Prologo di «Augustus», John Williams

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augustus john williams

Lettera di Giulio Cesare ad Azia (45 a.C.)

Manda il ragazzo ad Apollonia.
Inizio bruscamente, cara nipote, così da disarmarti subito, e rendere ogni tua eventuale resistenza troppo incerta e fragile per la mia forza di persuasione.
Tuo figlio ha lasciato l’accampamento di Cartagine in buona salute: lo rivedrai a Roma entro la fine della settimana. Ho disposto che viaggiasse con comodo, affinché ricevessi questa lettera prima del suo arrivo.
Avrai già iniziato, immagino, a figurarti delle obiezioni per te importanti: sei madre e discendi dagli Iulii, quindi sei due volte ostinata. Credo di sapere quali saranno queste obiezioni; ne abbiamo già parlato in passato. Solleverai la questione della salute di Gaio Ottaviano – anche se a breve lo vedrai tornare dalla mia campagna iberica più in forze di quando la iniziò. Dubiterai delle cure che riceverebbe lontano da Roma – anche se una breve riflessione basterebbe a convincerti che i medici di Apollonia sono in grado di alleviare i suoi mali meglio dei profumati ciarlatani di Roma. Ho sei legioni in Macedonia e lungo i suoi confini; e i soldati devono essere in buona salute, al contrario dei senatori, che morendo tolgono ben poco al mondo. Il clima sulle coste della Macedonia, poi, è mite quanto quello di Roma.
Sei una buona madre, Azia, ma il moralismo e il rigore che ti affliggono hanno già creato qualche fastidio alla nostra famiglia. Devi allentare un poco le redini e lasciare che tuo figlio diventi di fatto l’uomo che il diritto ha già deciso che sia. Ha quasi diciotto anni, e ricorderai i prodigi che accompagnarono la sua nascita – prodigi che, come sai, mi sono dato la pena di ingigantire.
Devi comprendere l’importanza dell’imperativo con cui ho iniziato questa lettera. Il suo greco è pessimo e la sua retorica incerta; in filosofia se la cava meglio, ma la sua conoscenza della letteratura è a dir poco eccentrica. Sarà perché i precettori di Roma sono indolenti e sciatti come i suoi abitanti? Ad Apollonia leggerà i filosofi e migliorerà il suo greco con Atenodoro; amplierà la sua conoscenza della letteratura e perfezionerà la retorica con Apollodoro. Ho già disposto tutto il necessario.
Inoltre, alla sua età, deve tenersi lontano da Roma; è un giovane abbiente, di alto rango e notevole bellezza. Se non sarà l’ammirazione dei giovinetti e delle fanciulle a corromperlo, lo guasteranno le ambizioni degli adulatori. (Noterai con quanta astuzia solletico la tua moralità contadina). In quel contesto spartano e disciplinato, trascorrerà le sue mattine con gli studiosi più eruditi dei nostri giorni, perfezionando le arti dell’intelletto; di pomeriggio, invece, sarà in compagnia degli ufficiali delle mie legioni, per affinare quell’arte senza cui nessun uomo è completo.
Tu conosci i sentimenti che nutro nei suoi confronti e i progetti che ho in serbo per lui; sarebbe mio figlio anche davanti alla legge, come lo è nel mio cuore, se l’adozione non fosse stata impedita da quel Marco Antonio che sogna di succedermi e manovra tra i miei nemici furtivo come un elefante nel Tempio di Vesta. Il tuo Gaio siede già alla mia destra; ma per restarci saldamente, e assumere i miei poteri, dovrà acquistare anche la mia forza. E a Roma non può farlo, perché il grosso di quella forza ora è in Macedonia: alludo alle mie legioni, che l’estate prossima Gaio e io guideremo contro i parti o i germani, e che ci serviranno anche contro i tradimenti che si levano da Roma…
A proposito, come sta Marcio Filippo, che ti compiaci di chiamare marito? È talmente sciocco che gli sono quasi affezionato. Di certo devo ringraziarlo, perché se non fosse così impegnato a fare il Ganimede a Roma e a ordire ingenui complotti col suo amico Cicerone, potrebbe anche atteggiarsi a patrigno di Gaio. Il tuo precedente marito, pur appartenendo a una famiglia modesta, ebbe almeno il buon senso di generare un figlio e di tenere alto il nome degli Iulii; quello attuale invece mi trama contro, e sarebbe pronto anche a distruggere quel nome che è l’unico privilegio che ha. Ciononostante, vorrei che tutti i miei nemici fossero altrettanto inetti. Forse li ammirerei di meno, ma di certo mi sentirei più al sicuro.
Ho chiesto a Gaio di portare con lui ad Apollonia due amici che hanno combattuto con noi in Iberia e che lo stanno accompagnando a Roma – Marco Vipsanio Agrippa e Quinto Salvidieno Rufo, li conosci entrambi – e un terzo che non conosci, un certo Gaio Cilnio Mecenate. Tuo marito non mancherà di notare che vanta qualche remota ascendenza etrusca e possiede un che di regale; questo, se non altro, dovrebbe lusingarlo.
Mi dirai, cara nipote, che all’inizio di questa mia ti ho lasciato intendere che tu avessi qualche possibilità di scelta in merito al futuro di tuo figlio. Ora, in quanto Cesare, devo chiarire che così non è. Tornerò a Roma entro la fine del mese; e come forse ti è già giunta voce, vi tornerò da dittatore a vita, in base a un decreto senatorio che ancora non è stato emanato. Pertanto, ho il potere di nominare un comandante di cavalleria, che sarà secondo solo a me. Così ho fatto: e come avrai immaginato, si tratta di tuo figlio. È deciso, e non si torna indietro. Quindi, se tu o tuo marito doveste opporvi, l’ira del popolo si abbatterà sulla vostra famiglia con una tale violenza che al confronto i miei scandali privati non peseranno più di un topolino.
Confido che l’estate a Puteoli sia trascorsa piacevolmente e immagino tu sia rientrata in città in vista dell’autunno. Irrequieto quale sono, ormai non vedo l’ora di tornare in Italia. Forse dopo il mio rientro, quando avrò sbrigato i miei affari a Roma, potremmo riposarci qualche giorno a Tivoli. Potresti anche portare tuo marito, e Cicerone, se vorrà venire. Malgrado ciò che ho detto, sono molto affezionato a entrambi. Come lo sono, beninteso, a te.

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