Mio marito Stoner

•   Il blog di Fazi Editore
A A A

Pubblichiamo l’articolo di Antonello Guerrera uscito oggi, 28 febbraio, su la Repubblica.

 

Vi racconto chi era davvero John Williams.

Parla la vedova dell’autore del libro ormai considerato un classico mentre esce in Italia il suo romanzo ancora inedito Nulla, solo la notte.

Ma che destino bizzarro, quello di John Edward Williams. Fino a qualche anno fa era uno scrittore in incognito, praticamente sconosciuto. Poi, grazie alla riabilitazione della «New York Review of Books» nel 2006 e ad abili strategie di marketing, il mondo ha scoperto la sua suadente e spietata narrativa. E il suo – bellissimo – Stoner (Fazi Editore) è ora ufficialmente un capolavoro della letteratura americana. Incensato da giganti come Ian McEwan, Nick Hornby e Bret Easton Ellis, il romanzo è diventato un clamoroso bestseller internazionale. Di lì, anche in Italia, sono giunti a cascata gli altri titoli di Williams, come il romanzo storico Augustus (Castelvecchi), la sconfitta western Butcher’s Crossing (Fazi). E adesso, sempre per Fazi, arriva in libreria il suo ultimo romanzo. Anzi, il primo. Si intitola Nulla, solo la notte. È un’opera aspra, umbratile, alcolica, ossessionata, ma affascinante, fioca eco di Francis Scott Fitzgerald. Il protagonista è il giovane Arthur Maxley, un mini dandy californiano, asfissiato da un amore complicato, da un padre a intermittenza, da una lancinante solitudine. E, soprattutto, da un Edipo colossale. Arthur viene abbagliato, in sogno o incubo, dai flashback, anche perversi, della sua amata madre. Un tormento, fino alla fine. Fine che, come scopriranno i lettori, è poi l’incipit esistenziale di Stoner.
Nonostante conquisti sempre più adepti, comunque, John Williams, morto nel 1994 a 71 anni in una tenue indifferenza, rimane una figura criptica, di cui si sa pochissimo. Così, a vent’anni dalla sua scomparsa, abbiamo raggiunto Nancy Gardner. Quarta e ultima moglie dello scrittore, con cui ha condiviso trentacinque anni della sua vita, Nancy è una signora raffinata ma modesta. Ha 85 anni, vive a Pueblo, in Colorado. Capelli lattei, indossa degli occhiali timidi e intellettuali e ci racconta quel marito diventato famoso troppo tardi. E, mistero, ne viene fuori una persona molto diversa dai suoi personaggi, per certi versi ancora più inafferrabile ed enigmatica. «Ci siamo incontrati nel 1959», ricorda Nancy, «quando io ero una sua studentessa all’Università di Denver, in Texas».
5585689.28
E poi?

«E poi è nato l’amore, durato oltre trent’anni. Ho solo bei ricordi di lui, davvero. Forse troppi. Riusciva a farmi ridere ogni giorno della mia vita».

Addirittura? A leggere Stoner, storia di un anonimo e triste professore, non si direbbe.

«E invece sì. Aveva uno humour fulminante. Non ho mai pensato, ma neanche per un istante, che John somigliasse a Stoner. Mio marito era molto più mondano e meno passivo del suo personaggio».

Difficile da credere.

«Le dico che è così. John non avrebbe mai raccontato se stesso nei suoi libri. Semplicemente perché la sua persona lo annoiava. Certo, come lui, William Stoner era nato in campagna ed era un professore universitario. E sicuramente all’inizio della sua carriera, in un posto sperduto come era Denver, ha sofferto e ha provato una certa solitudine. Ma tutto il resto non converge. Anzi, mi diceva che il suo vero romanzo autobiografico fosse Augustus».

Perché?

«Perché ogni tanto amava immaginarsi nei panni di un imperatore».

Un “imperatore” che però, a parte un incidentale National Book Award nel 1972 – tra l’altro proprio con Augustus – in vita è stato snobbato.

«Ma lui non se ne lamentava mai. Da giovane aveva combattuto nella Seconda guerra mondiale, e, a differenza di molti suoi compagni, era sopravvissuto. Poi era riuscito a scappare dal contado del Texas, noioso, arido e sfiancante. Ma, nonostante tutto, era comunque diventato un professore stimato, con uno stipendio dignitoso, amato da amici e colleghi. Non ha mai sofferto la fama sfuggitagli in vita».

Ma, proprio per il successo che latitava, Williams non ha mai pensato di abbandonare la letteratura?

«Ah, certo. Inizialmente, Stoner venne bocciato da ben sei editori. Dopo quella delusione, John aveva deciso: “Smetto”. E diceva sul serio. Questo mi spaventò a morte. Ma poi arrivò la Viking Press, che decise di pubblicarlo. Poi venne Augustus».

E poi The Sleep of Reason, il suo ultimo romanzo mai completato.

«Già. Anche per colpa dell’alcolismo».

Beveva molto?

«Sì. Per noi tutti, famiglia e amici, è stato molto difficile».

Che idee politiche aveva?

«Di centrosinistra. Ma la politica non gli interessava molto».

Leggeva molto?

«Moltissimo. Amava soprattutto William Shakespeare, Thomas Hardy, W. B. Yates, Robert Penn Warren. Pensi che da ragazzino, in Texas, vinse un premio di una biblioteca vicino alla sua cittadina natale, Clarksville, per esser stato l’utente che aveva consultato più libri in un anno».

E come scriveva Williams? Quali erano le sue abitudini?

«Era uno scrittore calmo, disciplinato, molto metodico. Odiava rivedere, modificare i suoi testi. In genere, cominciava a scrivere al mattino presto, dopo aver preso il caffè con me. Scriveva per tre-quattro ore, per produrre una pagina al giorno, a volte anche tre. Poi, a sera, rientrava nel suo studio per altre due-tre ore a pianificare la scrittura del giorno dopo. E poi c’era l’orto».

L’orto?

«Sì, aveva un enorme orto tutto suo, di circa 120 metri quadri. Quando aveva il “blocco della scrittore”, andava lì e lo curava un po’. Amava il giardinaggio perché per lui era mindless, una cosa meccanica, senza sforzi mentali».

Oggi arriva in Italia Nulla, solo la notte. Un libro scritto mentre Williams era in guerra con l’aviazione americana, in Birmania e India, tra 1942 e 1945.

«Si arruolò molto giovane, a vent’anni. Nella Seconda guerra mondiale venne impiegato come operatore radio. E quando non c’era da volare, si annoiava molto nella sua base. Niente svago, solo giungla e una mangusta che lo andava a trovare ogni giorno. Così nacque Nulla, solo la notte».

Lo aveva segnato molto la guerra?

«Assolutamente sì. Anche perché la morte lo sfiorò più volte.Una volta l’aereo dove viaggiava venne abbattuto dai giapponesi: su otto persone dell’equipaggio si salvarono soltanto tre, tra cui John. Da quel momento, e per tutta la vita, ha provato il “rimorso del sopravvissuto”. Tanto che, dopo quell’episodio, ha più volte sfidato la morte nella giungla per recuperare le medagliette dei compagni morti, affinché le famiglie conoscessero il tragico destino dei loro caduti. In guerra, inoltre, contrasse la malaria e una malattia legata al tifo. Si salvò grazie ai sulfamidici, una novità all’epoca».

E le parlava della morte?

«No, mai. A parte poco prima di andarsene, quando mi ha chiesto cosa avrei fatto in futuro. Io gli ho risposto che volevo restare a Fayetteville (in Arkansas, dove è morto Williams, ndr)».

Come in Stoner, anche in Nulla, solo la notte il rapporto del protagonista con le donne è molto complicato. Cosa ha provato nel leggere Stoner? Ha mai pensato di essere una di quelle donne fredde e ciniche?

«No. Eravamo una bella coppia, altrimenti non saremmo stati insieme per così tanto tempo. E, da quello che ho visto io, John adorava le donne. Prima che lo conoscessi, ha avuto sicuramente un periodo difficile, anche di ambientamento. Ma lui era un artista. E l’artista trasforma l’esperienza».

E che mi dice di sua madre, che nel romanzo è sogno e incubo?

«Non parlava quasi mai di lei. Mi ha detto solo che era una gran lettrice e che aveva avuto una vita molto difficile dopo la crisi del ’29. Ma, dopo tutto quel silenzio e la sua morte, ho capito. L’amava così tanto da non riuscire a esprimersi. Era un amore troppo grande per le parole».

Privacy Policy   •   Cookie Policy   •   Web Design by Liquid Factory