Anaïs Nin

Collages

COD: 1ecfb463472e Categoria: Tag:

Collana:
Numero collana:
66
Pagine:
160
Codice ISBN:
9788881120239
Prezzo cartaceo:
€ 9,00
Data pubblicazione:
31-01-1997

A cura di Viola Papetti
Traduzione di Ma­ria Luisa Minio-Paluello

Collages è la storia autobiografica di un amore che, tra desiderio ed esasperata vitalità, segna il destino di Renate e Bruce, i due protagonisti, fino alla soglia di un epilogo folgorante. Sullo sfondo Vienna, il Messico, la California e New York, tappe di un viaggio senza termine dove il confronto avviene tra due solitudini che si rispecchiano l’una nell’altra.

«Quando scrisse Collages Anaïs Nin era ormai sessantenne e si era lasciata alle spalle il torrente in piena della sua giovinezza, eppure i brandelli di tessuto colorato, di cocci recuperati per strada, di capelli e vetri che lo compongono sono trasposizioni del suo intenso vissuto».
Claudia Gualdana, «Il Sole 24 Ore»

«Mette in scena i viaggi, la passione e i silenzi di una coppia molto en artiste e decisamente anticonformista».
Mario Fortunato, «L’Espresso»

COLLAGES – RECENSIONI

 

Simona Gangemi, SECOLO D’ITALIA

In “Collages” tutti i temi più cari alla scrittrice “scandalosa”

Anaïs Nin, il fascino del viaggio tra i sentieri dell’amore

 

“Ma il mio amore per Henry è un’eco profonda, un profondo prolungamento di un io dentro di me, che è eternamente bifronte. Io sono una personalità doppia. C’è il mio profondo, devoto amore per Henry, ma già può senza difficoltà cambiarsi in un altro amore””. Con il “Diario, Incesto”, scevro di censure, concernente il periodo che va dal 1932 al 1934, Anaïs Nin, scrittrice e artista nata a Parigi nel 1903, ha voluto scavare in fondo a se stessa e forse offrire al mondo una visione più completa di una donna che decise di infrangere quella morale per cui solo agli uomini è concessa una sessualità libera. E il mezzo più proficuo per questo processo di conoscenza ed introspezione è stato proprio il diario, unico confidente dall’età di undici anni, cioè quando il padre abbandonò la famiglia e soprattutto l’amore di sua figlia:… “il diario è una lotta per cogliere la persona meno afferrabile sulla terra. Eludo la mia stessa scoperta”. Amante in cerca dell’amore, di conseguenza alla ricerca di tanti uomini perché ognuno può offrire qualcosa di unico ed eccezionale, per amante dello scrittore del “Tropico” Henry Miller, dell’attore e artista Antonin Artaud, dei suoi due psicanalisti Otto Rank e Renè Felix Allendy, sposata felicemente con Hug Guiler, amante ossessa di June, donna di Henry Miller, e infine amante del suo stesso padre Joacquin Nin, Anaïs scopre a metà del suo cammino l’unico vero amore della sua vita: l’incesto con il padre. Quasi per riscattare una vita di tradimenti subiti dalla mamma di Anaïs da parte del padre, il seduttore che decise di lasciare la famiglia in cerca di amore, oramai donna, Anaïs decide di sedurre il padre. Una volta consumato tra loro l’incesto, sotto consiglio del dott. Rank, abbandona il padre dopo averlo sedotto facendogli assaggiare l’amaro e la rabbia del distacco da ciò che si ama. Il tema dell’amore, ma più specificamente quello del silenzio e dell’incomprensione nell’amore torna in “Collages” (Fazi editore, pag. 139, Lire 18.000) già pubblicato a Londra nel 1964. Collages è l’emblema della vita di questa scrittrice sempre in viaggio dentro se stessa e nel mondo. Un viaggio vede il trasmutarsi di Renate, protagonista incarnata del libro, da Vienna, città grigia delle statue, fino in Messico, terra di fuoco e di colori. Renate, ancora vittima dell’amore, prende atto della lontananza e soprattutto della imperscrutabilità che separa due amanti in cerca l’uno dentro l’altro. Le scatole cinesi rappresentano l’escamotage per abbreviare questa distanza. Ma Collages sono soprattutto le donne che circondano Renate. Donne incomplete, da ricostruire, ognuna con la sua storia. La stessa Anaïs fu definita da Varda, il capomastro bricoleur, “La femme toute faite”, cioè la donna perfetta e non scomponibile. In lei quindi non esistono frammenti di donna da rimettere insieme. Riecheggia come un imperativo categorico in tutti il libro il “mai niente è finito”, del Corano. Il presagio della fine però incede lentamente attraverso la macchina suicida di Jean Tunguely. Il viaggio di una donna che ha infranto tutti gli schemi e ha amato per arricchire un’opera d’arte si conclude in modo speculare. L’inizio di Collages segna anche la fine dello stesso, con la donazione di un manoscritto da parte di Judith Sands scrittrice dai foschi e inscrutabili scenari della sua casa e della sua vita, nome che rimanda inevitabilmente a “sabbie”, personaggio junghiano, in realtà George Sands, per cui Gore Vidal disse: “Anaïs ha sposato il demone di George Sands”. Anaïs Nin morì a Los Angeles nel 1977 dopo una lunga vita in fondo sofferta, vissuta nei retroscena di amori non sempre leciti, dibattuta sulle conseguenze dell’incesto.

 

Nin

Un harem di piume, merletti, dolori. Da scoprire in due.

 

In una notte del 1964 al Museo d’Arte Moderna di New York fu esposta la macchina di Tinghely “che si distrugge da sé” un’opera d’arte capace di consumarsi da sola in brevissimo tempo. A rievocare quella performance, grandiosa metafora del Novecento è Anaïs Nin in “collage” (Fazi editore, 139 pag. L. 18 mila) ultimo romanzo dell’autrice del “Delta di Venere” uscito proprio nel 1964 e ora riproposto da Fazi. E proprio come la macchina di Tinghely il racconto della Nin è un repertorio di personaggi irripetibili segnati dall’originalità di un’esistenza solo per un attimo prima del probabile disastro finale. A fare da collante peri frammenti di storie raccontate dalla Nin è la vicenda amorosa di una affascinante pittrice, Renate e del suo compagno Bruce inquieto e inafferrabile scrittore. Renate incontra Bruce a Vienna dove viveva con la famiglia ma subito i due partono insieme. “Voglio girovagare per un po’ lui dice – fino a quando non riuscirò a ritrovarmi fino a quando non scoprirò chi sono”. La migrazione alla ricerca della chiarezza interiore li porta dal Messico alla California al sud della Francia in Olanda e poi in barca nel Mediterraneo e ancora sull’oceano fino a New York. Le loro però sono e rimangono due solitudini a confronto nonostante gli sforzi iniziali di lei di costruire un rapporto “normale”. Ben presto quindi anche la loro vicenda si dissolve nei colori sgargianti delle storie degli altri personaggi colti di passaggio e descritti con dedizione amorosa quasi erotica. Si tratta soprattutto di donne infelici e reali come la moglie del Console o luminose come la folle Nina Gitana de la Primavera che dorme avvolta in un lenzuolo per scomparire, l’attrice Misuro, giapponese afflitta dalla tradizione del suo paese e poi Lisa, Tessa. Sono donne come quelle che crea l’artista Varda – altro personaggio – nei suoi “collage” corpi fatti di stoffe colorate un harem immaginario di “piume pellicce meteorite merletti campanili, filigrana”. Del resto “Collage” è in realtà un metaromanzo che riflette continuamente su se stesso così come quando ad esempio Renate insegue la vita di Bruce attraverso i racconti del passato che lui ha nascosto dentro una serie di scatole cinesi per poi decidere di distruggere anche quella breve illusione di conoscenza. Metafora di una realtà inafferrabile “Collage” è opera grande grazia narrativa disperate e coloratissima come i frammenti che la compongono.

 

Carlo Martinelli, ALTO ADIGE DEL LUNEDÌ

Anaïs Nin

Tra vita e arte

 

In una notte del 1964 al Museo d’Arte Moderna di New York fu esposta la macchina di Tinghely “che si distrugge da sé” un’opera d’arte capace di consumarsi da sola in brevissimo tempo. A rievocare quella performance, grandiosa metafora del Novecento è Anaïs Nin in “collage” (Fazi editore, 139 pag. L. 18 mila) ultimo romanzo dell’autrice del “Delta di Venere” uscito proprio nel 1964 e ora riproposto da Fazi. E proprio come la macchina di Tinghely il racconto della Nin è un repertorio di personaggi irripetibili segnati dall’originalità di un’esistenza solo per un attimo prima del probabile disastro finale. A fare da collante peri frammenti di storie raccontate dalla Nin è la vicenda amorosa di una affascinante pittrice, Renate e del suo compagno Bruce inquieto e inafferrabile scrittore. Renate incontra Bruce a Vienna dove viveva con la famiglia ma subito i due partono insieme. “Voglio girovagare per un po’ lui dice – fino a quando non riuscirò a ritrovarmi fino a quando non scoprirò chi sono”. La migrazione alla ricerca della chiarezza interiore li porta dal Messico alla California al sud della Francia in Olanda e poi in barca nel Mediterraneo e ancora sull’oceano fino a New York. Le loro però sono e rimangono due solitudini a confronto nonostante gli sforzi iniziali di lei di costruire un rapporto “normale”. Ben presto quindi anche la loro vicenda si dissolve nei colori sgargianti delle storie degli altri personaggi colti di passaggio e descritti con dedizione amorosa quasi erotica. Si tratta soprattutto di donne infelici e reali come la moglie del Console o luminose come la folle Nina Gitana de la Primavera che dorme avvolta in un lenzuolo per scomparire, l’attrice Misuro, giapponese afflitta dalla tradizione del suo paese e poi Lisa, Tessa. Sono donne come quelle che crea l’artista Varda – altro personaggio – nei suoi “collage” corpi fatti di stoffe colorate un harem immaginario di “piume pellicce meteorite merletti campanili, filigrana”. Del resto “Collage” è in realtà un metaromanzo che riflette continuamente su se stesso così come quando ad esempio Renate insegue la vita di Bruce attraverso i racconti del passato che lui ha nascosto dentro una serie di scatole cinesi per poi decidere di distruggere anche quella breve illusione di conoscenza. Metafora di una realtà inafferrabile “Collage” è opera grande grazia narrativa disperate e coloratissima come i frammenti che la compongono.

 

IL RESTO DEL CARLINO

Gli amori difficili / Fazi pubblica l’ultima opera nazzativa dell’autrice di “Delta “Venere”

Anaïs Nin tra Acapulco e il Village

“Collages” è la storia di un viaggio in America in compagnia di un pittore eccentrico, di cui sono descritte (con compiacenza) le spedizioni notturne.

Anaïs Nin conservò fino all’ultimo – malgrado i danni dell’età – un tipico viso 1920. Voglio dire quei tratti femminei tesi, nitidi, patiti che distinsero, nelle sopracciglia disegnate e nella bocca madida di carminio, le attrici un poco vampiresche del cinema muto. Un bel viso, al punto da non sfigurare, oggi, a confronto con quello delle indossatrici anoressiche predilette da Armani; un viso che riflette, in Anaïs Nin, e preannunzia un carattere saliente della sua letteratura: la sensualità curiosa, sperimentale, inquieta, spinta fino ai limiti della compiacenza (l’incesto, il lesbismo ) e proposta nella pagina con la preziosità e l’impudenza degli autori che perseguono lo scandalo. Nata a Parigi (1903) e presto fattasi americana, Anaïs Nin – di cui è uscita una poderosa e, pare, inadeguata biografia in lingua inglese – a circa vent’anni dalla sua morte (a Los Angeles) è ricordata, ma non letta, per il ‘Diario’: una gigantesca piramide elevata all’egotismo nevrotico femminile (35000 pagine scritte a mano!), di cui non si vede ancora la cima. Gli altri suoi libri, tutti apparsi in Italia, tra i quali “Il delta di Venere”, “Henry e June” sul sodalizio tumultuoso che la legò a Henry Miller, hanno attraversato lo scandalo senza lasciare una traccia durevole. Infine, è superfluo dire ciò che il lettore sa bene: nel suo ambizioso alpinismo letterario Anaïs Nin non toccò le vette di Virginia Wool né di Katherine Mansfield e neppure quelle meno impervie di Colette. Ma è altrettanto evidente che, sul margine un poco cedevole dell’intellettualismo mondano e d’alcova, la letteratura femminile degli ultimi anni non ha offerto molto di meglio dei libri di Anaïs Nin. Alla quale vanno riconosciuti l’impiego di uno strumento letterario acuminato e una voracità esistenziale che, tra molte cadute e sfrenate compiacenze, morde talora la sostanza della vita. Ma com’è labile la femminilità che si travasa nella letteratura con troppo abbandono e trainando un numero incalcolabile di squisitezze! L’ultima opera narrativa di Anaïs Nin fu “Collages” (1964) che l’editore Fazi ha tradotto a cura di Viola Papetti (pp. 134, lire 18.000). “Collages” venne alla Nin dalle opere dell’amico pittore e uomo straordinariamente eccentrico, Jean Learda. (Niente di propriamente semplice si registra nella vita di lei. Ogni evento reca il marchio di frequentazioni speciali, come quella con lo psicanalista Otto Rank). Dunque, l’idea è di affiancare a una storia d’amore difficile, immagini e situazioni diverse, composite e intersecate. Renate, la multiforme protagonista, vive a Vienna, città, a suo giudizio, colma di statue. Vi conosce il giovane Bruce e lo ama. Ma Bruce ama, alternativamente, anche i ragazzi. Da qui le difficoltà che si immaginano. I due viaggiano dall’Europa al Messico alla California, con una barca al seguito. Bruce ha le sue abitudini e sparisce nelle ore notturne. Durante le quali Renate legge, traendole da scatole cinesi, le cronache che lui le ha lasciato così avvoltolate, delle sue spedizioni notturne (può essere un suggerimento per i mariti fedifraghi: intrattenere le mogli sulle loro assenze, con le scatole cinesi). Renate trova conforto nella pittura e nelle amicizie esemplari. Ecco i “collages” di quelle rarità: un direttore di lavanderie che è, d’origine e di modi, un nobile russo; una donna dalla capigliatura corvina la quale, ovviamente, adora i corvi e ne tiene uno in casa; un bagnino che dedica la vecchiaia alle foche; Leonine, la danzatrice haitiana, che Cocteau riconosce per strada; Henri, lo chef figlio adottivo del famoso Escoffier e inventore della Crepe Suzette per il principe Edoardo. E, naturalmente, Varda, che per i suoi rutilanti collages impiega i damaschi del Medici e perlacee tuniche greche. E poi le donne sibilline e mutanti come Nina, “che sapeva citare Gertrude Stein accuratamente”; o la giapponese Misuro “in precario equilibrio tra spiritello, donna e bambina”; o la magica Tessa, di cui nulla poteva “smorzare il fervore, la mobilità, la prontezza di fronte a ogni sfida della vita”. In quest’ultimo personaggio, come in quello della scrittrice Judith Sands la cui mirabolante apparizione chiude il libro dei “collages”, facilmente cogliamo la proiezione di Anaïs Nin, creatura dotata di “capacità di osmosi”. Il caleidoscopio, o la girandola, di immagini e di profili, tra Acapulco, Malibù e il Villane, tra verità e finzioni ha così fine e l’uso e l’abuso di quel talento letterario di cui era intuitivamente dotata e al quale, c’è da sospettarlo, Anaïs Nin non seppe e non volle dare una buona volta ordine e imporre una definitiva misura.

 

Claudia Gualdana, IL SOLE-24 ORE

 

Collages d’esistenza

 

Dalla parte di Edipo e dell’emergere spontaneo dei nodi di una storia privata. Quando scrisse “Collages” Anais Nin era ormai sessantenne e si era lasciata alle spalle il torrente in piena della sua giovinezza, eppure i brandelli di tessuto colorato, di cocci recuperati per strada, di capelli e vetri che lo compongono sono trasposizioni del suo intenso vissuto. Nel libro lo declama attraverso la voce e l’opera di Jean Varda, il pittore americano nato a Smirne da genitori greci dedito soprattuto al collage a cui Anais dedica il libro: “Nulla rimane se non è prima statotrasposto in un mito, e il grande vantaggio dei miti è che spesso sono grandi signori con radici portatili”. L’autrice dei famosi “Diari”, al donna-bambina spagnola, come la chiamava il critico Edmund Wilson, alscia rivivere il passato in una sorta di analisi freudiana a Fortiori, frazionando il sé di una personalità dai molti volti. Volti che nascono, crescono e invecchiano guardando il mondo con occhi voraci di artista. E soprattutto con occhi di donna libera. La donna che visse una torrida passione con Henry Miller, lo spregiudicato scrittore newyorchese autore di Tropico del cancro,e ondivise il quotidiano con l’elite intellettuale che accompagnò Parigi e gli Stati Uniti pre un lungo tratto di storia, dagli Anni Venti fino al languire del tempo della beat Generation. E la Beat Generation in Anais Nin trova una cantrice matura, che nel mito on the road sente di poter respirare ancora l’atmosfera bohemienne che avvolse il suo rapporto sentimentale, ma anche, e ben più a lungo, intellettuale con Henry Miller; Renate, la protagonista delle mille avventure, dei voli sfuggiti da ogni schema, di Collages, la voce che narra di personaggi folli, resi tali da una vivida intelligenza svincolata da tabù e convenzioni sociali, è la giovane Anais Renate e Bruce come Anais ed Henry, due coppie prive di futuro borghese, ma destinate a reincontrarsi per dialogare. Quando si innamora di Bruce, un giovane scrittore di talento, Renate lo accompagna in Messico, la destinazione esotica di un viaggio alla ricerca di se stesso. Renate pittrice, ma anche hostess in un locale notturno che oggi definiremmo “alternativo”, Renate senza radici né meta precisa, se non quella di vivere la vita intensamente, momento per momento. Sul finire, i tessuti multicolori di Collages trovano il bandolo della matassa in Judith Sands, una scrittrice giunta all’epoca in cui prevalgono i ricordi, una scrittrice il cui nome ha un’assonanza non casuale con quello di George Sand, l’eroina dell’ambiente letterario dell’Ottocento francese, nota per i suoi manoscritti ma anche per uno stile di vita a quell’epoca rivoluzionario. JUdith Sands consegna a Renate il suo ultimo manoscritto, come se Anais trovasse, nella donna schiva che sa donarsi solo a un libro segreto, un ultimo sé in cui specchiarsi.

 

Chiara Guidi, LIBERAZIONE

Collages/ Anais Nin

Le vie endovenose della pittura

 

Anais Nin critico d’arte. Con questo parametro ho letto e studiato i “Diari” di questa scritttrice riconosciuta nel sensuale senso della scrittura, e nel sensuale scritto. Ma nella recente edizione italiana di “Collages” ( a cura di Viola Papetti, traduzione di Maria Luisa Minio – Paluello), pubblicato a Londra nel 1964, appaiono riflessioni sulla pittura, sulla misurata e sulla metafisica osservazione delle statue vienniesi, in modo così esplicito e coinvolgente, che non possiamo non rilevarle e apertamente parlarne. I riferimenti agli artisti, all’evocazione nate dalla loro conoscenza sono espliciti, così come lo sono le testimonianze degli amici artisti, compagni dell’avventura si intrecciano alla solitaria storia d’amore vissuta in due (un bagaglio che é come la sua penna, sempre vicino a lei) e che comunque dallo stesso titolo (“Collages” e un nome preso a piene mani dal lessico di una tecnica surrealista) ci spinge direttamente nella via dell’avanguardia da lei conosciuta. “Come si lasciava ingannare la gente dal simbolismo”, afferma parlando del suo abito nero (“dentro il vestito c’era l’albero nero, c’era la notte), mentre l’onirismo di Rousseau si afferma nelle dipinte scene di un sofà o di quando lo ricorda con la testimonianza delle sue parole: “Perché si ha il diritto a dipingere i propri sogni”. In “Collages”, ricordato dalla stessa Anais come un “volo”, un volo del linguaggio, fra la pittura dell’inquieta Ofelia, Renate, che possedeva la pittura in modo quasi biologico (“La pittura era nata dentro di lei come un figlio, organico, parte della sua carne, mentre per gli anonimi disperati, essi erano figli fortuiti ed adottati, non veramente loro, e non erano sicuri di paternità o realtà”) che la rendeva invulnerabile: “nessuno di questi fatti aveva il potere corposo che aveva Renate quando diceva: “io sono una pittrice”; e Varda, che aveva scelto il collages come forma di espressione. Varda “intingeva i suoi pennelli nel polline, nel silenzio, nelle lune di miele” e le sue donne “erano fragranti come se le avesse dipinte con timo, zafferano, curry” anche se in realtà erano le forbici lo strumento di tanta nuova meraviglia:”Tagliava i leggendari tessuti del mondo: damaschi dei Medici, le perlacee tuniche greche, i blu e gli ori intrecciati nei broccati veneziani, le lane blu notte del Perù, i colori sabbia dei cotoni africani, le mussole trasparenti dell’India, per dar vita a donne che appaiono agli uomini nel sonno”. Oltre a queste vie endovenose dell’arte, Anais non manca di sottolineare lo stato della pittura “moderna d’oggi” parla di una presentazione di una tela perfettamente bianca che il pubblico accolse con insulti come:”Surrealistica! Dadaista! Beatnik! Mutante!” e alle scuse dell’artefice afferma: “E così cara figlia, per quelli che si sono interessati al progresso, venti anni fa la pittura era giudicata da critici, e oggi é giuducata da un cane. Questo é lo stato della pittura al giorno d’oggi”.

Collages - RASSEGNA STAMPA

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