, tutti misantropi dal torbido passato. Coco, il terrier di Ida viene trovato a pezzi, anzi ne resta solo la testa mozzata nel collare, oche e anatre massacrate, una capra sbudellata, le pecore con il ventre squartato e la testa bucata. Sangue ovunque e nessun rumore. Chi, cos’è stato? Inizia la caccia all’entità misteriosa, qualcosa di estraneo, che viene da altrove: una sorta di enorme gatto a giudicare dalle impronte. Come unica preda, però, nonostante gli improvvisati safari notturni dei due uomini, una volpe rognosa. Non c’è nulla di naturale allora, “è inutile guardare là fuori. Siamo noi”, come sostiene Ronnie? Forse sì, il vero orrore è dentro di loro, sepolto nei segreti del cuore, nei ricordi incoffessati e intollerabili, riguardanti un gatto, un maledetto gatto. Quello che, facendo le fusa, ha soffocato col suo pelo nella culla la figlioletta di Jaccob, prima di subire la vendetta. o quello cosparso di benzina e bruciato vivo da Maurice, o l’altro, crocifisso a un albero durante un rito di magia nera sotto gli occhi di Ronnie. Tim Winton dipinge così, a partire da una banale idea da B-movie splatter, uno straordinario paesaggio psicologico, più buio dell’oscurità, capace di avvolgere i personaggi ignari e di spingerli fino al delirio omicida, alla morte degli unici innocenti.

 

MARIE CLAIRE
– 05/05/1999

Libro del mese

Nel buio dell’inverno

di Tim Winton

Se cercate consolazione lasciate perdere. Ma se non avete paura della paura, e non avete voglia di aprire una porta sulla notte più nera, divorerete questo romanzo in una serata. Siamo in Australia, in un alanda desolata ai confini del bush. I veterani del luogo sono i coniugi Stubbs, una vita spesa per venire a patti con quella natura, allevare le figlie, rimpianger il maschio mai avuto. Poi ci sono i loro nuovi vicini: il solitario Murray in fuga da un ricordo impossibile e la giuovane Ronnie, scaltra, scriteriata, incinta di un ragazzo che l’ha appena mollata. Si spiano a distanza, in comune non avrebebro niente. Fin quando qualcosa li costringe a trovarsi. Che i ha ucciso le loro bestie? Che cosa c’è là fuori in agguato nel bush? Un thriller dell’anima che fa pensare a Conrad e a quello che ha scritto in Cuore di tenebra: «Noi viviamo così come sogniamo, soli». I più coraggiosi guardano in faccia il buiodella notte. I più fortunati riescono a far brillare una loro fiaccola nell’oscurità.

 

Gloria Piccioni, LIBERAL
– 05/06/1999

 

Tim Winton

Corpo a corpo con l’ignoto nella solitudine australiana

Quella valle la chiamano il Lavandino. Accoglie, in un abbraccio sinistro, una palude che brilla di «lucentezza scura», dove risuona, «con un rumore di marcia», il gracchio delle rane, l’ansa del fiume e una foresta di alberi jarrah che «assorbe il sole che tramonta come una goccia di sangue sulla fronte». Ci sono solo tre case nel Lavandino. Una è abitata da Ida e Maurice Stubbs, una vecchia coppia di contadini che vivono lì da sempre. Un’altra, sul versante più alto, un tempo dimora dei ricchi Minchinbury, gente di città con la puzza sotto al naso, appartiene a Jaccob, un tagliaerbe in pensione col viso riarso da tutto il sole che si è buscato tagliando i prati degli altri. La terza è sul pascolo sassoso, è la più povera e trascurata: ci vive Ronnie, una giovane “sconfitta” dalla vita, che ha molta familiarità con le droghe, abbandonata, con un figlio in grembo, dal suo uomo musicista. E in questo scenario che si consuma la vicenda raccontata da Tim Winton, australiano, trentanove anni, già internazionalmente noto, in un libro agile e pesante come un macigno: Nel buio dell’inverno appena pubblicato da Fazi (119 pagine, 22 mila lire). Agli abitanti del Lavandino succede qualcosa di molto strano: avvertono fugaci presenze che la coda dell’occhio arriva appena a percepire, improvvisi fruscii come se qualcuno si appostasse vicino alle loro case, finché trovano i loro animali morti, squartati nella notte senza un rumore. Un’impronta, come di un gatto cresciuto, un essere simile ai fratelli più grandi della sua stessa specie, li convince a difendersi tutti insieme dal mostruoso che incombe. Strappati a forza dalla loro solitudine, Maurice, Ida, Jaccob e Ronnie sono costretti ad affrontare relazioni fino a quel momento evitate con cura: ognuno cerca sicurezza e conforto nell’altro non potendo fare a meno però di nutrire diffidenza. Una diffidenza ancestrale come l’im-pronta di quell’essere sconosciuto, una diffidenza che rimanda a storie antiche, tenute tanto a lungo (e inutilmente) sommerse. Vicende per ognuno dolorose che, riemergendo confusamente in questo corpo a corpo con l’ignoto, inducono alla follia. Così, follemente, cercando il mostro che è in loro, i personaggi di questa storia incontrano un destino che non li assolve dai loro peccati. Resterà solo Maurice, «colui che serba i ricordi di tutti» e che sogna anche i sogni degli altri, a raccontare, in un monologo, i fatti al Buio della valle che come «l’orecchio di Dio»si schiude ad ascoltarlo. Una prosa bella ed evocante, una trama che cresce sapendo tenere il lettore inchiodato.

Nel buio dell’inverno - RASSEGNA STAMPA

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