John Fante

Full of life

COD: 6c4b761a28b7 Categoria: Tag:

Collana:
Numero collana:
12
Pagine:
160
Codice ISBN:
8881120674
Prezzo cartaceo:
€ 13,00
Data pubblicazione:
01-03-1998

Traduzione di Ales­sandra Osti

Full of life, pubblicato nel 1952 e qualche anno dopo adattato per il cinema (con tanto di nomination all’Oscar per la migliore sceneggiatura), è il libro più comico e autobiografico scritto da John Fante, il suo ultimo romanzo prima del lungo silenzio durato oltre venticinque anni. E dunque ecco John e sua moglie Joyce alle prese con l’arrivo del loro primo figlio, l’improvviso attacco di una schiera di voraci termiti contro la loro casa di Los Angeles, il soccorso di Papà Nick, «il più grande muratore della California», e ancora una serie interminabile di piccole disavventure e litigate, tra lacrime, sorrisi, crisi mistiche e formidabili bevute di vino. Full of life, unico grande successo di Fante in vita, rivela uno scrittore al massimo delle proprie straordinarie possibilità espressive e completa, finalmente, la bibliografia italiana della narrativa fantiana.

«Un romanzo leggendario».
Sandro Veronesi, «Liberal»

«Un misto di purezza e stupore, di rivolta e ironia, di romanticismo e autocommiserazione, di ambizioni smisurate e di vittimismo da sfigato cronico […] il tutto virato su un registro patetico-umoristico alla Woody Allen».
Filippo La Porta, «Musica»

FULL OF LIFE – RECENSIONI

 

Maurizio Bartocci, IL MANIFESTO
– 09/04/1998

 

“Full of Life”, il Nuovo Mondo rutilante e ironico di John Fante, irriducibile outsider.

 

Tra assimilazione e distacco gli impagabili insegnamenti dei progenitori abruzzesi.

La prima stagione letteraria di Fante risale al 1941, quando Elio Vittorini pubblica nella sua antologia il racconto Una famiglia neo americana ; a quegli anni si deve la pubblicazione, nella prestigiosa collana della Medusa, dei primi romanzi. Aspetta primavera, Bandini e Ask the dusk (tradotto da Vittorini e titolato Il cammino nella polvere). Ma è indiscutibilmente con il lettore di oggi che John Fante vive una seconda, brillante stagione letteraria, con la ripubblicazione di tutte le sue opere e una schiera nutrita di infervorati sostenitori, che diventa anche per noi, come scrisse Charles Bukowski di Fante in una sua poesia, una Magic obsession.
Per tutta la vita Fante ha disegnato con le sue opere una mappa dell’immaginazione e una topografia della mente correlate al proprio io, alla famiglia, alle origini. Infatti già in Bricklayer in the Snow (Muratore nella neve), un racconto pubblicato nel ’36 dalla rivista The American Mercury, narra della storia del padre, muratore abruzzese emigrato in America, Fante, italo-americano di seconda generazione, getta i semi di tutta la sua produzione letteraria e stabilisce i poli tra cui instancabilmente dovrà fare la spola durante il suo cammino di uomo e di scrittore: l’esigenza di una completa e totalizzante integrazione nella società americana da una parte, e il rispetto incondizionato delle tradizioni e della cultura del paese di origine dall’altra.
Tra questi due estremi Fante cerca i fili del rapporto tra conscio e subconscio, tra immaginazione e memoria, abbozzando al contempo una cartina della condizione umana nella quale le figure del padre e della madre, oltre a simboleggiare una più vasta comunità di immigrati nel Nuovo Mondo, rappresentano i legami viventi con l’Italia d’origine.
Perché è proprio il tema dell’origine a darsi come nucleo del terzo romanzo di Fante, Full of Life , pubblicato in America nel ’52, in Italia negli anni ’50 come In tre ad attenderlo, unica traduzione italiana fino alla recente traduzione di Fazi (pp.158, £. 25.000), abilmente tradotto da Alessandra Osti, la voce fantiana italiana forse più intonata, e con il quale la casa editrice romana chiude e completa la biografia dello scrittore. Da qui Fante trasse le sceneggiatura, che ottenne la candidatura all’Oscar, del film prodotto nel ’56 dalla Columbia, diretto da Richard Quine e interpretato da Judy Holliday, Richard Conte e Salvatore Baccaloni.
Il tema e il mito dell’origine, dunque. Intesa come principio della vita, perché il romanzo racconta la nascita del primogenito dello scrittore; ma anche come punto di partenza del proprio cammino, luogo originario della propria stirpe e delle proprie tradizioni. Non a caso ritorna in queste bellissime pagine la figura di Nick, il padre italiano, intorno al quale ruota la dinamica della narrazione. L’opposizione più ricorrente della pagina fantiana è il binomio America-Italia: qui John è ancora un outsider, un fuori-luogo, che non trova appartenenza perché continuamente in lotta, indeciso tra il punto di partenza e quello d’arrivo, e che trova infine nella scrittura la soluzione di tutti i conflitti, quindi l’essenza del vivere. Dunque il tema centrale dell’identità di una famiglia di emigrati e le questioni che vi si sprigionano (l’assimilazione e l’estraniamento) diventano tratti distintivi di una cultura non più di passaggio, ma di arrivo, con peculiarità tutte sue; e sono gli ingredienti di una scrittura ricca di comicità e sarcasmo, spesso cinica e dissacratoria, sempre vitale e fresca.
La storia di questo romanzo è lineare e autobiografica. John Fante, voce narrante, racconta la nascita del primogenito e gli splendori e le miserie della sua casa di Los Angeles: “Alle 9,27 della mattina del 18 marzo, al settimo mese della sua gravidanza, Joyce Fante, sprofondò nel pavimento della cucina della nostra casa. Il suo peso – era aumentata di 25 libbre e la bilancia ne segnava 144 – unito allo stato del legno, provocò il climax mozzafiato quando le tavole infestate dalle termiti crollarono sotto il linoleum strappato e la donna con la gran sporgenza precipitò sulla terra tre piedi più in basso”.
Al costo della riparazione che si aggira sui 4000 dollari si può ovviare in una sola maniera: “All’improvviso, ebbi chiaro cosa dovevo fare. Come acqua fresca, quel pensiero mi bagnò. Come le nubi che si aprivano, dopo il quietarsi della tempesta, lui mi apparve, gagliardo come la luce del sole, il più grande muratore di tutta la California, il più nobile costruttore di tutti! Papà! La mia carne e il mio sangue, il vecchio Nick Fante”.E con la presenza del vecchio Fante, personaggio straordinario che unisce in sé tragedia e comicità, i controsensi e le insensatezze della vita rivelano improvvisamente un nucleo di coerenza e plausibilità; vita e letteratura si annodano sulla pagina, così come la razionalità alle credenze popolari, fino a quando il giovane Fante dovrà quasi credere agli “insegnamenti impagabili che venivano da generazioni di progenitori abruzzesi”, e alla necessità di sapere che per evitare le streghe bisogna avere uno scialle a frange, ” perché così la strega che attaccava si sarebbe fermata a contarle”. Oppure che “il rimedio per il morbillo era una sciarpa rossa, e la cura per il mal di gola era una sciarpa era”, fino al “trattamento aglio e sale per il talamo nuziale”.
Con uno stile inconfondibile, – dialoghi rapidissimi, azioni semplici e ordinarie, ritmo asciutto e guizzante – Fante riesce sempre a dare a personaggi, oggetti e luoghi una straordinaria, inconfondibile lucentezza e a lasciare nel lettore il più profondo senso di soddisfazione.

 

Tiziano Scarpa, IL CORRIERE DELLA SERA
– 12/04/1998

 

JOHN FANTE, NEL NOME DEL PADRE

 

Stregò Vittorini e piacque molto a Tondelli. Ora lo scrittore italo-americano è diventato un autore di culto tra i lettori più giovani. Ecco perché.

I maschi si dividono in due categorie: i parricidi e i parrigrafi. Come Sofocle, come Kafka, John Fante ha fatto molto di più che uccidere il padre: l’ha scritto. I protagonisti dei suoi libri sono uni e trini: si chiamano di volta in volta Arturo Bandini, Nick Molise o John Fante, ma sono sempre la stessa persona. A leggerli tutti, i romanzi di Fante, risulta evidente che il suo eroe è uno spermatozoo smarrito per il mondo: da una parte non ha altro scopo che intrufolarsi nei recessi di una donna, dove macerarsi al calduccio fra spettacolari sensi di colpa; dall’altra, quando le cose gli vanno male, è continuamente tentato di ritornare all’origine; e l’origine non è l’utero materno, ma i testicoli del padre. Sì, i testicoli: questa iraconda fabbrichetta biochimica di bestemmie, risse, egoismo, testardaggine, autocommiserazione, lavoro bestiale, passione per il gioco, ubriachezza molesta. Nel frattempo, Spermatozoo Fante vagabonda fra i suoi due poli: ama le donne e ama il padre, li ama visceralmente, dunque li odia con tutte le proprie forze intellettuali; ne trema, ne vibra, ne scrive.
Suo padre è un abruzzese emigrato negli Stati Uniti all’inizio del secolo. E’ un muratore imbattibile: le sue mani dalle unghie rotte hanno letteralmente costruito l’America: ogni tanto prende con sé un figlio maschio e lo porta in giro per la città a mostrargli la biblioteca pubblica, la chiesa, il municipio, la banca, la sede dell’azienda dell’acqua, le pompe funebri, il teatro, la caserma dei vigili, la scuola: “Li ho fatti io. Sissignore: li ho fatti io”. Per tutta la vita ha guadagnato quattro sporchi dollari sputando sangue, e ogni fine settimana se li è bevuti, se li è giocati a carte mentre la moglie non sapeva più che scusa inventare di fronte al droghiere in credito da sei mesi. Ha sempre desiderato avere figli muratori come lui: macché. Uno è diventato addirittura romanziere, sceneggiatore a Hollywood. Paternalismo, patria potestas, paternoster, pateticume, pathos patrilineare, paternali, pat pat sulle spalle,patrimoni miseri dilapidati in osteria.
Prendiamo questo Full of Life (splendidamente tradotto da Alessandra Osti per Fazi Editore). E’ il terzo romanzo pubblicato dopo Aspetta primavera, Bandini! e Chiedi alla polvere: è stato scritto all’inizio degli anni Cinquanta, prima che Hollywood inghiottisse per decenni la narrativa di Fante dentro un gorgo di sceneggiature e dollari, fino alla strepitosa rifioritura senile dei Sogni di Bunker Hill. Prendiamo Full of Life, allora. L’ambizioso Arturo Bandini, il ventenne squattrinato che in biblioteca sognava il proprio nome sugli scaffali “nel settore della B, B come Bandini, vicino ad Arnold Bennett”, qui si chiama John Fante: “John Fante, scrittore di tre libri. Il primo aveva venduto 2300 copie. Il secondo 4800. Il terzo 2100. Ma nel mondo del cinema non prestano attenzione all’andamento delle vendite. Se hai quello che loro vogliono al momento, ti pagano, e ti pagano bene”. Sua moglie Joyce aspetta un figlio, si gonfia, un giorno sfonda il pavimento della cucina. La casa è un ammasso di segatura digerita dalle termiti. Chi chiamare per rappezzare tutto? Ma certo, il più bravo muratore d’America: Nick Fante! L’irruzione del padre nel romanzo è formidabile: un pazzesco viaggio in treno, litigi continui (si litiga dall’inizio alla fine, nei libri di Fante), incesti fra vita vissuta e vita scritta trasformano Nick Fante in un tremendo demone ostetrico ossessionato dalla propria discendenza, mentre l’americanissima Joyce regredisce ad un caricaturale cattolicesimo da madonnina incinta. Il povero John viene scippato della propria paternità, si scopre irrisorio anellino nella catena dell’essere, guscio d’uovo fra pulcino e chioccia.
Perché John Fante piace così tanto ai giovani lettori italiani? Perché è piaciuto così tanto a Tondelli, dopo aver stregato Vittorini e Bukowski? Perché è la rappresentazione dell’Italia immigrata senza muoversi di un millimetro: letto da qui, oggi Fante racconta un’Italia sfiancata, sfiatata, stordita da questa corsa sul posto che l’ha fatta emigrare a velocità folle verso se stessa (portandosi addosso tutta se stessa), dentro la modernità e il postmoderno (con i dialetti e i campanili), dentro il postfordismo e il terziario avanzato e il lavoro immateriale (con i calli alle mani), dentro il laicismo e la democrazia (con Padre Pio e il principino Savoia che tifa Juve in TV), dentro la società dello spettacolo e le antenne satellitari (con Goldoni e Eduardo nel sangue). John Fante, letto oggi, qui, è la rappresentazione dell’America immigrata in Italia. Si continua a parlare italiano; ma è un broccolino pieno di sensi di colpa, sensi di inferiorità, inadeguatezza verbale, parole bastarde e mostri lessicali come renderizzare, massmediale, computeristico, mancanza di coraggio e di inventiva grammaticale per i neologismi indigeni. Non si crede in Dio, ma al momento del bisogno, più che pregare, ci si raccomanda a Lui. Si trasgredisce grazie ad un fortissimo senso del peccato. Si mugugna contro mamma e papà dormendo nella cameretta a fianco fino a trent’anni e oltre. Si percepisce lo stipendio per essere stati seduti davanti ad un telefono e un video: il verbo sudare è diventato una metafora lavorativa, non fa più guadagnare soldi, semmai li fa spendere in palestra.

 

Gianluca Biscalchin, LA NAZIONE

 

Piero Pelù “testimonial speciale” di John Fante

 

FIRENZE – Rockstars e operai, gente di cinema e gente di strada, poeti e facchini, fanno parte dell’esercito dei fans di Hohn Fante. Dimenticato per anni, lo scrittore italoamericano è diventato un autore di culto che piace al grande pubblico e, insieme, soddisfa i palati più fini. Come quello di Piero Pelù che giovedì sera, alla libreria Seeber, ha confessato il suo amore per Fante. L’occasione è stata la presentazione a Firenze del libro Full of life (Fazi Editore, L. 25.000) nell’ottima traduzione di Alessandra Osti. Ma per utta la serata nessuno è riuscito a svelare il segreto della grandezza di John Fante. Fatto sta che dalla Franciam negli anni ’80, si è scatenato il partito revisionista che ha portato l’ormai dimenticato scrittore alla ribalta letteraria. In Italia, dopo la traduzione di Vittoriani negli anni ’40, è stato Tondelli a perorare la causa fantiana. Da allora il successo si è moltiplicato e sono stati stampati quasi tutti i suoi libri. Da Un anno terribile a Chiedi la polvere, da A ovest di Roma”fino all’ultimo edito Full of life. La cosa certa è che lo scrittore americano, figlio di immigrati abruzzesi è morto in totale silenzio, scatena violente passioni. Chi lo legge poi non è più lo stesso. Succede qualcosa allo stomaco. E, come in tutti i grandi amori, le parole non sono all’altezza del sentimento. Qusto è ciò che ha dovuto ammettere Simone Caltabellotta, della Fazi, che ha presentato il libro con Luca Scarlini. Ma il contagio da afasia ha colpito anche lo scrittore Marco Viti che su “Reality Magazine” ha fatto fatica su Fante perché sopraffatto dall’emozione. Qual è allora il motivo di tanto sconvolgente amore? La risposta la dà Franco Di Francescantonio che ha letto pagine stupende, ironiche, carnali di Full of life. E le emozioni si raccontano male così come la trama di un libro che ha per protagonista lo stesso John Fante, la moglie Joyce e i genitori dello scrittore. Su questa doppia coppia e sulla gravidanza di Joyce gioca anche il titolo del libro. Piena di vita è lei, la moglie incinta. Ma full allude anche al pocker familiare: una coppia (i genitori di Fante) più un tris (lo scrittore, la moglie e il figlio in arrivo). Un full di vite, vite piene, dirette, vere come le parole di questo grandissimo, inspiegabile scrittore. Leggere per credere.

 

Massimo Cutò, IL GIORNO
– 04/11/1998

 

L’AMERICA AMARA DI FANTE

 

Era un uomo aspro e difficile. Sarcastico e feroce come i suoi libri. Un tipo da prendere con le molle, almeno a sentire gli aneddoti che circolavano su di lui. Perseguitato dai debiti di gioco, i prestiti mai resi, le ubriacature solenni e violente. Meglio evitarlo uno così. Eppure, quelle due o tre foto di John Fante fanno pensare a qualcosa di diverso. Nella prima, scattata sulla terrazza di un grattacielo, ha la faccia sorridente, un impeccabile doppiopetto e il cappello alto sulla fronte: un Robert Mitchum pronto a spaccare il mondo, l0amico leale con cui bere una birra in pace. Nell’altra istantanea, l’espressione invece è assorta: gambe divaricate, T-shirt bianca, la figura si staglia malinconica nel prato tagliato all’inglese della sua villa con piscina, a Hollywood: il tritacarne che gli procurò denaro in cambio di inutili sceneggiature. Rubandogli l’anima per sempre. Il diabolico baratto rappresentò un autentico peccato mortale. Perché John Fante, il figlio di abruzzesi emigrati in colorado, nato a Denver nel 1909 e morto nel 1983, fu un grande, anzi grandissimo scrittore. L’ennesima dimostrazione arriva da “Full of life”, il suo terzo romanzo datato 1952 e pubblicato ora da Fazi (pagg. 155, £. 25mila). Il volume era introvabile nella versione italiana, a 41 anni dalla prima uscita nella collana mondadoriana della Medusa. E riempie l’ultima casella vuota nella bibliografia dell’autore. Curioso destino, il suo. Fatto di inediti che spuntano da un cassetto, a maggior rimpianto di quel che poteva essere e non è stato. A caccia di una fortuna mai compiutamente afferrata. Snobbato dalla critica quand’era in vita. Riscoperto dopo la morte dal tam tam senza confini dei lettori, grazie anche al cinema che con un tardivo risarcimento ha attinto alle sue storie “piene di vita”. E comunque relegato in posizioni marginali nelle storie della letteratura nordamericana, penalizzato dall’etnia di provenienza. “Sono povero, il mio nome termina con una vocale dolce e loro odiano me, mio padre e il padre di mio padre”, scriveva Fante flagellandosi in “Sogni di Bunker Hill”. Ma pure nei momenti più bui, ha sempre vantato affezionatissimi sostenitori. Animale raro, Fante è uno scrittore amato dagli scrittori. A cominciare da Vittorini, che nel ’41 lo inserì nell’antologia “Americana”. Dopo un lungo silenzio, a inizio degli anni Ottanta toccò un maledetto Bukowski riportarlo all’attenzione, complice l’incontro fatale col romanzo “Chiedi alla polvere”. E nell’88 fu Pier Vittorio Tondelli a riproporlo con la commossa prefazione a “Sogni di Bunder Hill”, parabola della dissoluzione di un romanziere inghiottito dalla Mecca del cinema. E proprio la perfida sirena degli Studios, che assolda scrittori per non farli scrivere, fa da sfondo a “Full of life”. La vicenda è bellissima, narrata con la consueta maestria. C’è un figlio in arrivo e sono in tre ad attenderlo. La madre col pancione, il padre e il nonno, uno spaccapietre abruzzese chiamato a salvare la casa assalita dalle termiti. Un cast classico e glorioso, già sperimentato nei libri precedenti e in quelli che sarebbero venuti dopo: l’innesco per una serie infinita e coinvolgente di situazioni paradossali, scontri furibondi, pentimenti, lacrime, addii, riconciliazioni, svenimenti, nodi irrisolti. Con una novità assoluta: stavolta l’autore non ricorre a eteronimi. Anche l’ultima maschera è caduta, marito e moglie sono semplicemente John e Joyce Fante, come nella realtà. E quel povero vecchio muratore sbarcato a fine secolo da Torricella Peligna, in cerca della terra promessa, non è più Svevo Bandini o Nick Molise: si chiama Nick, Nick Fante. Lo svelamento è il grido di orgoglio e di dolore di un figlio di emigranti. Un autore dall’identità sospesa, come la narrativa italo-americana ha spesso mostrato (in testa il “Cristo fra i muratori ” di Pietro Di Donato): mai completamente integrato nella nuova realtà, mai dimentico della terra e delle tradizioni degli avi nel vecchio mondo. Un uomo complesso, senza radici, lacerato, autolesionista, irrisolto e vittima dei propri conflitti – la famiglia, la religione cattolica, il talento svenduto, la scrittura purificatrice. Con una vita piena di sofferenze: minato dal diabete ancora giovane, condannato nel ’55 all’amputazione delle gambe incancrenite, cieco dal ’78. Un poeta da esplorare fino in fondo, mettendo ordine nel groviglio di contraddizioni che è insieme personalissimo e di un’intera generazione. Il caso Fante è clamorosamente riaperto.

Full of life - RASSEGNA STAMPA

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